Punto. La libreria di San Giovanni in Fiore, “Libraria”, ha chiuso, il 31 dicembre 2004. Silenzio, normalità e ritmo d’ogni giorno. Con mille cose da fare, sempre uguali, identiche. Con mille progetti da concludere e pratiche vitali da seguire. Una macelleria ha venduto, in città, ventisette copie di “Pane, vino e angeli”, di Anna Zurzolo.
Ce lo dice Saverio Basile, direttore del “Corriere della Sila”, col quale si discute della situazione d’oggi, della gravissima crisi spirituale e culturale in città. Che, poi, è collegata ai tempi, alle grandi economie, alle vicende nel globo. Ma sempre ci sono differenze, eccezioni. Benché la tv sia stata - e sia - una “cattiva maestra”, che contribuisce molto a semplificare l’acquisizione del sapere e la ricostruzione della verità offrendo (gratis) una sola rappresentazione del mondo, e per quanto diffonda il mito (e la paura) del corpo, ci sono luoghi in cui gli uomini hanno resistito e, giusto nella difficoltà, si sono aggrappati all’unica zattera rimasta, forse, la letteratura.
È successo in Argentina, in cui Borges e i giovani scrittori, assieme, pure, alla tradizione della danza, hanno salvato il popolo dalla morte morale. In qualche modo, il patrimonio culturale ha vinto, lì, sulla gravissima crisi economica e politica. Le pagine argentine hanno mantenuto - e sospinto - gli argentini. Poteva essere anche dalle nostre parti, in cui ci sono autori che divulgano fuori confine una cultura, in senso proprio, calabrese. Carmine Abate, ad esempio, e la stessa Zurzolo.
Il discorso è da ripetere guardando al teatro di Francesco Suriano e alle traduzioni dei Krypton. In fondo, che cosa è la Calabria, se non un luogo di passioni intense e meditazioni? Eppure, San Giovanni in Fiore mostra, dati in mano drammaticamente attendibili, che gli entusiasmi sono finiti e la meditazione non serve. Con diciottomila e più abitanti, non si è riusciti a tenere una libreria. “La gente - confessa Basile, che ha scritto molto sulle tradizioni e il passato - compra i libri in edicola. Non è abituata alla libreria. Ho curato un sondaggio sulla vendita di volumi assieme ai quotidiani. L’anno passato s’è chiuso con un valore sorprendente: 4500 copie fra romanzi, enciclopedie e classici. Penso che si tratti di opere in bella mostra a casa propria, se questo attaccamento al libro non ha avuto effetti e non è valso a mantenere l’unica libreria che avevamo”.
Che, poi, i libri si vendano insieme alla carne - come dimostra l’incredibile successo, in macelleria, della Zurzolo e di scrittori locali - è un caso da ricerca. Sarà la relazione fra sapere e sapore, sarà qualche complicato motivo antropologico, sociologico, psicologico? Non si può dire.
È certo, però, che la scuola ha fallito. E va scritto senza remore. Una città in cui non si legge né si partecipa a fatti culturali si presenta e racconta da sé. Rina De Paola, che per quattro decenni ha insegnato lettere al Magistrale, dice che “la scuola ha grandi colpe, perché non sa né ha saputo trasmettere passione e intraprendenza ai giovani”. In questa situazione di degrado culturale da record, senza teatro, musica e proiezioni cinematografiche, la politica degli imbrogli e delle bugie trova campo fertile. E può facilmente ingannare vantando un impegno per lo sviluppo e il Parco nazionale, nonostante che faccia voti in modo disonesto e perverso.
Tutti gli strumenti per una crescita economica e sociale, dal Parco al Psu, servono a nulla se non si forma una cultura del giusto, per cui si riconoscano i pericoli e le possibilità. La lettura è lo strumento principale dell’emancipazione. La scuola, se vuole rimediare, non può che sostenerla in modo convinto e coraggioso, senza negare come sta facendo.
Per ora, siamo a lutto, senza più una libreria. E dobbiamo interrogarci con onestà intellettuale. Quanto abbiamo promosso dei momenti culturali? Quanto abbiamo stimolato i giovani? Abbiamo provato a capire i loro gusti, la loro sensibilità letteraria, artistica, sociale? Abbiamo fornito loro degli strumenti per esprimersi e agire liberamente? O, forse, abbiamo ignorato la loro esistenza, lasciando che assumessero l’identità di consumatori di vuoti prodotti culturali, senza abituarli alla storia, alla memoria (Ricoeur), al perdono (Derrida), all’approfondimento (Vattimo), al pensare, al pensiero? Quali valori abbiamo portato?
Ho l’impressione che la scarsissima considerazione per la cultura, di cui siamo responsabili, sia la causa principale d’un protagonismo e arrivismo politico che, anche a San Giovanni in Fiore, sta cancellando il significato dell’impegno umano e sociale, a beneficio della violenza sui media e dei disvalori della cattiveria, dell’idiozia, della pigrizia e dell’ignoranza.
Editoria in fermento al Sud, ma per le librerie la situazione è disastrosa: se ne parla a Roma alla Fiera dei medi e piccoli editori
Il libro non è arrivato a Eboli
Solo 5 comuni su 100 in Meridione e nelle Isole dispongono di una libreria e ben 112 comuni con più di 20.000 abitanti ne sono privi. Parla Giovanni Peresson,dell’Aie: «Come rimediare? Favoritismi no, ma sostegno per i primi due o tre anni dell’attività sì», «Ma i potenziali lettori ci sono: lo dimostrano le esperienze di quei librai che hanno messo gazebo in piazza o in altri luoghi:ottenendo ottimi risultati».
Da Roma Paola Springhetti (Avvenire, 06.12.2006)
Se nelle regioni del Nord del nostro Paese la lettura di libri riguarda poco più del 50% della popolazione, nel Sud questa già poco consolatoria percentuale scende al 30%. E d’altra parte, che cosa ci si potrebbe aspettare visto che appena il 5% dei comuni delle regioni meridionali possiede una libreria, e soprattutto che ci sono 112 comuni con più di 20mila abitanti che non ne hanno neanche una? È vero, infatti, che sono i lettori a fare le librerie, ma è ancora più vero il contrario: sono le librerie, cioè i luoghi in cui si può scegliere tra un’offerta ricca e diversificata, nella quale si possono inseguire i propri interessi, che "creano" i lettori. E al Sud questi luoghi scarseggiano, così come scarseggiano le biblioteche, che sono l’altro luogo in cui si "coltivano" i lettori. Queste cifre sono contenute in un libro bianco sulla lettura che l’Aie (Associazione italiana degli editori) ha presentato un paio di mesi fa agli Stati generali dell’editoria. Saranno discusse, con tutte le loro implicazioni, in un dibattito organizzato all’interno della fiera della piccola e media editoria "Più libri più liberi" che si svolgerà da domani al 10 dicembre a Roma.
Il dibattito avrà per titolo "Il libro non è ancora arrivato a Eboli" (venerdì mattina, palazzo dei Congressi dell’Eur) e vedrà a confronto Giovanni Peresson, responsabile dell’ufficio studi di Aie e i titolari di alcune librerie del Sud. Perché comunque, anche nelle regioni meridionali, alcuni segni di ripresa e di vitalità si vedono: nella nascita di nuove case editrici, per esempio, e di nuove iniziative culturali. I motivi per cui al Sud le librerie scarseggiano sono di vario tipo. Secondo Peresson, «di fatto bisogna fare i conti con il fatto che se prendiamo come bacino d’utenza i lettori forti, al Sud sono 1/3 rispetto alle regioni del nord ovest. Di conseguenza si moltiplicano le soluzioni ibride: cartolerie che vendono anche libri o edicole con libri e giocattoli. In questo modo si cercano in altri campi le risorse per andare avanti».
Ma c’è anche una ragione di tipo amministrativo: «molte piccole-medie librerie del Nord hanno le amministrazioni come controparte. Può essere anche un rapporto conflittuale, a volte, ma spesso è di sostegno: le amministrazioni possono trovare spazi, organizzare festival o iniziative culturali che attirano lettori e accendono curiosità». A questi si aggiungono altri problemi di tipo organizzativo: «Il fatto che, ad esempio, la grande distribuzione non abbia magazzini al di sotto di Roma, per cui ordinare un libro da una città del Sud significa mettere in moto un processo complicato. O il fatto che meno risorse significa anche meno formazione per il personale e meno investimento in quelle innovazioni tecnologiche che si tramutano in servizi per il cliente».
In questa analisi sono già contenute alcune proposte su cui lavorare, e le esperienze che verranno presentate nell’incontro di venerdì in qualche modo le incarnano. Sta a rappresentare l’intraprendenza dell’imprenditoria privata la libreria Primalibri, aperta da Colomba Rossi Carlotto a Quartu, che è il terzo comune della Sardegna quanto a numero di abitanti, ma non aveva neanche un libreria prima di questa. Paolo Pisanti, invece, ha aperto VesuvioLibri a San Giorgio a Cremano, nell’hinterland napoletano: lì il Comune aveva restaurato una grande villa settecentesca, e ne aveva destinato i locali a una biblioteca, a una enoteca e a una libreria. E avere dei locali a disposizione non è poco, per chi vuole partire.
Ada Codecà, invece, gestisce a Ostia la libreria Almayer nata nel 2003 all’interno di una biblioteca, la Elsa Morante di Ostia: per aprirla ha potuto usufruire dei fondi di un progetto del Comune e della Provincia di Roma che ha lo scopo di sostenere la nascita di nuove librerie nelle periferie della capitale. Ognuna di queste esperienze costituisce un’ipotesi di lavoro. «Non vogliamo favoritismi», puntualizza Peresson, «ma sostegno per i primi due, tre anni di attività, que lli fondamentali per avviarla». E il ritorno per le amministrazioni sarebbe interessante, e non solo dal punto di vista economico. «La libreria è luogo di coesione sociale, oltre che di produzione di cultura». Al Sud, del resto, i potenziali lettori ci sarebbero. Lo dimostrano le esperienze di quei librai «che in varie occasioni hanno messo gazebo in piazza o in altri luoghi, e hanno sempre avuto ritorni economici straordinari».