LA STORIA
ESISTE, L’HO SCOPERTA NELLO ZIMBAWE
Il professore dell’arca perduta
Il viaggio: sarebbe stata portata da Gerusalemme allo Zimbawe dagli antenati ebrei della tribù dei Lemba
L’orientalista londinese Parfitt: «Posso dimostrare che è quanto rimane del contenitore delle tavole della legge»
di MARIA CHIARA BONAZZI (La Stampa, 25/2/2008)
LONDRA Di Indiana Jones ha più che altro gli occhialetti da accademico, oltre che la determinazione a trovare l’arca perduta. Il professor Tudor Parfitt, stimato orientalista di Londra, è convinto che una sorta di «tamburo» con il fondo bruciacchiato, «come se fosse stato attraversato da una palla di cannone», che stava a prender polvere su uno scaffale qualunque del Museo di Scienze umane ad Harare, Zimbabwe, sia la traccia più plausibile dello scrigno che conteneva le tavole della legge di Mosè, per gli ebrei il segno più sacro e tangibile dell’alleanza tra Dio e l’umanità.
Archeologi e avventurieri hanno cercato in lungo e in largo, dallo Yemen all’Etiopia, quella che l’Antico Testamento descrive come una cassa di legno d’acacia, rivestita di oro puro e trasportabile come una lettiga, montata su un paio di stanghe infilate in appositi anelli. Ora, il fatto che il reperto trovato dal professor Parfitt assomigli piuttosto a un tamburo e riemerga nel ben più lontano Zimbabwe ha già mobilitato gli studiosi di tutto il mondo, fra i quali curiosità e scetticismo sembrano elidersi a vicenda.
Sull’appassionata ricerca dell’arca, che molti archeologi considerano d’altronde polverizzata da chissà quanti secoli, vista la deperibilità del legno in climi caldi, Steven Spielberg ha costruito uno dei film d’azione più memorabili della storia del cinema. Secondo la spettacolare finzione di «Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta», i nazisti avrebbero cercato di impadronirsi dello scrigno fatto costruire da Mosè intorno al 1936, con l’intento di conquistarne quei poteri soprannaturali che invece li avrebbero inceneriti nel più grande finale pirotecnico mai prodotto per il grande schermo.
L’Antico Testamento colloca per l’ultima volta l’arca nel tempio di Salomone, distrutto dai babilonesi intorno al 586 avanti Cristo. Che l’arca potesse in qualche modo comportarsi da conduttore elettrico, lo avevano ipotizzato alcuni studiosi in passato nel tentativo di spiegare la fiammeggiante distruzione, descritta dall’Antico Testamento, inflitta a chi la profanava toccandola.
Quali che fossero i presunti poteri soprannaturali dell’arca, stavolta il professor Parfitt, 63 anni, docente presso la prestigiosa School of Oriental and African Studies di Londra, si sta chiaramente giocando la reputazione. Eppure lo studioso aveva già fatto centro una volta, nel 1999, quando, grazie all’analisi del Dna, aveva identificato la tribù dei Lemba dell’Africa meridionale come una diretta discendente della stirpe sacerdotale israelita, i Cohen.
Ora Parfitt, secondo quanto riferisce la rivista americana «Time», partendo dalla credibilità di quel marcatore genetico scoperto nei Lemba ha approfondito le loro tradizioni orali, in cui ricorre un oggetto a forma di tamburo chiamato «ngoma lungundu» usato per custodire oggetti rituali e dotato di proprietà quasi divine. Particolare cruciale: il contenitore era montato su staffe inserite in appositi anelli. Come l’arca, era troppo sacro per toccare il terreno ed emetteva un «fuoco di Dio» in grado di uccidere i nemici e, occasionalmente, anche gli stessi Lemba.
Un anziano Lemba ha raccontato a Parfitt: «(L’arca, ndr) veniva dal tempio a Gerusalemme. L’abbiamo portata fino qui in Africa». La tesi, contenuta in un libro che il professore sta per pubblicare presso HarperOne, «The Lost Ark of The Covenant: Solving the 2,500-Year Mystery of the Fabled Byblical Ark» e in un documentario che andrà in onda il 2 marzo su History Channel, ha portato Parfitt a cercarla non fra i serpenti degli insidiosi sotterranei dell’Egitto di Indiana Jones, ma fra i topi di un angolo apparentemente dimenticato del Museo di Harare. Qui lo studioso ha trovato il misterioso tamburo col fondo bucato e annerito sul quale erano evidenti i resti di anelli sui lati e un rilievo di canne incrociate che secondo lui rimanda a un particolare dell’Antico Testamento.
Per Parfitt l’arca dell’alleanza doveva essere una combinazione tra un reliquiario, un tamburo e un’arma basata su una sorta di imprevedibile antesignano della polvere da sparo. Problema: la datazione al carbonio ha stabilito che il manufatto del museo di Harare risale al 1350 dell’era cristiana. Ma Parfitt ha pronta una spiegazione: la tradizione Lemba sostiene che lo «ngoma» originale si è distrutto da sé circa 400 anni fa, ed è stato ricostruito dai sacerdoti della tribù sui suoi stessi resti: «Non ci sono molti dubbi che l’oggetto che ho ritrovato è l’ultima cosa sulla Terra che discende direttamente dall’arca di Mosè», dice il professore.
Parfitt non è tuttavia affatto sicuro che gli antenati dei Lemba fossero partiti da Gerusalemme contemporaneamente all’arca, ma nella tradizione orale della tribù africana si venera una località chiamata Senna. Parfitt l’ha trovata: è una città sepolta nello Yemen. Da qui, ipotizza lo studioso, la tribù d’Israele emigrata sarebbe in qualche modo diventata custode dell’Arca intorno all’VIII secolo dell’era cristiana (quando, secondo alcune testimonianze, essa si trovava in Arabia), e la avrebbe portata con sé costeggiando l’Africa.
Ma molti suoi colleghi nutrono forti dubbi. Come l’archeologo Shimon Gibson, che obietta: «Mi sembra altamente improbabile. Mancano troppi nessi». Per Parfitt potrebbe valere una seppur indebita parafrasi da Indiana Jones: l’arca «rappresenta tutto ciò che ci ha spinto a diventare archeologi».
Sul tema, nel sito e in rete, si cfr.:
AXUM. SCOPERTO IL PALAZZO DELLA REGINA DI SABA.
ZIMBABWE (Wikipedia)
FLS