MUMBAI: LIBERI GLI ITALIANI. UCCISI TERRORISTI AL TAJ MAHAL *
Dopo circa 60 ore da quando un gruppo di terroristi ha scatenato l’inferno a Mumbai, le teste di cuoio indiane questa mattina hanno preso il controllo anche dell’hotel Taj Mahal, uccidendo gli ultimi tre estremisti. Il bilancio delle vittime è salito ad almeno 195, di cui 22 stranieri, ma é destinato ad aggravarsi, riferiscono fonti ufficiali sul posto. Continua infatti il ritrovamento di corpi senza vita nell’albergo dove sono in corso le operazioni di ’ripulitura’, secondo uno dei vigili del fuoco sul posto "ci sono decine di corpi su un solo piano" dell’hotel. Intanto i media locali riferiscono che i terroristi avevano un piano per far saltare in aria l’hotel Taj Mahal: le rivelazioni sono attribuite ad un terrorista catturato che avrebbe confessato sotto interrogatorio.
Si tratta di Azam Amir Kasav, di 21 anni, proveniente dal Faridkot pachistano, scrive il Times online. Azam, insieme con un altro uomo, era tra coloro che aveva aperto il fuoco alla stazione centrale di Mumbai mercoledì. Durante l’operazione Azam ha anche ucciso un ispettore di Polizia, scrive il giornale. Apparentemente gli attentatori disponevano di esplosivo sufficiente a far effettivamente saltare in aria l’albergo. Fonti hanno riferito a tv indiane che i terroristi avevano intenzione di "ridurre ad un cumulo di macerie" il Taj hotel e di replicare il disastro del Marriott ad Islamabad dello scorso settembre. Intanto il capo della polizia di Mumbai, Hasan Gafoon, ha riferito che erano dieci i terroristi giunti a Mumbai, di questi "ne abbiamo uccisi nove mentre uno è stato catturato vivo", ha detto.
E nella città provata da quasi tre giorni di braccio di ferro tra terroristi e forze speciali, passati con il fiato sospeso anche per la sorte degli ostaggi - tra cui sette italiani tutti salvi - che fino a ieri erano rimasti bloccati negli edifici presi d’assalto, oggi sono in corso i funerali solenni di Hemant Karkare, il capo della squadra antiterrorismo (Ats), di 58 anni, rimasto ucciso mercoledì negli scontri scoppiati subito dopo gli attacchi. Una lunga processione, con un grande ritratto di Karkare messo ben in vista su un veicolo decorato da corone di fiori, sta attraversando le strade di Mumbai tra due ali di folla commossa. I funerali di Karkare sono trasmessi in diretta dall’emittente Ndtv, che sottolinea al tempo stesso il coraggio e l’eroismo degli altri componenti delle forze di sicurezza indiane rimasti uccisi negli scontri con i terroristi.
* ansa» 2008-11-29 08:50
MUMBAI: LIBERI GLI ITALIANI. BLITZ AL CENTRO EBRAICO *
Il bilancio degli attacchi coordinati compiuti a Mumbai da estremisti islamici e’ di 155 morti e 327 feriti. Lo ha annunciato, quando in India si e’ gia’ arrivati alla mezzanotte, la televisione Cnn-Ibn. E’ stata l’organizzazione indo-pakistana Lashker e Toyba a mettere in atto a Mumbai una ’’strategia terroristica’’ che era stata ’’scientificamente preparata’’. Ad affermarlo e’ il Casa, il Comitato di analisi strategica antiterrorismo riunitosi oggi.
di Eloisa Gallinaro
E’ finito alle 09:41 di questa mattina un incubo durato 36 ore, quando gli ultimi due ostaggi italiani sono stati evacuati dall’hotel Oberoi, teatro - insieme al Taj Mahal - di un sanguinoso attacco terrorista a Mumbai che ha tenuto mezzo mondo con il fiato sospeso. Erano sette gli italiani bloccati all’interno del grande complesso alberghiero, insieme a decine e decine di altri occidentali e a mucchi di cadaveri: senza cibo né acqua, senza che gli uomini delle forze speciali indiane - le ormai note Nsg - sapessero bene dove cercare tra le centinaia di camere, i ripostigli, i servizi, distribuiti su venti piani controllati da terroristi efficienti e feroci.
Una bimba di sei mesi e la mamma, chiuse in una stanza; una coppia di Roma nascosta in un ripostiglio, il direttore dell’hotel Galles di Milano che aveva partecipato a un workshop dell’Enit insieme ad altre due persone asserragliate chissà dove. Alla fine ce l’hanno fatta, in poco più di tre ore. Alle 06:19 è giunta la notizia della liberazione della moglie e della figlia di Emanuele Lattanzi, chef romano dell’Oberoi, entrato di soppiatto nell’hotel per portare latte in polvere alla piccola.
Poi è stata la volta di Angela Bucalossi di Firenze e del suo compagno Fulvio Tesoro di Roma, di Arnaldo Sbarretti di Milano. Infine, per ultimi, Patrizio Amore e sua moglie Carmela Zappalà, usciti dal buio di un ripostiglio e scortati dalla polizia indiana nella residenza del console italiano Fabio Rugge. Subito è arrivato il "sollievo" del ministro degli Esteri Franco Frattini che poi, da Città del Messico dove è in visita, ha ammonito: "La risposta (al terrorismo,ndr) deve essere globale. Noi occidentali non possiamo sentirci fuori pericolo. Dobbiamo lavorare di più e insieme".
Il titolare della Farnesina ha detto di condividere l’allarme del ministro dell’Interno Roberto Maroni sul fronte terrorismo e quindi, ha precisato, "tenere alta la guardia non è allarmismo ma è essere pronti ". Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha ringraziato le autorità indiane e il presidente del Senato Renato Schifani ha espresso soddisfazione per la liberazione degli ostaggi. Le fasi della liberazione sono sembrate lunghissime, mentre continuavano ad accavallarsi le notizie di scontri e sparatorie negli altri luoghi presi di mira, e l’ambasciatore italiano a New Delhi Federico Toscano, intorno alle sette di mattina, avvertiva che non era ancora finita.
"Sono provati", aggiungeva poco dopo il capo dell’Unità di crisi della Farnesina, Fabrizio Romano, riferendosi ai due italiani in quel momento ancora all’interno dell’Oberoi e, parlando degli ostaggi già liberi, raccontava dell’estremo disagio vissuto. Ora, gli italiani finiti per caso nel mirino di una partita sporca e oscura tra India e Pakistan (gli attentatori, almeno in parte, sono pachistani) e con Al Qaeda che incombe sinistra, stanno tornando a casa.
Alcuni a bordo di un aereo francese giunto la notte scorsa a Mumbai. Altri, con aerei di linea. In procinto di rientrare anche una donna italiana di 62 anni rimasta lievemente ferita. Ci vorrà invece più tempo per il rientro della salma di Antonio Di Lorenzo, l’imprenditore livornese rimasto ucciso ieri nella prima fase degli attacchi. Sono invece già arrivate in Italia, e festeggiate con lo spumante all’aeroporto di Venezia, Carla Padovan, 48 anni, sua nipote Benedetta Padovan, di 19, e Rossella Bergamo, di 29, le tre vicentine fuggite illese dall’inferno del Trident nelle prime fasi dell’attacco terrorista.
NAPOLITANO, FERMA CONDANNA TERRORISMO, SODDISFAZIONE PER LIBERAZIONE ITALIANI
ROMA - Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel ribadire la "ferma condanna del terrorismo in tutte le sue forme e motivazioni" e sollecitato uno "sforzo congiunto della Comunità internazionale per isolarlo e combatterlo", ha espresso la propria vicinanza alle Autorità ed al popolo indiano "duramente provati dal tentativo dei terroristi di minare la sicurezza del loro Paese".
Viva soddisfazione alla notizia dell’avvenuta liberazione di tutti gli ostaggi italiani a Mumbai, sequestrati dai terroristi che hanno attaccato la città. Il capo dello Stato ha rivolto un particolare pensiero di partecipazione al dolore della famiglia del signor Antonio Di Lorenzo, barbaramente sottratto ai suoi cari dalla furia omicida degli attentatori.
Napolitano ha vivamente ringraziato le autorità indiane per il loro decisivo impegno per la liberazione di tutti gli ostaggi. E ha manifestato apprezzamento per l’impegno del ministero degli Esteri e del personale del Consolato generale a Mumbai per la tempestiva ed efficace assistenza prestata ai connazionali coinvolti negli attentati.
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Le forze speciali indiane sono entrate in azione per avere ragione degli ultimi focolai di resistenza dei terroristi che da quasi due giorni stanno seminando il terrore a Mumbai. Hanno fatto irruzione al centro ebraico della Nariman House e sono ancora impegnate contro un ultimo gruppo di irriducibili, forse ancora con ostaggi, all’hotel Taj Mahal.
E’ tornata finalmente la calma, invece, all’Oberoi/Trident. La situazione e’ ancora confusa circa lo stato delle operazioni di ’bonifica’ dei luoghi assaliti dai terroristi. Le notizie piu’ drammatiche vengono nelle ultime ore dal Centro ebraico. Secondo fonti israeliane all’interno dell’edificio sono stati trovati i corpi senza vita di cinque degli ostaggi, il cui numero peraltro non e’ancora del tutto chiaro. Tra le vittime ci sono il rabbino e la moglie
Uccisi anche due o tre terroristi. All’hotel Taj Mahal si continua a sparare sebbene sembri che vi sia rimasto solo un terrorista o al massimo due. Sul piano politico alle accuse - di connivenza se non di complicita’ - rivolte dagli indiani al Pakistan, Islamabad risponde per bocca del ministro degli esteri, Shah Mehmoud Qureshi. La lotta contro il terrorismo ci unisce, ha detto, specificando di volere cooperare a tutti i livelli con New Delhi e di volere incontrare al piu’ presto il premier indiano.
Poco prima il governo indiano aveva chiesto e ottenuto che il capo dei servizi segreti pachistani si rechi a New Delhi per incontrare i vertici della sicurezza e dividere con loro ogni informazione legata agli attacchi terroristici di Mumbai. Mentre il numero complessivo dei morti dovrebbe aggirasi intorno a 150, lentamente si allunga la fila delle vittime occidentali. Oltre all’Italiano, originario di Livorno, Antonio De Lorenzo, nelle ultime ore e’ stata segnalata la morte di due francesi e due americani, che si aggiungono a quattro tedeschi, un canadese, un giapponese e un britannico.
Quanto agli ostaggi italiani che si trovavano all’Oberoi/Trident, sono stati liberati all’alba di oggi insieme con altre circa 150 persone nell’operazione lanciata dalle forze di sicurezza indiane. All’Oberoi/Trident, dove tutto e’ ’’sotto controllo’’, sono stati trovati 24 cadaveri, mentre alcuni terroristi sono stati arrestati. Ora sono sotto interrogatorio.
MUMBAI: PARLA UN OSTAGGIO, ANCHE GLI ITALIANI NEL MIRINO
’’Volevano uccidere americani, inglesi e italiani. Ci siamo salvati restando chiusi per quasi due giorni in uno sgabuzzino’’. Patrizio Amore, l’ultimo ostaggio italiano ed essere liberato dalle forze speciali indiane, insieme alla sua compagna Carmela Zappala’, racconta all’ANSA come e’ sfuggito all’assalto dei terroristi nel ristorante dell’hotel Oberoi. ’Il loro obiettivo erano gli occidentali, ma cercavano in particolare americani, inglesi e italiani’’.
* Ansa» 2008-11-28 20:48
La strana disfatta
di Barbara Spinelli (La Stampa, 30/11/2008)
È importante ascoltare quello che dicono gli indiani, quando si parla degli attentati di mercoledì a Mumbai (ex Bombay). Quel che essi vivono è un 11 settembre: un bivio egualmente costernante.
Uno scoprirsi massimamente potenti, e massimamente vulnerabili. Così è per scrittori come Amit Chaudhuri o Suketu Mehta, autore di Maximum City. Così per Amartya Sen. Meno perentori degli occidentali, essi vedono mali interni e esterni al tempo stesso. Mali interni perché la modernizzazione (l’India incredibile della pubblicità bellissima che appare a intervalli regolari sulla Bbc) suscita rancori non illegittimi nelle minoranze musulmane, e arroganti estremismi negli indù. Mali esterni perché i terroristi s’addestrano spesso in Pakistan, nutrendosi d’un conflitto tra India e Pakistan che non scema. Secondo Sen urge affrontare ambedue le cause, ma non con i mezzi del 2001: il premio Nobel dell’economia non parla di guerre e civiltà. Dice che «la priorità è ristabilire l’ordine e la pace, per evitare effetti negativi sullo sviluppo economico» indiano.
La prova somiglia all’11 settembre, ma i dubbi sulla risposta crescono. La via americana ed europea non ha curato i mali, ma li ha acutizzati. Non ha portato ordine in Asia centrale e meridionale, ma esasperato discordie locali. Soprattutto ha banalizzato la guerra, ovunque: quando la superpotenza l’adopera come una delle tante opzioni e non come l’ultima, tutti precipitano nella rivalità mimetica. Così fa il Pakistan, per proteggersi dall’India e dalla sua influenza sull’Afghanistan. Così l’Iran, per evitare attacchi Usa a partire da Kabul. Così l’India, che sospetta connivenze tra Pakistan e terroristi. Nei servizi inglesi sta facendosi strada l’idea che la parola stessa - guerra - sia stata rovinosa. Ha nobilitato criminali comuni, tramutandoli in belligeranti. Ha strappato le radici ai conflitti riducendoli a uno scontro planetario tra società del terrore e del consenso, scontro teorizzato da Philip Bobbit e criticato da David Cole sulla New York Review of Books: come se il terrore fosse un valore attraente, paragonabile al comunismo nel XX secolo. Nell’ottobre scorso, sul Guardian, Stella Rimington, ex direttore dei servizi interni inglesi, ha detto: «Spero che il futuro presidente Usa smetta di parlare di guerra al terrore». La reazione all’11 settembre fu sproporzionata, l’erosione delle libertà civili «non necessaria, controproducente»: la guerra «fu un errore perché fece credere che il terrorismo potesse esser debellato con le armi».
Le maggiori sconfitte son quelle che capitano quando si combattono guerre con i manuali di ieri: lo storico Marc Bloch pensò questo, quando Hitler sgominò la Francia, e nel ’40 parlò di Strana Disfatta. Anche quella occidentale è una strana disfatta. Due guerre son state condotte come se il problema fosse tutto nell’ideologia di Al Qaeda. Come se all’origine del male non ci fossero modernizzazioni instabili in Asia, diseguaglianze detestate, conflitti regionali incancreniti.
La guerra può esser necessaria ma è cieca alla geografia, alla storia, ammantata com’è d’ideologia. Mette bandierine su mappamondi che non guarda. Se il Pakistan è divenuto luogo d’addestramento terrorista, è perché in quel Paese ci sono malattie sistematicamente trascurate. Categorie semplificatrici come guerra e terrorismo impediscono di vedere il lento divenire d’un Paese, incitano a usare le lenti del giornalista, che della storia vede solo la coda. Anche le guerre contro il terrore sono bolle: la realtà è ignorata, al suo posto se ne costruisce una immaginaria, utile a scopi mai raggiunti.
Non ha senso guerreggiare ancora in Afghanistan se non s’impara a guardare la geografia degli attori. Ai confini afghani: Asia centrale a Nord, Iran a Ovest, Pakistan a Sud-Est, Cina a Est. Ai confini indiani: Pakistan a Ovest, Cina e Myanmar a Est. Ai confini pachistani: Iran e Afghanistan a Ovest, Cina a Nord, India a Est. Le dispute, cruente, risalgono all’epoca coloniale britannica, quando tribù e popoli erano usati come cuscinetti, pedine. Questo fu, nell’800, il Grande Gioco anglo-russo sulla pelle afghana, indiana. Il Gioco mortificante continua.
Il Pakistan è nazione cruciale e invelenita, da decenni. La guerra afghana ha solo spostato il terrorismo, spingendolo nei covi pachistani da cui era partito durante l’occupazione sovietica, con l’aiuto Usa. Un’intera regione pachistana è governata da talebani, al confine afghano (le Aree Tribali amministrate federalmente, Fata). Insorti e terroristi prosperano con l’appoggio di parte dei servizi pachistani, e Islamabad fatica a monopolizzare la violenza perché di queste mafie teme di aver bisogno. Ha bisogno delle Aree Tribali per controllare l’Afghanistan, dei talebani per frenare quella che percepisce come minaccia indiana. Non bisogna dimenticare che Musharraf fiancheggiò Bush per combattere non i talebani, ma l’India: lo disse il 19 settembre 2001. Zardari, suo successore, tenta coraggiosamente il riavvicinamento all’India e il controllo dei servizi. Sarebbe disastroso considerarlo già ora un vinto.
Il Pakistan si sente in una tenaglia, minacciato di smembramento, e questo spiega tante sue debolezze. L’alleanza India-Afghanistan, la nuova complicità (anche nucleare) indo-americana: sono segni infausti per una potenza nucleare tuttora trattata come paria. C’è poi la Cina, che investe sempre più in Afghanistan. Sette anni sono infine passati dalla guerra, e la questione pachistana decisiva ancora non è stata affrontata. È la questione dei confini, sia con l’Afghanistan sia con l’India: a tutt’oggi scandalosamente indefiniti. Kabul contesta la linea Durand al confine col Pakistan, perpetuando il bisogno pachistano, lungo tale linea, di una zona pashtun super-armata anche se ribelle. Con l’India la frontiera è indistinta, senza accordo sul Kashmir. Ordine e pace presuppongono frontiere certe: l’Europa lo insegna. Il loro venir meno è un progresso, quando ex nemici stringono un’unione. Quando essa non c’è le frontiere indefinite si spostano nelle menti, divenendo mortifere.
La strana sconfitta nelle guerre anti-terrore rivaluterà forse gli esperti, a scapito degli ideologi. In un saggio su Foreign Affairs, due grandi esperti come Barnett Rubin e Ahmed Rashid indicano vie molto concrete, consistenti in negoziati diplomatici multipli e iniziative contro corrente. Il fatto che non comincino acutizza il sospetto diffuso che l’Occidente voglia guerre infinite, per controllare le risorse d’Asia centrale e contrastare la Cina. La vera lotta al terrorismo, per Rubin e Rashid, comincerà il giorno in cui si accetterà di distinguere fra breve e lungo termine, e tra combattenti e terroristi. Al Qaeda non è un’onnipotenza: vive perché gli insorti non hanno sbocco (Al Qaeda «è un’ispirazione, non un’organizzazione», scrive Bernardo Valli su la Repubblica). Con i talebani è ora di negoziare, per sconnetterli dal terrore. Alcuni loro leader hanno fatto capire che se le truppe Nato se ne vanno, s’impegneranno a non attaccare l’Occidente.
Un impegno bellico accresciuto in Afghanistan è pericoloso, senza questa rivoluzione diplomatica. Così com’è pericolosa l’idea di Robert Gates, segretario alla Difesa, secondo cui Kabul deve avere un esercito di 204 mila uomini - soldati e poliziotti - prima di un disimpegno Usa. Non solo l’Afghanistan non potrà pagarselo (Rubin e Rashid spiegano come il costo di simile forza, 3,5 miliardi di dollari, sia proibitivo anche se Kabul avesse una crescita annua del 9 per cento), ma la guerra continuerà a esser l’unica sua risorsa, e l’unica risorsa della regione intera. È questa spirale che alimenta i terrorismi, locali e mondiali. Non vederlo è suicida da parte dell’India, dell’Afghanistan, degli occidentali. Alimenta i peggiori sospetti sulle loro e le nostre intenzioni.
Dopo il massacro dei terroristi a Mumbai. Il ministro degli interni indiano si dimette
Uno dei terroristi confessa: "I cittadini israeliani erano uno dei nostri obiettivi"
India, alta tensione con il Pakistan
"Pronti a rivedere processo di pace" *
ROMA - Il governo indiano è pronto a sospendere il processo di pace con Islamabad in seguito agli attentati di Mumbai, la cui paternità viene attribuita a gruppi terroristici con base in Pakistan. Lo scrive oggi l’agenzia stampa indiana Pti. E intanto il massacro di Mumbai provoca le prime conseguenze interne: il ministro dell’interno, Shivraj Patil, si è dimesso, ammettendo di avere una responsabilità morale nell’accaduto. Lo ha riferito la televisione Ndtv.
La decisione di Patil fa seguito ad una ondata di critiche che in modo compatto la stampa indiana ha rivolto nelle ultime ore al comportamento del governo e di tutto il mondo politico, unendo nel biasimo sia il partito del Congresso, al potere a livello federale, sia l’opposizione rappresentata essenzialmente dai nazionalisti indù del Bharatiya Janata Party.
Poco dopo il ministro dell’Interno si è dimesso il consigliere per la sicurezza nazionale del governo indiano, M.K.Narayan. Stando ai canali Ndtv e Times Now, M.K. Narayanan ha già presentato le dimissioni al primo ministro, Manmohan Singh, che le ha accettate. Secondo fonti vicine al premier, "molti altri membri importanti del governo dovrebbero lasciare".
Intanto (lo scrive il "Times of India") il pachistano Azam Amir Kasab, l’unico dei terroristi catturato vivo, ha detto alla polizia che il gruppo è stato inviato anche con la specifica missione di colpire cittadini israeliani per "vendicare le atrocità commesse contro i palestinesi". Ed è per questo, avrebbe sempre detto Kasab, che i terroristi hanno preso d’assalto il centro ebraico alla Nariman House.
Il ministero degli esteri israeliano ha reso noto ieri che sono in totale nove i cittadini israeliani uccisi negli attentati di Mumbai.
* la Repubblca, 30 novembre 2008
La confessione di un terrorista. In due alloggiavano al Taj Mahal Si erano fatti assumere nelle cucine dell’hotel per studiarne la pianta
Otto commandos di terra e di mare
"Così abbiamo scatenato l’inferno"
Tutto ha inizio il 12 novembre nel porto di Karachi, in Pakistan
Nel gruppo di fuoco forse anche due pachistani con passaporto britannico
di CARLO BONINI *
La strage di Mumbai ha una voce di dentro. Che accusa della mattanza l’organizzazione separatista islamica "Lashkar-e-Toiba" e ne illumina il dettaglio militare. E’ la voce di un uomo che confessa, o che quanto meno avrebbe cominciato a farlo, e che l’intelligence indiana identifica ora come Abu Ismail ora come Abu Islami, cittadino pachistano di Faridkot, distretto del Punjab, catturato giovedì dalle teste di cuoio nell’assedio dell’hotel Oberoi con un documento di identità delle isole Mauritius.
Il racconto di Ismail, alias Islami, non trova al momento altre conferme che non siano quelle delle autorità indiane che lo hanno raccolto e che ora ne fanno filtrare in parte il contenuto, insieme ad altri, numerosi dettagli recuperati sulla scena della strage. E dunque come tale va preso e con cautela maneggiato.
E’ un racconto che ha il suo incipit il 12 novembre scorso. Quattordici giorni esatti prima della mattanza. Nel porto della città di Karachi, Pakistan.
L’operazione che deve portare la morte e il terrore a Mumbai è stata pianificata sei mesi prima. Da "Lashkar-e-Toiba", da uno dei suoi capi militari. Tale Youssuf Muzami, che ha la sua base a Muzzafarabad, capitale del Kashmir pachistano. Il suo telefono - riferiscono fonti della Sicurezza indiana - riceve le prime significative chiamate proprio quel 12 novembre dai cellulari dei martiri che troveranno la morte negli hotel Oberoi e Taj Mahal. Perché, il 12 novembre, i martiri lasciano il Pakistan. Su una banchina del porto di Karachi li carica a bordo una nave mercantile, la MV Alpha, ufficialmente registrata in Vietnam. Non è chiaro in quanti si imbarchino. Almeno in quaranta, secondo i Servizi indiani. Né è chiaro se, insieme agli uomini, la Mv Alpha carichi anche armi e gommoni. E’ certo invece che la nave dirige la sua prua verso Mumbai, nella cui rada arriva il 17 novembre.
C’è una seconda imbarcazione che si muove. E’ un peschereccio con moderni sistemi di navigazione gprs. Si chiama Kuber e ha sigla PBR2302. E’ stato affittato il 13 novembre, poi ritrovato a 5 miglia da Mumbai con a bordo un cadavere con la gola squarciata. Il peschereccio si muove da Por Bandar, nel Gujarat indiano (distretto sulla costa nord-occidentale dell’India). Anche nella sua stiva - ritengono i Servizi indiani - si nascondono armi e uomini. Anche il Kuber è diretto a Mumbai.
Negli stessi giorni in cui la Mv Alpha e il Kuber attraversano le acque dell’Oceano Indiano, a Mumbai è al lavoro una seconda squadra di martiri. Quattro di loro alloggiano al Taj Mahal. Sono tutti pachistani. Due di loro vengono assunti nelle cucine dell’albergo. Altri due, si fingono uomini d’affari. Pagano per tre stanze e fanno grande uso di contanti (in uno dei loro appartamenti, saranno trovati 1.200 dollari e 6.840 rupie). Si registrano con passaporti europei. Meglio, secondo indiscrezioni, con passaporti inglesi, che dimostrerebbero una cittadinanza che, da Londra, sia pure con cautela, il premier inglese Gordon Brown al momento smentisce.
E’ un fatto che nella gran messe di bagagli che scaricano al loro arrivo in hotel, ci sono sacche che contengono decine di granate di fabbricazione cinese, fucili d’assalto Ak47 e migliaia di munizioni. Ci sono anche 23 chilogrammi di esplosivo sintetico Rdx, con cui l’albergo dovrà essere minato. Perché il copione sanguinario che si preparano a mettere in scena prevede che di quell’edificio simbolo dell’India non rimanga in piedi neppure una pietra.
I giorni che separano dal 26 novembre sono il tempo necessario ai quattro del Taj Mahal per verificare con esattezza le planimetrie dell’albergo di cui sono in possesso. Le uscite di sicurezza, l’accesso ai piani, le modestissime misure di difesa passiva, le telecamere del sistema televisivo a circuito chiuso senza le quali la security dell’hotel è cieca. E’ un lavoro, a quanto pare, certosino. Che viene ripetuto all’hotel Oberoi, dove, il 22 novembre, prende alloggio proprio Abu Ismail, alias Islami, con almeno altri sei martiri. Un lavoro che consentirà, la notte del 26, di sigillare i due alberghi in una morsa capace di resistere a un assedio di due giorni e due notti sotto gli occhi del mondo.
Quelle del Taj Mahal e dell’Oberoi non sono le sole ombre a muoversi a Mumbai in quegli ultimi giorni di preparazione. Altri martiri hanno raggiunto la città. Alloggiano in appartamenti per studenti, alcuni dei quali, se i Servizi indiani raccontano il vero, affittati addirittura dal Centro ebraico, uno degli obiettivi. La sera di mercoledì 26 tutto è pronto. La Mv Alpha e il Kuber sono in rada. I martiri negli alberghi sono pronti a dare inizio alla mattanza.
Per percorrere il breve tratto di mare tra il punto in cui il mercantile vietnamita e il peschereccio sono ancorati e la riva su cui affaccia il Gateway of India e il quartiere degli hotel cinque stelle, i commando utilizzano gommoni. Li intercetta lo sguardo incuriosito di povere barche di pescatori, i quali riferiranno successivamente di essere stati invitati ad allontanarsi da quegli uomini armati e con pesanti zaini sulle spalle che si dicevano militari indiani.
Una volta a terra i commando si dividono in otto unità di fuoco. Ognuna con un obiettivo che Mumbai e il mondo impareranno a conoscere. Il Centro ebraico, il Leopold Café, Victoria Station, gli uffici di polizia di Colaba, che i martiri sanno sarà la prima ad essere allertata quando l’assalto avrà inizio e dunque per prima dovrà essere annichilita.
Il piano prevede che, seminata la morte e il terrore, le otto squadre ripieghino sui grandi alberghi, dove Ismail e gli altri martiri hanno smesso di essere gentili ospiti per diventare macchine di morte. E il piano, a ben vedere, funziona alla perfezione. La sorpresa è assoluta. La polizia di Colaba è annichilita. I primi rinforzi finiscono nell’inferno del fuoco incrociato di uomini di cui ignorano la posizione e la destinazione. Il Taj Mahal e l’Oberoi resisteranno a un assedio di 48 ore, diventando la tomba di decine di innocenti.
Fonti dei Servizi indiani, citate dalla France Presse, sostengono che Ismail, alias Islami, continuerà ad essere interrogato fino a quando non dirà quel che ancora non avrebbe detto. Fino a quando non consegnerà a chi lo interroga notizie utili a ricostruire la provenienza esatta delle armi da guerra caricate lungo la sua rotta dalla MV Alpha e del Kuber e arrivate con i "gentili ospiti" all’Oberoi e al Taj Mahal nella settimana prima della strage. Sempre che qualcun altro tra i martiri sopravvissuti non cominci a farlo prima di lui.
* la Repubblica, 29 novembre 2008