Editoriale

Il ricordo di Paolo Borsellino, che continua a parlarci, nonostante la criminalità istituzionale che ipnotizza le coscienze

mercoledì 23 gennaio 2008.
 

Il 19 gennaio del 1940 nasceva Paolo Borsellino. Un uomo vivo, lo scrivo senza retorica. Vivo perché la sua testimonianza prosegue; perché tantissimi ne traducono il messaggio autentico e continuano a cercare, come lui, verità e giustizia.

Borsellino è presente nelle parole e nelle battaglie del fratello Salvatore, della sorella Rita e di quanti combattono un potere, istituzionale e istituzionalizzato, omicida e falsamente democratico.

Borsellino è luce che lo Stato non ha spento, malgrado i tentativi di ridurne il sacrificio a martirio da celebrazione.

Borsellino si immolò come Falcone, come Scopelliti, come Beppe Alfano - che non era un giudice -, come Livatino, Chinnici e tanti altri. Borsellino fu ucciso perché lo volle la Repubblica, la stessa che riconosce, garantisce e promuove diritti e condizioni per la piena realizzazione della persona. Con Borsellino, morirono uomini dimenticati, servitori della patria nella guerra contro la mafia.

Per regalo, a chi lo stima e continua a sentirne la voce, lo Stato ha riservato il trasferimento del pm Luigi De Magistris da Catanzaro, levandogli le sue funzioni. Nonostante le centomila firme raccolte dalla gente comune in sua difesa, le manifestazioni di piazza e l’appello alla responsabilità delle istituzioni - e del presidente Napolitano - da parte d’un intero popolo sofferente.

In questi giorni, con la condanna d’un Cuffaro sempre più sicuro di sé, i danni in Campania della premiata ditta Mastella-Bassolino e gli applausi del Parlamento innanzi alla propria indecenza, ognuno di noi - normali, umani e puniti, prima che punibili - ha avuto conferma del livello delle istituzioni italiane, mai arrivato così in basso; manco ai tempi del terrorismo o delle tangenti.

Mi sembra che, per la seconda volta, le idee di giustizia e legalità di Falcone e Borsellino siano state calpestate a vantaggio d’una struttura lobbystica, d’una loggia della morte o del fallimento, rintanata a palazzo e stipendiata coi nostri soldi.

Davanti a questa realtà, mascherata da ipocriti e opportunisti di professione, occorre dar forza alle migliaia di giovani che credono in un futuro migliore, a partire dal sangue versato da uomini dell’antimafia e dall’impegno di magistrati, come De Magistris e Forleo, su cui nessun onesto nutre dubbi di merito o metodo.

Intanto, il trasferimento di Luigi De Magistris non è definitivo. Secondo, la sua capacità di accomunare sentimenti e pensieri diversi - in nome dell’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge - non cesserà, credo, qualunque decisione sarà presa dalle sezioni riunite della Cassazione, che definiranno la vicenda del trasferimento dalla Procura di Catanzaro.

A noi - e non siamo pochi - che seguiamo con rabbia le uscite di Salvatore Borsellino, intenzionato a riverberare la tensione etica del fratello Paolo, spetta ora una maggiore vigilanza sul caso italiano, con la fiducia, indelebile, che i princìpi di giustizia non finiscono nel nulla. E vincono.

Emiliano Morrone


Rispondere all'articolo

Forum