Dibattito

Cultura, lavoro e giustizia le vie primarie. Contributo al post di Domenico Barberio sulla questione elettorale sollevata dal consigliere Marco Militerno

sabato 1 marzo 2008.
 

"L’Italia è una repubblica democratica che è affondata sul lavoro", scriveva un giovanissimo allievo del Poeta e Maestro Peppino Oliverio, calabrese.

La frase dava il titolo a una raccolta di temi scolastici curata dallo stesso Oliverio, insegnante elementare; più divertente e intensa della celebre "Io speriamo che me la cavo". Intanto, per i contenuti etici e politici. Emigrazione, minorità, arretratezza, genuino e superstizione gli elementi caratterizzanti lo status esistenziale e antropologico degli autori, inconsapevoli, del meraviglioso volume.

Una società, quella di San Giovanni in Fiore (in provincia di Cosenza), raccontata dai suoi più acuti osservatori e interpreti, gli infanti, senza la lente e il filtro dell’accademia e della maniera, della finzione storiografica. Un documento prezioso per cogliere direttamente lo "stato dell’arte" in questa cittadina di periferia, arroccata fra i monti silani, capitale italiana delle migrazioni e dell’"assistenza romana". Qui ho citato Umberto Bossi.

Siccome non posso, per coerenza, commentare ulteriormente quel libro, che invece andrebbe letto per intero soprattutto da chi ancora segue la Questione meridionale, passo subito al dunque.

Nel post alla nota di Marco Militerno, Domenico Barberio - figura dalla rara finezza ermeneutico-politica, nonostante il suo (a noi noto) ideologico, e idealistico, pacifismo sulla scia dell’"opportunista" Fausto Bertinotti - pone una questione di fondo sul futuro del Mezzogiorno. E lo fa chiudendola a priori: non assegna alla politica il ruolo principale per un - sempre auspicato e annunciato - riscatto del Sud. Il polo della monnezza, del sangue, dell’irrisolto, della povertà, della speculazione e della subordinazione delle masse.

Se non ho capito male, fra le sue - poche ma utilissime righe - Barberio fa riferimento alla cultura, intesa come acquisizione di strumenti critici di risoluzione del tacitamento a Sud, quale propulsore d’un diverso rapporto, nella società meridionale, fra potere e individui (cittadini o abitanti).

Se non ho derivato arbitrariamente significati altri, Barberio guarda al farsi della politica indipendentemente dalle parti tradizionali, dai partiti, da quelle associazioni al cui metodo Leonardo Sciascia, che non è Emiliano Morrone, conferiva la dignità di "mafioso".

Sopravvivono - è banale - nel sistema italiano quelle interdipendenze fra amministrazioni pubbliche e partiti per cui le immobili dirigenze degli apparati statali seguono la sorprendente mobilità dei carismatici di palazzo.

Berlusconi aveva legiferato in maniera che ogni ex parlamentare potesse guidare un’azienda pubblica della sanità. Questo è giusto un esempio di congegno (legale) atto a garantire la reciprocità fra componente politica e componente amministrativa, separate per funzioni dalla legge dello Stato.

In altri termini, tornando a Barberio, per il giovane intellettuale calabro-umbro c’è, di là dai partiti, un contesto più ampio, proprio della politica, per l’ingegneria sociale nella Terra del sole. Secondo Barberio, e condivido, la politica include ogni sfera dell’attività umana.

Il discorso politico non è mai disgiunto da quello culturale, dalla formazione di responsabilità pubblica e coscienza di classe e, mi permetto di aggiungere, da una sintesi sull’identità.

Riguardo al futuro del Mezzogiorno, a Barberio non pare decisivo che si approdi alle primarie, le quali, a suo giudizio, rappresenterebbero un modo, sia pure democratico, di rimettere il fatto politico nella mera disponibilità dei partiti.

Qui, si dovrebbe andare molto per le lunghe. Certamente, la cultura, quindi la consapevolezza che occorra un nuovo modo di pensarsi ed essere meridiani, è la base del cambiamento politico nella - e della - Terra del sole.

Non possiamo eludere i temi cruciali, non so se vecchi o nuovi, che si sono aggiunti alla Questione meridionale. Temi che ci vengono dalla lettura dei testi di Saviano, non solo il libro "Gomorra", e che sono ribaditi o compendiati dalla letteratura sulle aziende della criminalità. Ne deriva, assai semplificando, che il problema della giustizia, posto con forza da Salvatore Borsellino, per esempio, deve essere al centro dell’azione politica di ogni forza, catalogabile o spontanea, interna alla società.

Le faccende delle onorate hanno sempre a che fare con la mancanza di lavoro. Si tratta di un dramma molto italiano, che non ha trovato finora risposte politiche. Salvo la trionfalistica promozione della flessibilità - cui partecipa l’ex compagno pentito Walter Veltroni -, a tutto vantaggio del capitale organizzato e militarizzato della nostra nazione.

Non si può negare, però, che le primarie, quelle vere, proposte da Marco Militerno, siano un passo, non il principale certo, verso un’indispensabile castrazione della casta, a garanzia della libertà di voto degli elettori e d’una democrazia diretta. Il che non è poco.

Sono del parere che cultura, lavoro e giustizia debbano essere i primi punti, o se preferite le vie, d’ogni azione politica per il Sud.

Emiliano Morrone


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