[...] Qualche settimana fa Giorgio Napolitano prese carta e penna e scrisse una lettera al governo per conoscere gli intendimenti e gli impegni dell’esecutivo per la celebrazione del centocinquantenario: è passato del tempo, e attende ancora una risposta. La lettera era riservata, naturalmente, ma il tenore è facile da immaginare, essendo invece nota un’altra missiva che il Presidente inviò negli stessi giorni al Comitato di Torino per le celebrazioni (era il tempo della polemica sollevata da Galli Della Loggia intorno al centocinquantenario dimenticato). Rallegrandosi per il lavoro di quel comitato, Giorgio Napolitano esprimeva rammarico «per altre iniziative delle istituzioni regionali, locali e soprattutto nazionali che, purtroppo, non si riesce ancora a veder definite». Il tempo è passato, siamo ancora a quello [...]
PARLARE AD AGOSTO (2009) DELL’UNITA’ D’ITALIA, SOTTO L’OMBRELLONE DEL CAVALIERE DI "FORZA ITALIA"!!!
IL RICHIAMO DEL COLLE
Napolitano: "Aspetto risposte sull’Unità d’Italia dal governo"
Il Presidente della Repubblica si dice preoccupato dai ritardi: «Se ho scritto una lettera è per avere chiarimenti»
di FEDERICO GEREMICCA *
ROMA Di certo avrebbe preferito trascorrere le sue brevissime vacanze leggendo altro - almeno sui quotidiani - piuttosto che lo stillicidio di polemiche distillate dall’estate leghista. I dialetti nelle scuole, i test agli insegnanti, le bandiere regionali affianco al tricolore, la zuffa intorno all’inno di Mameli... Nulla, insomma, che possa aver fatto particolarmente piacere a Giorgio Napolitano, nella sua doppia veste di simbolo e garante dell’unità nazionale e di meridionale e meridionalista convinto. Chi gli sta vicino o fa la spola tra i «palazzi» e la tenuta presidenziale di Castel Porziano giura che il Capo dello Stato si sia a ragion veduta astenuto dall’intervenire. «Non è questione che si possa affrontare con una battuta. Ci sto riflettendo... Del resto - dice il Presidente - il rovescio della medaglia in questione è la situazione del Mezzogiorno e lo stato di estremo disagio in cui versano le nostre regioni meridionali». Di questo parlerà certamente presto, magari anche prima della visita in Basilicata, prevista per i primi giorni di ottobre.
Ma che naturalmente non prenda parte alla discussione in corso non significa che il Presidente la sottovaluti. Fedele allo stile sobrio che ne sta caratterizzando il mandato, si è affidato ai due tradizionali capisaldi della sua azione. Da una parte, una sollecitazione discreta al governo affinché intervenisse, perché considerava impossibile che si tacesse di fronte a certe polemiche. Dall’altra, un’attenzione particolare alle cose concrete, ai fatti, alle azioni con le quali dimostrare - governo, Parlamento e forze politiche - che l’unità del Paese e i suoi simboli sono considerati tutt’oggi un valore da preservare. E c’è appunto una cosa concreta alla quale il Capo dello Stato dedica da settimane la sua attenzione: il programma per le celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia.
Qualche settimana fa Giorgio Napolitano prese carta e penna e scrisse una lettera al governo per conoscere gli intendimenti e gli impegni dell’esecutivo per la celebrazione del centocinquantenario: è passato del tempo, e attende ancora una risposta. La lettera era riservata, naturalmente, ma il tenore è facile da immaginare, essendo invece nota un’altra missiva che il Presidente inviò negli stessi giorni al Comitato di Torino per le celebrazioni (era il tempo della polemica sollevata da Galli Della Loggia intorno al centocinquantenario dimenticato). Rallegrandosi per il lavoro di quel comitato, Giorgio Napolitano esprimeva rammarico «per altre iniziative delle istituzioni regionali, locali e soprattutto nazionali che, purtroppo, non si riesce ancora a veder definite». Il tempo è passato, siamo ancora a quello. Ora è previsto che nella prossima seduta di governo il ministro Bondi illustrerà il programma delle celebrazioni. «Magari interverrò allora - dice il Presidente - sulla base di quello che verrà o non verrà fuori».
L’attenzione era dunque già alta, e le forti e recenti polemiche non l’hanno certo abbassata. Saranno, magari, solo i soliti fuochi d’artificio estivi dei «lumbard», ma non si sa mai... Ed è per questo che il Presidente tiene a conoscere il programma di iniziative cui pensa il governo: un programma che, nelle aspettative del Capo dello Stato, dovrà rappresentare - per il suo spessore - la migliore risposta a certe recenti polemiche. Insomma, dire che il Capo dello Stato sia preoccupato, probabilmente è improprio: ma raccontarlo sereno forse sarebbe una bugia. «Se ho scritto una lettera è per avere una risposta - annota -. Ormai siamo a fine agosto, la scadenza comincia a non esser lontana e se in autunno non si stringe... A quel punto saremo arrivati alla fine del 2009, e quindi occorrerà fare tutto nel 2010 perché gli eventi possano regolarmente aver luogo l’anno dopo. I tempi sono molto stretti...». La conclusione? Semplice: il Presidente resta in attesa. «Attendo - dice - una risposta ormai improrogabile dal governo, affinché chiarisca i suoi intendimenti e i programmi in vista del nostro anniversario». Una risposta, certo, alle sue preoccupazioni intorno alle celebrazioni per il 150° dell’Unità d’Italia; ma anche una risposta ai timori di chi vede quell’unità attaccata e derisa ad ogni piè sospinto.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
PARLARE AD AGOSTO (2009) DELL’UNITA’ D’ITALIA, SOTTO L’OMBRELLONE DEL CAVALIERE DI "FORZA ITALIA"!!!
L’Italia unita e voluta nel Risorgimento
di FRANZO GRANDE STEVENS (La Stampa, 2/1/2010)
Si è in tanti al lavoro, soprattutto a Torino, per realizzare l’anno venturo i vasti programmi di celebrazioni dell’Unità d’Italia; ma, imprevedibilmente, si sono levate distinte voci di dissenso. C’è chi sostiene che qui, dal Piemonte, non si volle un’Unità così come realizzata per tutta l’Italia e chi d’altra parte ritiene che alcune Regioni italiane fossero state brutalmente annesse contro la loro volontà ed i loro interessi.
È molto triste che così si dimentichino - o piuttosto si tradiscano - le migliaia e migliaia di patrioti e di intelligenze di tutta la penisola che credettero negli ideali degli illuministi, della rivoluzione francese, di quella napoletana del ’99, nell’unità degli italiani e per restarne fedeli andarono in esilio, nelle carceri o sacrificarono la loro vita.
Proprio qui in Piemonte, si guardò lontano: si dette la Costituzione (lo Statuto), si riconobbero i diritti delle minoranze (ebrei e valdesi), si combatterono con le guerre di indipendenza gli stranieri che occupavano regioni italiane, si stabilì che la giustizia ordinaria, senza distinzioni e privilegi, fosse applicabile anche agli ecclesiastici, si accolsero gli esuli qui venuti d’ogni parte d’Italia.
Intorno al decennio chiamato «di preparazione» (1849-1859), a Torino convennero i migliori da tutta l’Italia.
Via Po dintorni e il Borgo Nuovo (con i caffè Florio e Perla) furono il centro frequentato, ad esempio, da Francesco De Sanctis, Antonio Scialoja, Pasquale Stanislao Mancini, Bertrando Spaventa, Francesco Crispi (anch’egli convertito all’Unità), Carlo Poerio, Raffaele Conforti, Guglielmo Pepe, Enrico Cosenz, Mariano d’Ayala, Giuseppe La Farina, Guglielmo Pepe, Giovanni Nicotera, Giuseppe Pisanelli, Raffaele Piria, Agostino Depretis, Luigi Settembrini, Francesco Ferrara, Filippo Cordova e tanti tanti altri. E quanta solidarietà essi trovarono! A Scialoja il governo sardo assicurò un appannaggio e la cattedra di economia, poi trasmessa a Francesco Ferrara, a De Sanctis (ricordato con una lapide in via San Francesco da Paola) fu consentito l’insegnamento e qui egli tenne il famoso corso di mirabili lezioni dantesche; Francesco Crispi che stentava la vita fra la mansarda di via Vanchiglia ed il locale «Caffè del Progresso» venne aiutato da Don Bosco che incontratolo macilento in corso Valdocco lo invitò a mangiare dai salesiani (dove è ora Maria Ausiliatrice). A Mancini che aprì uno studio in via Dora Grossa (l’attuale via Garibaldi) che fu anche il luogo di incontro di un cenacolo intellettuale, la professione legale e la cattedra di diritto internazionale - la prima - consentirono di guadagnarsi da vivere. E tanti altri potrebbero ricordarsi.
Tutti si guadagnarono fama e gratitudine (strade e monumenti dedicati, quello di La Farina a piazza Solferino, di Guglielmo Pepe in Piazza Maria Teresa, di Piria nel cortile dell’Università).
Piero Citati che amava «chi imprigionasse nei suoi libri una goccia di passato» ci fece sentire con una vibrazione appassionata la «dolentissima» realtà di affanni dei tanti emigrati politici.
E Benedetto Croce nel 1925 scrisse: «Quando io ripenso a quei calabresi e abruzzesi, balisicatesi e pugliesi, e napoletani di Napoli che agitavano ardenti problemi politici..., che entrarono nelle legioni italiane appena formate... e quando leggo i documenti delle relazioni e amicizie che essi allora legarono con lombardi e piemontesi e liguri e veneti dico tra me: ‘’Ecco la nascita dell’Italia moderna, della nuova Italia, dell’Italia nostra’’».
E in una lettera conservata all’istituto di Studi filosofici di Napoli, Bertrando Spaventa scrisse a Pasquale Villari (il grande allievo di De Sanctis) «di essere giunto alla Mecca a Gerusalemme, la Città Santa degli italiani: Torino» che descriveva così: «Torino, una città seria, silenziosa, gli abitanti non sono oziosi, badano ai loro affari e pare che non sia; pochi gesti, poche parole, proponimento...; hanno creduto e credono che la Costituzione non sia una burla, e la vogliono, ne godono e non sono contenti di perderla. Vita politica attivissima. A me pare una piccola città inglese. Donne... graziose e facilissime, anzi troppo». E così concludeva: «Ma l’anima è ora italiana».
Nel suo ultimo libro Arrigo Levi scrive: «Emancipazione e Risorgimento, nella cultura degli ebrei italiani, furono una cosa sola. Essi diventarono italiani, come lo diventarono veneziani e napoletani, piemontesi e lombardi, esattamente negli stessi anni».
Soltanto chi manchi di letture o abbia spirito fazioso può oggi sostenere che nel Risorgimento - periodo favoloso della nostra Storia - non si volle l’Italia unita, o addirittura che non la si voglia oggi.
Tanto più oggi poi quando la Costituzione definisce l’Italia «una Repubblica...» costituita da «Comuni, Province, Città metropolitane, Regione e Stato», si è costituita l’Unione Europea e si tende ad un’Europa sempre più unita (come ricordano e sollecitano i Presidenti della nostra Repubblica). Al punto che le nostre leggi ordinarie non possono essere in contrasto non soltanto con la nostra Costituzione, ma anche con «l’ordinamento comunitario» o gli «obblighi internazionali».
Sull’Unità d’Italia dimissioni a catena
di Simonetta Fiori (la Repubblica, 23.04.2010)
E’ qualcosa di emblematico nella burrasca che scuote il comitato per le celebrazioni dell’Unità d’Italia. Dopo le dimissioni del presidente Carlo Azeglio Ciampi, dettate da ragioni d’anagrafe, s’annunciano altre defezioni illustri, firmate da Dacia Maraini, Ugo Gregoretti, Marta Boneschi e Ludina Barzini. Tra i nomi dei dimissionari è circolato ieri anche quello di Gustavo Zagrebelsky, il quale però precisa: «Non esiste alcun atto formale. Siamo ancora in alto mare, non so bene come andrà a finire. Quel che posso esprimere è solo un sentimento di disagio».
Se è vero che anche le precedenti celebrazioni - nel 1911 e nel 1961 - si svolsero nel segno della disunità, queste del prossimo anno rischiano di saltare del tutto: anche per scarsa convinzione - da parte dei seguaci di Bossi, ma non solo - che vi sia qualcosa da festeggiare. Ora il nuovo contrasto, di cui non erano mancate le avvisaglie. Ma conviene procedere per ordine. Ciampi scrive una lettera di dimissioni a Berlusconi e Bondi dai toni molto sereni («Negli ultimi tempi sto avvertendo una riduzione delle mie energie, che si traduce in un senso di affaticamento, fisico e psicologico. Nulla di grave. Tutto in linea con... i dati anagrafici»). Una missiva che in sostanza riconosce al governo il merito di avere avviato le celebrazioni, e che dunque sembra sgombrare il campo da ogni malizia (ora, per la sua successione alla presidenza, si fanno i nomi di Giovanni Conso, Lamberto Maffei e Giuliano Amato).
Però alcuni "saggi" del comitato colgono l’occasione per annunciare il proprio ritiro. Tra questi Dacia Maraini, che sul sito dell’Espresso dichiara: «Con il passare dei mesi il ruolo del comitato è stato svuotato. Non contavamo più niente, non potevamo decidere niente. Mi sembrava poco dignitoso restare lì a fare la foglia di fico e così ho mandato una mail a Zagrebelsky, anche lui preoccupato per la deriva del nostro lavoro, dicendogli: "Ma che ci stiamo a fare?". Zagrebelsky ha scritto una lettera di dimissioni piuttosto dura e motivata, che è stata firmata da me, da Gregoretti e da Boneschi». Zagrebelsky mostra cautela: «È solo una situazione in movimento, la lettera è un documento privato». Di più lo studioso non vuole dire, anche perché «tradirei la riservatezza di altri membri del comitato».
Quel che si percepisce è il sentimento di inutilità diffuso tra i "saggi", messi da parte dalle autorità che guidano le celebrazioni. La Maraini racconta di aver provato a impegnarsi in prima persona con due proposte, una rassegna di film sul Risorgimento e una serie di iniziative sulla lingua italiana. «Nessuno mi ha mai risposto. Poi improvvisamente ci è stato detto che non c’era più una lira, che non si poteva fare più niente. Abbiamo continuato a vederci lo stesso, sperando di sbloccare la situazione, ma è stato inutile. In tutte le nostre riunioni siamo riusciti ad approvare una sola cosa, un disegno con tre bandierine che sarà il logo delle celebrazioni».
Anche il programma finora definito - il restauro dei monumenti, un museo virtuale del Risorgimento, un paio di convegni e poche altre cose - era apparso a diversi membri del comitato molto debole, inadeguato a restituire il senso del processo unitario e di una storia lunga un secolo e mezzo. Un progetto che in sostanza restituiva la scarsa convinzione con cui l’attuale governo si predispone a omaggiare la data fondativa della nostra identità italiana.
Ma abbandonare oggi il comitato potrebbe avere conseguenze indesiderate. Il rischio è che saltino le celebrazioni o subiscano l’influenza di chi ancora crede che l’Italia sia "un’espressione geografica". È dai primi anni Novanta che alcune forze politiche oggi al governo mettono in discussione il processo storico unitario e l’assetto statuale dell’Italia. È anche per sottolineare il valore di un anniversario - contestato "con toni rozzi e inaccettabili", come dice la Maraini - che molti avevano accettato con entusiasmo di impegnarsi nelle celebrazioni. Ora però sembrano venute meno le condizioni per il proseguimento della collaborazione. Un bel pasticcio. Gli storici del futuro potranno usare anche questa vicenda come indicatore del debole stato di salute del nostro sentimento nazionale.
CONFINDUSTRIA
Marcegaglia: "Si celebri l’unità d’Italia ma senza perdere un giorno di lavoro"
Gli industriali, pur condividendo le ragioni della celebrazione, chiedono che non diventi occasione "per la perdita di preziose ore di lavoro" . "C’è il rischio ponte lungo" *
ROMA - Celebrare l’unità nazionale è sacrosanto, purché però questo non comporti la perdita di una giornata di lavoro, per di più collegata a un possibile ’ponte’, visto che la giornata scelta dal governo, il 17 marzo, cade di giovedì. A chiederlo è il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, che assicura comunque che da parte degli imprenditori ci sarà tutto l’impegno "a fare la loro parte a fianco delle istituzioni pubbliche, organizzando momenti di ricordo e di aggregazione attorno alla bandiera nazionale nei luoghi di lavoro".
"Confindustria rispetta e condivide la decisione del governo di celebrare, il prossimo 17 marzo, la ricorrenza della proclamazione dell’Unità d’Italia. Si tratta di una data importante che va vissuta con autentica partecipazione, come momento di orgoglio e di unità nazionale. - si legge nel comunicato di Confindustria - Chiediamo al tempo stesso che si tenga conto delle esigenze di un’economia che sta facendo e sempre più deve fare ogni possibile sforzo per recuperare competitività. Una nuova festività - per di più collocata in una giornata, il giovedì, che si presta ad essere utilizzata per un "ponte lungo" sino al fine settimana - comporta perdite elevate in termini di minore produzione e maggiori costi per le imprese. Darebbe un segnale fortemente dissonante rispetto alle azioni che, faticosamente, le parti sociali stanno mettendo in atto per recuperare ogni possibile margine di produttività, per poter fare nuovi investimenti e salvare posti di lavoro in Italia".
"Chiediamo dunque - conclude il comunicato - che la giornata del 17 marzo venga celebrata come una ricorrenza importante, ma senza che ciò comporti la perdita di preziose ore di lavoro o un aggravio di costi per le imprese".
Confindustria con quest’iniziativa viene incontro alle lamentele di molte delle sue associate, a cominciare da Confindustria Ceramica, che in un comunicato ribadisce che i festeggiamenti del 17 marzo avrebbero un onere, se si trattasse di un giorno di vacanza per i lavoratori, "pari a 2 milioni di euro per il solo settore dell’industria italiana delle piastrelle di ceramica".
* la Repubblica, 04 febbraio 2011
Il premier ha affidato a Bondi il compito di elaborare i nuovi criteri per l’anniversario
"La crisi economica impone di rivedere il progetto del precedente Governo"
Unità d’Italia, Berlusconi scrive a Napolitano
"Rivedremo i progetti per la celebrazione" *
ROMA - Si rivedranno i progetti, si terrà conto del dibattito delle ultime settimane. Questo, in sintesi, il contenuto della lettera con cui il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha risposto al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in merito alle celebrazioni dei 150 dell’Unità d’Italia.
"Il Presidente Berlusconi - si legge in una nota di Palazzo Chigi - ha osservato come sia opportuna una revisione dei progetti originari, proprio per non incorrere in quella che era stata definita la ’celebrazione edilizia’ dell’evento. La crisi economica e la qualità di molte opere hanno imposto, pertanto, una seria riflessione per valutare e correggere il progetto impostato dal precedente Governo".
"Il Consiglio dei ministri del 31 luglio - prosegue la nota- ha già avviato un ampio ed approfondito dibattito sull’argomento. Al termine del quale, il presidente del Consiglio ha affidato al Ministro dei beni culturali, Sandro Bondi, il compito di elaborare i nuovi criteri per le celebrazioni. Criteri che terranno conto del dibattito delle ultime settimane, al quale hanno partecipato tante personalità della cultura e della politica italiana".
"Una volta individuati i criteri, e prima di procedere all’elaborazione del programma definitivo, il Presidente Berlusconi si è impegnato per una verifica con il Capo dello Stato", conclude il comunicato.
* la Repubblica, 29 agosto 2009
Con una nota del Quirinale il capo dello Stato torna sul tema del centocinquantennale
"Nella lettera a Berlusconi il presidente aveva chiesto con urgenza spiegazioni"
Unità d’Italia, Napolitano insiste
"Servono un chiarimento e fondi certi" *
ROMA - Dopo il dibattito delle ultime settimane, e il suo forte appello di qualche giorno fa, Giorgio Napolitano torna sul tema dei 150 anni dell’unità d’Italia (che cadranno nel 2011). E lo fa attraverso una nota diffusa dal Quirinale, in cui torna a insistere sulla necessità di un chiarimento su come verrà celebrata la ricorrenza. E anche sulla necessità di fondi certi con cui affrontare l’evento.
"In relazione al dibattito in corso sulle celebrazioni del 150/mo anniversario dell’Unità d’Italia - è scritto nel comunicato - si precisa che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nella lettera inviata lo scorso 20 luglio al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi aveva sottolineato come occorra ormai con la massima urgenza un chiarimento: se necessario, un esplicito e preciso ripensamento selettivo, e dunque ridimensionamento del programma di investimenti infrastrutturali, tenendo conto delle disponibilità del bilancio pubblico (Stato, Regione ed Enti locali). E nello stesso tempo, una soddisfacente definizione delle iniziative più propriamente rispondenti al carattere e agli scopi di una seria celebrazione dell’evento. Su questa base ed entro limiti che dovranno e vorranno porsi, certezza delle risorse su cui poter contare".
"Si fa altresì presente - prosegue la nota - che nella lettera inviata il 23 luglio al Presidente del Comitato Italia 150 di Torino, professor Antonio Saitta, il capo dello Stato aveva espresso l’auspicio che "possano superarsi i ritardi e si giunga ad approvare finalmente un programma articolato su pochi ma significativi progetti di carattere prevalentemente culturale, pedagogico e comunicativo, diretti a rappresentare e rafforzare la nostra identità nazionale".
* la Repubblica, 21 agosto 2009
DOPO L’APPELLO DEL QUIRINALE
Sì al Colle, la Lega resta sola
Il governo prepara la risposta alle richieste del presidente Napolitano
di AMEDEO LA MATTINA (La Stampa, 20/8/2009)
ROMA Il governo si muove dopo il richiamo del capo dello Stato, che chiede di recuperare in fretta i ritardi per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Per la verità l’argomento era stato affrontato nell’ultimo Consiglio dei ministri prima della pausa estiva, il 31 luglio. La discussione fu animata: il sottosegretario Gianni Letta, sollecitato dal Quirinale, aveva posto il problema, dicendo che bisognava dare presto una risposta al presidente della Repubblica; il ministro dell’Economia Tremonti aveva tirato il freno. Alla fine era stato deciso che il premier Berlusconi e il ministro della Cultura Bondi avrebbero rivisto il programma originario considerato troppo costoso. A Palazzo Chigi spiegano che erano arrivate addirittura 357 richieste di finanziamento per realizzare opere pubbliche. Ma la crisi economica e il conseguente svuotamento delle casse dello Stato non consentono di far fronte a celebrazioni faraoniche. Il governo allora ha deciso di ridurre le spese: 11 opere pubbliche già avviate saranno completate, mentre il resto verrà concentrato su manifestazioni culturali e popolari. Berlusconi pensa anche di utilizzare la televisione per avere un grande impatto mediatico. Sono allo studio tre eventi nelle tre città che sono state le capitali italiane: Torino e Firenze e Roma.
Dunque, precisano fonti del governo, non ci sono ritardi ma solo una rimodulazione del programma per tirare i cordoni della borsa. Un piano alternativo che verrà trasmesso al presidente della Repubblica e poi approvato nel Consiglio dei ministri il 4 settembre. Insomma, c’è un percorso condiviso con il Quirinale, precisano a Palazzo Chigi. Per fugare ogni ombra di dubbio ieri il ministro Bondi ha parlato con Napolitano e gli ha spiegato come si sta muovendo il governo. Berlusconi intende onorare al meglio la ricorrenza dell’unità d’Italia, ma senza sprechi. Il premier non vuole grane e polemiche con il Colle. Soprattutto non intende sovrapporre la questione dell’unità d’Italia alla campagna d’agosto della Lega sull’Inno di Mameli, i dialetti e il tricolore. Al Colle su questi argomenti c’è ovviamente molta sensibilità e non dispiacerebbe che si abbassassero i toni antiunitari.
Non è un caso infatti che l’opposizione sfrutti questa occasione per dire ancora una volta che il capo dello Stato interpreta il sentimento nazionale e mette un freno al Carroccio. «Berlusconi - ha detto il vicecapogruppo del Pd al senato Luigi Zanda - non avrebbe dovuto permettere a Bossi e agli altri ministri leghisti di aggredire i valori dell’unità d’Italia». «La polemica sulla celebrazione dell’Unità d’Italia: i ministri leghisti dovrebbero dimettersi», ha tagliato corto il presidente dei deputati Idv Donadi.
Dalla maggioranza si va da commenti freddi della Lega alla disponibilità del ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola, che pensa di utilizzare i fondi regionali Fas. Diverso il tono del capogruppo della lega Roberto Cota. «In un momento come questo vanno evitate le celebrazioni enfatiche e le spese inutili. Altre sono le priorità e le esigenze della gente». Anche per il deputato del Pdl Osvaldo Napoli sono necessarie celebrazioni sobrie e senza ipocrisia: semmai sarebbe utile «riscoprire e rivalutare la festa del 4 novembre con la quale si ricorda la conclusione della Prima Guerra mondiale e dunque il compimento della stagione risorgimentale». Comunque, ha ricordato Gaetano Quagliariello «l’importanza dell’avvenimento dell’Unità d’Italia non si misura con i soldi spesi». Nella maggioranza è invece polemico con la Lega il viceministro dello Sviluppo economico Adolfo Urso, per il quale il Carroccio sbaglia e il presidente Napolitano ha «pienamente ragione»: «Le spese inutili semmai sono quelle che servirebbero per insegnare i dialetti nelle scuole o quelle impiegate per realizzare i referendum in una data diversa della elezioni europee».
Il Capo dello Stato: "Ho scritto una lettera al governo, attendo risposte"
Il ministro della Difesa: "Ha ragione", ma il Carroccio frena
Unità d’Italia, La Russa con Napolitano
La Lega attacca: "No a spese inutili"
ROMA - Il richiamo del Capo dello Stato sui tempi stretti per la preparazione delle celebrazioni dei 150 dell’Unità d’Italia, previste per il 2011, non è caduto nel vuoto: lo assicurano diversi esponenti del governo, a cominciare dai ministri La Russa e Matteoli. Mentre prendono le distanze alcuni esponenti della Lega. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso le sue preoccupazioni in un colloquio con il quotidiano La Stampa: "Siamo a fine agosto, la scadenza comincia a non essere lontana e se in autunno non si accelera i tempi sono stretti", ha detto il Capo dello Stato.
Napolitano ha anche rivelato di aver inviato qualche settimana fa una lettera su questo tema al governo, "per conoscere gli intendimenti e gli impegni dell’esecutivo per le celebrazioni del centocinquantenario", una lettera che attende ancora risposta. Anche se è stato annunciato che, nel prossimo Consiglio dei ministri, il ministro per i Beni e le Attività culturali Sandro Bondi illustrerà i progetti per le celebrazioni. "Magari interverrò allora - ha concluso Napolitano - sulla base di quello che verrà o non verrà fuori".
Il tema è diventato particolarmente complesso in seguito alle recenti polemiche sui simboli dell’unità d’Italia e della stessa Repubblica, per via delle contestazioni della Lega. Ma pesa anche il silenzio del governo: "Attendo - ha detto Napolitano alla Stampa - una risposta ormai improrogabile dal governo, affiché chiarisca i suoi intendimenti e i programmi in vista del nostro anniversario".
Si dice completamente d’accordo con il Capo dello Stato il ministro della Difesa Ignazio La Russa: "Fa bene il presidente della Repubblica a stimolare il governo, perché non c’è più tempo da perdere". "Io stesso - rimarca il titolare della Difesa - pur essendo un ministro che ha competenze sulle celebrazioni per l’Unità d’Italia, sono rimasto estraneo alla preparazione e sarei felice di essere coinvolto. Dico a Bondi: sono a disposizione, dò la mia piena disponibilità, sia personale sia come Forze Armate, considerato anche che abbiamo il know how necessario per gestire le grandi ricorrenze".
Analoga disponibilità viene espressa dal ministro per le Infrastrutture, Altero Matteoli: "’Il presidente Napolitano è giustamente sensibile e attento, come lo siamo noi nel governo, alle questioni legate a questa celebrazione. Posso confermare che nel corso dell’ultima riunione del Cdm, prima della pausa estiva, il governo aveva già cominciato a fare un lavoro di ricognizione degli impegni e delle cose da fare". "Certo - osserva ancora Matteoli - le celebrazioni dovranno fare i conti con le risorse che abbiamo a disposizione. Non sono molte, la situazione economica è quella che è, e certo non ci aiuta. Ma comunque quello che si potrà fare lo faremo nei tempi giusti e senza ritardi".
’’La lettera del presidente Napolitano - commenta il ministro per l’Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi - è uno sprone che il governo accoglie positivamente. Dal ministro Bondi arriveranno risposte concrete con una organizzazione impeccabile. In Consiglio dei Ministri valuteremo attentamente la sua proposta che condivideremo perché sappiamo del buon lavoro che sta facendo Bondi’’.
Mentre da parte della Lega emergono posizioni meno convergenti: "In un momento come questo vanno evitate le celebrazioni elefantiache, le spese inutili e frammentate in mille rivoli. Altre sono le priorità e le esigenze della gente", dice il presidente dei deputati della Lega Nord, Roberto Cota. Più cauto il ministro per la Semplificazione amministrativa Roberto Calderoli: "Non bisogna guardare al dito, ma pensare alla luna perché non basta celebrare gli anniversari dell’Unità d’Italia ma bisogna prima di tutto realizzarla, risolvendo la questione meridionale e quella settentrionale. In tal senso il federalismo mi sembra lo strumento più adeguato". "Personalmente - conclude Calderoli - sono dell’idea che sulle celebrazioni ci sia da fare una valutazione attenta in un momento di crisi così grave. Tutto quello che verrà risparmiato va destinato al contrasto della crisi".
I 150 anni dell’Unità d’Italia "sono un’ottima occasione per segnare una discontinuità rispetto ad una pratica viziosa di spese inutili che ha portato a celebrazioni faraoniche nel passato", afferma l’eurodeputato della Lega Mario Borghezio. "In un momento delicato come questo - aggiunge - bisogna dare un forte segnale e la mia ricetta è proprio quella di non spendere neanche una lira".
* la Repubblica, 19 agosto 2009