RAPPORTO CENSIS
Da dove arriva quella «percezione della paura» che allarma così tanto gli italiani? Da tv, tg, fiction e varietà, più che dal crimine: lo sostiene la ricercatrice Elisa Manna in uno studio che sarà presentato in un summit a settembre
Rapporto Censis: il telecomando della paura
di Silvia Garambois (l’Unità, 05.07.2008)
Da dove arriva la nostra quotidiana paura? Quella «percezione della paura», spropositata rispetto ai dati del crimine, incomparabile nel confronto con le ansie dei cittadini americani o del resto d’Europa? Quella che - anche - ha aiutato il centro destra a vincere le elezioni? Su questa angoscia che corre sottopelle, hanno responsabilità i giornali, ha delle «colpe» la tv?
Elisa Manna, ricercatrice del Censis, studiosa dei media e di come ne rappresentano la società, nella relazione che sta preparando per il World Social Summit che si svolgerà a settembre a Roma, ha abolito ogni punto di domanda.
Anzi, ci racconta «come» i media italiani amplificano la paura. Lo fa analizzando i telegiornali, i varietà, le fiction, e la loro rappresentazione della realtà. E non ci va leggera: «Una melma vischiosa e putrida di violenze familiari - scrive -, di raptus, di abusi su bambini indifesi, di "seminfermità mentali” inonda le televisioni ogni giorno, invade intere pagine di quotidiani, si installa saldamente nelle “fasce protette” della tv, assuefacendo piccoli telespettatori di ogni età alle nefandezze della vita più oscure e irriferibili».
Il summit mondiale, organizzato dalla Fondazione Roma con la collaborazione del Censis, ha convocato sociologi, economisti, scrittori, premi Nobel ai «Dialoghi per combattere le paure planetarie», e nella preparazione dell’evento - tra tanti temi - il ruolo dei media risulta assolutamente centrale. È vero che la cronaca nera suscita, da sempre, caldissime attenzioni nel pubblico; non c’è estate a memoria d’uomo in cui un «giallo» non abbia impegnato giornali, tv e chiacchiere da ombrellone; ma in questi anni - secondo la ricercatrice - il meccanismo è come impazzito, «e il giallo dell’estate ormai - ci dice - dura tutta l’anno».
Possibile che ci sia tanta colpa nella tv?
«In preparazione del summit abbiamo ripreso in mano, guardandole da un’altra angolatura, le ricerche di questi anni: in particolare una commissionata dalla Rai nel 2002 sulla rappresentazione dei bambini e del dolore in tv e un’altra, recentissima, realizzata con l’Unione europea su donne e media. Ebbene, nel 47,4% dei casi il bambino viene rappresentato come vittima di un omicidio, mentre la donna compare nei telegiornali prevalentemente come vittima di casi di cronaca nera, addirittura nel 67,8% dei casi. Questo utilizzo dell’immagine dei minori e delle donne veicola una dimensione di ansia sociale e di preoccupazione, per la sicurezza, per l’incolumità fisica. Trent’anni fa nessuna ragazza avrebbe mai detto "non posso andare nel tal posto perché è pericoloso". Oggi invece anche le più giovani hanno interiorizzato che c’è lo stupratore in agguato, l’extracomunitario pronto ad aggredirle. Per carità: gli stupri ci sono! Ma in tv e sui giornali, riguardo alle donne, si parla solo di quello».
Cioè una rappresentazione falsata della realtà...
«La donna-vittima intriga, incuriosisce; forse solo il bambino-vittima la batte in termini di appeal mediatico. Le donne nei media italiani sono particolarmente deformate rispetto a quel che avviene negli altri Paesi, ci se ne accorge persino girando l’Europa da turisti e guardando i cartelloni pubblicitari... Il primo dato che in Italia balza agli occhi è che alle donne patinate e rutilanti della pubblicità, giovani e belle (quando non volgari), dove si arriva all’azzeramento della figura femminile che diventa solo un oggetto, si affianca l’altra immagine della protagonista della cronaca nera, vittima di violenza e di stupro, o donna-strega, donna malefica. Le donne della realtà, invece, praticamente non esistono: non sono abbastanza spettacolari!».
E i bambini?
«Una situazione speculare: o bello, biondo e riccioluto o vittima. Nei fatti, sempre un ruolo sociale non riconosciuto. Addirittura l’analisi che abbiamo fatto sulle rubriche di approfondimento, che dovrebbe essere la programmazione più "nobile", ci ha mostrato nei numeri che quando viene invitata una donna come esperto - a parte quelle che appartengono a una "nicchia" professionale (sociologhe, psicologhe) - si tratta soprattutto di astrologhe o esperte di cucina: è l’archetipo della donna a contatto con la natura, della maga, che non ha niente a che vedere con quello che hanno rappresentato nella società le donne negli ultimi trent’anni. Se serve un esperto di biotecnologie, invece, si chiama un uomo... In tv si utilizzano parametri che non sono neppure "maschili", ma rivolti a un maschio mediocre, e che non rispondono alle esigenze e alle professionalità acquisite dalle donne».
Lei mette sotto accusa la tv anche per la ricerca dei particolari inquietanti.
«In certi casi le immagini danno senso alla notizia, ma la maggior parte è assolutamente strumentale, e spesso sono un vero colpo allo stomaco. C’è un salto di "anti-qualità" nell’informazione, con una morbosità sui dettagli sanguinolenti che a volte è veramente impressionante. Se si è solo un po’ distratti si salta dai Ris del telegiornale a quelli della fiction senza neppure rendersene conto».
Fearless: dialoghi per combattere le paure planetarie
24-26 settembre 2008 - Villa Miani - Via Trionfale, 151 - Roma
Il World Social Summit è una iniziativa della Fondazione Roma realizzata in collaborazione con la Fondazione Censis. Ha l’obiettivo di creare un momento di confronto e di discussione a livello mondiale sulle numerose questioni che stanno segnando l’evoluzione sociale, mettendo a confronto figure di prestigio internazionale, come premi Nobel, studiosi, ricercatori, imprenditori e rappresentanti delle istituzioni nazionali e internazionali.
Per informazioni e prenotazioni: www.worldsocialsummit.org
Cavarero, Adriana, Orrorismo ovvero della violenza sull’inerme (Recensione di Monica Fiorini).
ORRORISMO (LA BOTTE DI DIOGENE-BLOG FILOSOFICO).
Giovani, web e anziani
Il popolo dei disobbedienti
di Ilvo Diamanti (la Repubblica, 15 giugno 20119
Il referendum è passato ma i suoi effetti - politici e sociali - dureranno a lungo. Perché il successo del referendum è, a sua volta, effetto di altri processi, maturati in ambito politico e sociale. E perché i referendum hanno sempre marcato le svolte della nostra storia repubblicana.
Fin dal 1946 - quando nasce, appunto, la Repubblica. Poi: nel 1974, il referendum sul divorzio. Il Sessantotto trasferito sul piano dei costumi. La svolta laica e antiautoritaria della società italiana. Nel 1991, giusto vent’anni fa, il referendum sulla preferenza unica per la Camera. È il muro di Berlino che rovina su di noi. Annuncia la fine della Prima Repubblica e l’avvio della Seconda. Nel 1995, il referendum contro la concentrazione delle reti tivù. Dunque, contro la posizione dominante di Berlusconi. Fallisce. E rende difficile, in seguito, ogni azione contro il conflitto di interessi.
Da lì in poi tutti i referendum abrogativi falliscono. A partire da quello dell’aprile 1999. Riguardava l’abolizione della quota proporzionale nella legge elettorale. Non raggiunse il quorum per una manciata di votanti. Sancisce la fine del referendum come metodo di riforma e di cambiamento istituzionale, ad opera della società civile. Perché i referendum sono strumenti di democrazia diretta. Complementari, ma anche critici rispetto alla democrazia rappresentativa. Ai partiti e ai gruppi dirigenti che li guidano. Per questo hanno la capacità di modificare bruscamente il corso della storia. Quando il distacco fra la società civile e la politica diventa troppo largo. Negli ultimi vent’anni questo divario è stato colmato - in modo artefatto - dalla personalizzazione, dallo scambio diretto fra i leader e il popolo, attraverso i media. Ora questo ciclo pare finito. Il referendum di domenica scorsa lo ha detto in modo molto chiaro e diretto.
In attesa di vedere cosa cambierà - a mio avviso, molto presto - proviamo a capire cosa sia avvenuto e perché.
1. Il referendum, come avevamo già scritto, è il terzo turno di questa lunga e intensa stagione elettorale. Il suo esito è stato, quindi, favorito dai primi due turni. Le amministrative. Dal successo del centrosinistra a Milano, Napoli, Torino, Bologna, Cagliari, Trieste. E dalla parallela sconfitta del Pdl e della Lega. Soprattutto, ma non solo, nel Nord. I referendum erano stati dissociati, temporalmente, dalle amministrative, per ostacolarne la riuscita. È avvenuto esattamente il contrario. Le amministrative hanno agito da moltiplicatore della mobilitazione e della partecipazione. Un effetto boomerang, per il governo, come ha rammentato Gad Lerner all’Infedele.
2. I singoli quesiti posti dai referendum, come di consueto, non sono stati valutati in modo specifico, dagli elettori. La differenza tra proprietà e uso dell’acqua, l’utilità della ricerca nucleare. In secondo piano. Al centro dell’attenzione dei cittadini, altre questioni, non di merito ma sostanziali. Il valore del bene comune. Il bene comune come valore. Ancora: la sicurezza intesa non come "paura dell’altro" ma come tutela dell’ambiente. La ricerca del futuro, per noi e per le generazioni più giovani.
3. Letti in questa chiave, i referendum sono divenuti l’occasione per fare emergere un cambiamento del clima d’opinione, ormai nell’aria - chi non ha il naso chiuso dal pregiudizio lo respirava da tempo. Una svolta mite, annunciata dal voto amministrativo, ribadita dal referendum. Una svolta di linguaggio, di vocabolario, che ha restituito dignità a parole fino a ieri dimenticate e impopolari. Vi ricordate altruismo e solidarietà? Chi aveva più il coraggio di pronunciarle? Per questo, paradossalmente, il referendum sul legittimo impedimento, il più politico, il più temuto dalla maggioranza e anzitutto dal suo capo, è passato quasi in second’ordine. A traino degli altri.
4. Qui c’è una chiave, forse "la" chiave del risultato. I referendum riflettono il cambiamento carsico, avvenuto e maturato nella società. Che, secondo Giuseppe De Rita, si sarebbe ulteriormente frammentata. In questa galassia, attraversata da emozioni più che da ragioni, dalle passioni più che dagli interessi, è cresciuto un movimento diffuso. Affollato di giovani e giovanissimi. La cui voce echeggia attraverso mille piccolemanifestazioni, nei mille piccoli luoghi di vita quotidiana. Attraverso il contatto diretto. Attraverso la Rete. Per questo è poco visibile. Ma attivo e vitale. L’ostracismo della maggioranza di governo, il silenzio di MediaRai. Li hanno aiutati. Legittimati. Perché la tivù MediaRai e i suoi padroni, ormai, sono il passato.
5. Tuttavia, una partecipazione così alta sarebbe stata impensabile se non avesse coinvolto altri settori della società. Il popolo della Rete, per quanto ampio, è una élite. Giovane, colta, cosmopolita. Non avrebbe sfondato se non avesse coinvolto genitori, nonni, zii. Un elettorato largo e politicamente trasversale. Il successo dei referendum, infatti, scaturisce dalla spinta dei movimenti sociali, dal sostegno dei partiti e degli elettori di centrosinistra. Ma anche da quelli di centrodestra.
Si guardi la geografia elettorale della partecipazione. Le Regioni del Nord (ora non più) Padano hanno espresso i tassi di partecipazione fra i più elevati. Osserviamo, inoltre, il risultato complessivamente ottenuto alle Europee del 2009 dai partiti di Centrosinistra, Sinistra e dall’Udc. Quelli che hanno sostenuto l’opportunità di votare in questa occasione. Ebbene, risulta evidente che la partecipazione è stata molto più ampia rispetto alla loro base. Nel Nord Est: ha votato il 32% (e circa 1.700.00) di elettori in più. Nel Nord Ovest: il 29% (e circa 3.500.000) di elettori in più. In Italia, complessivamente, il 28% (e circa 13.000.000) di elettori in più. (Elaborazioni Demos, su dati Ministero degli Interno; indicazioni analoghe provengono dalle analisi dell’Istituto Cattaneo su dati delle elezioni politiche 2008).
6. Da qui il senso generale di questo passaggio elettorale. È cambiato il clima d’opinione. Il tempo della democrazia personale e mediale - come ha osservato ieri Ezio Mauro - forse è alla fine. Mentre si scorgono i segni di una democrazia di persone, luoghi, sentimenti. Passioni. I partiti e gli uomini che hanno guidato la stagione precedente, francamente, sembrano improvvisamente vecchi e fuori tempo. Il Pdl - ma anche la Lega. Berlusconi - ma anche Bossi. Riuscivano a parlare alla "pancia della gente", mentre la sinistra pretendeva di parlare alla "testa". Per questo il centrodestra era popolare. E la sinistra impopolare. Fino a ieri. Oggi, scopriamo che, oltre alla pancia e la testa, c’è anche il cuore. Parlare al cuore: è importante.