EXPO 2015, VINCE MILANO
La votazione che ha portato a Milano la designazione per l’Expo 2015 è stata preceduta da alcune prove, resesi necessarie perché qualche candidato non avevo dimestichezza con la pulsantiera elettronica per il voto. Poi, tra una votazione di prova e l’altra, qualche altro delegato si è assentato allungando i tempi della procedura.
Esultanza alle stelle all’interno dell’Amphitheatre Blue per la vittoria di Milano. Letizia Moratti è stata subito applaudita e c’é stato un coro "Letizia, Letizia". Prodi si è complimentato con il sindaco di Milano e ha affermato: "E’ importante questa vittoria, ci siamo mossi in modo unitario e il risultato è eccezionale". Dall’altra parte la tristezza della delegazione turca, particolarmente rumorosa durante le operazioni di voto al punto di inscenare una finta festa con canti e balli annunciando una falsa vittoria.
SMIRNE, DELEGAZIONE DALLA GIOIA ALLA DELUSIONE
Subito dopo la prima prova di votazione, ai componenti della delegazione di Smirne era arrivata la "notizia" che la città turca avesse vinto nella gara con Milano per ottenere la designazione a sede dell’Expo. Le urla di contentezza, accompagnati da vere e proprie danze, sono state rinviate in Turchia dalle televisioni provocando scene di entusiasmo anche nel Paese. Ma poco dopo l’equivoco si é chiarito, prima nella sala del Palais des congres e, dopo, a Smirne. Quindi la delusione quando è stata ufficializzata la vittoria di Milano
Ansa» 2008-03-31 18:44
Expo 2015, vince Milano
Expo, Milano col fiato sospeso
Timori per possibili voltafaccia
dai nostri inviati
GIUSEPPINA PIANO e
RODOLFO SALA *
PARIGI - L’augurio di Romano Prodi trasuda ottimismo, e suona come ulteriore conferma del vantaggio che, almeno sulla carta, Milano ha su Smirne: tra i 10 e i 20 voti. "Vinca il migliore - dice il presidente del Consiglio, che oggi arriva a Parigi per il voto finale - ma il migliore è Milano". Augurio accompagnato dal riconoscimento della "grande collaborazione" tra governo e istituzioni locali "unite in questa grande battaglia per il rilancio di Milano". Ma un riconoscimento particolare va a Letizia Moratti: "Il sindaco è stato un esempio vero di sistema-Paese".
Giorno della verità per Milano. Per la capitale del centrodestra e per il governo di centrosinistra che l’ha candidata a rappresentare l’Italia nella sfida per ospitare l’Esposizione universale del 2015. Ultimi appelli al voto, ultimi incontri diplomatici e davanti ai votanti oggi una passerella di testimonial pro-Milano: da Al Gore a Jacques Attali, e poi Andrea Bocelli, il calciatore Seedorf, l’architetto Daniel Libeskind. La vigilia è dedicata al ragionevole ottimismo dei numeri.
Ma si vota a scrutinio segreto, e i voltafaccia sono sempre possibili. Il premier non dà nulla per scontato, come del resto fa la Moratti, che dalla sua suite dell’hotel Saint James continua a tessere la fittissima tela di contatti internazionali indispensabile per non far mancare la maggioranza assoluta dei voti espressi oggi dai 152 delegati del Bureau international des expositions al "suo" progetto che ha per tema l’alimentazione ("Nutrire il pianeta, energia per la vita").
"La battaglia è dura - avverte Prodi - perché la Turchia a Parigi si è mossa con un vero e proprio esercito di funzionari: la posta in gioco è importante, e Milano ha carte splendide: speriamo in bene". A precedere il premier, ieri, sono arrivati nella capitale francese due ministri: Emma Bonino e in serata Massimo D’Alema. "Siamo determinati e lavoriamo fino all’ultimo minuto - spiega la responsabile del Commercio estero - per far vincere un progetto bellissimo non solo per l’Italia, ma per tutti quelli che vogliono fare cooperazione. Però la qualità del progetto è solo un pre-requisito, ci sono altre variabili che sfuggono a ogni logica". Conta comunque la geopolitica, e il ministro si dice "molto contenta per il sì formale a Milano arrivato dalla Gran Bretagna".
Tra chi mette le mani avanti, c’è il presidente della Provincia di Milano, anche lui in partenza per Parigi in vista di questo finale al cardiopalma: "Se Milano non ce la dovesse fare - dice Filippo Penati - com’è nelle sue migliori tradizioni si rimboccherà le maniche per vedere quanto di quel progetto potrà comunque essere realizzato". Il fatto è, come ha insistito più volte Letizia Moratti, che se dovesse prevalere Smirne mancheranno i finanziamenti per dar corso alla maggior parte dei progetti di cooperazione stipulati con i Paesi in via di sviluppo: dal microcredito alla scolarizzazione, dall’agricolura familiare all’acqua per tutti. Ma soprattutto mancheranno i quattrini per il sistema-Milano: circa 20 miliardi di euro, tra investimenti pubblici diretti e indotto. L’Expo potrebbe assicurare quel "rilancio" che tutti, a Milano come a Roma, ritengono indispensabile. Oggi si vedrà se all’ottimismo dei pronostici seguirà la certezza della vittoria.
* la Repubblica, 31 marzo 2008.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Expo, perché non porterei i miei alunni
di Alex Corlazzoli*
Expo sì, Expo no. Alla fine ci sono andato (a moderare un dibattito) e mi sono convinto che non porterei mai una classe di ragazzi all’Esposizione mondiale, la Gardaland di Milano. Chi fa il maestro ha il dovere di chiedersi: cosa voglio insegnare ai ragazzi? Come voglio parlare loro del cibo, della terra, dell’aria? Vogliamo dire la verità ai futuri cittadini o mostrare loro una cartolina patinata del mondo? Ecco, se quest’ultima è la vostra intenzione, allora potete andare a visitare Expo 2015. Troverete un grande gioco: potrete timbrare il vostro “falso” passaporto (5 euro a documento) ad ogni Paese che visitate; divertirvi a fare l’henné sulle mani grazie alle donne ugandesi o della Mauritania; saltare sulle reti elastiche del padiglione del Brasile; fare fotografie seduti in una finta tenda berbera; realizzare il vostro menù greco preferito; scrivere il vostro nome con i chicchi di caffè o comprare braccialetti ricordo fatti con i semi. Ma non chiedetevi chi lavora quel caffè; non domandatevi quanti pozzi sono stati distrutti nei terreni dei territori occupati della Palestina; non azzardatevi a capire chi lavora nei campi del Mozambico o del Burundi; non iniziate a farvi domande sui landgrabbing, i ladri di terra. Expo non è il posto dove farvi questi interrogativi e nemmeno dove trovare risposte.
Girando tra i padiglioni dell’esposizione ho avuto la sensazione di aver fatto qualche errore: forse ho sbagliato, durante le lezioni di scienze, a raccontare ai miei ragazzi che il consumo giornaliero di acqua in Africa è di 30 litri rispetto ai 237 in Italia. Probabilmente ho raccontato una frottola quando ho parlato loro dei conflitti per l’oro blu. Devo aver letto male i dati sul Kenya dove il benessere di pochi (2%), è pagato con la miseria di molti (circa il 50% della popolazione vive sotto il livello di povertà). Devo aver visto un altro film finora perché ad Expo non ho trovato una sola riga, una sola informazione che raccontasse alle migliaia di persone che passano in quei padiglioni, il dramma che vivono le popolazioni africane.
Sono partito dalla Palestina: non un’immagine, una riga, una fotografia dell’occupazione. Ho chiesto come mai e mi è stato risposto che “non era opportuno”. Ho pensato che la scarsità di informazioni riguardasse solo quel Paese. Ho provato ad entrare negli spazi dell’Eritrea, della Giordania, della Mauritania: nulla di più che una sorta di mercatino dei prodotti locali, qualche bandiera, poche fotografie. Zero informazioni. Ho pensato che fosse impossibile ma nemmeno in Algeria ho trovato qualche spiegazione se non una bella esposizione di vasellame e di abiti tradizionali. Mai un solo cenno ai problemi di un Paese. A Expo il mondo è tutto bello: l’importante è non sapere.
Non ho imparato nulla visitando il padiglione del Burundi, del Ruanda, dell’Uganda. Nello Yemen hanno persino tentato, come in ogni mercato, di vendermi tre braccialetti con la tecnica dei venditori di strada: “Provali. Quale ti piace? Ti facciamo uno sconto”. Eppure i bambini e i ragazzi che lavorano nelle piantagioni di cacao africane sarebbero, secondo alcune stime, più di 200mila di età compresa tra i cinque e i quindici anni, vittime di una vera e propria “tratta”. L’ Unicef ricorda che 150 milioni di bambini tra i 5 e i 14 anni nei Paesi in via di sviluppo, circa il 16% di tutti i bambini e i ragazzi in quella fascia di età, sono coinvolti nel lavoro minorile.
A citare i problemi della terra ci ha pensato il Vaticano, presente ad Expo: 330 metri quadrati per dire ai cittadini attraverso una mostra fotografica e un tavolo interattivo che esiste il problema della sete, dell’ingiustizia, della fame. Tutto per slogan, nulla di più. E’ a quel punto che mi è venuta una curiosità, alla fine della rapida spiegazione dell’addetto della Santa Sede: “Scusi, quanto è costata la realizzazione?”. Risposta: “Mi dispiace non lo so”. Cerco la risposta via Twitter all’account del Vaticano (@ExpoSantaSede) che mi rimanda ad un articolo che parla della “sobrietà del padiglione”, secondo le parole del cardinale Gianfranco Ravasi. Viene da fare due conti: un’organizzazione italiana mi ha riferito di aver speso per partecipare a Expo (per organizzare eventi, padiglione, personale) circa 700 mila euro. E il Vaticano quanto avrà sborsato per dire che c’è la fame, la sete e l’ingiustizia? 3 milioni di euro equamente ripartiti tra Santa Sede, Cei, Diocesi di Milano e Cattolica Assicurazioni che ha offerto il suo contributo per l’allestimento delle opere d’arte.
Alle 21, stop. Ho deciso: meglio non portare i bambini a Expo. Che capirebbero del cibo, dello spreco, delle risorse?
Un solo consiglio: se proprio ci andate, vale la pena visitare il padiglione zero e quelli della Svizzera e dei Brunei. Naturalmente non li ho visti tutti, potrebbero essercene altri all’altezza di quest’ultimi. E non ho nemmeno timbrato il passaporto.
Un’ultima osservazione: non cercate un’edicola o una libreria (magari dedicata al cibo) a Expo. In una giornata non le ho trovate. Se le avete viste avvisatemi.
Infine due curiosità. La prima: andata e ritorno Treviglio - Milano Expo con Trenitalia è gratis, nessuno è passato a controllarmi il biglietto. La seconda: arrivato ai tornelli mi sono trovato di fronte delle file chilometriche. Avendo un appuntamento alle 10,30 ho tentato di passare attraverso il passaggio dei media pur non avendo l’accredito ma solo un regolare biglietto. Nessun problema: nessuno ha badato al fatto che avessi o meno il pass. Un abito elegante e una borsa d’ufficio ed è fatta. Fila evitata.
. * Giornalista, ma prima di tutto maestro, è autore di alcuni libri, tra cui Ragazzi di Paolo (Ega 2002), Riprendiamoci la scuola (Altreconomia) e Gita in pianura (Laterza). Da diversi anni promuove NonSoloACrema: un programma di appuntamenti con gli autori per portare la cultura anche in campagna, nei più paesi più piccoli. L’articolo di questa pagina è apparso anche su un blog de ilfattoquotidiano.it e qui con il consenso dell’autore.
Milano Metropoli Verticale Data di pubblicazione: 06.04.2008
di Cinzia Sasso (la Repubblica/Domenica, 6 aprile 2008, pp. 32-33)
All’appuntamento con l’Expo appena conquistata, fra sette anni esatti, si presenterà una città radicalmente cambiata: una selva di grattacieli griffati, monumenti di archeologia industriale richiamati alla vita, battelli che scivolano su vie d’acqua urbane. Ecco un viaggio tra i quindici mega-progetti che ridisegnano il suo futuro.
lI vento di aprile soffia insistente sulle fronde chiare del betullino e il fruscio arriva fino a dentro, mischiato con il fischio delle foglie di una quercia ancora giovane. Entra anche il profumo intenso del gelsomino che ha messo i primi fiori, e la macchia di colore rosso delle bacche del cratego. È il momento migliore, per il bosco. Il momento del risveglio. Ma questo è un bosco speciale: siamo in un appartamento di città, al ventisettesimo piano della torre "D" di Porta Nuova Isola, pareti di vetro che danno sul terrazzo, davanti una quinta di verde. E questo è il "Bosco Verticale", progettato dallo studio Boeri, novecento alberi alti fino a nove metri sovrapposti l’uno all’altro, salici e peri da fiore, ciliegi giapponesi e bambù, piantati piano sopra piano. Poco più su, sul tetto, volteggiano le pale eoliche che garantiscono energia. Molto più giù, invece, le sonde geotermiche pompano calore dal sottosuolo e da qualche parte le acque grigie, filtrate, tornano in circolo per l’irrigazione. Dalle finestre, tra le fronde, ecco a perdita d’occhio il profilo della città.
Ed ecco, appena in là sull’orizzonte, a nascondere le cime delle montagne, un altro bosco, stavolta semplicemente pensile. A centosessanta metri di altezza, che vuol dire al trentunesimo piano. Sul belvedere, con ristorante, del grattacielo che è la nuova sede della Regione Lombardia e che quassù vuole attirare cittadini e turisti. Un parallelepipedo di vetro progettato dall’architetto cinese della Piramide del Louvre, immaginato per celebrare la trasparenza e il buon governo, al centro di una grande piazza coperta da una cupola, dove migliaia di persone passeggiano e fanno shopping negli elegantissimi negozi; ma anche se ne stanno semplicemente sedute ai bordi della fontana circolare, pc sulle ginocchia, collegate col wi-fi. Un’opera grandiosa: centomila metri quadri edificati per un costo di 320 milioni di euro. La più maestosa delle opere commissionate da un ente pubblico dal tempo degli Sforza; l’erede, nelle intenzioni, del Castello.
Benvenuti a Milano 2015. Benvenuti nella città che ha vinto l’Expo e che per questo, da stanca metropoli post-industriale, smarrita e senza vocazione, ha ripreso a correre. Se l’iniezione di denaro prevista dal piano per l’esposizione - 4,1 miliardi di euro - permetterà la costruzione ex novo di un pezzo di città che oggi non esiste, il quartiere della fiera da più di un milione di metri quadrati, e il completamento di strade, linee di metropolitana, reti ferroviarie, una zona verde grande come tre Hyde Park e mezzo, perfino la creazione di una via d’acqua sulla quale scivolano i battelli, quella che fra sette anni si presenterà all’appuntamento con il mondo sarà in ogni caso una città completamente nuova. Ci saranno colline nel piatto della pianura; laghi là dove era asciutto. Ma sarà, soprattutto, una città verticale. Con grattacieli storti, sì anche sbilenchi; qualcuno colorato, altri con le guglie; certi che sembreranno essere lì lì per cadere, altri ancora perfino attorcigliati. Torri rivestite di vetro, acciaio, pietra, ma anche di bosco, addirittura di lamine d’oro. E tutti, questo è certo, saranno altissimi.
È come se a Milano si fosse scatenata una gara tra gli architetti di tutto il mondo per vedere chi inventa l’edificio più stupefacente. Spariti i vecchi immobiliaristi legati in qualche modo alla tradizione, ora anche i cantieri sono nelle mani di chi non ha mai avuto legami con la città, gli sviluppatori internazionali, che costruiscono a Londra come ad Abu Dhabi e che rispondono esclusivamente a logiche di profitto. L’obiettivo è diventato far rumore, farsi vedere, trasformare tutto in attrazione, vendere. Ma attrazione per chi? Per il mezzo milione di abitanti che negli ultimi trent’anni ha lasciato la città, che ci ritorna al mattino per lavorare ma che se ne va la sera? Nel 1972 Milano era una metropoli da un milione e settecentomila abitanti; oggi sfiora il milione e tre. Una città impoverita ma, soprattutto, una città che ha il drammatico problema del pendolarismo: 840mila ingressi ogni mattina, 510mila persone che arrivano in automobile, hanno dei costi altissimi. Far tornare i milanesi a Milano, smettere con l’edificazione delle città-satellite nell’hinterland, ricominciare a costruire solo al centro potrebbe essere un disegno per il futuro.
Ma per costruire in centro, è necessario soprattutto farlo in verticale. Vediamola, questa nuova città, dal ventottesimo piano della torre "D". All’orizzonte, a quel punto, i vecchi simboli saranno diventati insignificanti: la Madonnina, la Torre Velasca, il grattacielo Pirelli. Stracciati, in una classifica basata semplicemente sull’altezza, da almeno quindici nuovi "mostri" di acciaio, cemento, vetro e tanto verde. Disegnati dai più grandi architetti del mondo chiamati a operare ovunque, a riempire vuoti, a reinventare aree dismesse, a costruire dove per trent’anni non si è fatto. Sono quindici progetti giganteschi e 147 piccoli interventi, che l’abolizione del vecchio piano regolatore e la scomparsa della destinazione d’uso ha liberalizzato. Nasceranno quartieri nuovi e altri abbandonati torneranno a vivere; anche i comuni limitrofi avranno i loro simboli. Come Rozzano, con la torre Landmark, alta duecento metri. Perfino le caserme cittadine troveranno una seconda vita; e cambieranno pelle gli scali ferroviari abbandonati.
Il più grande piano di riqualificazione urbana si sta realizzando nella zona intorno all’Isola, vecchio quartiere tra la stazione Centrale e Garibaldi, che prevede l’edificazione di 350mila metri quadrati e la realizzazione di una delle aree pedonali più grandi della città, dentro la quale ci sarà la Biblioteca degli Alberi, un reticolo di percorsi tra piantumazioni di diverse essenze destinati a diventare anche percorsi didattici. Svetta, in questa zona, la nuova sede della Regione Lombardia, con i trenta piani, centosessanta metri, firmata dallo studio Pei. Il nuovo Pirellone si alza su un impianto formato da corpi allungati a serpentina, arrotondati, che si incrociano saldandosi in un unico edificio. Poco distante è Cesar Pelli a immaginare una torre che si innalza con tre guglie, stile Dubai estrema, e che guarda in una nuova piazza circolare e pedonale.
I mega-progetti in fase di esecuzione non sono raggruppati in una zona, identificabili con un quartiere: toccano tutta la città, anche quella considerata oggi periferia, anche comuni esterni, come Sesto San Giovanni e Rozzano, appunto. Ed è proprio questo il filo conduttore della Milano di domani, espresso chiaramente nel piano "Milano verso il futuro" dall’assessore allo Sviluppo del territorio Carlo Masseroli: superare il concetto centro-periferia, distribuire i servizi ovunque, creare una metropoli integrata e continua. Superare anche il confine tra città e hinterland, fare in modo che diventi una realtà «la grande Milano, nella quale Milano-città rappresenti il nodo principale di una costellazione». A sud-est, ad esempio, in un’area che ora è periferica, separata dal corpo metropolitano da ferrovia e tangenziale, la città cambierà volto con il progetto Santa Giulia, ideato da Norman Foster, l’archietto del St. Mary Axe, "The Gerkin", il grattacielo a forma di cetriolo che per primo ha cambiato lo skyline di Londra. Santa Giulia, che prende il nome da una chiesa che verrà costruita, è immaginato per essere abitato da cinquanta-sessantamila persone, dunque sulla carta è già promosso come modello di città nella città e di metropoli nel verde. Qui nascerà il Crescent, una zona residenziale d’eccellenza, high tech e domotica, energia rinnovabile, con appartamenti i cui costi partono da due milioni di euro.
Via le periferie, dunque. Come ha detto Renzo Piano, l’architetto che ha progettato l’area Falk, centocinquanta ettari di archeologia industriale, la città già delle fabbriche, degli altiforni e delle acciaierie, quella più intimamente legata alla storia della Milano operaia dove ogni mattina, al suonare delle sirene, arrivavano migliaia di persone in tuta blu. Piano vuole che la sua città resti una fabbrica: «Una fabbrica di idee, il mio Beaubourg a Sesto San Giovanni». È qui uno dei recuperi più straordinari di costruzioni di archeologia industriale, il laminatoio, destinato a diventare secondo il progetto della Provincia un museo di arte contemporanea, la nostra Tate Modern. Ed è qui che Carlo Rubbia sperimenterà gli "Elfi", veicoli a trazione elettrica o a idrogeno. Due torri, anche qui: alte duecento metri, direttamente sulla "Rambla", un ampio viale alberato che converge in un parco centrale.
Il primato dell’altezza spetta al progetto City Life, che è forse il più vistoso, immaginifico, sicuramente il più griffato. Nel quartiere storico della vecchia Fiera - quella costruita nel 1906, proprio per un’esposizione universale - stanno prendendo corpo i tre spettacolari grattacieli dell’architetto iracheno Zaha Hadid, del giapponese Arata Isozaki, di Daniel Libeskind, il progettista di Ground Zero: lo "storto", il "curvo" e il "dritto", alto, quest’ultimo, duecentodiciotto metri, cinquanta piani. Accanto ai tre giganti è previsto l’edificio del Museo di arte contemporanea, e la pianta complessiva prevede percorsi in mezzo al verde, corsi d’acqua con ponti trasparenti. Saranno, l’acqua e il verde, i nuovi elementi di Milano. Se da una parte c’è la ricerca di un simbolismo stravagante, dall’altra la qualità della vita assume un posto di primo piano. Il verde è dappertutto: si immagina un anello intorno alla città, fatto solo di boschi. Il piano generale per l’Expo prevede addirittura la rinascita di una via d’acqua, che giunga diretta al centro. Ma non saranno progetti troppo ambiziosi? Non sarà che ancora una volta, al passaggio dall’effimero al concreto tutto si ferma?
La storia dell’urbanistica milanese è storia di grandi incompiute. In ritardo sulle grandi città europee, su Barcellona e Berlino, sulla Parigi di Bercy e sulla Londra dei Docks, Milano sembra volere oggi ripensare a fondo il suo destino. Se davvero è uscita dalla crisi degli anni Novanta, se davvero la sua classe dirigente saprà non solo lasciare mano libera ai developers ma costruire un’idea di sviluppo, il momento è quello giusto. L’appuntamento con il mondo è fissato per il primo maggio del 2015.
L’Expo decuplica il valore dei terreni
di Enrico Bronzo *
Un terreno che fino a due giorni fa valeva uno ora vale dieci. Hanno fruttato bene i 255mila metri quadrati di proprietà della società Belgioiosa Srl controllata direttamente dal gruppo Raggio di Luna appartenente alla famiglia Cabassi, dopo una recente operazione di scissione di Sintesi a favore di Raggio di Luna.
Negli anni ’50 la proprietà era di un milione di metri quadrati. Poi dopo sette espropri in un colpo solo il restante lotto (Fiorenza) verrà dato in concessione di diritto di superficie al Comune di Milano che lo utilizzerà per l’Expo 2015. In base all’accordo con il Comune sottoscritto lo scorso luglio entro 18 mesi dalla conclusione dell’Expo Belgioiosa riavrà indietro 150mila metri quadrati, 105mila in meno rispetto ai 255mila attuali che però hanno una destinazione d’uso agricola. A partire dal 2016, quando saranno state smantellate le strutture temporanee che saranno abbattute al termine dell’Expo e con l’obbligo di non realizzare attività industriali che compromettano l’ambiente, Cabassi invece potrà edificare con un indice pari a 0,6 (o 0,5, è uno dei punti da definire in dettaglio). Supponendo che il terreno agricolo valga circa 10-12 euro al metro quadrato moltiplicati per 255mila metri quadrati si ha un valore attuale del terreno di 2,55-3,06 milioni di euro. Valutando almeno 3mila euro al metro quadrato i 30mila metri quadrati che si potranno costruire a partire dal 2016 (esclusi i sotterranei e quindi eventuali box) si ottiene un valore del diritto di costruire - in cui c’è ovviamente anche un margine di rischio - di circa 22,5 milioni di euro (il 25% di 90 milioni di euro) a cui, sommando una rivalutazione del bene pari almeno all’inflazione per dieci anni, si arriva a 30 milioni di euro contro i tre attuali.
Per diventare operativo l’accordo è vincolato all’approvazione di un piano urbanistico che escluda attività produttive insalubri e contempli la destinazione a verde e parco urbano di una superficie minima pari alla metà di quella oggetto di urbanizzazione. Il master plan dell’Expo 2015 «allo stato attuale - spiega Giancarlo Tancredi, dirigente del settore progetti strategici del Comune di Milano - prevede un’area "rossa" di oltre un milione di metri quadrati dove per intenderci si pagherà il biglietto e un’area "blu" delle stesse dimensioni dove verranno realizzate tutte le opere in qualche modo accessorie alla manifestazione stessa». Quindi altri 15-20 proprietari di aree adiacenti all’area dell’Expo 2015 potrebbero essere coinvolti nel progetto. Tra questi c’è la Camfin - il cui socio di maggioranza è la Gpi controllata da Marco Tronchetti Provera - proprietaria di un’area di 120mila metri quadrati situata nel Comune di Rho di cui metà a destinazione a uso industriale (ex capannoni) e terziario e metà agricola. Lo scorso 12 settembre il Cda di Camfin ha deliberato la dismissione dell’area, ritenuta non più strategica. Decisione confermata anche dopo la notizia dell’assegnazione dell’Expo.
Altro grande protagonista della vicenda è EuroMilano, proprietario di un’area di 530mila metri quadri (Cascina Merlata) situata nel Comune di Milano, e adiacente al Comune di Rho, comprata l’anno scorso prima che si mettesse in moto la macchina organizzatrice della candidatura. Rilevata dalla società Ecce l’area ospiterà il villaggio dell’Expo. «La nostra acquisizione - spiega Chiara Elena Gerosa di EuroMilano - va inquadrata nella strategia di puntare sullo sviluppo del quadrante nord ovest di Milano. Siamo partiti con l’area di via Palizzi dove abbiamo realizzato il progetto Milano Certosa, trasformando un’area dismessa di oltre 450 mila metri quadri fino a pochi anni fa occupata dagli impianti delle raffinerie Fina». Altro importante progetto il recupero e la ridefinizione della Bovisa, storico quartiere industriale milanese dove EuroMilano sta realizzando una sede del Politecnico di Milano (60mila mq) e dove ha già realizzato in comodato d’uso per tre anni la Triennale Bovisa, aperta lo scorso novembre e già visitata da 44mila appassionati d’arte.
Ovviamente tra i protagonisti c’è anche la Fondazione Fiera Milano. A fronte delle opere di urbanizzazione realizzate sull’intera area di sua proprietà (oltre 600mila mq) il Comune di Milano ne conserverà a titolo definitivo 55 mila metri quadrati sui quali verrà costruita una torre, elemento architettonico emblematico che sarà mantenuta anche dopo la chiusura della manifestazione. Terminata l’Expo gli edifici e le strutture permanenti verranno destinati al pubblico utilizzo, mentre quelli temporanei saranno abbattuti a spese del Comune di Milano. Il terzo e ultimo proprietario delle aree oggetto della cessione del diritto di superficie sono le Poste italiane, uno dei sette esprioprianti dell’originale tenuta Cabassi, che si sposteranno lasciando un’area di 80mila metri quadrati al Comune di Milano.
Expo: un’occasione, certo. Ma per fare cosa? Data di pubblicazione: 01.04.2008
Autore: Bottini, Fabrizio
Alla fine l’area milanese ha ottenuto l’Expo 2015: se lo merita, il ruolo di capitale mondiale dell’alimentazione, e del relativo equilibrio del territorio? Il dubbio è lecito
Come ci ripetono i suoi più decisi sostenitori, il progetto dell’esposizione universale che coinvolge la regione padana centrale che fa capo a Milano si è imposto per la forza delle sue idee. Che riassumendo riguardano: Qualità e certezza dell’alimentazione, cibo sano e acqua potabile; Eliminare fame, sete, malnutrizione che colpiscono oggi 850 milioni di persone Prevenire le nuove malattie sociali, obesità, patologie cardiovascolari, tumori; Innovare la filiera alimentare, le caratteristiche nutritive, conservazione e distribuzione; Favorire nuovi stili di vita; Valorizzare la conoscenza delle “tradizioni alimentari”.
Salta immediatamente all’occhio, la quasi totale corrispondenza di questi temi con il dibattito che, non certo solo negli ultimi anni, attraversa le discipline territoriali, in particolare - ma non solo - quello relativo al contenimento del consumo di suolo e sulla critica al modello dell’insediamento diffuso o sprawl. Qualità e certezza dell’alimentazione e dell’acqua rinviano a una ampia disponibilità di spazi, risorse, superfici, ad una loro localizzazione strategica rispetto agli insediamenti serviti. Il tema della malnutrizione richiama immediatamente la dicotomia megalopoli- slum globale e abbandono delle campagne nei paesi in via di sviluppo, per non parlare delle recentissime accese discussioni sulla conversione di superfici a biocarburanti. La salute degli abitanti è ormai argomento corrente negli studi su pianificazione e progettazione fisica degli insediamenti, dopo la serie di studi che dal Nord America all’Europa mettono in diretta relazione forma urbana e alcune patologie diffuse. La filiera alimentare evoca il tema della distribuzione, sia nei suoi aspetti di scala più vasta (le grandi reti di trasporto, i tempi, i costi ambientali), sia la dimensione regionale-locale del commercio, dalla sua attuale dipendenza dal trasporto stradale (le merci, la mobilità degli utenti) e dal modello ubiquo e assai discusso dello shopping mall.
Infine, stili di vita e tradizioni alimentari non possono che evocare il fenomeno, che si spera vada ben oltre la moda, del “movimento per la dieta delle cento miglia”, così strettamente legato ai rapporti sociali e territoriali fra città e campagna, al recupero in senso moderno e innovativo di un rapporto diretto col mondo agricolo, al relativo contrasto dell’espansione e sviluppo secondo il modello di sprawl a macchia d’olio. Tutte queste idee, che hanno determinato il successo dell’opzione centro-padana per l’Expo, sono ad esempio ben rappresentate anche nella composizione del comitato scientifico: basta pensare a Carlo Petrini, che non da ieri attraverso Slow Food promuove un coerente approccio al territorio e all’ambiente, o a Claudia Sorlini, il cui curriculum di ricerca tocca anche importanti studi sul rapporto fra società e insediamenti. E non mancano nemmeno, nel dibattito recente e in corso, diffusi e importanti contributi sui temi territoriali e ambientali evocati dall’esposizione: dalle ricerche sui rapporti fra urbanizzazione e agricoltura nell’area vasta, a quelle sul consumo di suolo e introduzione di meccanismi anche normativi in grado di contenerlo al massimo, infine ai temi affrontati dalla pianificazione di coordinamento, con la grande attenzione alla continuità e tutela dei corridoi ecologici e dei sistemi ambientali a scala metropolitana. Fin qui, gli aspetti positivi, evidentemente quelli che hanno determinato il successo del progetto, e che favoriranno un grande afflusso di risorse in grado, come si afferma, di “rilanciare Milano”.
Resta però più di una perplessità, pur senza negare l’evidenza di quanto riassunto sopra: quale sarà in effetti l’orientamento di questo “rilancio”? La storia recente non propone ottimi esempi da questo punto di vista. Gli eventi speciali, come i Mondiali di calcio o il Giubileo, anche senza guardare a contraddizioni o distorsioni (certo quasi inevitabili viste le dimensioni degli interessi mobilitati) si sono caratterizzati prima, durante e dopo, come occasioni perse sul versante di una trasformazione virtuosa e complessiva delle città e delle infrastrutture. Le procedure speciali attivate per queste occasioni hanno funzionato solo per accelerare interventi isolati e puntuali, spesso discutibili nel metodo e nel merito, senza configurarsi - come invece accaduto in altri contesti europei e non - come attuazione di un disegno globale, nel quale l’occasione si inserisce organicamente in quanto tale. Sempre per non parlare appunto del fatto che, come ha osservato Luigi Scano, storicamente questo genere di eventi nel nostro paese “ viene cupidamente visto come una nuova occasione per riproporre un vecchio e adusato gioco: prendere le mosse da una circostanza "straordinaria" per attivare ingenti investimenti, totalmente o prevalentemente pubblici, essenzialmente nel comparto delle opere edificatorie, assumendo l’urgenza e la ristrettezza dei tempi disponibili, l’assenza di coerenti e funzionali previsioni sedimentate negli strumenti di pianificazione e di programmazione, e anche la farraginosità (presunta, e anche reale) delle ordinarie disposizioni di merito, le carenze dei sistemi decisionali politici e delle amministrazioni, come ragioni per sospendere l’efficacia del maggior numero possibile di regole” (*).
A Milano e nella sua regione urbana, anche le ultime evoluzioni in termini di dibattito sul futuro del territorio sembrano andare in una direzione diametralmente opposta: sia dal punto di vista del coordinamento di area vasta, sia nel merito specifico dei temi sollevati dall’Expo. Basta pensare al recente scontro, ancora non risolto, sul ruolo dei parchi nel sistema insediativo regionale. Dove le stesse istituzioni che hanno promosso e sostenuto il grande progetto dell’Esposizione, si sono fatte esplicitamente portatrici di un’idea quantomeno contraddittoria. Nell’ordine: il comune di Milano che considera la greenbelt agricola metropolitana una interferenza nei propri programmi di espansione urbanistica, anziché un indispensabile polmone per un sistema insediativi fra i più congestionati d’Europa; la Provincia, che recentemente (e proprio in relazione anche se indiretta con l’Expo) con una discutibile procedura ha avallato “in via eccezionale” proprio uno dei grandi progetti di espansione del comune capoluogo in area agricola, realizzando forse i presupposti per nuove pressioni in questo senso; infine la Regione, che con una proposta modifica alla legge sul territorio voleva e forse ancora vuole estendere a tutti i comuni la possibilità di modificare i confini di un parco a vantaggio dell’espansione urbana, anche quando l’ente parco si oppone. Oppure, a dimensione più vasta, ma non meno direttamente connessa alle medesime tematiche, il recente emergere della contraddizione fra la grande crisi dell’ hub aeroportuale di Malpensa, e il parallelo moltiplicarsi di scali locali (e relative infrastrutture e insediamenti di servizio) in territori che competono l’uno con l’altro, e in assenza di una seria programmazione attenta, ancora, al contenimento dei consumi di suolo, alla tutela delle risorse naturali, al mantenimento delle reti ecologiche e dei grandi sistemi agricoli padani. Tutto questo, anche indipendentemente dalle scelte di merito, entro un contesto culturale e politico che da molti anni appare interpretare spesso (se non sistematicamente) l’interesse generale come somma di interessi particolari, e coerentemente a questo approccio il piano come somma di progetti, come dimostrano le vicende recenti e meno recenti di enormi trasformazioni urbanistiche, che hanno sconvolto e radicalmente trasformato l’assetto della città centrale e dell’intera area metropolitana (ultimo, il “recupero” degli spazi della Fiera coi discutibili e molto discussi grattacieli) sulla base di puri interessi privati, e in assenza di una cornice generale, vista la mancanza di un piano regolatore cittadino aggiornato.
Guardando gli schizzi dell’insediamento dell’Expo 2015 pubblicati in questi giorni sui quotidiani, possono anche tornare alla mente le diversissime, ma in fondo analoghe, immagini in bianco e nero di un’altra esposizione mondiale, quella di New York di fine anni ’30, dove la General Motors organizzò il padiglione di maggior successo, intitolato Futurama. Nelle immagini, plastici, nel percorso “a giostra” proposto ai milioni di visitatori che si precipitarono quell’anno alla fiera, le immagini del futuro: autostrade, torri scintillanti, villette con lo steccato bianco, centri commerciali, e naturalmente tante automobili di tanti modelli diversi a fare da collante al tutto. All’alba del XXI secolo, sappiamo quali sono stati gli sviluppi di quel Futurama, al punto che si moltiplicano non solo le critiche al modello insediativo-ambientale diffuso e ad alto consumo energetico dello sprawl suburbano (ormai esportato ovunque) che quelle immagini deliberatamente auspicavano, ma anche a livello legislativo in tutto il mondo aumentano i tentativi di disincentivare quel “sogno”. Le idee che hanno determinato la scelta di Milano, sembrano andare proprio in questa direzione: riusciranno davvero ad affermarsi nelle pratiche, oppure resteranno affermazioni di principio? La sfida, per l’ambiente e il territorio, è naturalmente ancora aperta, ma resta tutto da vedere in che modo si schiereranno i protagonisti. Come si dice, la speranza è l’ultima a morire.
Nota: un’opinione positiva e propositiva sull’Expo è anche quella sostenuta, da sinistra, da Antonello Boatti in un articolo pubblicato da il manifesto; del tutto opposti nelle prospettive i timori per una "sciagura da evitare", del Comitato No Expo. Per chi volesse infine vedere qualcosa di più del citato padiglione Futurama dell’esposizione 1939-40 a New York, disponibile su YouTube un interessantissimo filmato promozionale d’epoca in due parti (f.b.)FUTURAMA 1FUTURAMA 2 --- ripresa parziale, cliccare sulla zona rossa.
Expo 2015, la vittoria di Milano vale 65mila nuovi posti di lavoro Prodi: successo del governo e dell’Italia *
Milano si è aggiudicata l’Esposizione mondiale del 2015. La città italiana ha vinto la sfida mediterranea con la turca Smirne ottenendo 86 voti su 151 paesi votanti. Un successo che frutterà, secondo le stime, oltre 20 miliardi di euro di investimenti, più di 29 milioni di visitatori, almeno 44 miliardi di euro di fatturato in più per le imprese milanesi e 65mila posti di lavoro.
Prima un urlo, quindi un fragoroso applauso e una corsa ad abbracciarsi nei corridoi del Palazzo dei congressi di Parigi, alla proclamazione dei risultati. Per il presidente della Repubblica Giorgio Napoletano, «il brillante risultato odierno premia lo sforzo comune e la vincente strategia di cooperazione fra tutte le Istituzioni interessate, confermando come l’eccellenza del sistema Italia sia pienamente riconosciuta ed apprezzata a livello internazionale». Prime telefonate di congratulazioni al sindaco Letizia Moratti e al premier Romano Prodi, che parla di «un successo del governo e dell’Italia» e sottolinea il suo impegno personale nella caccia al sostegno dei delegati: «Ho passato gli ultimi giorni a fare telefonate su telefonate di richiamo».
Immancabile la coda polemica, con Berlusconi che sottolinea: «Sono lieto. Ma non è certo merito di Prodi». E Veltroni che lo rimbecca: «Provo amarezza e sconcerto nel vedere che anche nell’occasione di una grande vittoria di tutto il Paese, invece di festeggiare si sia utilizzato questo momento per fare basse polemiche elettorali».
A sostegno della sua candidatura, Milano ha presentato un progetto, apprezzato anche dai premi Nobel Al Gore, Muhammad Yunus e Amartya Sen, legato al tema «Nutrire il pianeta - energia per la vita». Per il ministro degli esteri Massimo D’Alema servirà «a dare riposta al bisogno di alimentazione e di risorse agricole» offrendo «formazione in settori importanti per i Paesi in via sviluppo: dal turismo alle biotecnologie». La manifestazione si dovrebbe tenere nell’area della fiera di Rho-Pero con un’ area espositiva di 1,7 milioni di metri quadrati.
Secondo il presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati, l’impegno per la candidatura di Milano «è stato un momento in cui il Paese per la prima volta negli ultimi tempi è riuscito a fare sistema, con istituzioni locali, mondo associativo, imprenditoriale e governo insieme».
* l’Unità, Pubblicato il: 31.03.08, Modificato il: 31.03.08 alle ore 21.04
Con 86 voti contro i 65 ottenuti da Smirne, l’Italia si aggiudica l’esposizione universale
Letizia Moratti: "Sono contenta per la città, ma anche per tutto il mondo"
L’Expo del 2015 si farà a Milano
Napolitano: "Orgoglio per l’Italia"
Prodi: "Successo del governo". D’Alema: "Operazione corale"
Berlusconi: "Molto lieto, ma certo non è merito del premier"
PARIGI - L’urlo, l’applauso, gli abbracci. Così la delegazione italiana ha accolto la notizia della vittoria di Milano per l’Expo 2015, come deciso dal Bureau des Expositions riunito oggi al Palais de Congrès di Parigi. L’Italia ha battuto la Turchia e la sua candidata Smirne per 86 voti a 65. Gelata la delegazione turca (tra gli altri, il presidente della Repubblica Abdullah Gul e il ministro degli Esteri Ali Babacan). Anche perché poco prima, a Smirne e nel paese, erano partiti i festeggiamenti per la notizia, non confermata, che la vittoria era andata alla città turca. "Un po’ di paura l’abbiamo avuta", ha detto Romano Prodi, che con il sindaco di Milano Letizia Moratti, il ministro degli Esteri Massimo D’Alema e il ministro del Commercio estero Emma Bonino ha partecipato alla "finale" parigina. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha telefonato a Prodi e Moratti. E una nota del Quirinale parla di un "motivo di orgoglio per l’Italia intera".
La soddisfazione degli italiani. "Ci ho creduto proprio - dice Moratti - sono contenta per Milano e per tutto il mondo, perché sarà un’esposizione per il mondo". D’Alema sottolinea che con l’Expo si allunga la lista dei successi internazionali dell’Italia, ma anche "la coralità" di un’operazione di successo. "Certamente - chiosa Prodi - è un successo del governo, ma l’ingrediente segreto è stato l’unità". Non è d’accordo Silvio Berlusconi: "E’ una cosa importante per Milano e per l’Italia - commenta - sono lieto di questa notizia dopo il disastro della Campania" ma "certo non è per merito di Prodi".
La battaglia diplomatica. La maratona diplomatica italiana è andata avanti fino a poco prima del voto. D’Alema, Bonino e Moratti sono stati impegnati in una serie di colloqui bilaterali con l’obiettivo di spezzare il "fronte asiatico" su cui contava la città turca. Il ministro degli Esteri ha incontrato, fra gli altri, le delegazioni giapponese, nordcoreana e delle isole Fiji. Ruolo importante anche per le delegazioni africane, vera posta in palio insieme a buona parte delle rappresentanze europee.
Il timore di colpi di coda. Smirne e Milano si contendevano un evento che vale più di 4 miliardi di euro di investimenti e 70 mila posti di lavoro. A poche ore dal voto il clima era "molto positivo", aveva detto la delegazione italiana, impegnata in un capillare lavoro di consolidamento per evitare colpi di coda che Smirne avrebbe potuto tentare, cercando di compattare il mondo musulmano (operazione fallita durante l’assemblea dell’Organizzazione della conferenza islamica a metà marzo) o di conquistare gli indecisi.
Effetti speciali e testimonial. Nella mezz’ora di presentazione della candidatura, Milano ha sfoderato effetti speciali e testimonial d’eccezione. Il musicista Youssou N’Dour ha rivolto un appello ai delegati: "Quello di Milano è un progetto importante per dare lavoro all’Africa. Non date aiuto, ma lavoro attraverso il microcredito". L’architetto Daniel Libeskind si è detto certo che la città, "da sempre aperta al moderno, lo sarà anche per l’Expo". Il calciatore del Milan Clarence Seedorf ha sottolineato che "ognuno di noi può fare la differenza nell’aiutare gli altri, Milano sta facendo molto e può fare ancora di più". Il premio Nobel per la pace Al Gore ha detto che "il progetto di Milano è solido, costruito con l’obiettivo di un impatto ambientale pari a zero". Due ballerini hanno "disegnato" con un laser nomi e loghi delle città che hanno ospitato l’Expo, concludendo con Milano, accolti da un’ovazione. Gli interventi di Prodi, D’Alema, Moratti e Formigoni, poi sul palco Andrea Bocelli e il Coro dell’Antoniano. Il commento di Jean Pierre Lafon, presidente del Bie: "Una presentazione formidabile".
Expo, i numeri. La scommessa di Milano poggia su grandi numeri. Sono 120 i paesi espositori, 70 mila i posti di lavoro, 160 mila i visitatori previsti al giorno e 29 milioni nei sei mesi dell’esposizione. E ancora: lo spazio occupato dai nuovi padiglioni, accanto alla nuova fiera di Rho-Pero, è di un milione 700 mila metri quadrati; previsti oltre 3 miliardi in interventi infrastrutturali (28% dai privati, 26% dagli enti locali, 46% dallo Stato), 270 milioni per la rete metropolitana, 72 milioni per nuovi parcheggi, 81 milioni per un villaggio residenziale, 60 milioni in opere tecnologiche.
* la Repubblica, 31 marzo 2008.
IL COMMENTO
Un lavoro di squadra
di ROBERTO RHO *
Pronostici rispettati, vittoria larga: Milano ospiterà, dal maggio al settembre del 2015, l’Esposizione Universale. All’obiettivo hanno lavorato, per una volta in sintonia fine, il governo Prodi e le amministrazioni locali, il sindaco Letizia Moratti, il governatore Roberto Formigoni, il presidente della Provincia Filippo Penati. Un progetto, abilmente confezionato, di mille pagine, pieno di numeri e soprattutto di promesse, un anno e mezzo di lavoro diplomatico, in giro per il mondo a incrociare le armi con il poderoso esercito diplomatico messo in campo dall’avversaria Smirne, che qualche buona carta da mettere sul tavolo - più geopolitica che di sostanza - in realtà l’aveva. Ma la disparità dei contendenti era tale che il successo è arrivato, e in proporzioni anche più ampie di quanto previsto alla vigilia. Ed è un successo nazionale, oltre che milanese.
Ora, però, comincia la parte più difficile del lavoro. Ci sono sette anni di tempo per tradurre quelle promesse in gesti di governo. Perché sarà anche vero, come ha ripetuto all’infinito il sindaco Moratti, che quello del 2015 sarà l’Expo di tutti, non solo di Milano. Ma è Milano che dovrà ospitare per quattro mesi 120 paesi espositori, 29 milioni di visitatori, e, prima di allora, gestire un enorme flusso di denaro - tra investimenti diretti, indiretti e indotto un totale di almeno 20 miliardi di euro - per adeguare non solo il polo fieristico ma anche tutte le infrastrutture di collegamento, per scrivere quel progetto di città che oggi non si vede, per condividerlo con chi a Milano vive e lavora, per creare strutture che vivano oltre il 2015, in armonia con l’ambiente e con tutto quello che sta intorno. L’opportunità di ridisegnare la città - sulla base di un’idea che oggi non c’è, e che dovrà necessariamente uscire dal confronto con tutti coloro che, a vario titolo, allo sviluppo della città sono interessati - è straordinaria, ma almeno altrettanto grande è il rischio di sprecarla o, peggio, di usarla male.
* la Repubblica, 31 marzo 2008.
Expo 2015, a Parigi sono tutti sicuri di vincere
di Toni Fontana *
Più che in un’area dove si gioca una partita da 20 miliardi di euro, dove si decide se, tra sette anni, 29 milioni di abitanti del pianeta scenderanno da aerei atterrati a Malpensa e Linate o, invece, a Istanbul e Antalia, qui, al Palais des Congrès di Parigi, sembra di essere nei corridoi del Teatro delle Vittorie. Un regista con la tuta azzurra con la scritta Italia dirige le prove di 50 bambine e bambini dell’Antoniano. Un faretto li illumina e ciascuno, in inglese, recita uno degli obiettivi del Millennio dell’Onu (da raggiungere entro il 2105). «Parità tra uomo e donna» - dice una bambina che ha perso da poco i dentini, «global partnership» dice un’altra che sembra Pippi Calzelunghe. Alle spalle un maxischermo mostra i loro coetanei africani, sorridenti e decisi a conquistare un futuro migliore. Beata l’ingenuità di questi bambini che oggi accoglieranno Al Gore, Prodi, D’Alema, la sindaca Moratti, i presidenti Formigoni e Penati.
Ma qui non siamo allo Zecchino d’Oro e la partita si fa di ora in ora più dura. Si sa che i più corteggiati sono gli africani (come il Burundi), molti dei quali, arrivati per ultimi nell’affollata famiglia del Bie (Bureau International del Expositions, 153 soci, maggioranza 77) che lunedì, intorno alle 17,30 renderà noto il verdetto. Partecipando in serata ad una festa organizzata all’Operà, il ministro degli Esteri Massimo D’Alema ha lodato «il bel lavoro comune» ed ha sottolineato come «la competizione con la Turchia non ha logorato il rapporto con Ankara».
La partita è importante e sgambetti e veleni non sono mancati. Il sindaco di Izmir (Smirne) ha organizzato una cena a base di kebab ed ha ironizzato sulle mozzarelle italiane (da Ankara arriveranno quattro ministri ed il presidente Gul). Si dice che anche gli 007 turchi abbiamo piazzato cimici nella torre dell’Hotel La Fayette-Concorde (che confina con il palazzo dei Congressi) per carpire segreti di delegati africani o di quelli provenienti dalle più sperdute isole del Pacifico. Non è esagerato crederci. Partiti in ritardo i turchi hanno tentato, fallendo, di raccogliere voti tra arabi e musulmani. Ci sono riusciti con Israele, con alcuni europei, e una pattuglia di stati dell’Oceania. La Germania, che ospita una folta comunità di turchi, voterà per Smirne, come la Polonia, e, stranamente, la Grecia.
Per l’Italia si sono schierate la Francia (almeno oggi Berlusconi può stare zitto su Air France?), la Spagna di Zapatero e l’Ungheria; si sa che molti africani si schierano per la candidatura milanese e, dall’altro emisfero, è arrivato il sì del Cile della Bachelet. Pare che il vantaggio italiano sulla Turchia sia di 10-15 punti, ma - ci dice un’autorevole fonte diplomatica in contatto con Ankara - «i turchi sono sicuri di vincere». Anche gli italiani, che però tengono la bocca cucita.
Un dato induce all’ottimismo: il progetto milanese è di ottima qualità. Nell’ottobre scorso i dirigenti del Bie sono venuti in visita in Italia e Carmen Sylvain, canadese, presidente del comitato esecutivo, ha definito il programma italiano «di grande pertinenza internazionale, ben costruito, forte del grande sostegno del governo e della popolazione». In effetti il presidente Napolitano ha parlato della candidatura nei suoi viaggi in Africa e in Cile, altrettanto hanno fatto Prodi e D’Alema che, alla Farnesina, ha creato un “coordinamento generale”. Gli ambasciatori guidati da Claudio Moreno, hanno fatto il giro del mondo. «Abbiamo difeso e sostenuto l’interesse nazionale - osserva il sottosegretario agli Esteri Vittorio Craxi - oggi sapremo qual è il giudizio di tanti Paesi che abbiamo visitato». Sono state inviate missioni in più di 120 stati, in molti casi i diplomatici si sono presentati assieme alla sindaca Moratti, ai presidenti della Regione Formigoni e della Provincia Penati. Per una volta l’Italia si è mossa facendo gioco di squadra. Lo ha fatto notare Romano Prodi in partenza per Parigi: «Il progetto migliore è quello di Milano - ha detto il premier - tutta Italia si è trovata unita in questa grande battaglia. L’Expo sarà il simbolo per un grande rilancio di Milano».
Il progetto italiano è centrato sul tema «nutrire il pianeta, energia per la vita». In tutte le capitali sono stati concordati progetti di cooperazione, iniziative di formazione, sono stati stabiliti contatti con gli ambienti scientifici. Il piano è piaciuto al Nobel per la pace Al Gore (lunedì siederà accanto a Prodi e D’Alema), ai Nobel Muhammad Yunus e Amartya Sen (atteso a Parigi), a Jacques Attali. Oggi la presentazione sarà aperta dal cantante africano Youssou N’Dour e chiusa da Andrea Bocelli che canterà Because we believe, scritta per l’occasione. A Milano maxischermo alla Fabbrica del Vapore in via Procaccini a partire dalle 16. Poi festa grande, per chi vince, al papillon Dauphine.
* l’Unità, Pubblicato il: 31.03.08, Modificato il: 31.03.08 alle ore 14.21
La delegazione italiana in sei ore incontrerà i delegati di cinquanta Paesi
Expo, lotta all’ultimo voto
La Bonino: delusi dalla Ue
Oggi la scelta tra Milano (in testa) e Smirne
Non è la prima volta che il capoluogo lombardo ospita l’Expo universale: nel 1906 a Milano ci fu l’Esposizione internazionale del Sempione (nella foto, una locandina d’epoca). Tutt’altre dimensioni quelle della Esibizione e congresso internazionale della siderurgia, che si svolse nel 1931 *
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI *
PARIGI - È una vigilia senza vigilia. Quelle pancia a terra e pedalare. Perché anche l’ultimo minuto utile prima del voto di questo pomeriggio è «kairos», tempo opportuno. Expo 2015. Sta per scattare la sirena. Alle 14 e 30 Milano e Smirne si affronteranno sul palco del Bureau Internationals des Exposition. Ma prima Romano Prodi, Massimo D’Alema, Emma Bonino, Letizia Moratti e Roberto Formigoni incontreranno la bellezza di cinquanta Paesi in 6 ore, un terzo dei Paesi aderenti al Bie. «È stato un bel lavoro comune - ha affermato D’Alema -. Abbiamo la coscienza tranquilla. Ci piace sottolineare che in questa competizione non si è logorato il rapporto di amicizia con la Turchia». Lotta fino all’ultimo. Si parla di dodici voti di differenza in favore di Milano. Ma la partita è ancora apertissima. Al Saint James, nella War Room della Mo-ratti, si susseguono ambasciatori, ministri e delegati.
Sul corridoio è apparsa una scritta: «Access privè». Mancano solo i cavalli di Frisia, ma l’intelligence turca spaventa. Il presidente del Consiglio Romano Prodi sdrammatizza. «Vinca il migliore. E il migliore è Milano, quindi ce la faremo». Gli risponde a distanza il sorriso beffardo del sindaco di Smirne, Aziz Kocaoglu, quando incontra i giornalisti italiani. Ma a Prodi preme sottolineare un altro punto: «La grande collaborazione che c’è stata sull’Expo è stata un esempio vero di sistema Paese». E oggi sotto i riflettori non ci sarà solo Milano, ma l’Italia intera. Lo conferma anche il sottosegretario agli Esteri, Bobo Craxi: «La questione dell’Expo investe pienamente gli interessi e le prospettive dell’Italia. Quello di oggi sarà un giudizio sull’intero nostro Paese».
Per questo preoccupa l’aggressività turca, il marcamento a uomo dei delegati, le sorprese dell’ultimo momento e anche quegli strani movimenti sulla bufala alla diossina. Il veto, per primo è arrivato dalla Corea, Paese alleato della Turchia, poi si è allargato alla Cina che ormai è data per persa dall’Italia. Anche la Francia, paese vicino a Milano, ha bloccato la vendita, ma è stata solo questione di poche ore. «Siamo consapevoli che in questa candidatura giochi la bellezza del progetto come prerequisito - attacca il ministro Emma Bonino poi però ci sono altre variabili che sfuggono a ogni logica. Sono molta contenta del sì formale degli inglesi. Mi auguro che si tiri dietro il voto di altre nazioni perché le cordate esistono». Stesso concetto per Roberto Formigoni: «Noi abbiamo raggranellato un voto dopo l’altro. Loro avevano pronti pacchetti già bloccati, però non sono riusciti a compattare il mondo islamico. Non ci sono aree che ci siano completamente ostili».
Una sorpresa importante potrebbe arrivare proprio dal Medioriente con il voto dell’Egitto. La delusione più forte invece arriva dal Vecchio Continente e dal ruolo giocato dagli Stati Uniti: «Mi ha deluso l’Europa, come sempre» attacca la Bonino che lancia anche qualche sospetto sul regolamento del Bie che permette ai Paesi di iscriversi fino all’ultimo giorno. «L’Europa e gli Stati Uniti non ci hanno sostenuto un granché» chiosa Formigoni. Gli States non voteranno, ma il loro potere di orientamento è fortissimo e sono note le ragione geopolitiche del sostegno Usa alla Turchia. Ma al di là di questo continua il buon lavoro sui Paesi caraibici (valgono quindici voti) i Paesi del Pacifico e le nazioni africane. Valgono anche i rapporti personali stretti in questi mesi. Quando ieri l’ambasciatrice del Kenia a Parigi si è vista donare un cofanetto di compact disc della Scala con le arie della Callas ha improvvisato un vero ballo di gioia e di ringraziamento. «I love Maria Callas».
Non valgono invece le scaramanzie. Qualche portafortuna: «E perché?» risponde la Moratti, che ricorda: «Non faccio pronostici, come mi ha insegnato mio suocero». «Non ne abbiamo bisogno - chiude Formigoni - Noi "sem lumbard"».
Maurizio Giannattasio
* CORRIERE DELLA SERA, 31 marzo 2008
Ansa» 2008-03-31 09:01
EXPO 2015: MILANO E L’ITALIA SPERANO
PARIGI - Nella splendida cornice del foyer dell’Opera di Parigi, con il concerto di Elisa e una sfilata di Ferré, Milano ha concluso gli appuntamenti ufficiali prima del voto del Bie di oggi per l’assegnazione dell’Expo del 2015. Centinaia gli invitati, con il sindaco Letizia Moratti che ha fatto da padrona di casa ed è arrivata all’Opera accompagnata dai ministri Massimo D’Alema e Emma Bonino. "Sono tranquilla - si è limitata a dire Letizia Moratti -. In questi mesi abbiamo fatto un grande lavoro di squadra. Un lavoro importante su un tema come il nostro per un paese come l’Italia che da sempre ha esercitato la cooperazione". Il sindaco di Milano non ha voluto sbilanciarsi in un pronostico.
Al Palais des Congres di Parigi oggi cerra’ quindi scelto chi tra Milano e Smirne dovrà organizzare l’Expo universale del 2015. Le delegazioni di Milano e Smirne stanno cercando di assestare gli ultimi colpi per conquistare la maggioranza del voto dei delegati. La delegazione turca è composta da oltre 400 persone, compreso il presidente della Repubblica e il ministro degli Esteri. Quella italiana è un po’ meno numerosa ma a Parigi sono già arrivati i ministri degli Esteri e del Commercio Estero, Massimo D’Alema ed Emma Bonino.
Oggi e’ atteso anche Romano Prodi, che parteciperà all’assemblea del Bie che si concluderà con la proclamazione del vincitore. In questi mesi Milano e Smirne hanno cercato di conquistare il maggior numero di voti dei Paesi membri, che da 98 sono aumentati a 152 con l’iscrizione di paesi molto piccoli come Nauru, un’isola del Pacifico, che con i suoi 11 mila abitanti è lo stato più piccolo extra-Europa. A 24 ore dal voto, però, la situazione sembra abbastanza fluida e fare una previsione appare molto azzardato. C’é chi dice che Milano abbia un vantaggio di una decina di voti, altri sostengono che ci sia una sostanziale parità.
Milano sembra avere conquistato il voto di molti delegati dei paesi africani e del Sud-America. Il Cile, per esempio, ha affermato pubblicamente che voterà a favore della candidata italiana. In Europa è arrivato il voto dell’Inghilterra che potrebbe portare con sé, in un’azione di lobbing, anche tanti altri paesi. Inoltre, è dato per sicuro il voto dell’Egitto. Nonostante l’Italia sia un paese fondatore dell’Ue, ha dovuto registrare qualche defezione proprio tra i paesi del vecchio continente. La Germania, che al suo interno ha una numerosa comunità turca, ha infatti annunciato il voto a favore di Smirne, di cui l’ex cancelliere tedesco Gerard Schroeder è uno dei testimonial.
Anche la Grecia voterà per il paese geograficamente più vicino, proprio come Israele che ha preferito una scelta dettata da opportunità geopolitiche: favorire la vittoria di un paese con un islam più moderato. Se Romano Prodi ha auspicato che vinca il migliore "cioé Milano", Emma Bonino non è convinta che conti solo il progetto. "Avere un bel progetto è un pre-requisito - ha detto - ma sappiamo che ci sono variabili che sfuggono ad ogni logica". Proprio sul voto di alcuni paesi europei, tra i quali la Germania, Emma Bonino non ha nascosto la sua delusione: "Ancora una volta l’Europa ha deluso come, del resto, aveva fatto in occasione della candidatura della Polonia per l’Expo intermedio del 2012". Il ministro del Commercio Estero, tra l’altro, è convinta che nell’immediato futuro sia necessario discutere sulla gestione del Bie perché "l’esplosione delle adesioni fa pensare".
La decisione per chi votare è ovviamente una scelta che viene fatta dai governi dei paesi membri ance in base alle opportunità geopolitiche. Il voto, però, è segreto e al di là delle dichiarazioni di amicizie di sostegno, è evidente che, soprattutto dai delegati dei piccoli paesi, le posizioni sono imprevedibili. Anche per questo motivo il corteggiamento del delegato è necessario fino all’ultimo istante.
Milano, per esempio, dopo il concerto di ieri sera, nella mezz’ora che avrà a disposizione prima del voto presenterà testimonial d’eccezione: il premio Nobel per la pace Al Gore, Jacques Attali, il musicista africano Youssou N’Dour, Andrea Bocelli con il piccolo Coro dell’Antoniano e, inoltre, dovrebbe essere presente il calciatore del Milan Clarence Seedorf. Smirne, invece, potrà contare, tra gli altri, sull’ex cancelliere Gerard Schroeder (in video) e forse su Roberto Carlos, ex calciatore di Inter e Real Madrid e ora in forza al Fenerbahce.
I giorni più lunghi di Milano
di Gad Lerner (la Repubblica, 30.03.2008)
È mai possibile che una metropoli come Milano si giochi il suo futuro nelle prossime ventiquattro ore, quando il Bureau International des Expositions la metterà in ballottaggio con Smirne a scrutinio segreto? E se malauguratamente la realpolitik globale dovesse favorire i turchi, nonostante il generoso sforzo comune messo in atto dalle istituzioni locali e dal governo nazionale, davvero potremmo dare la colpa all’Alitalia che da oggi taglia del 72 per cento i suoi voli da Malpensa? O magari al discredito gettato dall’incolpevole mozzarella campana su un Expo 2015 dedicato, guarda caso, al tema dell’alimentazione?
Facciamo i debiti scongiuri, confidiamo in una vittoria che è senz’altro alla portata di Milano, ma per favore - nel caso l’esito non fosse quello sperato - evitiamo fin d’ora di abboccare al surreale pesce d’aprile della "congiura contro il Nord".
La coincidenza del 31 marzo 2008, tra il declassamento di Malpensa e la scelta dell’Expo che il sindaco Moratti ha enfatizzato come passaggio decisivo del suo progetto di sviluppo per Milano, semmai ci costringe a una riflessione severa: evidenzia i rischi che corre la metropoli più dinamica del paese, fallito il progetto di farne la capitale di un’inesistente nazione padana.
Il centrodestra che da un ventennio si presenta come politica nordista, governando a lungo pure a Roma, ha lasciato che le spinte centrifughe del territorio prescindessero da un disegno di sistema efficiente. Oscillando fra il laissez faire per le imprese in cerca di diversificazione e l’illusoria protezione di quelle obsolete.
La parola definitiva su Malpensa "hub" del Nord non l’ha pronunciata il ministro Padoa-Schioppa ma il governatore forzista del Veneto, Giancarlo Galan: quel progetto non ci interessa e non ci riguarda. Evviva la sincerità: Milano rischia di andare in panne continuando a pensarsi epicentro di un sistema padano che si è sviluppato felicemente lungo circuiti diversi.
Non è vero che da domani i manager lombardi, piemontesi, veneti, si strapperanno i capelli nell’impossibilità di partire da Malpensa per l’Oriente. Il trasferimento di 886 voli Alitalia a Fiumicino provoca certo disagi e dolorose ricadute occupazionali. Ma molti imprenditori già da tempo preferiscono un’ora d’attesa in più negli scali di Francoforte, Monaco, Londra - volando "point to point" dall’aeroporto di casa propria - agli ingorghi stressanti della Serenissima e della Milano-Laghi. Gli stessi milanesi restano affezionati alla comodità di Linate. Ciò non toglie che un aeroporto come Malpensa, collocato al centro di un’area tra le più industrializzate d’Europa e in prossimità del nuovo Polo fieristico di Rho, mantenga ottime prospettive di rilancio una volta liberato dall’assurda ipoteca dei voli Alitalia (carissimi e in perdita). Purché non si affidi al sogno ricorrente ma fallimentare di una casereccia Air Padania, o peggio di un’Alitalia di nuovo caricata sulle spalle del contribuente.
Il più esplicito nel sottrarsi alla cordata elettorale di Berlusconi - una specie di colletta tra grandi imprese che acquisterebbero così titoli di merito nei confronti del suo prossimo governo - è stato un personaggio non certo sospetto di simpatie a sinistra come Bernardo Caprotti, patron di Esselunga. Che ha definito Alitalia azienda gloriosa ma decotta, ricordandoci come una destra liberista già da tempo avrebbe semmai dovuto invocarne il fallimento. Ma soprattutto ha spiegato che solo una grande compagnia internazionale, con la sua esperienza industriale e con la possibilità di investirvi miliardi, può farne un business profittevole.
Lo stesso manager leghista Giuseppe Bonomi, presidente di Sea Aeroporti Milano, va ripetendo a mezza voce (per non smentire i demagoghi della sua parte politica) che senza alle spalle un solido operatore internazionale la cordata italiana non andrà da nessuna parte. L’Esposizione Internazionale del 2015 che verrà assegnata domani a Parigi costituisce senz’altro un volano di risorse significative. Si parla di 3,7 miliardi di investimenti diretti e di un’attrazione di risorse che sfiora i 20 miliardi. Incrociamo le dita. Ma l’attesa di questi flussi finanziari non impedisce di tracciare un bilancio della transizione post-industriale vissuta dalla più europea fra le metropoli italiane.
Nella città che ha generato la leadership politica e imprenditoriale di Silvio Berlusconi, chi si è arricchito e chi gestisce il potere reale? Vi sono certamente le banche, il cui peso si è accresciuto grazie alla proiezione internazionale ma anche in seguito alla retrocessione delle grandi aziende indebitate. Fatto sta che le famiglie più influenti, anche dopo l’accumulazione straordinaria di cui si sono resi protagonisti alcuni stilisti, restano quelle che gestiscono rendite immobiliari e petrolifere. Le reti attrattive di saperi e di risorse, tipiche delle altre metropoli europee contemporanee, per fortuna esistono anche qui. Ma sopraffatte da potentati speculativi, bisognosi di protezione e poco propensi alla revisione dei privilegi che li avvantaggiano. Pur di tutelarsi nei salotti buoni, sono disposti a investirvi in perdita. Una Malpensa liberata dal monopolio Alitalia e un Expo 2015 sottratto alla consorteria dei soliti noti, costituirebbero un’occasione formidabile di crescita per una Milano finalmente sottratta all’ideologia fasulla della questione settentrionale. Chissà che non possiamo ricordare questo fatidico lunedì 31 marzo 2008 come un passaggio difficile ma felice, oltre il vittimismo e l’assistenzialismo.
L’opportunità e il rischio
di Roberto Rho *
Una straordinaria opportunità, un rischio altissimo. Nel tardo pomeriggio di oggi sapremo se Milano ospiterà, da maggio a settembre del 2015, l’esposizione universale o se il poderoso spiegamento di forze della diplomazia turca sarà riuscito nel miracolo di portare a Smirne l’evento che sta tanto a cuore a Letizia Moratti. Per una volta, le amministrazioni pubbliche italiane, nazionali e locali, hanno marciato compatte verso l’obiettivo.
Fatta eccezione per uno sparuto drappello di irriducibili (raccolti nel comitato No-Expo) la speranza di vincere la corsa è ampiamente condivisa dalla città, dalla politica al mondo dell’impresa, dai commercianti ai tassisti, dalle associazioni fino ai comuni cittadini, perlomeno quelli che sono informati dell’importanza della posta in palio. E non sono molti, giacché i registi dell’operazione Expo (in primis il sindaco) hanno fatto pochissimo per condividere con la città il senso e gli obiettivi della sfida e le ragioni per cui valeva la pena investire un anno e mezzo di lavoro per portare a casa il successo.
Ci sono molte buone ragioni per ritenere che l’Expo a Milano sia una straordinaria opportunità per la città. Le metropoli che hanno ospitato i grandi eventi del recente passato - le Esposizioni, ma anche le Olimpiadi o i grandi tornei internazionali di calcio - quasi sempre ne hanno approfittato per imprimere una svolta allo sviluppo urbanistico, per migliorare le infrastrutture, per allacciare i collegamenti con il mondo.
E poi i quattrini: 4 miliardi di euro di investimenti diretti che pioverebbero sulla città, per rifare il polo espositivo e le infrastrutture di collegamento (e Dio sa se ce n’è bisogno), altrettanti come ricaduta sul sistema economico della regione, altri 10 miliardi per le grandi infrastrutture stradali che si faranno comunque, che si vinca o che si perda, ma alle quali la prospettiva dell’Expo darebbe un impulso forse decisivo, dopo anni di melina burocratica. E ancora, 120 paesi espositori, milioni di visitatori, 70-80mila nuovi posti di lavoro...
Una straordinaria opportunità perché questa città sonnecchia da quindici anni nel dopo-Tangentopoli, senza un piano di sviluppo, senza una regia, scopando sotto il tappeto del luogo comune - l’operosità e l’efficienza milanese - i problemi ambientali, sociali ed economici che in questi anni di verticistica malagestio si vanno pericolosamente accumulando. Un grande evento necessita di un grande progetto, della capacità di condividerlo con tutti i portatori di interessi, di un regista (o meglio, di una cabina di regia), di investimenti e comporta, se ben gestito, benefici per tutti. Una straordinaria opportunità ma, per le stesse ragioni, un grande rischio. Perché, fino ad oggi, Milano non ha un progetto.
Lo sviluppo della città da anni è deciso e cucinato nelle segrete stanze dei sindaci-imprenditori e soprattutto in quelle dei grandi costruttori che si sono spartiti, uno spicchio a testa, i grandi cantieri e che lucrano centinaia di milioni di euro applicando una regola semplice semplice: costruire il numero massimo di metri cubi abitabili nel minimo spazio al suolo, incuranti di concetti trascurabili come vivibilità e compatibilità ambientale. Perché quello presentato ai delegati del Bie, le mille pagine della Moratti, non è un progetto, ma una cartella stampa, ben confezionata, uno strumento di marketing, non un piano per la città. E senza un piano unitario, senza obiettivi chiari, senza un’idea di come e per chi dovrà essere la Milano del 2015, si fa caos, non sviluppo.
Perché la gestione di Letizia Moratti, così come quella del suo predecessore, è stata fin qui attentissima alle sollecitazioni delle grandi lobby di potere, i costruttori, appunto, le imprese e i commercianti, senza il consenso dei quali in città non si muove foglia, e gelidamente incurante del resto. Perché tradizionalmente, quando a Milano piovono miliardi (forse qualcuno ricorderà il precedente di Italia 90), i benefici finiscono invariabilmente nelle tasche di pochi e soliti noti e i problemi si scaricano sulla città. E nessuno, fin qui, ha spiegato quali saranno i criteri con cui sarà gestita l’enorme mole di denaro in arrivo, in caso di vittoria, con particolare riferimento alla trasparenza delle procedure di assegnazione dei progetti e dei lavori e ai filtri di protezione per evitarne un utilizzo disinvolto, per così dire. Forza Milano, porta a casa l’Expo. Poi ci sarà da lavorare.
* la Repubblica, 31 marzo 2008.
Nel progetto, una città più verde, meno inquinata con nuove infrastrutture
Grandi investimenti, ma anche sette anni di cantieri da sopportare
La torre, il parco, miliardi e cantieri
le promesse e i rischi dell’Expò
Il problema del "dopo": come sarà utilizzato quello che resterà?
di GIUSEPPINA PIANO *
MILANO - Una città dove si respira meglio perché emette il 15 per cento in meno di Co2. Dove si viaggia in metrò da Niguarda a San Siro, e da Lorenteggio a Linate. Dove saranno stati spesi 14 miliardi di euro in infrastrutture, autostrade e opere pubbliche. Ma anche una Milano con sette anni di cantieri davanti e 29 milioni di persone in visita nei cinque mesi dell’Esposizione universale dedicata all’alimentazione, previste in media 160mila al giorno con (con punte di 250mila).
Una città da skyline anche verticale, con l’Expo Tower a Rho-Pero a contendere ai giganti di Citylife il record di altezza milanese. E con 11 miliondi di metri quadri di verde in più sparsi per tutte le periferie. Ma anche con un nuovo quartiere residenziale a Rho-Pero, dopo che smontata una parte dei padiglioni tirati su per l’Esposizione, si costruiranno al loro posto case e uffici.
Promesse e cartoline dalla Milano del 2015. Sperando di usare la locomotiva Expo per ripartire. Le stime, a guardare il dossier di candidatura di un migliaio di pagine, parlano di 70mila nuovi posti di lavoro - stima di una ricerca della Bocconi - per costruire tutto l’occorrente. Di quasi quattro miliardi di euro di indotto per il sistema economico locale. Di un’Esposizione universale ecosostenibile, un evento a "impatto zero", dove si viaggerà a idrogeno e si prenderà energia dai pannelli solari.
Ma arrivarci non sarà indolore. C’è tutta l’area della Fiera di Rho-Pero da trasformare in un cantiere a ciclo continuo per accogliere i visitatori. E di certo non aiuta l’umore vedere che oggi, a tre anni dall’apertura del polo sotto la Vela di Fuksas, non siano ancora finiti i lavori per strade e collegamenti intorno.
Il rispetto dei tempi, questo sarà il primo banco di prova per l’operazione-Expo. L’altro sarà trovare, con bandi internazionali, gli architetti che disegneranno le strutture. A partire dalla torre di 200 metri d’altezza che dovrà diventare il simbolo dell’evento. Serviranno architetti, ingegneri, tecnici. Ma serviranno, anche, 36mila volontari che dovranno contribuire all’accoglienza dell’esercito di stranieri che farà tappa a Milano. A tutti sarà chiesto un impegno non più lungo di 16 giorni.
Il dossier da un migliaio di pagine con cui Milano si è candidata a vincere racconta la rivoluzione per Rho-Pero. L’area espositiva dovrà praticamente raddoppiare rispetto a oggi. Allargandosi verso est. Un milione di metri quadrati aperti al pubblico solo per gli spazi espositivi, altrettanti per le strutture di servizio e la logistica (parcheggi, alberghi, ristoranti, bar, un centro congressi). In totale, due milioni di metri quadri da strasformare.
Chi la visiterà, nel 2015, si troverà otto padiglioni per illustrare i progetti espositivi di mezzo mondo sull’alimentazione immersi in un parco, che da solo coprirà circa la metà dell’area giardino all’inglese. Un lago artificiale e ruscelli. Al centro di tutto, cuore e simbolo, la torre con ai lati due "ali" con sale per eventi, seminari, attività culturali, negozi. E pure un "centro ecumenico" per la preghiera. Sopra la torre invece, a 200 metri d’altezza, terrazza panoramica e ristoranti.
Il tutto con padiglioni immersi in un parco di 500mila metri quadrati, la metà dell’area. Ristoranti per 8mila metri quadrati e altrettanti per bar e ristoranti, 2.500 metri quadrati di negozi. Piazza Italia con un anfiteatro all’aperto di 9mila metri quadrati, e un auditorium di 6mila. Verde che dovrebbe aumentare comunque in tutta la città con 11 milioni di parchi in più. Altro capitolo delle promesse.
Ma cinque mesi di Expo non si fermano a Rho-Pero. Il dossier di canditura racconta di tutta una Milano ambientalista. Miracolosamente capace di diminuire del 15 per cento entro il 2012 (e del 20 per cento entro il 2020) le sue emissioni di anidride carbonica e dare una mano contro il gas serra. E se la scossa dell’Ecopass ormai sarà stata ampiamente metabolizzata, dovrà contribuire la bioedilizia, il teleriscaldamento e l’utilizzo dell’acqua di falda. Il tutto, però, contando sul fatto che nel frattempo le sempre attese infrastrutture, dalla Brebemi alla Pedemontana, alla Tav e alle metropolitane 4 e 5 in città, siano più che pronte per sopportare il peso dei turisti. Un capitolo da non meno di 10 miliardi di euro di investimenti pubblici in cantieri.
Solo per l’Expo serviranno quattro miliardi di euro, per costruire l’area fieristica e i collegamenti, 530mila metri quadrati di parcheggi e la ricettività. Quasi altrettanti torneranno però come indotto assicurato dalla vetrina internazionale e dall’afflusso dei visitatori. L’Esposizione in sé, tra affitto dei padiglioni, sponsorizzazioni e vendita dei biglietti d’ingresso, garantirà invece circa 900 milioni di euro.
La Milano del 2015 non sarà un’altra città ma almeno, oggi, spera di usare la locomotiva Expo per crescere.
Altro, fondamentale capitolo, è quello sull’eredità. Qui molte sono le incognite. Si sa che a Rho-Pero resterà il parco, resterà la torre che dovrà essere rigenerata come spazio culturale e sociale. Resteranno altri padiglioni ed edifici di servizio. Ma la loro rigenerazione pubblica, oggi, è ancora tutta da inventare. Il punto è che la maggior parte dei padiglioni verrà smontata. Le aree date in prestito al Comune torneranno ai loro proprietari, privati, ovvero la Fiera e il gruppo Cabassi. E là dove fino a oggi non si poteva costruire, in una zona vincolata dal piano regolatore per uso agricolo, potranno farci un nuovo quartiere residenziale.
* la Repubblica, 31 marzo 2008.