Martedì 14 ottobre, Gianni Vattimo terrà la sua lezione di congedo dall’Università di Torino. È una consuetudine per molti professori universitari, poco prima di andare in pensione. Ed è un appuntamento che ora si ripeterà per Vattimo, che tra poche settimane uscirà fuori ruolo. La lezione-conferenza, aperta a tutti (e non solo agli studenti e ai colleghi), è fissata appunto per il 14 ottobre, alle ore 10, nell’aula magna del Rettorato dell’Università di Torino, in via Verdi, 8 (dal blog di Alberto Martinengo).
Madre valsusina padre calabrese, Vattimo è nato a Torino nel 1936. Allievo di Luigi Pareyson, si è laureato in filosofia nel 1959. Negli anni Cinquanta ha lavorato ai programmi culturali della Rai. Ha conseguito la specializzazione ad Heidelberg, con Karl Löwith e Hans Georg Gadamer, di cui ha introdotto il pensiero in Italia. Nel 1964 è diventato professore incaricato e nel 1969 ordinario di Estetica all’Università di Torino, nella quale è stato preside, negli anni ’70, della facoltà di Lettere e Filosofia. Dal 1982, ordinario di Filosofia teoretica presso la stessa università.
Ha insegnato come visiting professor negli Stati Uniti e ha tenuto seminari in diversi atenei del mondo. È stato direttore della Rivista di estetica, membro di comitati scientifici di varie riviste italiane e straniere, socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Torino. Editorialista per i quotidiani La Stampa e La Repubblica e per il settimanale L’espresso, per le sue opere ha ricevuto lauree honoris causa dalle università di La Plata, Palermo, Madrid e dalla Universidad Nacional Mayor de San Marcos di Lima. È stato più volte docente alle Vacances de l’Esprit (1995, 1997 e 2004).
Ha svolto attività politica in diverse formazioni: prima nel Partito Radicale, poi in Alleanza per Torino, successivamente nei Democratici di Sinistra, per i quali è stato parlamentare europeo, e nel Partito dei Comunisti Italiani. Nel 2005 è stato candidato come sindaco di San Giovanni in Fiore (Cs), per combattere la “degenerazione morale e intellettuale” della cittadina.
Nelle sue opere Gianni Vattimo si è occupato dell’ontologia ermeneutica contemporanea, proponendone una propria interpretazione, che ha chiamato pensiero debole, per contrapposizione con le diverse forme di pensiero forte dell’Otto-Novecento: l’hegelismo con la sua dialettica, il marxismo, la fenomenologia, la psicanalisi, lo strutturalismo. Ognuno di questi movimenti si è proposto come superamento delle posizioni filosofiche precedenti e smascheramento dei loro errori. Ma ogni volta l’errore, secondo Vattimo, consisterebbe proprio in questo gesto teoretico. Non ci sono nuovi inizi, l’errore consiste proprio nella volontà di rifondare "fundamenta inconcussa" che non vi possono essere. Il pensiero debole è invece un atteggiamento della postmodernità che accetta il peso dell’"errore", ossia del caduco, dell’effimero, di tutto ciò che è storico e umano. È la nozione di verità a doversi modellare sulla dimensione umana, non viceversa. Secondo Vattimo il pensiero debole è la chiave per la democratizzazione della società, la diminuzione della violenza e la diffusione del pluralismo e della tolleranza. In questo senso deve essere almeno segnalata la grande e decisiva importanza che assume nel suo pensiero la nozione di nichilismo, che rimette all’eredità di Nietzsche e Heidegger e si lega a vari temi vattimiani (dall’etica, alla politica, dalla religione - l’indebolimento di Dio - alla teoria della comunicazione).
Con le sue opere più recenti (si veda in particolare Credere di credere) ha rivendicato al proprio pensiero anche la qualifica di autentica filosofia cristiana per la postmodernità. Avvalendosi infatti della visione cristiana del maestro Pareyson e del teologo Sergio Quinzio, rifiuta l’identificazione di Dio nell’essere razionale, così come concepito dalla tradizione filosofica occidentale. Di Pareyson e Quinzio, però, non condivide la visione religiosa tragica. Suggestionato dalle opere dell’antropologo francese René Girard, Vattimo legge la vicenda di Cristo come rifiuto di ogni sacrificio, anche e prima di tutto umano ed esistenziale. La kenosis divina è a vantaggio della libertà e della pace umana. Vi è così un’indubbia coerenza con la fondamentale interpretazione laica ed irenica che il filosofo torinese opera nei confronti di Heidegger.
Le ultime posizioni del filosofo rappresentano una svolta, sia nella sua impostazione filosofica dell’interpretazione del presente, sia nel campo dell’attività politica. Nel 2004 abbandona il partito dei Democratici di Sinistra e abbraccia il marxismo rivalutandone positivamente l’autenticità e validità dei principi progettuali, auspicando un "ritorno" al pensiero del filosofo di Treviri e a un comunismo epurato dagli sviluppi delle distorte politiche pubbliche sovietiche da superare dialetticamente. Per quanto la svolta possa apparire contraddittoria con le precedenti posizioni, Vattimo rivendica la continuità delle nuove scelte con il processo di ricerca sul pensiero debole, pur ammettendo il cambiamento di "molte delle sue idee". È lo stesso Vattimo a parlare di un "Marx indebolito", ovvero di una base ideologica capace di illustrare la vera natura del comunismo e adatta nella pratica politica a superare ogni tipo di pudore liberal. L’approdo al marxismo si configura quindi come una tappa dello sviluppo del pensiero debole, arricchito nella prassi da una prospettiva politica concreta.
La biografia è tratta da Wikipedia
Ansa» 2008-10-14 14:32
Universita’: folla e applausi all’ultima lezione di Vattimo
Stamattina aula magna gremita di colleghi a Torino
(ANSA) - TORINO, 14 OTT - Un lunghissimo applauso ha salutato oggi, all’Universita’ di Torino, l’ultima lezione del filosofo Gianni Vattimo. Il docente va in pensione dopo 44 anni di insegnamento nell’ateneo torinese. Nell’aula magna gremita di colleghi, allievi ed ex studenti, Vattimo ha tenuto una lectio magistralis di un’ora dal titolo ’’La verita’ e l’evento: dal dialogo al conflitto’’.(ANSA).
VATTIMO: LA VERITA’ E’ NEL CONFLITTO, NON NEL DIALOGO
di Barbara Beccaria *
(ansa.it) TORINO - Domani sarà l’ultimo giorno dietro la cattedra per il filosofo Gianni Vattimo che terrà la sua ultima lezione nell’Aula Magna del Rettorato dell’Università di Torino dal titolo "La verità e l’evento: dal dialogo al conflitto". Va in pensione, dopo 44 anni di ruolo.
Per l’ateneo torinese, per i suoi studenti e per i ricercatori che si sono formati con lui, ragionando dell’attualità del filosofo tedesco Heidegger, il suo pensatore di riferimento e del "pensiero debole", un concetto coniato da lui ed esportato nel mondo, quello di domani sarà un addio non indolore. Vattimo é un’icona dell’Università di Torino che lo ha tra l’altro visto tante volte in prima fila nella battaglie più di sinistra, non ultima quella nata intorno alla decisione della Fiera del Libro di Torino dell’anno scorso di invitare ufficialmente Israele. Inutile dirsi che lui si era schierato dalla parte dei palestinesi, non certo contro gli ebrei, ma per dire, come sempre, che i più deboli, i più poveri hanno sempre ragione.
E che la "ragion di stato", quella che aveva portato, secondo lui, il governo italiano, tramite la Fiera, a festeggiare i 60 anni di Israele, fa ormai sempre più acqua. Un atteggiamento che anima anche il cuore dell’ intervento di domani in Aula Magna. "Oggi si parla tanto di dialogo - ha detto Vattimo - un concetto in bocca a tutti i potenti, in realtà nessuno fa niente davvero per cercare di dialogare con l’altro, con il nemico. Anche Bush ha detto di aver attaccato l’Iraq perché voleva il dialogo".
Per Vattimo "bisogna rilanciare il conflitto, in luogo di un dialogo-panacea che non serve a nessuno, bisogna avere il coraggio di stare da una parte, sperando che sia quella giusta. Ed io ora, so di stare dalla parte dei poveri e di chi non ha voce". Ancora una volta Vattimo, passato negli anni scorsi dal Pd al Pdci (poi abbandonato perché "troppo poco di sinistra") si schiera. "La lezione che ho preparato per domani, l’ultima in questo ateneo che ho amato molto - ha aggiunto - sarà così una sorta di nuova Internazionale che finirà con il recupero di Marx. Ma un Marx molto scomodo, genuino, che i politici di oggi faticano a considerare perché troppo ’illuminato’".
L’addio di domani non sarà privo di commozione, anche per un "freddo" come lui: "Brunetta permettendo io ho passato giorni e nottate in questa Università - ha detto - e l’unica cosa che mi sento di dire, è che adesso avrò più tempo per andare in giro per il mondo, nelle università e nei posti dove mi chiamano, per esempio domani partirò per le Canarie, poi sarò a Baltimora a fine mese". "Sono il classico ’cervello in fuga’ - ha ancora scherzato il filosofo - d’altronde in questo paese l’Università pubblica sta morendo. La vogliono trasformare in un’impresa che fa profitti, imitando le università americane che mirano al denaro e non certo al bene collettivo. Anche le loro borse di studio sono un investimento economico perché mirate a quegli studenti capaci di inventare progetti, prodotti vincenti, che fanno fare soldi. Insomma, la cultura, il senso civile di una scuola è un’altra cosa".
* Opinioni e Interviste- Redazione il Lun, 2008-10-13 21:29