Il mare di notte mi ha sempre fatto paura. Non sono mai riuscito a godermi l’ultimo bagno dell’estate, dopo i falò. Sorridevo e mi agitavo. Scalciavo nell’acqua contro chissà quale misterioso essere. Eppure stanotte il Tirreno ha qualcosa di magico. L’onda che si ritira e trascina i sassi pare un tenero abbraccio di donna. Una carezza.
Eccolo il mare dei veleni. L’ultimo cadavere steso dalla ‘ndrangheta. Vittima inconsapevole dei clan, incapace di difendersi, nonostante la sua forza, le sue correnti. Navi a perdere, fusti radioattivi, fanghi tossici, danaro. Business.
A Cetraro ci venivo in treno negli anni ’90. C’era Luisa, una ragazzina di Napoli con due occhi blu che ricordo ancora. Ogni estate lasciava il Vomero per passare le vacanze in Calabria. La sua famiglia fittava sempre la stessa casa. Quasi due mesi di villeggiatura: “Perché avete un mare meraviglioso. Veramente meraviglioso” mi ripeteva spesso, con quell’accento partenopeo che la rendeva buffa e saggia. Passavamo pomeriggi in spiaggia, rubando attimi d’intimità nascosti da una vecchio peschereccio abbandonato. Fissavamo l’orizzonte e poi col dito mi indicava la Spagna, la Tunisia. Le credevo.
Il sole, se sei sul Tirreno, ti tramonta in faccia. Una palla di fuoco che il mare inghiotte lentamente. Poi è buio. Uno spettacolo al quale non potevo assistere a causa delle coincidenze ferroviarie. Lo immaginavo in treno, ma non poteva bastarmi.
Luisa non la vedo dal ’96. Avevamo 16 anni. Il nostro amore immaturo non sopportò un inverno di lontananza. Ed è strano come in questo momento, dopo tutto questo tempo, il suo è un ricordo vivo. Fa quasi male. I fari della mia auto mi hanno portato qui, dove c’era il vecchio peschereccio. L’ha cancellato il tempo. A qualche miglio da questa riva c’è una nave sospetta che giace nell’abisso. I sonar avevano segnalato la presenza di una massa in quella zona. La Procura di Paola, che indaga sui rifiuti tossici e le navi fatte sparire dalla ‘ndrangheta, ha disposto l’invio di un rov, uno speciale robot che trasmette immagini in superficie. Il relitto, fotografato in ogni suo angolo è finito sulle prime pagine dei quotidiani. La stiva lacerata, i fusti accovacciati, la vita del mare che ha già trasformato i colori. Immagini senza appello, come le lastre di una Tac scurite da un cancro.
Secondo il racconto di Francesco Fonti quel rottame enorme e arrugginito è la Cunsky, una delle navi a perdere fatta affondare nel Mediterraneo ancora carica di rifiuti radioattivi. Sparì dai radar nel 1992. Trasportava rifiuti radioattivi rinchiusi in circa 120 fusti di metallo. Gli uomini della Santa la fecero affondare caricandola di tritolo. Il botto e poi l’abisso: pochi istanti bastardi.
Francesco Fonti è un pentito. Per circa trent’anni ha operato per conto dei Mammasantissima di San Luca, la terra degli Strangio, dei Pelle. La terra che ha esportato il crimine anche a Duisbug, in Germania. Sei morti, una notte, un ferragosto.
Prima che il rov fotografasse lo scempio, Fonti ne aveva indicato il luogo esatto. Una precisione disarmante, improbabile se sai solo per sentito dire. Il collaboratore di giustizia ha riferito di aver partecipato in modo diretto all’affondamento di tre navi: la Yvonne A e la Voriais, oltre alla Cunsky. Sempre Fonti ha sostenuto che sarebbero una trentina le imbarcazioni con rifiuti radioattivi fatte inabissare al largo delle coste calabresi e africane.
Ecco come la ‘ndrangheta ha ammazzato la sua terra, la mia terra. Venduta per danaro. Uccisa senza ripensamenti. Tradita. Il ritrovamento della Cunsky ha il sapore amaro di un funerale inatteso. Il senso di disgusto per un potere delirante che assassina se stesso. Chi verrà in Calabria la prossima estate? Chi tornerà a tuffarsi nel mare che un paio d’anni fa venne definito “da bere”? Chi prenoterà un albergo su questa costa?
Mentre giornali e tv ripropongono le immagini della nave inabissata al largo di Cetraro, i calabresi osservano con rassegnazione. Dopo qualche ora di rumore, la notizia pare già vecchia. Archiviata. Una strana tolleranza ha già preso il sopravvento. Era già successo a Crotone, la città di Pitagora e di Pertusola Sud. Lì, altra costa, hanno costruito le scuole dei loro figli sul Cic, il famigerato Conglomerato idraulico catalizzato. Materiale duro, che riempie. Provoca il cancro, pare.
Nessun sentimento di ribellione ha attraversato gli animi di quella gente. Per questo sono convinto che l’indignazione non appartenga a questa terra, nata sottomessa. Alle tv nazionali giunte qui al fronte, c’è chi ha risposto: “Adesso vogliamo i soldi”. Già, il danaro. Come se le banconote riportassero purezza nell’aria, vita.
In Calabria ci si esalta per una Miss, per un calciatore che finisce in nazionale, per un gratta e vinci. E’ la regione con più sagre estive d’Italia. I clan osservano tutto e sorridono tronfi: impongono i caffè da bere nei bar, la coca che finisce nelle piazze, gli spinelli fumati nei bagni dei licei, le nigeriane che allietano gli addii al celibato. E poi inabissano navi imbottite di rifiuti farmaceutici che avvelenano il mare. Il loro mare. Lo stesso dove vivono i pesci che poi mangiano nei ristoranti asserviti, dove non si paga se sei un uomo d’onore.
Osservo ancora il Tirreno da qui, dove un tempo un vecchio peschereccio era la nave più bella del mondo. A memoria, nel buio, scruto orizzonti spagnoli e tunisini che non esistono. Luisa forse vive a Napoli, o forse l’emigrazione ha inghiottito anche lei. Magari adesso ha un marito, e forse un bimbo che le dorme accanto. La vorrei qui, solo per un attimo. Le prenderei le mani, guardandola negli occhi. Vorrei spiegarle che il suo “mare meraviglioso”, forse, non esiste più.
questo articolo lo trovi anche su:
Sul tema, nel sito, si cfr. anche:
Giornalista di Repubblica querelata per una recensione a VerdeNero
Quando ho sentito Loredana Lipperini al telefono per avere spiegazioni in merito a questa storia non volevo crederci. Querelata per una recensione? Già, è proprio quello che è successo.
La giornalista di Repubblica è stata convocata questa mattina in questura per aver scritto una recensione di Navi a perdere, il VerdeNero scritto da Carlo Lucarelli sulla vicenda Jolly Rosso e Natale De Grazia.
Chi è il querelante? Nientepopodimenoche Paolo Messina, armatore della Jolly Rosso assolto nel marzo scorso, insieme ai fratelli Ubaldo e Giorgio, dall’accusa di “occupazione del demanio marittimo e di abbandono di cavi, di un rimorchio, di un portellone, di un gruppo frigo e lamiere varie nei fondali marini”.
Dopo la querela per diffamazione nei confronti di Francesco Cirillo è la volta quindi di Loredana, che naturalmente ha tutta la nostra solidarietà e comprensione. Quello che suona un po’ assurdo è il motivo della querela. Ho letto infatti da capo a fondo la recensione della giornalista di Repubblica - invito anche voi a farlo - in cerca di indizi e motivazioni necessarie a giustificare un’azione del genere, ma sinceramente non ne ho trovate.
Siamo qui in attesa di sapere come andrà a finire. Sperando naturalmente per il meglio.
Le verità affondate da Sibari a Mogadiscio
di Marco Bucciantini *
Le storie andrebbero raccontante dall’inizio ma questa bisogna prenderla per la coda, e risalirla con tenacia e per amore del vero. Forse svelerà vent’anni di affari, di omicidi lontani e di stragi vicine, nel mare di casa. Nei bidoni del Cunsky può esserci il veleno e forse si nasconde anche un capitolo del libro di questo Paese. Ci sono vittime da onorare, debiti da saldare con i familiari di innocenti uccisi. Una stella, la più luminosa, in fondo allo Ionio: si può cominciare dal 21 settembre del 1987, quando la Rigel s’inabissò al largo del golfo di Sibari. Rigel è un nome da romantici: è la stella più nitida della costellazione di Orione. Affondò fino ai mille metri di quel tratto di mare, sprofondo perfetto per occultare qualunque cosa. Nessun Sos venne lanciato e non ve n’era bisogno: ad attendere l’equipaggio c’era una nave jugoslava diretta in Tunisia. Fu provato il naufragio doloso e l’armatore fu condannato per truffa all’assicurazione (i Lloyd’s di Londra).
A quella data dunque era già oliato il traffico di rifiuti tossici. Un esposto di Legambiente avviò l’inchiesta che il procuratore reggino Francesco Neri condusse insieme al capitano di vascello Natale De Grazia. L’inchiesta fu archiviata per l’impossibilità di proseguire le indagini in assenza del relitto.Ma i due batterono quella pista, trovando conferme - nel 1995 - in una nota appuntata sull’agenda di Giorgio Comerio, industriale lombardo che si era appropriato di un’idea dell’Ispra (istituto per la ricerca ambientale che lavora per Euratom): smaltire i rifiuti nocivi non più in cavità geologiche ma nel profondo del mare. Fu l’Onu a impedirlo, vietando con una convenzione lo sversamento di materiale pericoloso sui fondali marini.
Comerio rivendette il progetto alla mala e agganciò i governi di mezzo mondo. Nell’appunto ritrovato nella sua villa a Garlasco c’era scritto che la Rigel trasportava rifiuti pericolosi e rientrava tra le 50 affondate. Gli spazzini erano le cosche dei luoghi, ricompensate a dovere. La scoperta dette un senso all’arenaggio della Jolly Rosso sulla spiaggia di Amantea (40 km a sud del Cunsky). La nave era partita dalla Spezia con diecimila fusti di sostanze tossiche recuperate in Libano. Barili che non furono rinvenuti e che si teme siano interrati in zona.
A distanza di 19 anni parlano i morti: i casi di tumore nei comuni di Serra D’Aiello e Aiello Calabro sono sopra la media. Sulle acque del limitrofo torrente Olivo esistono analisi controverse, alcune proverebbero la presenza di scorie radioattive. I porti diprovenienza- lo sanno i servizi segreti e lo sa anche De Grazia e lo annota - sono quelli del Tirreno Tosco-Ligure.
In uno di questi scali si consuma la più grande tragedia nella storia della marina mercantile. È il 10 aprile 1991, alle ore 22.26 il traghetto Moby Prince in servizio di linea tra Livorno e Olbia, lancia il may day. Si è scontrato con la petroliera Agip Abruzzo. Il Moby ha mollato gli ormeggi da poco. S’infiamma, è ancora vicina alla città, il rogo si vede dalla Terrazza Mascagni e nonostante questo i soccorritori la raggiungono alle 23.35, quindi 59 minuti dopo la richiesta d’aiuto. Il ritardo costò la vita ai 140 a bordo del Moby: si salvò solo il mozzo Alessio Berthrand. Cosa accadde non si è mai saputo.
I processi sono finiti additando «il destino cinico e baro», come disse un pm. Quella sera in porto c’era molto traffico: cinque navi affittate dai militari americani che rientravano con le armi inusate nella guerra del Golfo. Per riportarle a Camp Darby o per trasbordarle su altre imbarcazioni? I registri del porto piazzano tra le navi in movimento quella sera il 21 Octobar II, peschereccio che tre anni dopo comparirà in un’inchiesta sul traffico d’armi con la Somalia: lo scovò Ilaria Alpi, che indagava su queste compravendite. Forse Moby e Agip si scontrarono per evitare le navi che stavano mercanteggiando armi. Sicuramente il ritardo dei soccorsi consentì di ripulire la scena dalle presenze proibite. Le armi in Somalia servono sempre. La guerra è perenne. E anche nel Corno d’Africa si producono rifiuti. Lo sa bene Comerio, che si propone ai governanti africani: ai somali offre 5 milioni di dollari per inabissare le ingombranti scorie radioattive. Fax spediti dalla lombardia e destinati ai capi fazione dimostrano tangenti e commesse. Sono documenti acquisiti dalla commissione d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi. Ma prima di lei e dell’operatore Miran Hrovatin - trucidati a Mogadiscio il 20 marzo del 1994 - in Somalia (a Balad) era stato ucciso anche il maresciallo del Sismi Vincenzo Li Causi, già attivo nella struttura paramilitare Gladio. Per gli inquirenti italiani, Li Causi si sarebbe interessato all’operazione Urano (un progetto di smaltimento di rifiuti tossico- nocivi e di scorie nucleari, in Somalia e in altri Paesi africani) e avrebbe manifestato una crescente inquietudine. S’è confidato con Ilaria Alpi? Il maresciallo dei Carabinieri Francesco Aloi, che fu in servizio al comando della missione Ibis in Somalia, i due si conoscevano. Che Ilaria avesse contatti con un uomo del Sismi l’hanno affermato anche l’operatore della Rai Alberto Calvi e Giancarlo Marocchino, imprenditore italiano a lungo presente in Africa. La Alpi conosceva una parte di questa storia. Che nelle testa del capitano De Grazia si era ingigantita: il 12 dicembre del 1995 sta raggiungendo La Spezia per cercare nei registri navali i nomi di circa 180 imbarcazioni affondate intorno alle coste meridionali e partite da quell’area. Ci pensa su, mentre un misterioso malore lo stronca sul sedile posteriore dell’auto che lo porta verso la verità.
* l’Unità, 28 settembre 2009
Sostanze tossiche e resti umani: a una svolta l’inchiesta sul relitto
del "Cunski". E spunta la mappa delle altre imbarcazioni cariche di scorie
Le 30 navi che avvelenano
il mar Mediterraneo
di PAOLO GRISERI e FRANCESCO VIVIANO *
PAOLA (Cosenza) - Due macchie gialle dietro il vetro di un oblò. I fari di una telecamera di profondità illuminano la scena. Le macchie sono proprio al centro dell’immagine, sopra la data e l’ora della ripresa: 12 settembre 2009, 17,33. Una nuova ombra, un rigagnolo di veleni, esce da una fenditura della lamiera. Altre masse nere (pesci?) si intravedono nell’oscurità del relitto. Immagini che sembrano confermare il "sospetto inquietante" del Procuratore di Paola, Bruno Giordano: "Dietro quell’oblò potrebbero esserci i teschi di due marinai". Non è solo una bomba ecologica quella affondata al largo della costa calabra: è una bara. L’ultima destinazione per marinai irregolari come irregolare era ormai il Cunski con il suo carico inconfessabile: una discarica di veleni e di uomini. Quanti altri Cunski custodiscono segreti e rilasciano veleni dal fondo del Mediterraneo? La domanda è la stessa che inseguiva quattordici anni fa il capitano di vascello Natale De Grazia. Nel cuore dell’indagine prendeva appunti.
Uno degli ultimi, fino ad oggi inedito, offre qualche punto interrogativo e diverse certezze. Vale la pena di leggere: "Le navi? 7/8 italiane e a Cipro. Dove sono? Quali sono? I caricatori e i mandanti. Punti di unione tra Rigel e Comerio. Hira, Ara, Isole Tremiti. Basso Adriatico. Porti di partenza: Marina di Carrara m/v Akbaya. Salerno/Savona/Castellammare di Stabia/Otranto/Porto Nogaro/Fiume. Sulina Beirut. C/v Spagnolo. Materiale radioattivo".
Qual era la mappa cui si riferiva il capitano di vascello Natale De Grazia nell’autunno del ’95? Non lo sapremo mai. La sera del 12 dicembre De Grazia si accascia sul sedile posteriore dell’auto che lo sta portando a La Spezia, alla caccia dei misteri delle navi dei veleni. Una morte per infarto, dice il medico. Ma un infarto particolare se poco tempo dopo il capitano verrà insignito della medaglia d’oro al valor militare. Comincia da qui, da quell’appunto inedito, il viaggio alla ricerca delle navi dei veleni, affondate non solo in Italia ma in tutto il Mediterraneo e nel Corno d’Africa.
Una storia che ini zia in modo legale, tra i camici bianchi nei laboratori di un’agenzia dell’Unione europea, diventa un’occasione di arricchimento per personaggi senza scrupoli e merce di scambio per i trafficanti di armi e uomini. Sullo sfondo, ma non troppo, un’incredibile tangentopoli somala e la morte ancora senza spiegazione ufficiale di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Il 18 gennaio 2005, rispondendo alle domande della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte dei due giornalisti italiani, il pm di Reggio Calabria Francesco Neri rivelava che "la cartina con i punti di affondamento e le segnalazioni di Greenpeace coincidono con le mappe di Comerio".
L’indagine sulle navi dei veleni è rimasta lontano dai riflettori per 12 anni. Fino a quando, il 12 settembre scorso, il Manifesto rivela che un pentito, Francesco Fonti, ha consentito di scoprire un nuovo relitto sul fondale di fronte alle coste della Calabria. Una vicenda di cui ora si occuperà anche la Commissione antimafia. Così, alla ricerca di nuove bombe ecologiche sepolte, la mappa di Comerio è tornata d’attualità.
Di Giorgio Comerio, imprenditore nel settore delle antenne e delle apparecchiature di indagine geognostica, sono pieni i documenti delle commissioni di inchiesta. In un’intervista sostiene di essere vittima di un clamoroso equivoco: "Mi ha fermato alla frontiera un doganiere che non sapeva del progetto Euratom, è una bieca montatura". Una versione che ai pm sembra troppo semplice: "Aveva rapporti con i servizi argentini e iracheni e aveva comperato rifiuti da mezzo mondo".
L’inizio della storia delle navi dei veleni è in Italia, sulla sponda lombarda del Lago Maggiore, dove ha sede l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale che lavora ai progetti dell’Euratom. È qui che, secondo il pm Nicola Maria Pace, negli anni 0 prende corpo un progetto ambizioso: "A Ispra - acconta Pace nel marzo del 2005 - presso gli impianti dell’Euratom di Varese, attraverso finanziamenti ameri cani e giapponesi si avvia un progetto alternativo al istema di deposito in cavità geologiche delle scorie nucleari. Tale progetto, denominato Dodos, ha visto la partecipazione di centinaia di tecnici di tutto il mondo: hanno contribuito due esperti scienziati dell’Enea ed anche Giorgio Comerio". L’idea è quella di inabissare sul fondo del mare il materiale radioattivo stivato nelle testate dei siluri. Progetto che verrà poi abbandonato per timore delle proteste degli ambientalisti. "Per impedire che idee di questo genere venissero messe in pratica - ricorda Enrico Fontana di Legambiente - venne firmata la Convenzione Onu che impedisce lo sversamento di materiale pericoloso sui fondali marini".
Comerio capisce invece che quella tecnica può diventare una gallina dalle uova d’oro. Mette in piedi una società, la Odm, (naturalmente con sede nel paradiso fiscale delle Isole Vergini) e acquista i diritti della nuova tecnologia. Scopre un giudice a Lubiana che dà la patente al nuovo sistema sostenendo che non è in contrasto con la Convenzione Onu. È il colpo dello starter. Da quel momento Comerio si mette sul mercato anche attraverso un sito Internet: fa il giro dei governi del globo proponendo di smaltire le scorie a prezzi scontatissimi. Francia e Svizzera rifiutano. Ma le commesse, soprattutto quelle in nero, cominciano a fioccare.
La mappa degli affondamenti è quella studiata, nel Mediterraneo e negli oceani, dal gruppo di scienziati di Ispra. Ormai il progetto è fuori controllo. Nelle mani di Comerio cambia natura. Nell’audizione di fronte alla Commissione che indaga sulla morte di Ilaria Alpi, il pm Pace riferisce un particolare incredibile. La storia di "una intesa con una giunta militare africana, che si impegnava a cedere a Comerio tre isole, di cui una sarebbe stata affidata a lui, per installarvi un centro di smaltimento di rifiuti radioattivi in mare, un’altra sarebbe stata ceduta a Salvatore Ligresti, in cui avrebbe costruito villaggi turistici, la terza infine sarebbe stata data al professor Carlo Rubbia, affinché potesse installarvi un reattore di potenza abbastanza piccolo, per fornire energia sia all’impianto di smaltimento sia ai villaggi". Rubbia e Ligresti, naturalmente, rifiutano il progetto.
Il meccanismo è inarrestabile. Comerio contatta i governi della Sierra Leone, del Sudafrica, dell’Austria. Propone affari anche al governo somalo: 5 milioni di dollari per poter inabissare rifiuti radioattivi di fronte alla costa e 10 mila euro di tangente al capo della fazione vincente dell’epoca, Ali Mahdi, per ogni missile inabissato. Pagamento estero su estero, s’intende. A provarlo ci sono i fax spediti da Comerio nell’autunno del 1994 al plenipotenziario di Mahdi, Abdullahi Ahmed Afrah, e acquisiti dalla commissione di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi. La giornalista della Rai aveva scoperto il traffico e, cosa più pericolosa, la tangente?
Qualcosa di simile aveva scoperto De Grazia. Su ordine del pm di Reggio, Francesco Neri, aveva perquisito a Garlasco l’abitazione di Giorgio Comerio: era il settembre 1995, un anno dopo la morte dei giornalisti in Somalia. Il capitano italiano seguiva le rotte delle navi dei veleni. Indagava sulla Riegel, affondata nel 1987 nello Ionio e sulla Rosso, spiaggiata davanti ad Amantea il 14 dicembre 1990.
Navi cariche di veleni, "almeno trenta", secondo diversi pentiti. Nella cabina di comando della Rosso si scopre una mappa di siti per l’affondamento, la stessa che sarebbe stata trovata, cinque anni dopo, nell’abitazione di Comerio. De Grazia indaga sugli affondamenti ma anche sulle rotte. E sco pre che se il cimitero dei veleni è nei mari del Sud Italia, i porti di partenza sono nel Nord, in quell’angolo misterioso tra Toscana e Liguria dove si incontrano due condizioni favorevoli: l’area militare di La Spezia e le cave di marmo delle Alpi Apuane. Perché l’area militare garantisce la riservatezza e il granulato di marmo copre le emissioni delle scorie radioattive: "Stavamo andando a La Spezia - riferisce oggi uno di coloro che si trovavano sull’auto di De Grazia nel suo ultimo viaggio, il 12 dicembre - per verificare al registro navale i nomi di circa 180 navi affondate in modo sospetto negli ultimi anni e partite da quell’area". Il capitano non sarebbe mai arrivato a La Spezia. Ma aveva già scoperto molte cose.
Sapeva, ad esempio, che nella casa di Comerio c’era una cartellina: "una carpetta - riferisce Neri - con la scritta Somalia e il numero 1831. Nella cartella c’era il certificato di morte di Ilaria Alpi". Oggi, naturalmente, scomparso dagli atti. (1. continua)
* la Repubblica, 25 settembre 2009
«Quella nave è una bomba tossica, il governo dorme»
di Giovanni Maria Bellu *
Quando divenne assessore all’Ambiente della Calabria, il biologo marino Silvio Greco non immaginava che le sue competenze tecniche gli sarebbe tornate tanto utili. Ora è come un cardiochirurgo che, diventato direttore diuna Asl, s’imbatte in uno scandalo connesso ai trapianti di cuore: conosce la sofferenza del paziente e, nel contempo, individua le responsabilità dell’ amministrazione.
Il cuore sofferente che indigna Silvio Greco è il mare della sua terra. La malattia è una nave carica di fusti velenosi, una bomba di cui non si conosce la composizione, idonea a provocare una catastrofe ambientale di proporzioni spaventose e a colpire gravemente la salute dell’uomo. L’amministrazione sciatta è quella dello Stato: «Il governo ancora non ha fatto niente. Se una cosa del genere fosse stata scoperta a largo di Portofino o di Venezia non credo proprio che le cose sarebbe andate così. Evidentemente non si rendono conto che il mare non conosce i confini amministrativi. Il mare è di tutti. Questa è una catastrofe nazionale».
Cominciamo dall’inizio.
«Era lo scorso 13 maggio. Il procuratore della Repubblica di Paola, Giordano Bruno, mi presentò una relazione che riguardava un eccezionale aumento dei tumori nella zona di Serra D’Aiello e anche uno studio realizzato per verificare le dichiarazioni di unpentito che aveva parlato di navi cariche di veleni affondate davanti alle nostre coste. Dal tracciato di un sonar risultava che in un punto-mare corrispondente a quello indicato dal pentito erano giunti segnali compatibili con la presenza di un relitto. Si trattava di verificare e la procura non aveva i mezzi».
E voi cosa avete fatto?
«Ci siamo mossi istantaneamente. Il 14 maggio, il giorno successivo, ho informato il presidente Agazio Loiero che mi ha dato carta bianca. Il 15 ho scritto una lettera al ministro dell’Ambiente, al capo della Protezione civile e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Quasi un mese dopo, l’11 giugno, la risposta non era ancora arrivata. Ho scritto un’altra lettera. Finalmente il 15 Bertolaso mi ha risposto. Poche righe per dire che aveva rivolto al ministro dell’Ambiente la richiesta di esperire "ogni iniziativa utile per risanare il contesto"».
Ma in concreto?
«Assolutamente niente. E la procura continuava a chiederci aiuto. È stato così che ai primi di settembre ho chiesto all’Arpacal, la nostra agenzia regionale per la protezione ambientale, di mettersi a disposizione. Con i nostri fondi regionali ha noleggiato una nave e un Rov, un robot sottomarino. Le operazioni sono cominciate il 10 settembre. Il 12 il Rov ha filmato il relitto. Le sue caratteristiche fanno pensare, anzi direi che praticamente danno la certezza, che si tratta proprio della nave indicata dal pentito, la Cunsky».
Ma è intervenuto alla fine anche il ministero dell’Ambiente che ha inviato i tecnici dell’Ispra.
«Certo. E spero che ora il passaggio dell’inchiesta dalla procura di Paola alla Direzione distrettuale antimafia non determini una sospensione delle operazioni in attesa della conferma dell’incarico. Sarebbe davvero paradossale. Comunque il lavoro dell’Ispra, che è certamente importante, servirà ad accertare che non ci sia una contaminazione in atto. Ma ci vuole ben altro».
Cosa?
«Un impegno immediato e straordinario del governo. È mai possibile che la presidenza del Consiglio non intervenga in presenza di una nave dal contenuto radioattivo nelle nostre acque? Dico una nave perché è l’unica a essere stata individuata. Ma quel pentito ne ha indicate altre due e, secondo le ipotesi investigative, sarebbero in tutto almeno una trentina».
Cosa chiedete?
«Immediatamente l a “caratterizzazione”, cioè che si accerti cosa c’è dentro quei fusti. Poi, individuata la natura del carico, la bonifica. Intendo dire che va rimosso tutto il carico e con esso il relitto. Questa, e il governo deve capirlo al più presto, è un’operazione di interesse nazionali. Non può essere lasciata alla magistratura, nè a una Regione. E bisogna agire subito.
Il relitto è la dal 1992, fino a ora ha retto. Ma cosa accadrebbe se il carico fuoriuscisse? Poi ci sono gli altri relitti.
«Si deve andare avanti nella ricerca. Daquesto punto di vista un grande aiuto può venire dai pescatori. Il filmato del Rov mostra sul relitto una serie di reti da pesca. Questo indica che i pescatori sapevano e, come sempre accade, passavano con lo strascico vicino a quel punto. Infatti dove c’è un relitto si forma un ambiente più pescoso. Ecco, credo che altre situazioni del genere, cioè di relitti “comparsi” tra gli anni Ottanta e Novanta siano note ai pescatori professionisti. Devono aiutarci ».
Cosa succede a chi mangia quel pesce?
«Se non sappiamo cosa c’è dentro i fusti è difficile fare ipotesi. Di certo si tratta di fonti di contaminazione persistenti e biodisponibili: entrano nei vari livelli della rete trofica fino ai predatori di vertice».
Cioè i pesci più grandi, quelli che mangiamo. E l’ambiente?
«La biodiversità è a rischio. Nei fondali si possono creare alterazioni nelle finestre riproduttive con la scomparsa di intere specie viventi».
* l’Unità, 24 settembre 2009
tutta storia buttata al macero in grazia di dio
di ansa in ansa sfilacciato e fiacco
a scorrere limaccioso via lento il crati
unghie d’acciaio solerti a piallargli il ventre
acqua di scolo ad arenarsi di rivo in rivolo
sul greto di fanghiglia e pietre levigate
misture veleni deiezioni viakal dash wc-net
apertis verbis l’eternit gli inerti le assonanze
ed io immemore a rimirar con occhi di vecchio
di declivio in declivio i termitai di nudi mattoni forati
le bicocche e le baite architettonicamente ardite
tra gli ulivi ricurvi e le vigne riarse asserragliate
cancelli antifurti gt casa alarm portoni blindati
qui non ci stanno che shopping center mini-super-iper-mercati
qui non ci sta che l’insipienza degli (il)letterati
da sponda a sponda lavacro lavatoio immondezzaio
a scorrere imbavagliato rancoroso e stracco
flusso catameniale di fertilità corrosa
a trascinarsi via l’historia magistra vita e la damnatio memoriae
i cartaginesi i romani i greci i bruzi i mori i normanni...
i vivi e i morti e tutto il sangue versato
lingue e dominazioni macerie e rovine altri vicoli altre piazze
i briganti i braccianti e le rosse bandiere
gli aratri e le messi la fame e l’abbondanza
la vostra incrollabile accondiscendenza e la vostra spocchia
ed io immemore a lasciarci orme con piedi d’ adulto
su questa sabbia eburnea di spiaggia lontana
qui non ci sta che l’umiltà dei santi
qui non ci sta che la santità dei governanti
dalla sorgente alla foce rigagnolo fiumiciattolo fiumara
a trascinarsi via le griffes le raccolte punti le suonerie le miss
il vaniloquio dei vincitori e vinti delle bagarres elettorali
l’ospitalità meridionale e il genius loci delle pro-loco
nella frenesia stanca di tutti i santi giorni
“cielu pani pani un chiova goj ca chiova dumani”
quattro salti in palestra e i quattro salti in padella
e io avrei voluto specchiarmici in questo specchio d’acqua
con occhi d’infante imperterrito a sussurrarti
“...prendi la tua tristezza e soffiala sul fiume...”
flatus vocis sempiterno un bisbigliare inesausto
"cca mafia ‘un ci nnè’’
"cca ogniruno fa’ chiri chi vo’"
"cca si campari finu a cent’anni"
Uocchju chi un birari, core chi un dolari.
Politicanti, Scienziati, Intellettuali e Religiosi se non vedono quello che si vede sulla terra!!! Come possono vedere quello che sta’ sotto l’acqua?
Sutta ’a nive pane, sutta l’acqua fame e morte.
Na manu lava l’altra, tutte "e rue se lavu miegliu.
Chillu chi un vue ppe ttio "a l’altri un fare.
Quando Un Italiano non sa una cosa...L’insegna!!!! Robba da matti e da mettersi le mani ai capelli ( Per chi c’lla’!!!)
Il Direttore, Emiliano Morrone mi capira’ poiche’ di capelli ce’ na’ tanti ed e’ in pena per coloro che non se lo possono permettere!!!
Cordiali saluti a tutti dello staff della VOCE DI FIORE PS. perche’ non fate scrivere qualche articolo anche alle due MARIE!!!! Dello staff?