Gli insegnanti sono diventati una specie di sotto-proletariato
Raddoppiamo gli stipendi
ai nostri professori
di PIETRO CITATI *
SONO così vecchio, che i professori della mia giovinezza avevano studiato ai tempi della Riforma Gentile. Non vorrei sopravvalutarla. Né vorrei sopravvalutare l’insegnamento dei miei professori di ginnasio e di liceo: conoscevano male le letterature straniere, e avevano la pessima abitudine di discutere interminabilmente le opinioni di Benedetto Croce su Dante o Leopardi o Ariosto. Ma ce n’erano alcuni straordinari. In primo luogo, meravigliosa conoscenza del greco e del latino, tanto che Giorgio Pasquali sosteneva che i migliori filologi classici provenivano dalle cattedre dei licei.
Poi alcuni avevano un modo d’insegnamento che, in parte, si è perduto. Oggi la letteratura è studiata soprattutto come storia della cultura. Allora, i professori più intelligenti parlavano di Dante o Petrarca o Ariosto o Leopardi come se fossero una parte essenziale della vita quotidiana di ogni ragazzo. Vivevamo in loro e per loro. Uno dei miei professori discorreva di Machiavelli e di Guicciardini con tale passione e divertimento, che noi ne discutevamo tornando a casa e poi ne parlavamo a pranzo con nostro padre e nostra madre, come se tutti i problemi della vita moderna fossero illuminati dal Principe e dai Ricordi.
Molti maestri, e soprattutto maestre, erano meravigliosi: molto più bravi di quelli ai quali De Amicis innalzò un monumento nel Cuore. Appena aprivano bocca, tutto diventava chiaro, limpido, luminoso: i numeri si addizionavano, moltiplicavano e dividevano per conto loro: i verbi irregolari non avevano più misteri; la storia diventava un romanzo d’avventure. Avevano un grande dono comunicativo: uno spirito materno maggiore, probabilmente, di quello che esprimevano a casa; e le violente o pacate tirate d’orecchie, e i rapidi colpi di bacchetta sulle mani, venivano accettati senza ribellione.
Nei piccoli paesi, ogni maestra insegnava a due o tre classi, districandosi non si sa come in quel fantastico garbuglio. Ciascuna aveva un linguaggio e un timbro: tanto che si poteva ritrovare nelle voci dei bambini la voce delle insegnanti. E poi, la bellezza delle calligrafie (io scrivo orribilmente): tondi perfetti, linee slanciate, filettature, eleganze neogotiche. Credo che la perdita della bella calligrafia e dello studio delle poesie a memoria sia stata, come diceva Italo Calvino, una delle principali sconfitte dell’età moderna.
Tutti sapevano che gli stipendi delle maestre e dei professori non erano alti. Ma, in generale, era una cosa dimenticata. Nemmeno i più altezzosi borghesi o aristocratici di Torino ricordavano che gli educatori dei loro figli erano pagati meno dei loro autisti, e che le professoresse non frequentavano le grandi sarte. Esisteva l’inconscia convinzione che i professori non appartenessero a nessuna classe sociale: ma ad uno strano regno, dove né danari né vestiti né vacanze costose avevano importanza.
Sulla condizione dell’insegnamento nei licei, non posso che rinviare ad un libro preciso e piacevole di Paola Mastrocola, che possiede un’esperienza molto più diretta della mia. Ci furono periodi relativamente decorosi. Quello, per esempio, nel quale l’insegnamento nelle medie e nei licei fu assunto, quasi esclusivamente, dalle donne: lo stipendio era basso, ma integrava quello del marito; e poi rimaneva tutto il pomeriggio libero da dedicare ai figli. Ma questo interludio non fu lungo. Presto il Ministero elaborò una quantità mostruosa di materiale burocratico o semiburocratico e paraburocratico - riunioni, commissioni, moduli, discussioni, aggiornamenti, delirii - che distrussero i bei pomeriggi liberi, nei quali passeggiare o giocare con i figli.
Per il resto, la storia della scuola elementare, delle medie e dei licei negli ultimi trent’anni è quella di un rapido disastro. Le cause furono innumerevoli: le conseguenze del voto politico negli anni dopo il 1968: la riforma della scuola elementare, che vide la dissennata suddivisione tra i maestri (come se un solo maestro non fosse capace di insegnare sia aritmetica sia italiano): l’immissione, per motivi politici, di moltissimi pessimi insegnanti: la conseguente mancanza di posti per i giovani laureati: la confusione del Ministero; la stolidità dei programmi e dei non programmi di studio. A un ragazzo di quindici anni bisogna far leggere Delitto e Castigo, che lo sconvolge e travolge, non la per lui incomprensibile Coscienza di Zeno. A questo si aggiunse l’influenza rovinosa di alcuni libri di testo, compilati da professori universitari di tendenza strutturaliste: i quali imposero ai ragazzi di imparare a memoria gli attanti e la diegesi di Gérard Genette, invece di invitarli a comprendere la bellezza e il significato della letteratura.
Tutto questo ha portato alla degradazione della classe degli insegnanti. Cinquant’anni fa, era una non-classe, rispettata anche se non temuta. Oggi, gli stipendi miserabili hanno prodotto una sotto-classe, una specie di sottoproletariato, che possiede a malapena il danaro per vestirsi e nutrirsi, ma non per comprare un libro, sia pure in edicola. Ricordo con strazio la visione di una classe di professori, qualche anno fa: quei golfini spelacchiati, quei vestiti lisissimi. So di dire una cosa banalissima: oggi, quando la sorte della civiltà occidentale è affidata alla specializzazione, un buon liceo e una buona università sono assolutamente necessari. Invece, l’Italia ha perduto la precisione della sua vecchia cultura agricola, quando si sapeva potare un olivo e innestare una vigna. Quasi tutti lavorano in modo confuso ed approssimativo, come se la sorte del mondo non dipendesse dal dono di piantare un chiodo nel punto giusto.
Non è più possibile continuare a pagare i professori delle medie e dei licei, che devono tornare ad essere un’élite, con gli stipendi di oggi. Gli stipendi vanno almeno raddoppiati, e via via aumentati nel corso del tempo. Gli economisti mi risponderanno che i soldi non ci sono: questa proposta porterebbe a una spaventosa catastrofe, a una disastrosa inflazione. Ma so ugualmente bene che, in Italia, quando bisogna sprecarli, i soldi ci sono sempre. Se risparmiassimo sulla rasatura delle guance dei senatori, i profumi e i dopobarba dei deputati, le tinture dei capelli ahimè biancastri delle senatrici, le bare degli assessori veneti, i cuochi e i camerieri del Parlamento, i gelati dell’onorevole Buttiglione, gli stipendi delle stenografe siciliane, i premi letterari (in gran parte finanziati dalle Regioni), la politica estera del presidente Formigoni, potremmo accumulare una ricchezza immensa.
* la Repubblica, 3 luglio 2007
Verranno assunti 50.000 docenti e 10.000 Ata: "sono tutti precari storici".
Nomine entro il 31 luglio per garantire l’avvio del prossimo anno scolastico
Scuola, Fioroni firma il decreto
"Verranno assunti 60mila precari" *
ROMA - Al via 60.000 assunzioni nella scuola. Il ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, ha firmato il decreto che prevede l’immissione in ruolo di 50.000 docenti e 10.000 Ata (ausiliari, tecnici e amministrativi). L’obiettivo è dare "un’adeguata soluzione" al fenomeno del precariato. I 60.000 sono "tutti precari storici, con il conseguente e sensibile abbassamento - fa notare il ministero - dell’età media del personale e la garanzia di una maggiore funzionalità degli assetti scolastici".
"Il contingente - si legge in una nota di Viale Trastevere - viene ripartito tra ordini e gradi di scuola, posti di insegnamento e profili professionali a livello provinciale delegando ai Direttori regionali l’emanazione delle conseguenti nomine in ruolo che dovranno essere effettuate entro il 31 luglio per garantire il regolare avvio del prossimo anno scolastico. Con il decreto, inoltre, viene resa operativa, relativamente alla prima tranche di nomine, la norma della legge finanziaria che prevede la definizione di un piano triennale di assunzioni a tempo indeterminato per gli anni 2007-2009".
Oltre alle assunzioni, il decreto contiene anche altre importanti novità. Una riguarda il meccanismo di reclutamento, che punterà ad assumere esclusivamente insegnanti non di ruolo. Fino ad ora, infatti, molti degli assunti, iscritti nelle liste dei precari, erano in realtà già di ruolo in un altro grado di istruzione o in un’altra cattedra. Questo danneggiava i precari veri che spesso si vedevano soffiare il posto da un collega più anziano e per di più di ruolo.
Le asunzioni interesseranno tutta l’Italia, ma saranno Lombardia, Campania e Sicilia le regioni che faranno man bassa di cattedre. In Lombardia andranno 7.381 cattedre e in Campania 5.635. Ma è tutto il Nord che si accaparra la fetta più grossa di immissioni in ruolo con quasi 21 mila posti, al Centro ne andranno quasi 10 mila e poco più di 19 mila in ben otto regioni meridionali.
* la Repubblica, 4 luglio 2007
Sentenza a Treviso: "Lo Stato risarcisca i precari della scuola" *
Lo Stato deve risarcire i precari della scuola, docenti e personale amministrativo, per la mancata indennità di carriera che, con il contratto a termine, non hanno potuto percepire. Lo ha stabilito il Giudice del lavoro di Treviso con una sentenza «pilota» a favore di 30 tra insegnanti ed amministrativi che, assistiti dalla Uil Scuola, hanno fatto causa al Ministero dell’istruzione.
La sentenza, di cui riferisce oggi la Tribuna di Treviso, «condanna il Ministero a risarcire in favore della parte ricorrente il danno da individuarsi nella differenza fra quanto effettivamente percepito e quanto avrebbe dovuto percepire se i periodi di lavoro effettivamente prestati fossero stati da subito regolati secondo la disciplina del contratto a tempo indeterminato».
Oltre ai 30 precari che hanno vinto la causa con il Ministero, ci sarebbero altre 270 persone pronte a seguire lo stesso iter giudiziario inoltre la sentenza potrebbe aprire la strada al ricorso alla giustizia da parte di altre figure professionali con contratto simile.
* l’Unità, 07 ottobre 2009
Scuola, le riforme della Gelmini non toccano il cuore del problema
Nessuno può insegnare con 1200 euro al mese
di Pietro Citati (la Repubblica, 02.09.2008)
La naftalina mi è sempre piaciuta moltissimo: al contrario che a Michele Serra, il quale trova un forte odore di naftalina nelle riforme scolastiche proposte dal ministro Gelmini. Ricordo la beatitudine con cui, a tarda primavera, aprivo gli armadi dove mio padre e mia madre avevano chiuso i cappotti e le pellicce invernali, e aspiravo l’odore di naftalina, che mi rammentava profumi molto più squisiti.
Michele Serra ha perfettamente ragione su un punto capitale. Non potrà esserci nessun rinnovamento della scuola italiana, se il governo non aumenterà in modo considerevole gli stipendi dei maestri elementari e dei professori delle medie e del liceo. Non è possibile insegnare con uno stipendio di 1200 euro al mese. Con questa somma non si possono comprare libri e nemmeno giornali: né si acquistano vestiti, cappotti e golf nuovi, senza i quali nessuno avrà mai il rispetto degli alunni, visto che oggi la dignità esiste solo se è accompagnata da danari. Leopardi con il vecchissimo cappotto sfilacciato e Baudelaire con le scarpe bucate non sono eroi del nostro tempo. Come il governo trovi i soldi, non so e non mi importa di sapere. So soltanto che dal 1945, quando qualcuno tocca questo argomento, la risposta è sempre la stessa: "Non c’è danaro". Mentre il danaro c’è, sempre, per le cose più sciocche.
Una di queste cose fu, appunto, quella di moltiplicare gli insegnanti nella scuola elementare: con un costo enorme. Un maestro solo (a parte l’insegnante di lingue straniere) è del tutto sufficiente. Ricordo maestre intelligenti ed eroiche che, nei piccoli paesi, fronteggiavano nello stesso tempo tre classi, alternando italiano e aritmetica, geografia e storia. Per quanto so, la scuola elementare italiana, negli anni dal 1935 al 1970, era piuttosto buona. Sarebbe sbagliato, invece, aumentare il numero degli scolari nelle classi, in specie nelle scuole elementari e medie. Non si può insegnare l’italiano a quaranta ragazzi contemporaneamente, come facevo negli anni tra il 1954 e il 1959, quando ero professore negli avviamenti. C’è un problema: i maestri e le maestre del 2008 sono ancora capaci di insegnare cinque o sei materie?
La scuola elementare e media non ha bisogno di computer, come diceva Silvio Berlusconi anni fa. Il computer è anche troppo usato, oggi, in Italia. Col risultato che ragazzi di tredici anni lo usano meravigliosamente, come un gioco spettacolare, ma non sanno scrivere una lettera in italiano.
Credo che tra voto e giudizio scolastico non ci sia una vera differenza. Tutti i professori sanno che i voti riflettevano un discussione tra professori e preside in camera di consiglio: "tu a quello togli due materie a settembre, e a questo ne aggiungo una io". Quanto ai giudizi psicologici, la pretesa di comprendere, analizzare e giudicare un bambino o un ragazzo, è completamente insensata. Nessun professore sa chi è veramente un alunno di otto o quindici anni: non lo sanno nemmeno il padre o la madre, e nessun altro essere umano.
Settantacinque anni fa, Giorgio Manganelli, il quale è stato lo scrittore italiano più intelligente dell’ultimo mezzo secolo, veniva ritenuto da tutti (presidi, maestri, professori, compagni) un idiota. Dobbiamo dare pochissimo peso ai voti e ai giudizi della scuola: sono, fatalmente, un meno peggio.
I libri scolastici sono troppi, e spesso sono cattivi. Ricordo una immensa e mostruosa antologia per i ginnasi-licei, che non spiegava i testi, ma cercava di diffondere la terminologia strutturalista ("diegesi", "attante"). Forse sarebbe necessario istituire una specie di concorso statale, con cui stabilire quali libri scolastici sono adatti, e quali no. Capisco che si tratta di una proposta pericolosa, perché non ho fiducia negli eventuali giudici.
I ragazzi non leggono, o leggono troppo poco. Spesso, i professori non sono in grado di consigliare i libri giusti. Non è possibile far leggere a un quindicenne La coscienza di Zeno (libro per lui noioso e incomprensibile), invece che I ragazzi della via Paal o Delitto e castigo, che egli amerebbe appassionatamente. Forse è ingenuo sperare in una buona lista di libri, proposta dal Ministero dell’Istruzione.
Domenica, 9 Settembre 2007
Buon anno ai prof. *
Buon anno scolastico, stavolta, soprattutto agli insegnanti. Trattati come fastidiosi insetti dallo Stato e dalle famiglie, dai presidi e dai genitori. Sottopagati, disprezzati, vessati, fotografati dai telefonini e messi su Youtube, dipendenti di un ministero ignorante che sbaglia i test d’ingresso all’Università e i temi della maturità, depressi, stanchi, precari a vita, giudicati fannulloni o lobbisti dei libri di testo, condannati al frastuono di una classe o, ancora peggio, al silenzio della medesima, costretti a tenere il conto di debiti e crediti e a compilare pagelle con sigle e codici. E tre giorni prima che si cominci, qualche pierre governativo ci viene a dire che tornerà il tempo pieno, e che i nostri figli avranno di nuovo tabelline e grammatica. Meraviglioso, ma chi ci crede? In tre giorni? Con migliaia di cattedre vuote? Insegnare, in Italia: il mestiere più importante di tutti, tra tutti il più ingrato