MONDO AGRICOLO
Diffuso ieri il testo guida per l’edizione 2006 dell’appuntamento che, come in ogni autunno, vedrà al centro il lavoro nei campi. Forte richiamo alla responsabilità sul dramma della fame
«La terra, dono per tutta l’umanità»
Il messaggio Cei per la Giornata nazionale del Ringraziamento
La Commissione Episcopale
Per I Problemi Sociali E Il Lavoro, La Giustizia E La Pace
Pubblichiamo il testo integrale del messaggio per la Giornata nazionale del Ringraziamento, che verrà celebrata il 12 novembre 2006. Il testo, diffuso ieri dalla Cei, reca il titolo «La terra: un dono per l’intera famiglia umana». *
1. Guardare alle necessità degli uomini con lo sguardo di Cristo
Nel ritorno quieto e silenzioso della natura, riconosciamo la fedeltà di Dio alla sua promessa: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto» (Gn 1,11). Ma se nel contatto con la meraviglia dei prodotti della terra percepiamo il dono inesauribile della Provvidenza divina, con tristezza, dobbiamo anche constatare come la creazione «geme e soffre nelle doglie del parto» in attesa del compimento della speranza di essere liberata «dalla schiavitù della corruzione» (Rm 8,21-22). In particolare non possiamo nasconderci la realtà di un mondo che non ha ancora risolto il problema della fame e dove sussistono disparità di sviluppo di gravità tale da porre intere popolazioni di fronte a gesti disperati. Occorre rimuovere questa vergogna dall’umanità con appropriate scelte politiche ed economiche di respiro planetario. È necessaria «un’azione concreta e tempestiva per garantire a tutti, in particolare ai bambini, la "libertà dalla fame"» (Benedetto XVI, Parole alla recita del Regina Caeli, 21 maggio 2006).
Ci conforta il Messaggio che Benedetto XVI ha offerto alla nostra riflessione la scorsa Quaresima «Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione» (Mt 9,36): «Anche oggi lo "sguardo" commosso di Cristo non cessa di posarsi sugli uomini e sui popoli. Egli li guarda sapendo che il "progetto" divino ne prevede la chiamata alla salvezza. Gesù conosce le insidie che si oppongono a tale progetto e si commuove per le folle: decide di difenderle dai lupi anche a prezzo della sua vita. Con quello sguardo Gesù abbraccia i singoli e le moltitudini e tutti consegna al Padre, offrendo se stesso in sacrificio di espiazione. Illuminata da questa verità pasquale, la Chiesa sa che, per promuovere un pieno sviluppo, è necessario che il nostro "sguardo" sull’uomo si misuri su quello di Cristo. Infatti, in nessun modo è possibile separare la risposta ai bisogni materiali e sociali degli uomini dal soddisfacimento delle profonde necessità del loro cuore».
2. Responsabilità e solidarietà
L’attenzione alle necessità alimentari dei popoli parte da un’attenta valorizzazione delle potenzialità della nostra terra. Ci si deve muovere in un contesto di responsabilità sociale dell’impresa e in un ritrovato ruolo di un’agricoltura che può tutelare l’ambiente e puntare alla caratterizzazione di prodotti che sono espressione del territorio; cioè, delle sue peculiarità naturali inserite in una tradizione e in una cultura che ne fanno qualcosa di più di una merce, ovvero, una manifestazione di senso connessa alla cultura della vita.
In una realtà, inoltre come quella italiana, articolata e ricca di protagonisti che incarnano una pluralità di interessi di fronte alle sfide della globalizzazione, è importante identificare e costruire insieme un orizzonte imperniato su un’attività agricola multifunzionale, capace di valorizzare tutte le dimensioni del suo rapporto con il territorio.
Questo orizzonte è, allo stesso tempo, un obiettivo percorribile e un ideale, perché in esso convergono numerose istanze che ne delineano lo spessore strategico e valoriale: dall’esigenza di diversificazione all’interno di mercati internazionali in cui le spinte alla standardizzazione potrebbero lasciare ben pochi spazi alla nostra produzione agricola, alla rigenerazione dell’agricoltura e delle realtà socio-economiche locali secondo percorsi attenti alle radici dell’identità e aperti all’interdipendenza globale, all’informazione e responsabilizzazione del rapporto fra il cittadino-consumatore e i produttori agricoli, del rapporto tra consumo e alimentazione.
Alla luce di quest’ultimo punto, anche la questione agricola locale e nazionale, oltre a quella del rapporto tra agricolture e mercati del Nord e del Sud del mondo, viene ad incidere su quella libertà e responsabilità del cittadino-consumatore che, insieme alla responsabilità sociale delle imprese e delle istituzioni, è al centro di ogni percorso di superamento dei limiti, personali e comunitari, del consumismo di massa.
Quest’orizzonte orienta verso un contesto economico agroalimentare internazionale di competizione-collaborativa, piuttosto che di competizione-conflittuale. Esso prefigura una tavola imbandita con i prodotti e il contributo delle tradizioni alimentari del pianeta, invece dell’omogeneizzazione e delle manipolazioni dei grandi fenomeni consumistici. In breve, esso rappresenta un modello di sviluppo che include, sollecita la partecipazione, la responsabilizzazione degli agricoltori e degli imprenditori agricoli, promuove il dialogo con l’intera società; adattandosi e calandosi nelle diverse situazioni delle realtà rurali del pianeta, apre la porta alla promozione dello sviluppo umano di tutte le persone e di tutta la persona.
Roma, 11 luglio 2006
Festa di san Benedetto abate,
patrono d’Europa
* Avvenire, 14.07.2006, p. 16.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
QUALE IL NOME DI DIO, IL "PADRE NOSTRO"?! E’ AMORE ("CHARITAS") - NON MAMMONA ("CARITAS").
Messaggio per la Giornata del Ringraziamento - 9 novembre 2008 *
“Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare”
La parola del Vangelo ci ricorda che il pane dato al povero è dato a Gesù stesso. Egli lo riceve da noi, lo trasforma e ce lo ridona moltiplicato e arricchito di nuova forza: è il “pane quotidiano”, che il Signore ci ha insegnato a chiedere al Padre. I discepoli avevano implorato: “Signore, insegnaci a pregare” (Lc 11,1). La risposta di Gesù rivela il suo dialogo profondo e concreto con il Padre: sintesi di una spiritualità incarnata, il Padre Nostro pone al centro la richiesta del “pane quotidiano”. Il dialogo dell’uomo con Dio passa anche attraverso la richiesta di un bene primario come il pane, così come tutta la vita di Cristo ha attinto dal mondo rurale, in tante sue dimensioni, ispirazione per annunciare il Regno di Dio.
La Chiesa, seguendo l’insegnamento del Vangelo, non solo prega “dacci oggi il nostro pane quotidiano” ma, sull’esempio del Signore che ha sfamato la folla moltiplicando pani e pesci, si impegna in tutti i modi con innumerevoli iniziative di promozione umana e di condivisione, perché a nessuno manchi il necessario per vivere.
È questo il motivo per cui oggi ci rivolgiamo al Padre fonte di ogni bene, anche di quelli offertici dalla terra, fiduciosi del suo intervento e del suo aiuto nell’impegnativa ricerca della via migliore per rendere giustizia a ogni uomo, cui spetta la possibilità di sostenersi con dignità attraverso l’accesso al cibo di cui ha bisogno per vivere.
“Fondamentale è «sentire» la terra come «nostra casa comune» e scegliere, per una sua gestione a servizio di tutti, la strada del dialogo piuttosto che delle decisioni unilaterali”. Questo invito, contenuto nel messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la 41a Giornata Mondiale della Pace, ci stimola a considerare anche quest’anno la Giornata del Ringraziamento come un’occasione di riflessione per contribuire alla realizzazione della pace attraverso la giustizia, con particolare riferimento alla destinazione universale delle risorse alimentari.
Questo richiamo si colloca in un periodo segnato da un fenomeno, manifestatosi negli ultimi anni con caratteristiche inedite e, per molti versi, drammatiche, che ha come risultante la crescita incontrollata dei prezzi dei prodotti alimentari. L’umanità sta vivendo una crisi alimentare non più limitata, come nel passato, a poche aree del pianeta, ma tendenzialmente estesa anche a quelle popolazioni da tempo considerate immuni da tale rischio.
È importante saper dar ragione di questa crisi, evidenziandone anzitutto le cause: mutamenti climatici, con il verificarsi di ripetuti fenomeni di siccità o inondazioni in aree importanti per la produzione di cereali, aumento della domanda di cereali e mangimi da parte di Paesi emergenti, minore investimento di cereali per alimentazione a beneficio di produzioni per biocarburanti, crescita del prezzo e speculazioni finanziarie sul petrolio e sulle derrate alimentari. Questa situazione determina una redistribuzione del reddito tanto più odiosa, quanto più penalizzante per i Paesi poveri.
Risulta quindi necessario, dopo averne evidenziate le cause, lavorare per trovare gli strumenti idonei per risolvere questa situazione di ingiustizia. Tali strumenti dovranno necessariamente tenere conto dei valori ai quali fare riferimento, innanzitutto “il principio della destinazione universale dei beni che offre un fondamentale orientamento, morale e culturale, per sciogliere il complesso e drammatico nodo che lega insieme crisi ambientale e povertà” (PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 482).
Il segno compiuto da Gesù con la moltiplicazione dei pani e dei pesci offerti da un ragazzo rimasto sconosciuto (cfr Gv 6,9) indica chiaramente la via della disponibilità alla condivisione come strada maestra per risolvere nella giustizia il problema alimentare.
Come altri settori che fanno riferimento alla convivenza umana, anche l’agricoltura deve essere considerata una componente essenziale del “bene comune”. Come, infatti, abbiamo affermato nella Nota pastorale Frutto della terra e del lavoro dell’uomo, “va riconosciuto che il problema della fame, con la sua drammatica rilevanza etica e politica, non dipende tanto dalla disponibilità complessiva di cibo a livello globale, quanto dalla distribuzione non equa delle capacità di produzione e da fattori di arretratezza e ingiustizia economica e sociale, per i quali troppi esseri umani non hanno ancora un adeguato accesso agli alimenti anche in aree e Paesi del mondo autosufficienti quanto alla produzione agricola” (n. 10).
Con i mezzi di cui oggi l’umanità dispone, è moralmente inaccettabile che vi siano ancora migliaia di persone che muoiono di fame, restando insoddisfatto il loro bisogno primario di accesso al cibo. Non meraviglia, perciò, che il Santo Padre sia intervenuto a più riprese sul tema della crisi alimentare mondiale, considerandolo “un problema sempre più grave che la comunità internazionale fa grande fatica a risolvere” (Angelus, 25 maggio 2008).
Nel messaggio alla Conferenza di alto livello sulla sicurezza alimentare mondiale promossa dalla FAO a Roma dal 3 al 5 giugno scorso, Benedetto XVI ha affermato che “ogni persona ha diritto alla vita: pertanto, è necessario promuovere l’effettiva attuazione di tale diritto e si debbono aiutare le popolazioni che soffrono per la mancanza di cibo a divenire gradualmente capaci di soddisfare le proprie esigenze di un’alimentazione sufficiente e sana”.
Lo sviluppo dell’agricoltura e l’attenzione al mondo rurale devono essere ben presenti a quanti sono chiamati a compiere scelte politiche di lungo respiro. A questo proposito, ancora nel messaggio alla FAO, cogliamo il monito del Santo Padre, il quale ci ricorda che “vanno elaborate nuove strategie di lotta alla povertà e di promozione rurale. Ciò deve avvenire anche attraverso processi di riforme strutturali, che consentano di affrontare le sfide della medesima sicurezza e dei cambiamenti climatici; inoltre, occorre incrementare la disponibilità del cibo valorizzando l’industriosità dei piccoli agricoltori e garantendone l’accesso al mercato”.
A partire dalla cosiddetta “sovranità alimentare” e dal “primario diritto al cibo”, desideriamo incoraggiare tutti coloro che, a livello istituzionale o associativo, come singoli e come comunità, si adoperano per contribuire alla soluzione di questo problema, rafforzando il ruolo dei piccoli coltivatori nei Paesi in via di sviluppo, incoraggiando i mercati locali e regionali, denunciando le politiche monopolistiche delle grandi industrie agro-alimentari e infine promuovendo il benessere della famiglia rurale e in particolare delle donne.
Non possiamo non concludere volgendo il nostro sguardo adorante all’Eucaristia, “pane vivo, disceso dal cielo” (Gv 6,51). Essa è per noi cristiani modello e fonte di autentica solidarietà: chi si nutre del Pane di Cristo non può restare indifferente dinanzi a chi, anche ai nostri giorni, è privo del pane quotidiano, nella sicura speranza che la preghiera del giusto non rimarrà inascoltata, secondo le parole del salmista:
“Il Signore rimane fedele per sempre,
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri,
il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri,
egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi” (Sal 146,6-9)
Roma, 11 luglio 2008
Festa di san Benedetto abate, patrono d’Europa
* Fonte: CHIESA CATTOLICA ITALIA.
All’Angelus Benedetto XVI ricorda le 800 milioni di persone denutrite o sotto-alimentate. "Troppi bambini muoiono, colpa del governo dell’economia mondiale"
Il Papa affronta la tragedia della fame: "Cambiare modello di sviluppo globale"*
CITTA’ DEL VATICANO - "E’ necessario convertire il modello di sviluppo globale: lo richiedono non solo lo scandalo della fame, ma anche le emergenze ambientali ed energetiche". E’ l’appello lanciato da Benedetto XVI all’Angelus, in cui ha celebrato la giornata del Ringraziamento.
Denunciando "il dramma della fame", il Papa ha esortato a "eliminare le cause strutturali legate al sistema di governo dell’economia mondiale, che destina le maggior parte delle risorse del pianeta a una minoranza della popolazione". Dunque, "ogni persona può e deve fare qualcosa per alleviare la fame, adottando uno stile di vita e di consumo compatibile con la salvaguardia del creato".
Papa Ratzinger ha anche invitato i fedeli ad abituarsi "a benedire il Creatore per ogni cosa: per l’aria e per l’acqua, preziosi elementi che sono a fondamento della vita sul nostro pianeta; come pure per gli alimenti che attraverso la fecondità della terra Dio ci offre per il nostro sostentamento. Ai suoi discepoli Gesù ha insegnato a pregare chiedendo al Padre celeste non il mio, ma il nostro pane quotidiano... I prodotti della terra sono un dono destinato da Dio per l’intera famiglia umana".
Il suo pensiero è poi andato alle 800 milioni di persone nel mondo che soffrono denutrizione e sotto-alimentazione. "E’ qui tocchiamo un punto molto dolente: il dramma della fame che - ha rimarcato - malgrado anche di recente sia stato affrontato nelle più alte sedi istituzionali, come le Nazioni Unite e in particolare la Fao, rimane sempre molto grave".
Propriol’ultimo Rapporto annuale Fao, ha aggiunto Benedetto XVI, "ha confermato quanto la Chiesa sa molto bene dall’esperienza diretta delle comunità e dei missionari: che troppe persone, specialmente bambini, muoiono di fame". Per questo il Papa teologo ha puntato il dito contro i comportamenti dell’Occidente ricco, e la struttura economica dell’economia mondiale "che destina le maggior parte delle risorse del pianeta a una minoranza della popolazione".
Per risolvere il problema, ha concluso il Pontefice, "è necessario convertire il modello di sviluppo globale". Ma anche "ogni persona e ogni famiglia può e deve fare qualcosa per alleviare la fame nel mondo adottando uno stile di vita e di consumo compatibile con i criteri di giustizia". (12 novembre 2006)
INTERVISTA. nord & sud
Quei Lumi spenti su un pianeta affamato
Intervista «La fame nel mondo è frutto di scelte economiche che favoriscono le imprese multinazionali». Parla Jean Ziegler, in Italia per presentare il suo ultimo libro «L’impero della vergogna» Con l’11 settembre è iniziata una fedualizzazione del mondo che cancella i principi dell’89
di Stefano Liberti (il manifesto, 14.07.2006)
«La fame è lo scandalo del nostro secolo». Fedele alla sua reputazione di uomo poco diplomatico, Jean Ziegler non usa giri di parole per denunciare quello che definisce «un genocidio silenzioso», ossia la morte per fame ogni anno di centinaia di migliaia di persone. Relatore speciale delle Nazioni unite per il diritto all’alimentazione, l’ex senatore svizzero e professore di sociologia gira il mondo in lungo e in largo per verificare sul terreno cause e natura delle crisi alimentari, delle carestie e della malnutrizione che colpisce una fetta consistente della popolazione del pianeta. Le sue dichiarazioni spesso fuori dai denti gli hanno fatto guadagnare numerosi e poderosi nemici. Quando, nel 2004, ha denunciato pubblicamente Israele per le violazioni del diritto all’alimentazione e ai diritti umani nei territori palestinesi occupati, ha subito un assalto furioso. Allo stesso tempo, la sua battaglia contro gli organismi geneticamente modificati (Ogm) ha provocato non pochi mal di testa all’amministrazione statunitense, che ha chiesto a più riprese la sua testa. Ma invano: Ziegler è sempre al suo posto. E, oltre al suo ruolo istituzionale, svolge la funzione di straordinario divulgatore, con interventi pubblici e libri. L’ultimo, appena uscito per i tipi del Saggiatore, si intitola L’impero della vergogna e declina con dovizia di particolari le strutture del dominio planetario esercitato da un pugno di multinazionali.
Nel suo libro, lei sostiene che la morte per fame non è una casualità, ma il risultato di deliberate scelte politiche. Può spiegare meglio?
Nel nostro mondo muoiono ogni giorno di fame o delle sue dirette conseguenze circa cinquemila persone. Solo l’anno scorso, secondo il World Food Report della Fao, 856 milioni di persone sono state affette da gravi forme di sotto-alimentazione. Ciò accade in un pianeta in cui, sempre secondo il World Food Report, l’agricoltura mondiale potrebbe dare nutrimento senza problemi a 12 miliardi di persone, cioè il doppio dell’attuale popolazione complessiva. Eppure, il massacro continua. Da ciò si può dedurre una sola cosa: un bambino che muore di fame viene di fatto assassinato. E alla base di questo genocidio silenzioso, ci sono precise scelte politiche. La fame è un’arma di distruzione di massa, usata con piena cognizione di causa dai nuovi padroni del mondo.
Chi sarebbero questi nuovi padroni del mondo?
Il potere effettivo mondiale è ormai nelle mani di poche società multinazionali private; secondo la Banca mondiale, l’anno scorso le 500 maggiori multinazionali mondiali hanno controllato in totale più del 52 per cento del Prodotto mondiale lordo. Si tratta di un fenomeno che definisco «rifeudalizzazione del mondo». Il 4 agosto 1789, in una storica seduta notturna, la neonata Assemblea nazionale francese ha solennemente abolito il sistema feudale - ossia la monopolizzazione del potere ideologico, economico, politico e militare da parte di ristrette oligarchie. Oggi quella grande conquista dell’umanità è a rischio: le società multinazionali, che non hanno altro orizzonte che il profitto, dettano le loro leggi agli stati nazionali.
Lei sembra attribuire tutti i mali del mondo alle multinazionali e ad alcuni stati del Nord. Non le sembra un’interpretazione semplicistica?
Tutt’altro. L’attuale ordine del mondo è totalmente assurdo e dominato da quelli che io definisco i «cosmocrati», gente mossa sola dalla massimalizzazione del profitto, dall’avidità e dalla sete di un potere illimitato, le cui azioni si dispiegano a livello planetario. Perché le conseguenze delle loro politiche non si misurano solo nel Sud del mondo, ma anche nel Nord: la prima cosa che fanno ogni mattina i governanti occidentali è controllare l’andamento della borsa di New York, di Tokyo, di Londra per capire quale minimo margine di manovra resta loro per applicare sul loro territorio una certa politica fiscale o una qualche strategia di investimento. Se non rispettano le direttive del capitale mondiale, le conseguenze saranno durissime: fughe di capitali, delocalizzazioni delle industrie e via dicendo. Il filosofo tedesco Jürgen Habermas ha scritto una cosa che riassume molto bene questa situazione: secondo lui, gli stati ormai non possono fare altro che una Welt-inner Politik, ossia una politica interna mondiale. Questa è la rifeudalizzazione del mondo, la cui offensiva è cominciata l’11 settembre 2001.
Ritiene davvero che gli attacchi contro New York e Washington abbiano dato inizio a una svolta così epocale? Le politiche di aggiustamento strutturale, che hanno piegato diversi paesi del Sud del mondo, sono cominciate molto prima del crollo delle Torri gemelle...
L’11 settembre ha segnato una svolta storica, perché è in quella data che il mondo dei dominatori è stato colpito al cuore da gente proveniente dal mondo dei dominati. Questo ha fornito all’amministrazione americana e alle multinazionali ad essa legate il pretesto morale e ideologico per portare avanti, in nome della guerra al terrorismo, una vera e propria conquista del pianeta. A questo proposito, faccio un esempio concreto: per l’emergenza siccità che sta devastando buona parte del Corno d’Africa (Somalia meridionale e Kenya nord-orientale), le Nazioni unite hanno chiesto ai paesi donatori 98 milioni di dollari. Ne sono arrivati 32 milioni, ossia meno di un terzo della cifra richiesta. Nel mio ruolo di relatore speciale dell’Onu per l’alimentazione, ho domandato ai vari ambasciatori le ragioni di questa avarizia. Ebbene, tutti mi hanno dato la stessa risposta: dal 2001 in poi, la priorità assoluta va data agli investimenti sulla sicurezza. Per la prima volta nella storia del mondo, la somma spesa solo per l’acquisto delle armi ha superato i mille miliardi di dollari.
Secondo lei, sarebbero solo i mancati aiuti a provocare l’estensione della fame nel mondo e in particolare nei paesi africani?
No, la gente muore di fame sempre nello stesso modo, ma per ragioni spesso diverse. Tanto univoca è, a livello fisiologico, la distruzione attraverso la fame, tanto complesse sono le cause che portano a questa distruzione. Senza creare una vera e propria gerarchia, si possono tirare in ballo varie cause per spiegare la situazione attuale. La prima è senz’altro la politica di dumping sui prodotti agricoli operata dall’Unione europea con le sovvenzioni alla produzione e all’esportazione. Solo l’anno scorso, Bruxelles ha versato ai contadini europei 349 miliardi di dollari, ossia quasi un miliardo di dollari al giorno. Risultato: sui mercati africani - a Dakar, a Bamako, a Kampala, ovunque - è possibile comprare prodotti spagnoli, italiani, portoghesi a un prezzo due volte inferiore rispetto a quello dei prodotti locali. E il contadino senegalese, maliano o ugandese, che lavora 15 ore al giorno sotto un sole cocente, non avrà di che nutrire la propria famiglia. Se si considera che, su 53 paesi che conta l’Africa, 37 hanno un’economia puramente agricola, si capisce perché la politica di dumping esercitata dall’Ue è devastante. E crea fame: perché in 20 anni, dal 1982 al 2002 il numero di sotto-alimentati è cresciuto da 91 milioni a più di 200 milioni nella sola Africa.
Ma i paesi africani non potrebbero imporre dazi doganali alle importazioni straniere e implementare le aree regionali di libero commercio, di cui il continente già dispone? La Cedeao, la grande comunità economica dell’Africa occidentale, è un mercato immenso di 300 milioni di persone...
Qui entra in gioco, la seconda causa: l’indebitamento. Centoventidue paesi del cosiddetto Terzo mondo hanno un debito accumulato di 2100 miliardi di dollari. Sono stretti nella morsa del debito e non hanno alcuna capacità di negoziare. È il debito che li costringe ad accettare le condizioni imposte dal Fondo monetario internazionale (Fmi) e dall’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). È proprio la Wto a vietare i dazi doganali sulle merci provenienti dall’esterno. Il meccanismo è perverso: questi paesi non hanno alcuna chance di fare investimenti in programmi sociali, in irrigazioni, infrastrutture, perché tutto quello che guadagnano sul mercato monetario internazionale è usato per il servizio del debito. Senza contare che, per avere moneta forte, tutti i paesi indebitati aumentano le loro piantagioni di esportazione, come il caffé o il cotone, a scapito delle colture che permetterebbero di nutrire la popolazione, come il grano o il miglio. Il debito modifica la destinazione delle colture. Il debito crea fame.
Quali soluzioni propone per porre fine a questo stato di cose?
Nessuna causa ha ragioni non controllabili. L’idea degli economisti classici, da Smith a Ricardo fino allo stesso Marx, secondo cui i beni disponibili sul pianeta sarebbero oggettivamente insufficienti per coprire le necessità esistenziali di tutti, oggi non è più valida. Grazie a straordinarie rivoluzioni tecnologiche ed elettroniche, siamo usciti per la prima volta dalla tirannia della necessità. Come già dicevo prima, ci sarebbe da mangiare per tutti. Il problema della fame ha quindi un’origine umana; è il risultato di decisioni politiche, di precise strategie economiche. Che, come tali, possono essere cambiate. Se prendiamo la catena di causalità, le soluzioni da apportare appaiono abbastanza chiare: abolire le sovvenzioni alla produzioni e all’esportazione che l’Unione europea e gli Stati uniti forniscono ai loro contadini; abolire la liberalizzazione forzata imposta dalla Wto; sottoporre a un controllo sociale le strategie delle multinazionali (costringendole a pagare salari minimi in tutto il mondo). E poi, cancellare il debito che, come un nodo scorsoio, tiene in scacco paesi interi. Quest’ultimo è tanto più devastante in quanto in molti casi si tratta di un «debito odioso», contratto da dittature o da classi dirigenti corrotte, di cui il popolo non ha minimamente beneficiato. Faccio un solo esempio: quando Luiz Inacio «Lula» Da Silva è entrato nel palazzo presidenziale di Brasilia, ha trovato un debito astronomico, il secondo più alto del mondo: 245 miliardi di dollari, eredità di 18 anni di dittature militari. È precisamente questo fardello che non gli permette di finanziare a dovere il suo programma «Fame zero», ossia la lotta contro la sotto-alimentazione di 44 milioni di brasiliani. La sua ricetta implica una revisione delle relazioni internazionali. Pensa davvero che sia possibile incentrarle semplicemente su imperativi di carattere morale piuttosto che su interessi economici e geo-politici? Non c’è altra scelta. Se non restauriamo con la massima urgenza i valori dell’Illuminismo, il diritto internazionale, i principi della civiltà europea saranno cancellati, inghiottiti in una giungla senza regole.
«Lottare contro la fame significa lottare per la pace: i conflitti nascono dal bisogno». Un intervento del Nobel Wangari Maathai*
CIBO, IL PRIMO DIRITTO
«La povertà genera un circolo vizioso: chi è povero tende a deteriorare l’ambiente in cui vive,e un ambiente degradato aggrava la povertà»
dii Wangari Maathai (Avvenire, 14,07.2006)
Uno degli aspetti fondamentali affinché gli uomini conducano una vita serena e senza conflitti è la capacità di alimentarsi da soli. Ma oggi milioni di persone nel mondo non hanno sicurezza per quanto riguarda la possibilità di alimentarsi. Spesso non possono produrre cibo perché il territorio è degradato, o sono troppo poveri per accedere o acquistare alimenti sul mercato. La sfida del futuro è assicurare nutrimento ad ogni abitante del pianeta, in nome di un fondamentale diritto al cibo. Per questo conta molto anche la responsabilità di proteggere le risorse naturali che ci consentono di coltivare e produrre alimenti. Ciò significa che dobbiamo difendere il nostro ambiente, tutelare le foreste da cui provengono le piogge e l’acqua, proteggere il suolo in cui crescono le nostre sementi e i frutti senza i quali non potremmo sopravvivere. Ma come possiamo raggiungere questo scopo, sapendo che le popolazioni più povere, nel loro quotidiano sforzo di sopravvivenza, sono spesso incapaci di proteggere la base naturale del loro stesso sostentamento, che è l’ambiente in cui vivono? La nostra sfida, come ricercatori, come leader della società civile, come governanti è da un lato quella di promuovere un sistema più equo di governabilità, dall’altro quella di eliminare la povertà. Questo risultato è possibile attraverso l’utilizzo consapevole di nuovi strumenti e tecnologie, che consentano di produrre maggior quantità di cibo ed alimenti sicuri, ma anche mettendo in atto tutte le strategie per ridurre la povertà in quanto tale. La povertà, infatti, instaura un circolo vizioso: chi è povero tende a deteriorare l’ambiente in cui vive; mentre la povertà aumenta proprio perché l’ambiente è degradato. Per questo, quando il comitato norvegese per il Nobel ha deciso di focalizzare l’attenzione sull’ambiente e di stabilire un collegamento fra pace, gestione sostenibile delle risorse e good governance, molti di noi stavamo pensando, nello stesso tempo, di mettere al centro della nost ra riflessione lo stesso tema della gestione sostenibile delle risorse naturali. Di riconoscere insomma che, senza una gestione responsabile di tali risorse, non avremmo mai goduto, in futuro, della pace. Credo perciò che si debba iniziare a pensare e agire con maggior determinazione. Concentrandosi su tre pilastri: una good governance, che promuova il rispetto dei diritti umani e tra questi il diritto al cibo; la massima tutela dell’ambiente; politiche economiche per ridurre la povertà e, di conseguenza, costruire la pace. Occorre infatti neutralizzare gli aspetti della nostra vita che promuovono i conflitti: nulla incentiva i conflitti più della spasmodica ricerca di terra coltivabile, sulla spinta della fame. Così, tornando al problema dell’alimentazione, è necessario combattere l’ignoranza, la povertà, l’ingiustizia e il malgoverno. Occorre investire nella ricerca e nell’educazione per dare alla gente gli strumenti necessari per produrre cibo e avere la certezza del nutrimento. Dove abbiamo cibo, dobbiamo renderlo accessibile a coloro che non hanno i mezzi per accedervi, e dobbiamo sicuramente considerare tutto ciò come una responsabilità di ordine morale piuttosto che come un’arma di carattere politico. Investiamo dunque nell’educazione, investiamo sulle donne, investiamo nella riabilitazione e nella protezione dell’ambiente. In ultima analisi, tutte queste sfaccettature sono gli strumenti che ci consentiranno di avere sicurezza alimentare. Ciascuno di noi deve compiere uno sforzo per realizzare questi obiettivi nel proprio Paese, nell’impegno comune di dare sicurezza alimentare a tutti gli abitanti del pianeta.
CHI E’
In prima linea contro la desertificazione
Pubblichiamo in queste colonne il testo dell’intervento che Wangari Maathai, premio Nobel per la Pace nel 2004, terrà oggi a Roma, al convegno internazionale «Food insecurity and the right to food» ("Insicurezza alimentare e diritto al cibo"), organizzato da Unidea-UniCredit Foundation con il dipartimento di Economia dell’università di Firenze. Wangari Maathai, nata in Kenya nel 1940, è un’attivista politica e ambientale; fondatrice, nel 1977, del Green Belt Movement, Wangari Maathai si è impegnata nella lotta all’erosione del suolo. Imprigionata più volte durante il regime di Daniel Arap Moi, attualmente siede in Parlamento e presiede il Consiglio economico, sociale e culturale dell’Unione africana.