Maggioranze e minoranze

Gruppi deformanti e logiche del branco - di Vincenzo Tiano

martedì 14 febbraio 2006.
 

In relazione al diffondersi del pluralismo di idee valori modelli, l’uomo contemporaneo avverte maggiormente disagio, insicurezza e, se vogliamo, solitudine. Utilizza, come difesa, la ricerca del gruppo nel quale trova riconoscimento ed approvazione. L’associazionismo, il prolificarsi di partiti politici, movimenti religiosi e laici, il diffondersi di nuove chiese, il sorgere di chiese nella chiesa sono espressione, a mio avviso, di questa tendenza. Gruppi che, se non si sta attenti, portano alla chiusura, dell’individuo e dell’idea. Da qui il fanatismo che altro non è che un’implosione ideale. L’uomo perde personalità, sentimento originale, libera passione, autodeterminazione, spontaneità, insicurezza positiva intesa come cognizione di fallibilità, creatività, simpatia. Al contrario acquista onnipotenza, sicurezza che è solo apparente, falsa rappresentazione di perfezione, coraggio, giustizia che crollano da un giorno all’altro come castelli di sabbia. Ne escono sacrificati proprio l’amicizia autentica, l’altruità, la carità, il confronto, l’incontro. Beninteso: non intendo dire che l’uomo non debba fare gruppo che è esigenza naturale, ma fuggire le deformazioni del gruppo e i gruppi deformati. Altrimenti l’amicizia, divenendo strumento, viene assoggettata alle logiche del branco, scemata della sua essenziale gratuità, ancorata ad una condivisione di opinioni e posizioni ideologiche. Il punctum dolens è il seguente: o si suppone una immutabilità nel tempo delle idee o si deve ritenere che l’amicizia venga meno col mutare delle idee. La prima soluzione è impossibile per gli uomini, se fatti non furono a viver come bruti; la seconda spiega il pericolo del gruppo per l’amicizia ovvero la strumentalità che nel gruppo rischia di correre. L’altruità viene annullata in quanto si riconosce solo il componente del gruppo che non è l’altro, ma la proiezione dell’io, il riflesso della propria idea o della propria insicurezza. Ciò che sta fuori dal gruppo, non interessa. Può essere nemico, pericolo, sospetto. La carità non è affatto praticabile in quanto essa è amore incondizionato, è amore soprattutto del nemico. Ma se l’altro è gia nemico, il vero nemico non può che essere odio. Al più c’è spazio per una comoda e altezzosa tolleranza. La differenza è netta: se tollero vuol dire che sono consapevole del fatto che io ho agito bene, l’altro male. La carità è invece condivisione dell’errore altrui, ritenendolo proprio. Il confronto e l’incontro sono praticabili ma in modo parziale, molto parziale. Ci si confronta e ci si incontra con quelli del gruppo e su temi cari al gruppo. Ho sviluppato queste idee anche grazie ai racconti di Pietro, mio nonno e maestro. Mi narra spesso di un amico e collega, passato a nuova vita, del quale ho un vago ricordo. Mio nonno, uomo di fede, di chiesa e di idee politiche cristiane. Non amava e non ama stare in mezzo alle “anime davanti alla chiesa”, tra “la gente divisa”. L’amico non uomo di chiesa, comunista e sedicente ateo. Anche lui non preferiva i compagni di partito e i circoli culturali. Andavano e stavano assieme nella campagna silana, soprattutto da pensionati. Due individui, con idee diverse ma legati da una grande amicizia. Stavano lì, spesso davanti al camino preparando le caldarroste, in autunno. Parlavano di tutto e le discussioni erano serene e pacate. Di rado qualche infuriata ma dopo, tutto come prima. Mio nonno è fortemente convinto che l’amico fosse un uomo di grande fede. Io gli credo. Con lui riusciva a parlare senza remora alcuna di Dio, forse più che col confessore. L’amico gli esponeva la sua visione di vita, le esigenze di egalitarismo e di giustizia etico-sociale, gli dava continua prova di carità cristiana. Di lui mio nonno ha un ottimo ricordo. Quando me ne parla si avverte ancora la condivisione che resiste alla morte. Questo è incontro.

Vincenzo Tiano


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