QUALCHE BUON MOTIVO PER VISITARE SAPRI
(lettera - parti in corsivo escluse - apparsa su LA CITTA’ di Salerno, il 17.08.2004, a p. 30).
Questa è una segnalazione (di una piccola scoperta e di una grande sorpresa) e un invito. Posso pure sbagliarmi, ma credo che valga la pena ri-andare a Sapri.
Nel piccolo centro, e proprio nei luoghi dello sbarco di Carlo Pisacane (1857, pochi anni prima della spedizione dei Mille e dell’Unità d’Italia), in una baia suggestiva (già segnata da presenze greche e romane) c’è stato, a cavallo del’Ottocento e del Novecento, un grande intervento urbanistico a largo spettro (di natura sociale, pedagogica, culturale e politica), tutto da ammirare (e ancora da conoscere e studiare), compiuto dal filantropo locale (emigrato in Brasile e poi rientrato in Italia), il Cav. Giuseppe Cesarino (1859-1923).
Tra gli edifici, di notevole interesse, i più importanti sono l’Istituto Santa Croce (portato a compimento nel 1898) e la Casa del Buon Pastore (già completata nel 1913).
L’Istituto Santa Croce è un articolato e fascinossimo complesso architettonico progettato come centro per il recupero di ragazzi poveri e orfani, diretto e gestito dal 1905 alla fine della seconda guerra mondiale dalla congregazione francescana di sacerdoti e laici, i "frati bigi della carità" ( fondata dal padre Ludovico da Casoria - beatificato da Giovanni Paolo II nel 1993 - proprio nella seconda metà dell’Ottocento) che comprendeva e comprende (oggi ospita la Scuola Media Statale), i locali dove abitavano, studiavano i ragazzi, con aule di teatro, disegno, orto con struttura d’irrigazione, una torre-specola per l’osservazione metereologica e astronomica, e una chiesetta (come la torre) con un messaggio filosofico-politico-teologico inequivocabilmente segnato da rimandi alla tradizione rosacrociana e massonica.
Detto in breve, il messaggio iconografico illustra con grande chiarezza la diversità e complementarità di scienza e fede: il "come si va in cielo" e il "come va il cielo" di Galileo Galilei è scritto e illustrato sulle pareti dentro e fuori la chiesetta (stile neo-gotico), come dentro e fuori la torre (simile a quella del Castello Miramare di Trieste) con sconcertante limpidità e legato a una lettura antropologico-teologica della sacra famiglia (alla base della porta d’entrata della chiesetta c’è il presepe con i magi - astronomi e sapienti - e il cielo stellato) assolutamente semplice, chiara, e sorprendente.
L’altra fondamentale e notevole opera, l’Istituto del "Buon Pastore" (al centro della città e vicino al palazzo del Comune), utilizzata dal 1913 al 1923 come propria abitazione dallo stesso Cesarino, è una originale costruzione destinata ad accogliere anziani poveri e soli (e la struttura funziona ancora oggi, gestita dalle suore bige elisabettine del terzo ordine francescano).
Oltre e insieme a queste due strutture più significative, ve ne sono molte altre (ville e palazzi) d’uso privato.... e il progetto (concepito nel 1910, ma non realizzato, di un ospedale civile). Credo che sulla ’cosa’ sia assolutamente da richiamare attenzione e interesse (e sollecitare approfondimenti e studi da parte delle Istituzioni competenti).
Credo che Giuseppe Cesarino lo meriti, anche per un altro motivo. Egli amava Dante e la Divina Commedia: nella Casa del Buon Pastore, al primo piano, dove era e dove è (tuttora integralmente conservato) il suo studio, sul soffitto sono affrescate scene fondamentali del viaggio dantesco. Evidentemente nella lezione di Dante sull’Amore che move il Sole e le altre stelle egli aveva trovato la ragione della sua vita e il filo per non perdersi nel labirinto del suo tempo. E cercò di fare del suo meglio, per aiutare i più deboli e i più poveri e per rendere non solo Sapri, ma anche (considerati i tempi!) l’Italia più bella e più civile... Egli aveva capito (e mai dimenticato) ciò che vuole significare e significa ITALIA.
Federico La Sala
Per maggiori dettagli e approfondimenti, in rete e nel sito, si cfr.:
CONIUGI CESARINO (WWW.SAPRI.ORG- Annuario 2004, pag. "undicesima"))
Sapri roui nata Prof. Arch. Francesco Attanasio - Studi su Sapri (SA) e sul ’basso Cilento’ - Studi di storia, storiografia, dalle origini, usi e costumi, folklore, dialetto ed altro.
FLS
LA STORIA
Giuseppe Cesarino, mecenate dimenticato: fece “grande” Sapri
Si arricchì in Brasile poi ritornò nella città della Spigolatrice
di Angelo Guzzo (La Città di Salerno, 30 novembre 2020)
SAPRI - Giuseppe Cesarino nacque a Sapri, il 24 dicembre del 1859, ultimo di quattro figli. Il padre Nicola, per la materiale impossibilità di mandare avanti la famiglia per mancanza di lavoro, fu costretto, come tanti altri conterranei, a tentare la dolorosa avventura dell’emigrazione oltreoceano. Portò con sé i figli maggiori, Domenico e Giovanni, lasciando a Sapri, con la moglie, Felice e l’ultimo nato Giuseppe. Sbarcato a Santos, in Brasile, riuscì a ottenere, grazie all’aiuto di una comunità religiosa di cilentani, un cospicuo appezzamento di terreno a Brotas, piccolo centro a Sud di San Paolo, dove, con volontà e spirito di sacrificio, riuscì a impiantare una piccola azienda agricola.
Dotato di intuito e di spiccate attitudini per il commercio e gli affari, Nicola Cesarino capì subito che la zona dove si era stabilito era destinata a un rapido sviluppo e che l’attività avviata avrebbe fruttato notevoli vantaggi economici. Con l’aiuto dei figli cominciò ad investire i proventi dell’attività agricola in terreni e, in circa un decennio, diventò proprietario di una grande “fazenda” nei cui “almazem” commerciava i prodotti delle sue terre quasi in condizione di monopolio. Nel 1870 richiamò gli altri due figli, Felice e Giuseppe, e sarà proprio quest’ultimo a imprimere, col tempo, un impulso straordinario alla “fazenda” che, a fine secolo, era considerata una delle più grandi esistenti nello Stato di San Paolo. La Ditta Cesarino- Irmao e C. - di cui Giuseppe era il titolare - vantava investimenti immobiliari in varie zone del Brasile e commerciava su larga scala i prodotti agricoli della “fazenda”. Giuseppe aveva sposato Olinda Pereira Garcia, figlia di un ricco “fazendero” paulista, ma dal matrimonio non erano nati figli. Per tale motivo stabilì che, alla sua morte, la parte maggiore del suo patrimonio sarebbe stata impiegata per scopi umanitari, sia nella natia Sapri, dove si era definitivamente ritirato nel 1923 assieme alla moglie, sia in Brasile, dove, ancor oggi, a San Paolo, una lapide lo ricorda quale lungimirante imprenditore italiano che ha contribuito allo sviluppo e al benessere in quello Stato.
A Sapri ideò e fece costruire, a proprie spese, il complesso di “Santa Croce” che, ultimato nel 1898, fu sede di un Istituto educativo-scolastico per giovani bisognosi del Golfo di Policastro. La direzione dell’ente fu affidata ai Padri Bigi della Carità, una congregazione di sacerdoti e laici fondata dal venerabile Padre Ludovico di Casoria, beatificato da Giovanni Paolo II nel 1993 per le sue innumerevoli opere di carità per i fanciulli abbandonati, i vecchi e i diseredati. Attigua all’Istituto, Cesarino volle anche la presenza di una chiesetta in stile neo-gotico, luogo di raccoglimento e di preghiera che Frate Angelico, artista di vaglio, trasformò in un vero gioiello d’arte. “Santa Croce” fu, per circa mezzo secolo, insieme con il Seminario Vescovile di Policastro Bussentino, l’unico Istituto educativo-scolastico del Golfo, fucina e palestra di innumerevoli futuri professionisti. Sospese la sua prestigiosa attività in conseguenza delle sciagure della Seconda Guerra Mondiale. L’edificio, per volontà del donatore, espressa nel suo testamento, era stato destinato a divenire proprietà dei Padri Bigi, sempre a scopo educativo, ma le Congreghe di carità furono soppresse e i beni assorbiti dall’Ente Comunale di Assistenza (Eca). Soppressa successivamente anche l’Eca, l’edificio divenne proprietà del Comune di Sapri e utilizzata come sede della Scuola Media Statale “Santa Croce” fino adun decennio fa. Altra significativa opera di Giuseppe Cesarino fu la realizzazione del suggestivo edificio del “Buon Pastore”. Fatta costruire, nel 1913, quale propria elegante dimora, l’insigne benefattore dispose che, alla sua morte, fosse destinata a ospizio per i vecchi soli e abbandonati. Per tale scopo, nel 1923, fu affidata alle Suore Bige Elisabettine e denominata “Pia Casa del Buon Pastore”. L’istituzione, dopo tanti anni di nobile attività sta vivendo un periodo difficile e nebuloso e si spera possa tornare presto all’antica finalità umanitaria.
Altra opera realizzata con il contributo dell’insigne filantropo saprese è la “Specola”, una torre quadrilatera molto simile a quelle del Castello “Miramare” di Trieste, che costituisce, ancor oggi, con la sua eleganza architettonica, un prestigioso biglietto da visita per chi giunge nella “città della spigolatrice” dalla Statale 18. Progettata da Padre Candido Martini, dei Padri Bigi, quale osservatorio meteorologico e astronomico a servizio dell’Istituto “Santa Croce”, la struttura fu completata nel 1927. Ma le donazioni di Giuseppe Cesarino non si fermano qui. Alla propria città, infatti, donò ancora una splendida palazzina quale sede del Municipio, con annessa ampia area dell’attuale Villa Comunale, ove poi fu eretto, in epoca fascista, uno splendido monumento a Carlo Pisacane. Nelle sue nobilissime intenzioni anche il progetto, concepito già dal 1910, della costruzione di un ospedale civile che avrebbe fornito non solo un servizio di vitale importanza alla popolazione del territorio, ma anche conferito a Sapri il prestigio del polo d’eccellenza. Giuseppe Cesarino morì il 15 agosto 1923. Una curiosità: candidato a sindaco alle elezioni amministrative del 1920, il grande benefattore di Sapri (era riuscito a portare in città persino l’acqua corrente) non fu eletto.
Una rilettura della figura di Carlo Pisacane al centro dell’incontro “Sanza, la sentinella del sud”
L’Amministrazione, contraria alla nuova idea proposta, rifiuta una targa
di Ornella Bonomo ("ondanews", 12.05.2019)
Si è svolto ieri a Sanza, presso il Centro Educazione Ambientale, il convegno “Sanza, la sentinella del sud” organizzato dall’associazione Sud e Civiltà con il proposito di offrire una rilettura dei fatti storici del 1857, in particolare della spedizione di Sapri capeggiata da Carlo Pisacane.
Sono intervenuti il regista del film “Il Regno delle Due Sicilie tra primati e luoghi” Umberto de Rosa, gli scrittori Vincenzo Gulì e Gaetano Marabello, Ennio Apuzzo, ricercatore storico, ed Edoardo Vitale, magistrato e presidente di Sud e Civiltà.
Presenti, tra il pubblico, il sindaco Vittorio Esposito e il vicesindaco Toni Lettieri.
“E’ necessario liberarsi dalle menzogne del 1848 - dichiara Gulì - ricercando le verità storiche. La rivoluzione in nome del popolo è stata fatta contro il popolo poiché i contadini e i carcerati erano pilotati dai nobili. Gli eroi risorgimentali che ci hanno mostrato sono solo fantocci, maestri delle belle parole e dei brutti fatti“.
“Carlo Pisacane è un eroe o un criminale, dipende dal punto di vista - spiega Ennio Apuzzo - Era un ribelle già dai tempi della Nunziatella. Scappò a Livorno, covo della massoneria, poi in Inghilterra. Per denaro si arruolò nella legione straniera. La spedizione di Sapri è stata fatta a favore del popolo o degli oligarchi che odiavano il re? È venuto a liberare la povera gente o i nobili del tempo? Pisacane ha aperto le porte al saccheggio del sud e delle nostre terre. La spedizione fu finanziata dal padre fondatore della massoneria“.
Dopo aver ascoltato queste parole, il sindaco ha abbandonato l’aula provocando il disappunto dei relatori che hanno interpretato il gesto quale offesa alla loro libertà di espressione.
“Stiamo facendo qualcosa di storico oggi - ha Vitale - perché mettiamo in dubbio la versione ufficiale della storia. A Sanza il popolo ha fatto qualcosa di eroico, per puro amor di patria, a rischio della vita, contro quei 300 rivoluzionari. Eroi e martiri poiché le guardie urbane furono uccise senza processo. Sanza non si è macchiata di alcun delitto. Oggi consegneremo una targa a Sanza per aver difeso il sud“.
La targa che ha menzionato Vitale è stata rifiutata dal vicesindaco Toni Lettieri perché contrario, come rappresentante dell’Amministrazione, alla rilettura storica proposta da Sud e Civiltà. Ogni anno infatti viene posta una corona di alloro al Cippo in onore di Pisacane, ritenuto dunque dall’Amministrazione un eroe non un criminale.
È stata conferita a Sabino Laveglia, presunto erede della guardia urbana, una targa ad eterna memoria del valore di Sabino Laveglia, la guardia urbana che tolse la vita a Carlo Pisacane il 2 luglio 1857.
Ornella Bonomo -
Il popolo di Sanza non ha bisogno di difensori
di Lorenzo Peluso ("quasimezzogiorno", 13 Maggio 2019)
“Il popolo di Sanza non ha bisogno di difensori”. Il Vicesindaco Toni Lettieri ritorna sulle affermazioni Edoardo Vitale, magistrato, presidente della Sezione civile al tribunale di Napoli, intervenuto a Sanza nel convegno “Sanza, la sentinella del sud” organizzato dall’associazione Sud e Civiltà. Alle tesi di Vitale che non condividiamo, rispondiamo con la lucida ed attenta analisi proposta dallo storico e prof. Carmine Pinto.
“Il brigantaggio era un fenomeno plurisecolare. Il banditismo rurale era del resto largamente diffuso in tutte le società europee e non, fino all’Antico regime, per molti aspetti ancora durante il XX secolo inoltrato. Nel Mezzogiorno italiano il brigantaggio era sempre esistito in questa forma, assumendo colori e bandiere politiche nelle grandi fratture della storia del regno (come alla fine del Cinquecento o alla metà del Seicento). Nel mondo feudale il banditismo era spesso attore delle lotte tra fazioni e gruppi territoriali. Pertanto, quando negli anni Novanta del Settecento le conseguenze della guerra e della rivoluzione in Francia e in Europa coinvolsero il regno di Napoli, il banditismo diventò ancora una volta un soggetto politico”.
Una tesi riportata dal prof. Pinto, autore del libro La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici e briganti 1860-1870 edito da Laterza. Non sono piaciute per nulla le esternazioni del magistrato Vitale quando ha visto il sindaco d Sanza, Vittorio Esposito, lasciare la sala.
Una versione, quella proposta dagli esponenti dell’associazione Sud e Civiltà in contrasto con la storia ufficiale. “Pisacane ha aperto le porte al saccheggio del sud e delle nostre terre. La spedizione fu finanziata dal padre fondatore della massoneria” ha affermato Ennio Apuzzo, ricercatore e storico dell’associazione. “Non solo riconosciamo la storia ufficiale e la narrazione dei fatti che si svolsero a Sanza nel luglio del 1857, ma soprattutto troviamo conferma nell’agire del popolo sanzese nella vicenda di Pisacane, dalla storiografia e dai testi dello storico Felice Fusco che ringraziamo per il prezioso lavoro svolto per dare risposte veritiere sui fatti che accaddero a Sanza” ha affermato il sindaco Vittorio Esposito.
“Sulle esternazioni del magistrato Vitale, neppure commento, un video di quanto detto in seguito al mio allontanarmi dalla sala è sufficiente a spiegare e rispondere alle sue esternazioni” ha aggiunto il sindaco Esposito. “Mi convince molto ciò che afferma il prof. Carmine Pinto, nel suo ultimo libro, ossia che “il brigantaggio fu uno degli strumenti operativi della controrivoluzione borbonica, all’interno di un contesto di relazioni e mentalità ancorate all’Antico regime. Come brigantaggio politico fu utilizzato affiancando l’esercito controrivoluzionario del cardinale Ruffo nel 1799, poi come forza irregolare nel Decennio francese. Nell’immaginario legittimista diventerà una componente del patriottismo borbonico. Nei decenni successivi, mentre molti capi di formazioni del Decennio entravano nell’establishment borbonico, il fenomeno recuperò le dimensioni tradizionali di banditismo rurale. Pertanto, quando guerra e rivoluzione travolsero ancora una volta il regno nel 1860, il brigantaggio politico diventò una delle opzioni per la resistenza borbonica al nuovo stato italiano. Concordo con il prof Pinto che il brigantaggio non fu né una cosa, né l’altra. Fu una delle espressioni politiche, sociali e criminali della crisi dell’unificazione nel Mezzogiorno, condizionato da eredità e tradizioni di lungo periodo” conclude il sindaco Esposito.
Alle esternazioni di Vitale: “Stiamo facendo qualcosa di storico oggi perché mettiamo in dubbio la versione ufficiale della storia. A Sanza il popolo ha fatto qualcosa di eroico, per puro amor di patria, a rischio della vita, contro quei 300 rivoluzionari. Eroi e martiri poiché le guardie urbane furono uccise senza processo” risponde il Vicesindaco di Sanza, Toni Lettieri. “Sanza non ha bisogno di difensori, quel che accadde il 2 luglio del 1857 è solo ciò che sarebbe accaduto in ogni piccolo paesino del sud, che certamente era pronto a difendere le proprie case e le proprie terre da briganti, ladri ed assassini, perché così erano stati raccontati alla gente. Contadini che purtroppo non conoscevano lo spirito liberare che stava nascendo in quel momento e che accompagnava la spedizione di Pisacane. Ogni strumentale ricostruzione di quei fatti è respinta al mittente” ha concluso Lettieri.
Galzerano: «Quel magistrato va processato»
L’editore indipendente di Castelnuovo Cilento: Pisacane è stato un eroe, invece il giudice Vitale esalta l’omicidio politico
di NICOLA SALATI ("La Città di Salerno", 14 maggio 2019)
«Nei confronti del giudice Edoardo Vitale dovrebbe essere avviato, da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, un regolare procedimento disciplinare per esaltazione di omicidio politico e per istigazione all’odio». Lo afferma Giuseppe Galzerano, editore indipendente di Castelnuovo Cilento ma soprattutto studioso appassionato di Carlo Pisacane dalle scuole medie e, oltre a possedere le prime edizioni dei suoi testi, nel 1975 scrive e pubblica “Carlo Pisacane, un dirottatore di cent’anni fa”; nel 2002 come editore pubblica, per la prima volta in Campania, il testo di Carlo Pisacane «La Rivoluzione» e a seguire pubblica il volume di Felice Fusco «Carlo Pisacane e la spedizione di Sapri» e il poema epico-lirico di Eliodoro Lombardi «Carlo Pisacane e la spedizione di Sapri», uscito nel 1867 e che nell’800 ebbe diverse edizioni. Nel 2013 scopre che la famiglia di Pisacane possedeva dei terreni nel Cilento, nel Comune di Porcile (l’attuale Stella Cilento) e per questo era Duca di San Giovanni (frazione di Stella Cilento) e pubblica in proposito un opuscolo di Ernesto Maria Pisacane (l’antenato del quale è il generale borbonico Filippo, fratello di Carlo).
La materia del contendere è proprio l’uccisione avvenuta a Sanza del patriota Pisacane che il giudice napoletano ha così definito nel corso del convegno intitolato “Sanza sentinella del Sud: storia proibita delle Due Sicilie”: «La gente di Sanza, quando affrontò Pisacane e i suoi seguaci, difese legittimamente il territorio del Regno delle Due Sicilie da quelli che si presentavano come una banda armata di invasori».
«È davvero grave che un giudice che ha giurato sulla Costituzione repubblicana esalti un re e consegni un riconoscimento a un discendente di Sabino Laveglia che si macchiò del delitto di omicidio politico nei confronti di Pisacane», dice l’editore.
Galzerano sottolinea che Pisacane ha «sacrificato la sua giovane vita per l’Italia unita e fu barbaramente ucciso a 39 anni mentre chiedeva di essere condotto alla Giustizia e dopo aver ordinato ai suoi “Non si versa sangue fraterno!” a testimonianza della sua umanità». Pisacane, nato a Napoli nel 1818, studia alla Nunziatella, dalla quale fugge, ha diverse esperienze in giro per l’Italia e all’estero prima di avvicinarsi alle idee mazziniane anche se «non può essere definito proprio un seguace fedele perché la sua visione dell’Italia era basata su un’idea più che repubblicana direi socialista ed anarchica». Ma la sua avversione ai Borboni e ai Savoia monta e vede nelle popolazioni del Mezzogiorno quelle che più di altre possono ribellarsi ai regnanti. Pisacane che aveva disertato dall’esercito borbonico a Genova nel 1857 si imbarca sul piroscafo Cagliari che dirotta insieme ai suoi 25 compagni. A Ponza libera dalle carceri borboniche 300 relegati (tra i quali anche alcuni condannati politici cilentani).
Attraccano a Sapri dove «secondo le promesse del Comitato di Napoli - spiega Galzerano - ad attenderlo ci dovevano essere altri patrioti che però non trova». Si incammina per l’interno, a Padula hanno uno scontro con l’esercito Borbonico. Pisacane e pochi altri si salvano dalla carneficina: «Con i pochi superstiti, affranti e stanchi, sceglie la via per Vallo della Lucania - racconta ancora Galzerano - ma il 2 luglio 1857, passando per Sanza, è ucciso. Il prete Francesco Bianco suona le campane per avvertire che in paese sono giunti i delinquenti capitanati da Pisacane.
Viene quindi prima derubato - aggiunge Galzerano - e sparato da Sabino Laveglia, sottocapo urbano premiato dal re con la medaglia e la nomina di cavaliere. Potevano essere fatti prigionieri, perché non ci fu nessuna resistenza, ma Laveglia preferì sparare». Per questo nel settembre del 1860, dopo lo sbarco di Garibaldi, Laveglia viene processato e giustiziato dal liberale antiborbonico Cristoforo Ferrara di Massascusa. Pisacane, invece, fu ucciso a 39 anni senza subire nessun processo. «Tra i due gesti - svela Galzerano - c’è molta differenza. Laveglia lo assalì gridando fanaticamente «Viva u Re» e Pisacane fece rispondere «Viva l’Italia! Viva la libertà!».
La rilettura della figura di Pisacane non va giù a Galzerano che ricorda un episodio che fa trasparire l’eroismo di Pisacane per l’Italia: «Nel 1860 nella stessa locanda di Casaletto Spartano dove aveva soggiornato Pisacane, arriva Garibaldi che prima di cedere alle lusinghe monarchiche, ammette “Fu lui ad aprire la via”». Per Galzerano, Pisacane va onorato per il suo altruismo e per il suo sacrificio e non denigrato.
Anche per questo ha espresso solidarietà al sindaco di Sanza, Vittorio Esposito, e al vicesindaco Antonio Lettieri. Il sindaco ha reagito alle menzogne e abbandonato anzitempo il convegno della discordia perché «Pisacane rappresenta la figura di un uomo altruista, generoso, combattente e coerente che va fatto conoscere ai giovani soprattutto in un’Italia come quella attuale dove si fa terrore, come è stato fatto dai neoborbonici ancora una volta, 162 anni dopo a Sanza, e dove a vincere è la paura dell’altro», conclude Galzerano.