Un disegno di legge licenziato dal Cdm lascia intravedere l’obbligo di iscrizione al registro per chi ha attività editoriali, forse anche per chi ha un blog o un sito
Il governo riforma l’editoria
Burocrazia sul web? Allarme in rete
Aumenterebbero quindi anche per i "piccoli" su internet spese e sanzioni penali
Il sottosegretario Levi: "Non è questo lo spirito, deciderà l’Autorità"
di ALDO FONTANAROSA *
ROMA - Consiglio dei ministri del 12 ottobre: il governo approva e manda all’esame del Parlamento il testo che vuole cambiare le regole del gioco del mondo editoriale, per i giornali e anche per Internet. E’ un disegno di legge complesso, 20 pagine, 35 articoli, che adesso comincia a seminare il panico in Rete. Chi ha un piccolo sito, perfino chi ha un blog personale vede all’orizzonte obblighi di registrazione, burocrazia, spese impreviste. Soprattutto teme sanzioni penali più forti in caso di diffamazione.
Articolo 6 del disegno di legge. C’è scritto che deve iscriversi al ROC, in uno speciale registro custodito dall’Autorità per le Comunicazioni, chiunque faccia "attività editoriale". L’Autorità non pretende soldi per l’iscrizione, ma l’operazione è faticosa e qualcuno tra i certificati necessari richiede il pagamento del bollo. Attività editoriale - continua il disegno di legge - significa inventare e distribuire un "prodotto editoriale" anche senza guadagnarci. E prodotto editoriale è tutto: è l’informazione, ma è anche qualcosa che "forma" o "intrattiene" il destinatario (articolo 2). I mezzi di diffusione di questo prodotto sono sullo stesso piano, Web incluso.
Scritte così, le nuove regole sembrano investire l’intero pianeta Internet, anche i siti più piccoli e soprattutto i blog. E’ così, dunque? Ricardo Franco Levi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e padre della riforma, sdrammatizza: "Lo spirito del nostro progetto non è certo questo. Non abbiamo interesse a toccare i siti amatoriali o i blog personali, non sarebbe praticabile".
Un esempio concreto, però: il blog di Beppe Grillo verrà toccato dalle nuove norme? Anche Grillo dovrà finire nel registro ROC? "Non spetta al governo stabilirlo - continua Levi - Sarà l’Autorità per le Comunicazioni a indicare, con un suo regolamento, quali soggetti e quali imprese siano tenute davvero alla registrazione. E il regolamento arriverà solo dopo che la legge sarà stata discussa e approvata dalle Camere".
Insomma: se una stretta ci sarà, questa si materializzerà solo tra molti mesi, dopo il passaggio parlamentare e dopo il varo del regolamento dell’Autorità. Ma nell’attesa vale la pena di preoccuparsi. Perché l’iscrizione al ROC - almeno nella formulazione attuale - non implica solo carte da bollo e burocrazia. Rischia soprattutto di aumentare le responsabilità penali per chi ha un sito.
Spiega Sabrina Peron, avvocato e autrice del libro "La diffamazione tramite mass-media" (Cedam Editore): "La vecchia legge sulle provvidenze all’editoria, quella del 2001, non estendeva ai siti Internet l’articolo 13 della Legge sulla Stampa. Detto in parole elementari, la diffamazione realizzata attraverso il sito era considerata semplice. Dunque le norme penali la punivano in modo più lieve. Questo nuovo disegno di legge, invece, classifica la diffamazione in Internet come aggravata. Diventa a pieno una forma di diffamazione, diciamo così, a mezzo stampa".
Anche Internet, quindi, entrerebbe a pieno titolo nell’orbita delle norme penali sulla stampa. Ne può conseguire che ogni sito, se tenuto all’iscrizione al ROC, debba anche dotarsi di una società editrice e di un giornalista nel ruolo di direttore responsabile. Ed entrambi, editore e direttore del sito, risponderebbero del reato di omesso controllo su contenuti diffamatori. Questo, ai sensi degli articoli 57 e 57 bis del codice penale.
* la Repubblica, 19 ottobre 2007
Sul tema, nel sito e in rete, cfr.:
"ITALIA": AMARE L’ITALIA: RIPRENDIAMOCI LA PAROLA!!! VAFFA-DAY?! ONORE A BEPPE GRILLO.
CYBER-TERRA E DEMOCRAZIA. QUALE GOVERNO PER INTERNET?
IN DIFESA DEL WEB - SITO DI BEPPE GRILLO
GRILLO: DDL EDITORIA E’ BAVAGLIO, SE PASSA CHIUDE 99% BLOG *
ROMA - "Ricardo Franco Levi, braccio destro di Prodi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ha scritto un testo per tappare la bocca a Internet". A scriverlo é Beppe Grillo che dal suo Blog attacca il disegno di legge che é stato approvato in Consiglio dei ministri il 12 ottobre, e che all’art. 7 prevede l’iscrizione al registro degli operatori di comunicazione (Roc) anche per chi "svolge attività editoriale su Internet". "Nessun ministro - scrive ancora Grillo sul sito - si è dissociato. Sul bavaglio all’informazione sotto sotto questi sono tutti d’accordo. La legge Levi-Prodi prevede che chiunque abbia un blog o un sito debba registrarlo al Roc, un registro dell’Autorità delle Comunicazioni, produrre dei certificati, pagare un bollo, anche se fa informazione senza fini di lucro. I blog nascono ogni secondo, chiunque può aprirne uno senza problemi e scrivere i suoi pensieri, pubblicare foto e video. L’iter proposto da Levi - sostiene ancora - limita, di fatto, l’accesso alla Rete". E a suo avviso "il 99% chiuderebbe. Il fortunato 1% della Rete rimasto in vita, per la legge Levi-Prodi, risponderebbe in caso di reato di omesso controllo su contenuti diffamatori ai sensi degli articoli 57 e 57 bis del codice penale. In pratica galera quasi sicura".
Il disegno di legge inizierà il suo iter alla Commissione Cultura della Camera la prossima settimana, mercoledì 24 ottobre, e il sito riporta anche la risposta del sottosegretario Levi interrogato su che fine farà il blog di Beppe Grillo. "Non spetta al governo stabilirlo. Sarà l’Autorità per le Comunicazioni a indicare, con un suo regolamento - dice Levi nella dichiarazione riportata dal sito -, quali soggetti e quali imprese siano tenute alla registrazione. E il regolamento arriverà solo dopo che la legge sarà discussa e approvata dalle Camere". Ma Grillo non è convinto: "Se passa la legge sarà la fine della Rete in Italia. Il mio blog non chiuderà, se sarò costretto mi trasferirò armi, bagagli e server in uno Stato democratico".(ANSA).
12 Novembre 2008
Legge “Ammazzablog”: protesta giusta ma...*
E’ un uragano di protesta contro “l’ammazza-blog”. Eccolo: un gruppo su Facebook “Salva i Blog, contro il disegno di legge anti blog alla Camera” che in tre giorni raccoglie più di 1000 iscritti e lancia una petizione. Un articolo-denuncia del sito specializzato Punto Informatico che riassume la vicenda e cita l’urlo del blog di Di Pietro che parla di “disobbedienza civile” se questa legge dovesse passare e già promette assistenza legale per i disobbedienti. C’è perfino chi rispolvera il meritato sberleffo del Times di Londra che l’anno scorso parlò di “geriatria” all’attacco dei blog nel sistema politico italiano, a quel tempo presidente del consiglio era Romano Prodi.
Il rischio è reale - Insomma c’è chi vuole - sostiene questo movimento - applicare ai blog quella forma di censura particolarmente odiosa che consiste nel registrarsi presso l’istituendo Registro deli Operatori della Comunicazione (ROC).
Basta conoscere un minimo la rete per capire che questo obbligo sarebbe deterrente per chiunque volesse mettersi ad esporre le sue idee su internet. E non è che ci sia da star tranquilli: in questo paese è stato condannato per “stampa clandestina” un blogger singolo, un privato cittadino, da un giudice che evidentamente guarda al mondo di oggi con gli occhi degli anni ‘30 e che ignora che un blog semplicemente non è un giornale ma una forma diversa e nuova di esercizio della libertà d’espressione.
Insomma l’aria non è buona e il senso di allarme dei blogger è motivato. Ma stavolta....
Uno pensa: un altro decreto con carattere d’urgenza che passerà a camere blindate? Un altro “graffio” alla costituzione tipo che se butti una lavatrice in strada a Torino ti multano e a Napoli ti sbattono in galera?
La libertà non muore in commissione VII - Non sembra che le cose stiano così: se si leggono con pazienza sia la premessa che l’articolato (sono 30 pagine, ebbene sì) della proposta di legge presentata in commissione VII dal deputato Levi, già collaboratore di Prodi, si vede che nel quadro di un disegno di legge molto ampio a un certo punto si esclude espressamente che l’obbligo di registrazione possa riguardare il singolo cittadino-blogger.
Il testo si può leggere sul sito della Camera , anche se va detto che lo stesso deputato aveva presentato nel 2007 un testo analogo in cui questa specificazione era assente, fatto che procurò un’ondata di proteste molto forte e assai giustificata.
La zona grigia - Il comma 3, nel quale Levi ha esentato i blogger singoli dalla registrazione, non esaurisce, secondo i suoi critici, il problema. Si fa presente che poiché la registrazione sarebbe richiesta a chiunque realizzi con un gruppo di lavoro e con continuità dei profitti anche minimi sulla rete (con Google adsense c’è chi guadagna 100 euro al mese), questo aspetto potrebbe frenare lo sviluppo di tutta quella vasta “zona grigia” che sta fra il semplice blogging e i notiziari: le raccolte di contenuti tematici, si è detto perfino le “barzellette”. E si teme comunque che il peso deterrente dell’obbligo di registrazione finisca per pesare sulla forma d autoaggregazione libera che i blog intepretano.
Registriamo anche l’Onda? - Se non è ancora chiaro il problema, pensate a cosa sarebbe successo se il movimento degli studenti di queste settimane avesse dovuto porsi, prima di esprimersi, un problema di registrazione del blog. E in effetti - e questo è parere di questo blog che state leggendo - l’idea di inserire internet dentro una sistemazione generale dei media è bizzarra, votata all’insuccesso e potenzialmente pericolosa per la libertà di espressione in questo paese. Anche perché ormai i “mezzi” di internet non sono solo i blog: cosa fareste con i gruppi su Facebook o con twitter?
Lasciare la rete fuori dalle “sistemazioni” generali sarebbe una buona e necessaria idea.
La libertà è una sola e la rete può pesare meglio - E però una cosa va detta anche al “movimento” che nasce in questi giorni.
In realtà il nocciolo della faccenda qui sta in parte nella rischio “diffamazione” e dall’altra nel rischio “soldi” - visto che il disegno di legge si occupa anche di “sistemare” un quadro di soggetti che potrebbero accedere a finanziamenti pubblici.
Ora stiamo al timore che qualcuno “ammazzi i blog”. Una proposta di legge non è un decreto che passa a camere blindate in sette giorni e nove minuti. Tra una proposta di legge in una commissione e un colpo di mano del governo c’è una differenza. Con il cammino istituzionale di un disegno di legge un’opinione pubblica nuova e informata può interloquire e far pesare la sua voce.
Ma a patto di capire qual è la posta in palio . Ora gran parte degli opinionisti della rete ha taciuto in modo paradossale quando sono state discusse le norme sulla diffamazione dov’era in ballo il carcere per i giornalisti. Facile capire perché: “quelle riguardano il mainstream” si è pensato. Questa idea che ci sia una libertà dei giornalisti e una dei blogger è cieca e non vede il pericolo reale, che oggi sta in un “metodo” di decisione che sottrae ad ogni pubblico esame la decisione politica. La libertà non muore in VII commissione.
E anche questo agitarsi senza mai leggere un testo originale, senza andare mai alla fonte, non è una gran botta di autorevolezza. Seguire una discussione istituzionale è noioso, certo, più facile firmare una petizione on line: poi siamo tutti più liberi. Con un click.
* SCENE DIGITALI di VITTORIO ZAMBARDINO, Mercoledì, 12.11.2008
Registrazione dei blog, protesta sul web *
Me ne vado, «armi, bagagli e server in uno Stato democratico». Non è una minaccia, è Beppe Grillo infuriato per la proposta di legge presentata dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Ricardo Franco Levi. Non poteva partire che da lui, il re dei bloggers, la protesta contro quella che giudicano una legge per «tappare la bocca a Internet».
A seminare il panico, sono gli obblighi di registrazione e la burocrazia varia che il disegno di legge prevede per i prodotti editoriali del web. E soprattutto le sanzioni previste per la diffamazione. Tutti i siti, compresi i blog dunque, dovranno registrarsi al Roc, il Registro per gli Operatori della Comunicazione. «Quale ragazzo - tuona Grillo - si sottoporrebbe a questo iter per creare un blog?». E invita i suoi fedelissimi a mandare mail di protesta all’indirizzo del sottosegretario Levi.
Ma prima di vedersi intasare la casella di posta elettronica, Ricardo Franco Levi decide di scrivere prima lui: «Lo spirito del nostro progetto non è certo questo - rassicura - Non abbiamo interesse a toccare i siti amatoriali o i blog personali, non sarebbe praticabile». Ma, è ovvio, quello di Grillo non può essere considerato un semplice blog personale, con il marasma che ha combinato. «Quando prevediamo l’obbligo della registrazione - continua Levi - non pensiamo alla ragazza o al ragazzo che realizzano un proprio sito o un proprio blog, pensiamo, invece, a chi, con la carta stampata ma, certo, anche con internet, pubblica un vero e proprio prodotto editoriale e diventa, così un autentico operatore del mercato dell’editoria». E Levi difende anche il percorso di partecipazione con cui la proposta è stata costruita: «Non abbiamo lavorato nel chiuso delle nostre stanze: abbiamo pubblicato uno schema di legge e un questionario sul nostro sito internet e ci siamo fatti aiutare da esperti dell’economia e del diritto. Il risultato - spiega - è leggibile sul nostro sito dove pure si possono trovare in totale trasparenza tutti gli elementi e i dettagli dell’intervento pubblico a favore dell’editoria». Quanto al tema della responsabilità, commenta Levi «credo che sia un tema che a nessuno dovrebbe stare più a cuore di chi usa, apprezza e ama la Rete».
Comunque, c’è tempo. Il disegno di legge è stato approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 12 ottobre: il Governo, su proposta del premier Romano Prodi ha delegato se stesso all’emanazione di un testo unico per il riordino dell’intera legislazione del settore editoriale. Ora il ddl passerà all’esame delle Camere. E forse anche sul corpo di Beppe Grillo.
Intanto, si scatenano i commenti. Il ministro Di Pietro usa il suo blog per scagliarsi contro la proposta che reputa «liberticida, contro l’informazione libera e contro i blogger che ogni giorno pubblicano articoli mai riportati da giornali e televisioni». «Per quanto ci riguarda - spiega Giuseppe Giulietti, deputato Ds e fondatore di Articolo21 - riterremmo un gravissimo errore l’assimilazione tra i siti editoriali tradizionali e l’intero universo dei blog». «Voglio sperare che il ddl del governo non voglia davvero regolamentare i blog nella rete, sarebbe come voler fermare l’acqua del mare», parafrasa il responsabile Informazione del Pdci, Gianni Montesano. Che però aggiunge: «Una cosa è la libera circolazione delle idee e delle informazioni, un diario; altra cosa un’iniziativa editoriale per la quale, in quel caso sì, è giusta una regolamentazione».
* l’Unità, Pubblicato il: 19.10.07, Modificato il: 19.10.07 alle ore 20.02
Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Ricardo Levi dopo le anticipazioni di Repubblica.it
replica alle accuse di Grillo "Vogliamo tutelare il pluralismo dell’informazione"
Ddl editoria, il governo si difende
"Nessuna censura per internet"
Folena: "Chi fa un blog non è un editore quindi non deve sottostare alle stesse regole"
Di Pietro: "Per quel che mi riguarda questa legge non passerà mai" *
ROMA - Beppe Grillo attacca, Ricardo Levi risponde: si allarga il dibattito sul disegno di legge del governo sull’editoria che "burocratizzerebbe" i siti internet, anche piccoli e i blog, dopo le anticipazioni di Repubblica.it. Secondo il comico genovese, il ddl introduce un iter burocratico che "limita, di fatto, l’accesso alla Rete" perché "obbliga chiunque abbia un sito o un blog a dotarsi di una società editrice e ad avere un giornalista iscritto all’albo come direttore responsabile". Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio prima risponde sul blog del comico ("Non spetta al governo ma all’Autorità per le comunicazioni indicare, con un suo regolamento, soggetti e imprese tenuti alla registrazione") poi scrive una lettera a Grillo: col provvedimento "non intendiamo in alcun modo ’tappare la bocca a internet’". I Verdi annunciano emendamenti alla legge. Pietro Folena, presidente della commissione Cultura della Camera (competente anche per l’editoria) sottolinea: "Chi fa un blog non è un editore e non deve sottostare a regole riguardanti la stampa o gli operatori della comunicazione".
L’allarme di Grillo. Conseguenza della legge, sostiene il comico, sarebbe la chiusura del 99% dei blog e "il fortunato 1% della Rete rimasto in vita, per la legge Levi-Prodi, risponderebbe in caso di reato di omesso controllo su contenuti diffamatori ai sensi degli articoli 57 e 57 bis del codice penale. In pratica galera quasi sicura".
Levi: "Promuovere riforma del settore". Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio precisa che intenzione dell’esecutivo "è promuovere la riforma del settore dell’editoria, a sostegno del quale lo Stato spende somme importanti", per "tutelare e promuovere il pluralismo dell’informazione". Nessuna intenzione "di censurare il libero dibattito" ma quella di "creare le condizioni di un mercato libero, aperto e organizzato". In programma, a questo scopo, l’abolizione della registrazione presso i tribunali, finora obbligatoria per qualsiasi pubblicazione, sostituita "dalla registrazione presso il Registro degli operatori della comunicazione tenuto dal Garante per le comunicazioni". Levi insiste: "Con l’obbligo della registrazione non pensiamo al ragazzo che realizza un sito o un blog ma a chi, con la carta stampata, e con internet, pubblica un vero prodotto editoriale e diviene un autentico operatore del mercato dell’editoria".
Folena: "Punti da chiarire". Il presidente della commissione Cultura della Camera chiede chiarimenti: "Chi fa un blog non è un editore. Quindi non deve sottostare a nessuna regola particolare riguardante la stampa o gli operatori della comunicazione. Anche io ho un blog, e un blog è un diario. Nel quale, certo, si può fare informazione. Così come esistono migliaia di siti. Quindi - conclude - va chiarito che chi fa informazione amatoriale online, così come è oggi, se vuole usufruire dei vantaggi della legge sulla stampa si iscriverà al tribunale, altrimenti non deve iscriversi da nessuna parte. Un conto è la professione, l’impresa, altro è la libera circolazione di idee e informazioni".
Bellucci: "Riforma necessaria". Contrario "a qualsiasi ipotesi di bavaglio" ma certo della necessità della riforma della legge sull’editoria Sergio Bellucci, responsabile Comunicazione e innovazione tecnologica del Prc. "Le risorse pubbliche devono essere usate per aumentare il pluralismo della comunicazione nella carta stampata e in internet" ma la riforma "dev’essere ispirata al criterio di regalare meno soldi ai grandi gruppi e aumentare le capacità di comunicazione dei piccoli gruppi e dei singoli cittadini".
"Verdi contrari al registrazione". Alfonso Pecoraro Scanio annuncia che i Verdi presenteranno emendamenti alla legge "per evitare restrizioni per chi apre un blog e consentire a tutti gli utenti di parlare liberamente preservando la democrazia web". Per il ministro dell’Ambiente, "essendo un disegno di legge, per l’approvazione dovrà passare in Parlamento e lì sarà possibile apportare modifiche e migliorare il testo. Invito tutte le forze politiche a sostenere l’iniziativa dei Verdi per non limitare la possibilità d’espressione in Rete".
Di Pietro: "No bavagli". Fra i primi politici-blogger, Antonio Di Pietro è convinto che "il ddl vada bloccato", perché "metterebbe sotto tutela internet in Italia e ne provocherebbe la fine". Parla di "una legge liberticida", e conclude: "Per quanto mi riguarda, questa legge non passerà mai, a costo di mettere in discussione l’appoggio dell’Idv al governo".
* la Repubblica, 19 ottobre 2007.
Se gli oppressi scoprono la Rete
di Beatrice Magnolfi *
La Rete è il peggior nemico degli oppressori. È questo il messaggio che i recenti provvedimenti dei militari birmani trasmettono al mondo. Il blocco dei provider da parte del governo per fermare le testimonianze sulla feroce repressione mostra come Internet sia in grado di destabilizzare i regimi autoritari. Le violazioni di diritti umani vi sono sempre state, in Birmania come in molti altri paesi, ma oggi la comunità internazionale non ha più alibi: non può dire “non lo sapevo”.
Tutto il mondo, grazie alla nuova “resistenza tecnologica”, ha visto migliaia di monaci in tonaca rossa sfilare per le strade, soldati che sparavano a un fotoreporter giapponese e corpi di cittadini inermi sotto le ruote dei camion militari. Mai prima dell’avvento della Rete ciascun individuo aveva potuto testimoniare in tempo reale eventi tanto drammatici. Mai la sfera pubblica aveva avuto un’arena così efficace, che permette non ad un’imprecisata massa - concetto proprio di media come la tv - bensì a un insieme di individui, di comunicare liberamente.
La Rete fa spesso notizia più per i rischi connessi al suo utilizzo da parte dei “cattivi” (pedofili, terroristi, truffatori) che per le sue straordinarie potenzialità democratiche, enfatizzate dallo sviluppo del Web 2.0 (i contenuti generati dagli utenti). È vero che l’umanità, specie in occidente, deve sempre più spesso tutelare la sicurezza, ma in troppi paesi mancano ancora gli elementari diritti di libertà, per la cui affermazione la Rete si sta rivelando il mezzo più potente della storia. Il fenomeno è ancora agli inizi, solo un miliardo di persone al mondo accede ad Internet, ma l’ondata ineluttabile di cambiamento è già in atto.
Non è solo la Birmania a cercare di controllare la Rete; il rapporto annuale sulla libertà di stampa nel mondo, pubblicato di recente da Reporters sans frontières, mostra come sempre più paesi, in particolare Malesia, Thailandia, Vietnam, oltre al Myanmar, temano Internet. Decine di persone sono in carcere in tutto il mondo per aver espresso online opinioni sgradite ai governi: 50 nella sola Cina, stato che ha oscurato 18.000 siti in occasione dell’ultimo Congresso del partito comunista.
I Paesi più virtuosi sono Islanda, Norvegia, Estonia; gli ultimi Turkmenistan, Corea del Nord, Eritrea. Tuttavia Internet esercita una grande pressione, destinata a crescere, per scardinare gli argini repressivi dei governi illiberali. Fino a quando la Birmania potrà bloccare i provider senza nuocere alla propria economia? Senza considerare che, come ha osservato acutamente Seth Mydans sullo Herald Tribune (in un articolo pubblicato lunedì su l’Unità) «anche un blog chiuso è un blog potente»: anche il silenzio grida al mondo un messaggio di libertà.
I regimi lo hanno capito, le grandi democrazie meno. Con la conseguenza che le azioni repressive sopravanzano le azioni positive.
Più di 80 milioni di blog, oltre 100 milioni di video su YouTube, grandi comunità di social network non sono fenomeni arginabili e non si può pensare che non si ripercuotano sui rapporti tra politica e cittadini. Ma questo cambiamento deve essere indirizzato, affinché non scivoli verso derive populiste e ambigue tentazioni di democrazia diretta; verso quella «democrazia delle emozioni», come la definisce Stefano Rodotà, già in agguato anche in Italia. Si tratta della più ambiziosa e necessaria sfida che la politica deve assumersi, partendo dal presupposto che l’agire politico tradizionale non è disgiunto dalle azioni condotte online.
Un altro luogo comune da sfatare è che la Rete non abbia bisogno di essere regolamentata: l’assenza di regole per il web non significa libertà, ma affermazione dei più forti sui più deboli. D’altronde, alcune ricerche scientifiche, fra tutte quella di Albert-László Barabási, mostrano come persino i nodi della Rete non abbiano una distribuzione democratica, rendendo alcuni contenuti meno accessibili di altri.
Servono dunque nuove regole per Internet.
Bisogna partire dal rafforzamento dei diritti umani già sanciti, perchè la Rete li ha esposti a un’enorme forza d’urto, rivelando la fragilità delle misure poste a loro protezione. Ma non è sufficiente. L’affermazione dei diritti umani codificata nei secoli scorsi non coglie appieno il salto di paradigma introdotto da Internet, che richiede il riconoscimento di nuovi diritti: l’accesso al sapere, la sicurezza dei dati, il rispetto della privacy, la tutela degli utenti più vulnerabili, la salvaguardia delle diversità delle opinioni, la responsabilità dei contenuti.
Ma insieme a nuovi diritti occorre un nuovo metodo di regolamentazione; non si può più pensare a norme imposte dall’alto: è necessario piuttosto un processo condiviso e inclusivo che interessi, insieme ai governi, tutti gli stakeholder, imprese, ricerca, utenti, associazioni. Sarebbero poi velleitarie iniziative legislative di rango nazionale: Internet scavalca le frontiere, travolgendo nell’era della globalizzazione l’ultimo residuo dell’idea di sovranità.
La proposta del governo italiano, presentata di recente a Roma in un convegno internazionale organizzato insieme all’Onu, è quella di un Internet Bill of Rights, una carta dei diritti e dei doveri della Rete condivisa e multistakeholder, secondo un nuovo modello politico e sociale di regolamentazione. Hanno risposto al nostro invito ben 70 Paesi e numerosi attori sociali, che ci incoraggiano ad andare avanti in questo percorso.
È un’utopia? Forse si, ma un’utopia necessaria, che proprio in quanto tale, chiede alla comunità internazionale, a tutti noi, di essere tradotta in un progetto concreto.
* l’Unità, Pubblicato il: 20.10.07, Modificato il: 20.10.07 alle ore 8.40