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Governo, Prodi ottiene la fiducia alla Camera
Ipotesi di dimissioni prima del Senato
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Fede e giustizia, la doppia morsa
di Ida Dominijanni (il manifesto, 22.01.2008)
Che cosa sta facendo precipitare la crisi di governo: la monnezza di Napoli, il caso Mastella, il riproporsi del conflitto fra politica e legalità, l’incidente della visita mancata del papa alla Sapienza col seguito al rialzo dell’Angelus in Piazza San Pietro domenica e del proclama di Bagnasco ieri, l’imprudente annuncio di Walter Veltroni sul Pd che correrà da solo nell’arena elettorale, i contorcimenti ripetuti di Lamberto Dini e compagni, la delusione diffusa per l’azione del governo Prodi, le fotografie impietose dello stato del paese firmate Censis, New York Times, Financial Times?
Tutti questi fattori uno dopo l’altro e uno sull’altro, si dirà ed è vero. Ma c’è un massimo comun denominatore fra tutti, ed è il collasso della politica che si è palesato in una settimana di fuoco, fra il conflitto con la magistratura reinnescato dal caso Mastella da un lato e il conflitto con la Chiesa inscenato dall’ondata (e dal senso comune) teocon-teodem dall’altro. La politica collassa in questa doppia morsa. Sull’una e sull’altra, al di là delle apparenti ripetizioni di film già visti, c’è di che riflettere.
Sul versante del duello fra ceto politico e magistratura, che per quanto sembri l’ennesima replica di una soap in onda da quindici anni è arrivato, fra Ceppaloni e Montecitorio, a un livello di drammatizzazione mai visto in precedenza, nemmeno sotto la monarchia di Berlusconi. Mai s’era visto infatti un attacco di tale entità alla magistratura sferrato dal guardasigilli in persona (col plauso dell’aula); e mai la magistratura era apparsa insieme tanto necessaria quanto insufficiente a combattere una corruzione e un malcostume politico che travalicano ogni definizione di reato, e procedono piuttosto da un completo sfarinamento dell’etica pubblica e da un compiuto processo di privatizzazione della politica (l’opposto esatto della politicizzazione del personale predicata qualche decennio fa dal ’68 e dal femminismo).
Tutto molto simile, ma tutto molto diverso dagli anni Tangentopoli e Mani pulite: spente le speranze palingenetiche (erroneamente) attribuite allora alla «rivoluzione giudiziaria», smentito il tentativo di far accettare alla politica il dispositivo fisiologico del controllo di legalità, svanite le illusioni di rinascita (erroneamente) riposte in una «seconda Repubblica» mai nata, o nata non sul risanamento ma sulla rimozione (e la continuazione) dei guasti della prima.
Sul versante del conflitto con la Chiesa, duello in verità con un unico duellante, dato il pressoché unanime coro di scandalo levatosi a difesa del Pontefice in tutto il mondo politico (cosiddetto) laico. Qui la novità è più consistente, anche se ampiamemente annunciata dagli ultimi anni di iniziativa teocon sempre più aggressiva e lasciata prosperare senza impedimenti, senza antivirus e senza contrasti, fra attacchi all’aborto, alla procreazione assistita e alla ricerca sulle staminali, maledizioni della sessualità «deviante», invocazioni della Verità assoluta.
Il salto degli ultimi giorni supera però largamente tutti questi annunci. Non si tratta più infatti di una Chiesa che va alla conquista dell’egemonia sull’etica pubblica presentandosi come unica riserva di senso in un mondo senza bussola. Si tratta di una Chiesa che scende direttamente in campo, con Ratzinger Ruini e Bagnasco, come soggetto dichiaratamente politico che dichiaratamente detta l’agenda politica mobilitando dall’alto le sue divisioni.
A spese dell’autorità morale e spirituale che dovrebbe connotare la figura del Pontefice. Se Atene piange, infatti, Sparta non ride. Nella morsa che l’attanaglia la politica perde senso e autonomia, e la religione pure.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
"Deus caritas est". Sul Vaticano, in Piazza san Pietro, il "Logo" del Grande Mercante
Per un ri-orientamento teologico-politico e antropologico!!!
Ansa» 2008-01-23 15:31
Mastella a Berlusconi: nessuna confluenza, nostre scelte sono di centro
"Nessuna confluenza da nessuna parte. Le nostre scelte sono e saranno sempre di centro". Clemente Mastella replica con una secca nota diffusa dal suo ufficio stampa a Silvio Berlusconi che aveva annunciato per stasera la confluenza dell’Udeur nel centrodestra.
"Nessuna confluenza da nessuna parte", dice Mastella. "Al momento - aggiunge replicando a Berlusconi - penso soltanto a quello che è accaduto e potrebbe accadere a tutti gli italiani. Occorre ritrovare un corretto rapporto tra politica e magistratura. Le nostre scelte sono e saranno sempre di centro".
L’adunata di Roma
L’imprudenza politica della Chiesa
di Barbara Spinelli (La Stampa, 20.01.2008)
È probabile che Camillo Ruini, che per molti anni ha presieduto la Conferenza episcopale italiana e ancora influenza la Chiesa nella sua qualità di vicario di Roma, gioirà di quello che oggi potrebbe accadere nella capitale: una moltitudine di cittadini romani e italiani, da lui incitata e inebriata, accorrerà sicuramente all’Angelus, in piazza San Pietro, per ascoltare il Papa e denunciare la persecuzione di cui sarebbe stato vittima. Persecuzione che lo avrebbe indotto a non pronunciare più nell’aula universitaria la prolusione che gli era stata - senza seria preparazione - affidata. Il brutto episodio finirà col trasformarsi in una giornata gloriosa per la Chiesa, questo il giudizio cui sembra esser giunto il cardinale, e il male ancora una volta si muterà provvidenzialmente in bene. Lui stesso s’è espresso in questo modo, venerdì alla televisione, ripetendo quanto già detto il 4 novembre a Aldo Cazzullo sul Corriere. La Chiesa (tali furono le sue parole) è attaccata quando vince: «Constato che quando l’impegno non è coronato da successo, quando la Chiesa “perde”, tutto fila liscio».
Il rifiuto che numerosi scienziati e un gruppo di studenti hanno opposto al Pontefice, la ritirata strategica del Santo Padre: tutto questo non è, per una parte della gerarchia, un episodio increscioso, o come ha detto sull’Avvenire Souad Sbai, in nome dell’Islam italiano anti-integralista, un «giorno di tristezza».
Forse non è del tutto increscioso neppure per il Papa. Al giornalista Rai che l’interrogava, Ruini ha detto: «I rapporti tra Stato italiano e Chiesa possono migliorare, grazie a episodi come questo».
E ha sorriso sibillino, come si rallegrano quei militanti apocalittici che provocano tenebre e caos pensando che solo a queste condizioni rinasca la luce, che incitano a sfasciare (nel linguaggio brigatista si diceva «disarticolare») per generare palingenesi prerivoluzionarie.
La sovversione ha in genere queste proprietà, avverse al filar liscio dei rapporti. Non a caso il sorriso di Ruini si accentua sino a tingersi di scherno, quando respinge l’accusa d’ingerenza nell’agenda politica e chiede - provocatoriamente, accendendo sorrisi complici nel giornalista - se ci sia oggi «qualcuno in Italia, capace di dettare agende politiche». Esiste insomma un modo di raccontare l’episodio della Sapienza, che deforma ogni cosa. Si falsifica quel che accade, si comprime il tempo che viviamo schiacciandolo tutto sul presente e togliendogli ogni profondità. Ci si racconta la storia di una Chiesa perseguitata, prendendo in prestito il linguaggio dell’esperienza ebraica; si denuncia e si irride la stasi della politica. In questo Ruini ha comportamenti sovversivi che singolarmente lo apparentano alla figura di Berlusconi.
Ma è un sovversivo che miete successi, e sono questi ultimi che conviene analizzare. Non è un successo religioso, perché l’indebolirsi delle fedi non si argina riempiendo piazze. Non è neppure in questione la libertà della religione cattolica, perché in Italia essa è garantita e ha un’estensione enorme. Nessuno l’ostacola, tanto meno la censura: se la fede è debole, quando è debole, lo è per cause spirituali o pastorali e non per cause esterne, di potere politico. Solo in Italia questa realtà è obnubilata. È sottratta allo sguardo dei cittadini anche dai commentatori che dovrebbero sapere e che sanno, senza però sentirsi in dovere di aiutare i fedeli a emettere giudizi adulti perché informati.
Quel che molti commentatori o intellettuali nascondono è il divario tra simili realtà e il modo di raccontarle. Il rapporto mimetico del cattolicesimo italiano con l’ebraismo è un non senso, nelle democrazie. Fuori dall’Italia, in Francia o Germania, Spagna o Inghilterra, esiste certo una nuova consapevolezza dell’importanza delle religioni (le parole e le esperienze personali di Sarkozy e Blair lo testimoniano), ma i mutamenti avvengono in contesti radicalmente diversi: in nessuno di questi Paesi la Chiesa ha il peso, il tempo di parola che ha in Italia. Venerdì, su questo giornale, Giacomo Galeazzi ha spiegato bene lo spazio abnorme che le viene dato: da quando è Papa, Benedetto XVI ha avuto un tempo d’antenna superiore a quello del premier e del Capo dello Stato, e appena inferiore a quello di tutti i ministri messi insieme. Non solo: la Chiesa cattolica ha il 99,8% dello spazio dell’informazione religiosa, lasciando briciole a altre fedi. Il vittimismo è storia senza sostanza. La Chiesa italiana non è imbavagliata ma piuttosto sovraesposta. L’idea che esistano comportamenti etici su cui lo Stato non può autonomamente legiferare perché appartenenti alla legge naturale, dunque iscritti dalla mano creatrice di Dio nella stessa natura umana, dunque interpretabili e tutelabili solo dalla Chiesa, è idea diffusa. Chi contesta il diritto della Chiesa a imporre i suoi veti su famiglia, unioni di fatto, aborto, testamento biologico, ricerca biologica, è una minoranza.
È questa situazione che ha finito col generare rabbia gridata, e stupida perché perdente. Ma rabbia che comunque non nasce dal nulla. Ogni evento ha una storia, un tempo lungo in cui è iscritto ed è maturato: ha cause che dispiegano effetti, non è istante che fluttua nell’etere come piuma ed è infilabile in ogni tipo di racconto. Questa verità viene ignorata da parte della gerarchia, ma anche dal Pontefice nell’ultimo incidente italiano. È la verità di una Chiesa italiana che ancora non ha deciso che fare, dopo la perdita della Dc: se schierarsi con la destra o no, se far politica direttamente o privilegiare lo spirituale, il profetico-pastorale. È la verità di un Pontefice che sta mostrandosi incapace di sintesi, di delicatezza istituzionale. Di volta in volta Benedetto XVI aderisce a una corrente o all’altra della gerarchia, senza anticipare proprie soluzioni alte e meno italiane. Un giorno s’infiamma contro il «degrado» di Roma, e ventiquattr’ore dopo descrive una città accogliente e ben governata. Precipitosamente accetta di aprire l’anno accademico, poi rinuncia senza fugare il sospetto che la ritirata sia uno strumento - maneggiato da Ruini - per inasprire le tensioni anziché placarle. La sua opinione politica oscilla, diventa impreparazione, per forza vien chiamata inconsistente.
È un’impreparazione che non solo ignora la dimensione del tempo ma che induce i vertici del Vaticano a sprezzare i significati profondi della laicità, dell’autonomia della politica, dello Stato neutrale. È assurdo doverlo ricordare alla presenza di un cattolicesimo che ha dato all’Europa questa separazione: ma laicità non è pensiero debole, non è visione relativista del mondo, dell’etica. Il laico non è, contrariamente a quello che Marcello Pera ha scritto su questo giornale, «chi non crede o non riesce a credere». Non è neppure chi non riesce a «conferire senso alla vita», a «interpretare il male» perché dotato del lume della ragione e non anche della fede. Il laico è colui che tra Chiesa e Stato sente di dover erigere, come diceva Thomas Jefferson, un alto «muro di separazione»: per proteggere sia la sovranità legiferante del popolo, sia le religioni. Diceva Jefferson che i poteri legislativi del governo «riguardano le azioni, non le opinioni» (Lettera ai Battisti di Danbury, 1802), e di azioni devono ancor oggi occuparsi i governi. La laicità non è un’opinione ma un metodo, uno spazio dove le convinzioni più diverse - anche integraliste - possono incontrarsi senza violenza e senza impedire leggi attente al bene comune. L’autonomia della politica (il «muro» di Jefferson) non appartiene al non cristiano: appartiene a ciascuno. Non esiste una forza esterna allo Stato cui viene delegata la «competenza delle competenze», come la chiama lo storico Giovanni Miccoli, e che può decidere le materie su cui lo Stato può o non può legiferare.
Il muro di Jefferson in Italia è in permanenza fatiscente - anche se esiste nella sua Costituzione - e questo origina cronici disordini e l’alternarsi continuo di ingerenze e di contestazioni anti-papaline. Queste ultime son state definite malate, ma non meno malate son state le ingerenze degli ultimi anni: l’intera spirale necessita guarigione e correzione. Il chiaro muro divisorio non esisteva nemmeno nella Spagna di Franco, nel Portogallo di Salazar, e quella malattia ha prodotto la reazione di Zapatero e le sue misure di riordino e separazione laica.
In Italia siamo a un bivio simile, anche se con impressionante ritardo. È come se nella nostra Chiesa permanesse ancora il modello franchista spagnolo, come se il pensiero di cattolici come Rosmini e Maritain non avesse mai messo radice. Come se non ci fossero stati il Concilio Vaticano II e Paolo VI, difensore della laicità di Maritain contro gli integralisti del Vaticano. Come se fosse ancora vivo e forte il «partito romano» che per decenni, da dentro la Chiesa, cercò di suscitare uno Stato etico cristiano in Italia e mai si conciliò con papa Montini e la Dc autonoma di De Gasperi.
L’episodio della Sapienza non è caduto dal cielo, e non rendersene conto significa che una certa imprudentia politica sta divenendo la caratteristica del Pontefice. Dice ancora Pera che le vecchie regole laiche sono sorpassate, e forse lo pensa anche Benedetto XVI. Sono invece più che mai attuali, in un’Europa dove si è ormai insediato un Islam forte, in espansione. Senza Stato laico, che garantisca cattolici e non cattolici, atei e agnostici, avremmo in Europa guerre di religioni, intolleranze, pogrom. Avremmo catastrofi benefiche solo a chi non sa apprezzare quanto si stia bene, quando «tutto fila liscio».
Il doppio affondo
di Mariuccia Ciotta (il manifesto, 22.01.2008)
Il papa non si è tirato indietro alla Sapienza ma ha seguito i suggerimenti delle autorità italiane. La sua non è stata una scelta libera ma un gesto «magnanimo» per non alimentare tensioni. Lo ha detto ieri il cardinal Bagnasco, che, forte dei 200.000 di San Pietro, rilancia la polemica e in continuità con Ratzinger sceglie il tono duro contro il «settarismo illiberale» che ha imposto la sua «chiassosa volontà».
L’attacco contro il governo è durissimo e riprende i temi recenti al centro dello scontro tra stato laico e chiesa, non ultimo quello sulla legge 194 che, secondo il presidente della Cei, va rivista. Il tema dell’aborto era probabilmente iscritto nel discorso annunciato del papa sulla moratoria della pena di morte e poi modificato. L’intervento mancato di Ratzinger e pubblicato dalla stampa non era certo quello previsto, anche se nessuno o quasi lo ha ricordato. Se ne è fatto carico Bagnasco, che ieri nella sua prolusione per l’apertura del Consiglio episcopale ha portato a termine la missione del papa, confermando il carattere politico del suo discorso per l’apertura dell’anno accademico.
Non un intervento di conciliazione e dialogo tra fede e ragione, ma ancora una volta la sfiducia nei contenuti etici non solo della scienza, ma della politica fuori dalla Chiesa cattolica. Questo il senso della visita di Ratzinger dalla cattedra della Sapienza, al quale il Vaticano non poteva rinunciare, e che adesso si palesa come una mazzata finale a una maggioranza disintegrata e come un’indicazione di voto per le prossime elezioni.
Questo governo, dice Bagnasco, è responsabile del declino e della paura di un’Italia «a pezzi», e che troverà la sua speranza solo nell’enciclica papale «Spe salvi». La speranza è riposta, sostiene il cardinale, nella libertà di coscienza dei deputati cattolici, che devono opporsi a «leggi inique», il che richiede una scelta trasversale rispetto agli schieramenti. La «politica buona» è dunque affidata al voto «insindacabile» di coscienza. Buon centro. Il cardinale delinea un vero programma di governo e spazia dalle unioni civili, alle quali si oppone in tutte le forme, al divorzio breve, veleno per la famiglia «fondata sul matrimonio tra uomo e donna», per poi passare alla Finanziaria, agli stipendi bassi e alle pensioni. Bagnasco fa riferimento a testimonianze raccolte dalla santa sede, per cui nell’ultimo anno «si sono aggravate le condizioni economiche di molte famiglie» a cui il governo avrebbe dato dato risposte deboli e parziali.
Un intervento a gamba tesa quello del cardinale, poco prima dell’apertura della crisi da parte dell’Udeur di Mastella, che fin dall’inizio ha voluto legare le sue vicende giudiziarie alla devozione per il Vaticano. L’applauso incassato alla camera, commossa dalle sue lacrime, suona adesso come la famosa risata che «vi seppellirà». Si ritorce contro la maggioranza - contro tutta la classe politica - la solidarietà calorosa offerta al ministro della giustizia indagato dalla magistratura e al governatore siciliano, che ha brindato, non da solo, ai suoi cinque anni di condanna per collusione con la mafia.
Ha buon gioco Bagnasco con il suo anatema contro il «vuoto di valori» della politica, della morale laica, di fronte allo spettacolo di un paese che vede la fiducia nelle istituzioni crollare clamorosamente. L’Eurispes in un sondaggio reso noto ieri rivela dati impressionanti, non solo riguardo al governo, sceso al 25% dei consensi, ma a tutte le istituzioni, scuola e magistratura comprese. Tra i dati, ce n’è uno che il cardinal Bagnasco ha trascurato di menzionare nell’apocalittico quadro del declino italiano. La Chiesa, che perde dieci punti rispetto all’anno scorso e scende al 49,7%. Non basterà l’enciclica vaticana a ridarci la speranza.
Il Vaticano sfiducia Prodi. Botta e risposta tra la CEI e Palazzo Chigi *
Con procedura irrituale, una nota emessa da Palazzo Chigi la sera di lunedì 21 gennaio ha contraddetto un’affermazione fatta quello stesso giorno dal cardinale Angelo Bagnasco nella prolusione al consiglio permanente della conferenza episcopale italiana.
Il presidente della CEI aveva detto che la rinuncia di Benedetto XVI a recarsi il 17 gennaio all’università di Roma La Sapienza “si era fatta necessariamente carico dei suggerimenti dell’autorità italiana”.
In effetti, proprio così aveva titolato con grandissima evidenza in prima pagina, il 16 gennaio, il quotidiano della CEI “Avvenire”:
“Il rischio di disordini blocca il Papa”.
Con questo sottotitolo esplicativo:
“Rettorato occupato, Digos preoccupata. «Sconsigliata» la visita alla Sapienza. La decisione di annullare l’appuntamento presa ieri sulla base delle informazioni acquisite. Le autorità vaticane si sono fatte carico anche delle preoccupazioni italiane”.
In concreto era accaduto questo, come ha poi riferito Andrea Tornielli su “il Giornale” avvalendosi di autorevoli fonti vaticane:
“La decisione di rinunciare alla visita era stata presa dal papa e dai suoi collaboratori dopo una telefonata del titolare del Viminale, avvenuta nella serata di lunedì 14 gennaio. Parlando con il segretario di stato Tarcisio Bertone, il ministro dell’Interno Giuliano Amato, d’accordo con il premier Romano Prodi, aveva suggerito al porporato di consigliare a Benedetto XVI l’annullamento della visita, paventando incidenti. Non solo, il ministro avrebbe persino suggerito che il papa s’inventasse un’indisposizione «diplomatica». Joseph Ratzinger avrebbe cioè dovuto annunciare solo la mattina di giovedì 17 gennaio che l’influenza gli impediva di tenere la lezione all’università. Il giorno dopo, davanti alle dichiarazioni pubbliche del ministro che non solo assicurava l’incolumità del papa (da nessuno mai messa a rischio) ma sembrava smentire pure l’esistenza di preoccupazioni per l’ordine pubblico, i principali collaboratori del papa coinvolti nella decisione (Bertone, Ruini e Bagnasco) sono trasaliti. Lo stesso Benedetto XVI è rimasto molto amareggiato, perché proprio «i suggerimenti» delle autorità italiane lo avevano fatto desistere per evitare incidenti”.
Il cenno fatto da Bagnasco nella sua prolusione era dunque fondato, stando a questa ricostruzione dei fatti.
Ma a Palazzo Chigi la cosa è stata presa malissimo. Come appare dalla smentita emessa subito dopo:
“Il governo italiano non ha mai suggerito alle autorità vaticane di cancellare la visita di papa Benedetto XVI all’università La Sapienza di giovedì scorso. Sia il presidente del consiglio dei ministri che il ministro dell’Interno, dopo la riunione del comitato provinciale per la sicurezza e l’ordine pubblico alla quale erano presenti anche responsabili della gendarmeria vaticana, hanno infatti comunicato alle autorità locali che lo stato italiano garantiva assolutamente la sicurezza e l’ordinato svolgimento della visita del Santo Padre”.
L’indomani, il quotidiano della CEI “Avvenire” ha riportato la smentita facendola seguire da un richiamo a quanto scritto dallo stesso giornale alla vigilia della visita annullata, quando segnalò che le autorità vaticane “si erano fatte carico anche delle preoccupazioni espresse dalla parte italiana”.
Il lettore giudichi. Di certo, i giudizi maturati nei giorni scorsi in Vaticano sul comportamento di Romano Prodi non sono benevoli. Il 17 gennaio, un editoriale di prima pagina dell’”Osservatore Romano” prendeva di mira anche il presidente del consiglio là dove criticava “chi addirittura si preoccupa e rammarica dopo aver osservato nei giorni precedenti un silenzio pressoché totale”.
Dopo la nota emessa da Palazzo Chigi, le quotazioni del premier, in Vaticano, hanno avuto un ulteriore ribasso.
* Settimo Cielo di Sandro Magister, Martedì, 22 Gennaio, 2008
La rivincita di Ruini su Bertone
Dietro il discorso di Bagnasco, lo scontro tra i porporati sulla linea vaticana Il Segretario di stato è contro la linea del muro contro muro. Ma il capo dei vescovi ha seguito i dettami di «don Camillo» e sferrato un duro colpo a un governo traballante
di Mimmo de Cillis (il manifesto, 22.01.2008)
La linea di Ruini ha prevalso. L’attacco frontale di Bagnasco all’Italia, sferrato in apertura del Consiglio permanente dei vescovi italiani, è stato ispirato da don Camillo e testimonia una «linea di continuità» fra il vecchio presidente, ancora molto influente, e il nuovo capo della conferenza episcopale del Belpaese. I toni sono duri e ricordano alcune prolusioni del cardinale vicario, che non è mai stato morbido verso le istituzioni italiane, specialmente se governate dal centrosinistra. Gli stessi toni apocalittici, le stesse espressioni a tinte forti si ritrovavano, ad esempio, nel discorso che Ratzinger ha tenuto dieci giorni fa all’udienza degli amministratori romani. E quel testo è stato redatto proprio dal cardinale Ruini, che ama sferzare il governo italiano e sbandierare il «degrado civile e morale» della capitale, della regione, del paese.
Ebbene, Oltretevere l’atteggiamento duro di don Camillo è stato mitigato dalla presenza di un altro pezzo da novanta: il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di stato, che ha deciso di assumere toni ben più concilianti e dialogici con i vertici del governo. A lui si deve la «nota di precisazione» che il giorno dopo il discorso papale a Veltroni riposizionò la Santa sede e, di fatto, smentì il cardinale vicario. Fra i due porporati è noto che non è mai corso buon sangue e le differenze caratteriali hanno fatto il resto. Certo ora nei sacri palazzi è Bertone a dettare l’agenda e decidere la linea: non si vogliono radicalizzare i contrasti con lo stato italiano e arrivare al muro contro muro. Lo si è visto anche dal messaggio del papa di domenica, nell’Angelus di «rivincita» dopo la vicenda della rinuncia alla Sapienza: il papa non ha calcato la mano e ha ricordato a tutti l’importanza della libertà di opinione, dell’ascolto di posizioni altrui, diverse dalle proprie.
Altra musica, invece, nei palazzi della Cei. Qui è ancora don Camillo il deus ex machina, il punto di riferimento essenziale per una chiesa che gli è debitrice in tutto e per tutto: nell’ascesa economica, nell’organizzazione interna, nella presenza mediatica, nella capacità di agire come lobby, influenzando il potere civile. Perdipiù il nuovo presidente Bagnasco risiede a Genova e nella capitale, dunque, Ruini è ancora il numero uno. Nelle ultime vicende che hanno visto una generale levata di scudi in favore del papa Ruini ha visto un’opportunità irripetibile per tirare un diretto a un governo già di per sè traballante, che si regge in piedi come un pugile suonato. Ecco allora il discorso concordato con Bagnasco, che non ha certo voluto deludere il suo predecessore, persona a cui deve l’incarico che oggi ricopre. Fino a oggi Bagnasco era sembrato voler attenuare i toni e smussare gli spigoli nei rapporti con la politica e la società civile del paese. Ma quando Ruini chiama, la risposta è «signorsì».
Lettera22