Cultura?

Ha chiuso "Libraria", l’unica libreria della città. Si legge niente, la scuola ha fallito, la politica delle bugie trova spazi enormi

Con la chiusura dell’unica libreria della città, s’è aperto uno scenario da "Fin de partie"
venerdì 14 gennaio 2005.
 

Punto. La libreria di San Giovanni in Fiore, “Libraria”, ha chiuso, il 31 dicembre 2004. Silenzio, normalità e ritmo d’ogni giorno. Con mille cose da fare, sempre uguali, identiche. Con mille progetti da concludere e pratiche vitali da seguire. Una macelleria ha venduto, in città, ventisette copie di “Pane, vino e angeli”, di Anna Zurzolo.

Ce lo dice Saverio Basile, direttore del “Corriere della Sila”, col quale si discute della situazione d’oggi, della gravissima crisi spirituale e culturale in città. Che, poi, è collegata ai tempi, alle grandi economie, alle vicende nel globo. Ma sempre ci sono differenze, eccezioni. Benché la tv sia stata - e sia - una “cattiva maestra”, che contribuisce molto a semplificare l’acquisizione del sapere e la ricostruzione della verità offrendo (gratis) una sola rappresentazione del mondo, e per quanto diffonda il mito (e la paura) del corpo, ci sono luoghi in cui gli uomini hanno resistito e, giusto nella difficoltà, si sono aggrappati all’unica zattera rimasta, forse, la letteratura.

È successo in Argentina, in cui Borges e i giovani scrittori, assieme, pure, alla tradizione della danza, hanno salvato il popolo dalla morte morale. In qualche modo, il patrimonio culturale ha vinto, lì, sulla gravissima crisi economica e politica. Le pagine argentine hanno mantenuto - e sospinto - gli argentini. Poteva essere anche dalle nostre parti, in cui ci sono autori che divulgano fuori confine una cultura, in senso proprio, calabrese. Carmine Abate, ad esempio, e la stessa Zurzolo.

Il discorso è da ripetere guardando al teatro di Francesco Suriano e alle traduzioni dei Krypton. In fondo, che cosa è la Calabria, se non un luogo di passioni intense e meditazioni? Eppure, San Giovanni in Fiore mostra, dati in mano drammaticamente attendibili, che gli entusiasmi sono finiti e la meditazione non serve. Con diciottomila e più abitanti, non si è riusciti a tenere una libreria. “La gente - confessa Basile, che ha scritto molto sulle tradizioni e il passato - compra i libri in edicola. Non è abituata alla libreria. Ho curato un sondaggio sulla vendita di volumi assieme ai quotidiani. L’anno passato s’è chiuso con un valore sorprendente: 4500 copie fra romanzi, enciclopedie e classici. Penso che si tratti di opere in bella mostra a casa propria, se questo attaccamento al libro non ha avuto effetti e non è valso a mantenere l’unica libreria che avevamo”.

Che, poi, i libri si vendano insieme alla carne - come dimostra l’incredibile successo, in macelleria, della Zurzolo e di scrittori locali - è un caso da ricerca. Sarà la relazione fra sapere e sapore, sarà qualche complicato motivo antropologico, sociologico, psicologico? Non si può dire.

È certo, però, che la scuola ha fallito. E va scritto senza remore. Una città in cui non si legge né si partecipa a fatti culturali si presenta e racconta da sé. Rina De Paola, che per quattro decenni ha insegnato lettere al Magistrale, dice che “la scuola ha grandi colpe, perché non sa né ha saputo trasmettere passione e intraprendenza ai giovani”. In questa situazione di degrado culturale da record, senza teatro, musica e proiezioni cinematografiche, la politica degli imbrogli e delle bugie trova campo fertile. E può facilmente ingannare vantando un impegno per lo sviluppo e il Parco nazionale, nonostante che faccia voti in modo disonesto e perverso.

Tutti gli strumenti per una crescita economica e sociale, dal Parco al Psu, servono a nulla se non si forma una cultura del giusto, per cui si riconoscano i pericoli e le possibilità. La lettura è lo strumento principale dell’emancipazione. La scuola, se vuole rimediare, non può che sostenerla in modo convinto e coraggioso, senza negare come sta facendo.

Per ora, siamo a lutto, senza più una libreria. E dobbiamo interrogarci con onestà intellettuale. Quanto abbiamo promosso dei momenti culturali? Quanto abbiamo stimolato i giovani? Abbiamo provato a capire i loro gusti, la loro sensibilità letteraria, artistica, sociale? Abbiamo fornito loro degli strumenti per esprimersi e agire liberamente? O, forse, abbiamo ignorato la loro esistenza, lasciando che assumessero l’identità di consumatori di vuoti prodotti culturali, senza abituarli alla storia, alla memoria (Ricoeur), al perdono (Derrida), all’approfondimento (Vattimo), al pensare, al pensiero? Quali valori abbiamo portato?

Ho l’impressione che la scarsissima considerazione per la cultura, di cui siamo responsabili, sia la causa principale d’un protagonismo e arrivismo politico che, anche a San Giovanni in Fiore, sta cancellando il significato dell’impegno umano e sociale, a beneficio della violenza sui media e dei disvalori della cattiveria, dell’idiozia, della pigrizia e dell’ignoranza.


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