di Carmine Gazzanni
Il 16 e 17 ottobre il Molise vota per la Regione. L’elettorato dovrà scegliere se tenersi il presidente Michele Iorio o voltare pagina: se sprofondare ancora o risalire a fatica; se, per familismo od astensionismo, riconsegnare l’amministrazione pubblica al responsabile dello sfascio oppure levargli quel potere per cui Iorio ha aumentato il deficit sanitario, lambito il dissesto finanziario, addebitato ai cittadini i costi della propria incapacità di gestione.
I molisani sono al bivio, dunque. Pasquale Di Bello, direttore dell’Infiltrato, ha scritto che Paolo Di Laura Frattura, candidato del centrosinistra, «può vincere le elezioni contro il governatore uscente». Io gli credo.
Su queste pagine non sono mai intervenuto circa le questioni locali, ma ho imparato a conoscerle e, prima di tutto, a sentirle anche mie. Intanto per la sete di verità e giustizia che mi lega ai ragazzi dell’Infiltrato, poi per evidenti analogie tra il Molise e la mia Calabria, saccheggiate e abbandonate alla morte.
Entrambe le regioni subiscono l’oppressione del ricatto, che a Sud ha origini lontane. Il sistema, sfruttando il bisogno diffuso, perpetua i vecchi rapporti di potere: il consenso si fabbrica con promesse e minacce, ai limiti della legalità. Difficile provare comportamenti rilevanti nel penale: l’amministrazione pubblica gode di ampia discrezionalità e può contare sull’aiuto dello Stato centrale, che invece dovrebbe essere garante del diritto e rispettare la sovranità popolare, la quale vive del lavoro.
Se in Calabria come in Molise il lavoro è un favore, ne consegue che la dignità sociale, il diritto alla salute, l’eguaglianza, le pari opportunità, l’assistenza dei più deboli e gli altri fondamenti della Costituzione restano lettera morta, argomenti per la retorica politica, la menzogna, l’illusione.
In Calabria e in Molise il coraggio latita perché non esiste autonomia economica. Manca il coraggio della denuncia e dell’indipendenza, il coraggio del cambiamento, il coraggio di determinare liberamente il proprio futuro. Troppe le dipendenze dal potere, che decide, organizza, concede, eroga, assegna.
Quando i tempi sono maturi per licenziare gli apparati che fanno disoccupazione, precariato e clientele, in Calabria come in Molise sopravvive un pregiudizio: non è ammissibile convergere sul candidato di rottura, se non ha un certo dna, se cioè viene dall’impresa o dall’economia.
ELEZIONI REGIONALI
Molise, Iorio ci prova senza Berlusconi contro il moderato del centrosinistra
Appena 320 mila elettori nella consultazione di domenica e lunedì prossimi, ma l’importanza del voto, dato il momento, è politicamente evidente. Il governatore uscente (centrodestra) ha scelto un simbolo senza il nome del Cavaliere che, pure, qui è stato eletto. Lo sfida Paolo Di Laura Frattura, con qualche probabilità in più rispetto al passato
di GIUSEPPE CAPORALE
CAMPOBASSO - Domenica e lunedì si torna a votare in Molise. Per due giorni, si apriranno le urne per eleggere il nuovo governatore e la nuova compagine che guiderà la regione. Il Molise da undici anni è saldamente nelle mani del centrodestra e questa sfida elettorale avrà il valore del test nazionale, per verificare l’attendibilità dei sondaggi.
Andranno al voto appena 320mila abitanti, e questo è l’unico appuntamento elettorale dell’autunno. E un primo dato nazionale, emerso dalle vicende molisane, ha già fatto molto discutere: il governatore uscente del Pdl, Michele Iorio (plurindagato) ha tolto dal simbolo del partito che si presenta alle elezioni il nome di Silvio Berlusconi, sostituendolo con il suo. E proprio Berlusconi - che come parlamentare risulta eletto in Molise - questa volta non ha messo piede in regione per le elezioni. Non ha fatto campagna elettorale. Anche senza Berlusconi però, lo stile è rimasto lo stesso. Iorio (che nel 2006, passò trionfalmente al primo turno col 54,14%) ha prodotto una campagna elettorale a colpi di annunci. Come la promessa di una pioggia di finanziamenti (divulgati su manifesti pubblicitari), un miliardo e trecento cinquanta milioni per l’esattezza, che il Cipe avrebbe stanziato per lo sviluppo, anche se proprio ieri, il ministro per i rapporti con le Regioni e per la Coesione territoriale, Raffaele Fitto, ha precisato che la disponibilità effettiva di cassa per il Molise è di appena 55 milioni di euro, e peraltro già ipotecati, in quanto anticipati per coprire in minima parte la voragine che si è aperta nella sanità (un debito accumulato pari a 680 milioni di euro, oltre 2000 euro per abitante).
Per non parlare poi della vicenda dell’aeroporto del Molise. Già perché uno degli ultimi atti della giunta regionale è stata una delibera molto contes tata: la delibera n.804 del 12 settembre 2011. Con la legislatura regionale terminata ad agosto e con la giunta in carica soltanto per l’ordinaria amministrazione, si è trattato di un atto tanto forte da provocare la dura reazione degli Ecologisti Democratici. Secondo gli Ecodem "la Giunta Regionale del Molise calpestando le regole elementari del diritto amministrativo in una fase pre-elettorale e con la legislatura scaduta ha deciso che bisognava autorizzare la realizzazione di un aeroporto in Molise. Una vera e propria assurdità se si pensa alla crisi in cui versano tutti i piccoli aeroporti italiani per via delle difficoltà di pareggiare i costi di gestione con lo scarso numero di passeggeri in transito".
Dicono gli Ecodem che "il Molise non riesce nemmeno a fare la manutenzione delle strade interpoderali, taglia i collegamenti con i piccoli comuni, riduce l’assistenza agli anziani e non è in grado assicurare un minimo di funzionalità al sistema sanitario. Eppure la Giunta Regionale pretende di costruire uno scalo aeroportuale in una regione di 320 mila abitanti che ha aree come quelle di Venafro e Termoli che distano a meno di un’ora dagli aeroporti di Napoli, Pescara e Foggia".?"Qualcuno dovrebbe avvertire il governatore Pdl del Molise, Angelo Michele Iorio - concludono gli Ecologisti Democratici del Molise - che l’Italia è in un baratro, non ci sono più soldi e si rischia di fare la fine della Grecia". Ma la campagna elettorale prosegue.
Il candidato del centrodestra è sostenuto da sette liste (Popolo della Libertà, Unione di Centro, Alleanza di Centro, Molise Civile, Grande Sud, Udeur, Progetto Molise), così come anche lo sfidante del centrosinistra, Paolo Di Laura Frattura, scelto con le primarie e supportato da un’ampia coalizione di centrosinistra (Partito Democratico, Sinistra Ecologia e Libertà, Italia dei Valori, Federazione Comunisti italiani , Socialisti italiani, Costruire Democrazia - Partecipazione Democratica, Alternativa). Anche su Frattura non sono mancate polemiche, in quanto considerato fino a pochi mesi fa in quota centrodestra, ma fortemente voluto dal segretario regionale del Pd Danilo Leva che vede in Frattura il moderato che può sconfiggere Iorio. Dopo otto anni alla presidenza di Unioncamere Molise e della Camera di Commercio di Campobasso, Frattura ha lasciato l’incarico a poche settimane dal voto, non per incompatibilità ma, come tiene a sottolineare lui stesso, "perché l’idea che ci possano essere interferenze con la politica, in una gestione mai a braccetto con il politico di turno, va assolutamente allontanata e, soprattutto, per rispetto dell’istituzione".
Iorio dal canto suo ha accuratamente evitato i confronti televisivi con il principale avversario. Frattura non gli ha risparmiato critiche: "Iorio in campagna elettorale inaugura scuole senza collaudo statico e sale operatorie senza equipe". A fare da outsider in queste elezioni ci sono anche Antonio Federico del Movimento 5 Stelle di ispirazione grillina e Giovancarmine Mancini de La Destra.
* la Repubblica, 14 ottobre 2011
Bregantini non tace
A Torino il libro del vescovo anti-clan sarà al centro il 27 ottobre di un dibattito pubblico con don Ciotti e Giancarlo Caselli
di Giacomo Galeazzi *
E’ in uscita un libro che costituisce un’occasione di dibattito e intervento, data l’imminenza del viaggio in Calabria del Papa. Piemme sta per pubblicare il libro di Giancarlo Bregantini, ex vescovo di Locri-Gerace e attuale vescovo di Campobasso. Il suo impegno civile e apostolico contro l’ndranghreta è ben noto ed è diventato un simbolo della lotta alla mafia nella Chiesa e nel mondo laico. Questo in uscita con il titolo "Non possiamo tacere", in libreria dal 14 di ottobre, è il suo libro-testimonianza che restituisce la drammaticità e nello stesso tempo il coraggio di un uomo impegnato nel sociale e nella fede.
In generale, in molte parti del libro, monsignor Bregantini fa una coraggiosa autocritica sul ruolo, talvolta inadeguato, della Chiesa nella lotta contro la mafia, con cui spesso rischia di essere connivente. Mentre le gerarchie ecclesiastiche concedono ai boss di mafia gli onori pomposi di funerali religiosi, la stessa Chiesa nega diritto a personalità sofferenti e impegnate come Piergiorgio Welby, la consolazione di funerali cristiani. O ancora l’abbraccio letale della massoneria, a cui Brigantini sembra ascrivere un ruolo influente e decisivo nel suo trasferimento da Locri a Campobasso, negli stessi giorni in cui De Magistris veniva sollevato dal suo incarico.
Punti e temi che possono offrire argomento di dibattito e di riflessione piuttosto inconsueto all’interno del mondo ecclesiastico, e provenienti da una fonte autorevole. Soprattutto i riferimenti alla connivenza mafiose e alle infiltrazioni massoniche all’interno della chiesa hanno una forte portata di denuncia e di provocazione: sono realtà che monsignor Bregantini individua come bersagli da combattere e sconfiggere. A Torino il libro sarà oggetto (precisamente il 27 di ottobre) di un dibattito in un incontro pubblico con Don Ciotti e con Giancarlo Caselli.
* La Stampa, 7/10/2011
Il vescovo che dà voce alla "primavera" di Locri
di Attilio Bolzoni (la Repubblica, 11 ottobre 2011)
In quel paese non ci voleva andare nessuno. Dal Vaticano lo chiesero a molti monsignori, tutti rifiutarono. Così Locri rimase per un anno senza vescovo. Quello di prima viveva da mesi sotto scorta, alcuni sacerdoti erano stati minacciati pubblicamente, un parroco ferito a fucilate. Poi è arrivato "padre Giancarlo", trentino di origine, un lontano passato di operaio alla catena di montaggio e uno più vicino di cappellano nelle carceri.
Era il 7 maggio del 1994. «E le prime ventiquattro ore nella Locride furono determinanti per segnare tutto quello che avrei fatto in seguito in Calabria», scrive Giancarlo Bregantini all’inizio di un libro (Non possiamo tacere. Le parole e la bellezza per vincere la mafia. Piemme Edizioni, pagg 193, euro 19,50) che è un ricordo dopo l’altro dei suoi tredici anni vissuti nella terre dove i boss sono i veri padroni. Il primo giorno da vescovo, sotto il palco dove stava parlando gli fecero trovare una finta bomba. Era il "benvenuto" dei pezzi da novanta al nuovo capo della chiesa di Locri.
Una missione nel Sud più estremo e una sfida alla ’Ndrangheta. Da fuori e da dentro. Con le sue omelie e le sue scomuniche, con i suoi gesti di ribellione e con la profonda convinzione «che bisogna dialogare anche con i lupi». Coraggioso nella denuncia, "padre Giancarlo" una volta è a Duisburg per abbracciare la comunità calabrese dopo la strage del Ferragosto 2007 (sei ragazzi uccisi davanti al ristorante "da Bruno" per la guerra infinita fra i Nirta e i Strangio da una parte e i Pelle e i Vottari dall’altra) e un’altra volta è nella casa di una donna di San Luca che piange il figlio ucciso nella faida. Sempre in mezzo ai suoi fedeli. A tutti. Anche a quelli. Un bisogno di comunicazione con il male che ha esposto il nuovo vescovo di Locri a qualche rimprovero, un credo che l’ha costretto a subire anche le voci più velenose. Ma lui è andato avanti per la sua strada. Sempre.
È tutto raccontato nelle pagine di quello che sembra un diario - scritto con la giornalista Chiara Santomiero -, un viaggio nella memoria dal suo sbarco nella Calabria più misteriosa fino al sostegno ai ragazzi di "Ammazzateci Tutti" appena dopo l’uccisione del vicepresidente del consiglio regionale Francesco Fortugno. È stato il primo segno di sollevazione in una regione italiana affondata fino ad allora nell’indifferenza e nel silenzio, un muro di omertà che è cominciato a cedere - era l’ottobre del 2005 - con il vescovo Bregantini protagonista di una rivolta morale e ispiratore di una inaspettata (per i capi mafiosi, soprattutto) "primavera" calabrese.
Neanche un anno dopo - nel marzo 2006 - eccolo che si scaglia ancora contro gli uomini della ’Ndrangheta: proprio a loro lancia la sua scomunica. Avevano avvelenato l’acqua che stava facendo crescerei frutti di bosco sulla schiena dell’Aspromonte, in un istante era andato in rovina il lavoro di un anno intero dei contadini di una cooperativa fra San Luca e Platì. La rabbia di "padre Giancarlo" esplose. Nei bracci del 41 bis i padroni della Calabria, come ricorda il vescovo nel suo libro, «si sentirono maledetti». Ma poi, è sempre lui con quella sua voglia di capire e di salvare. L’abisso del male e la misericordia. E, naturalmente, anche la speranza per un’altra Calabria: «Dobbiamo credere che se il bene avanza la mafia arretra, il destino non è ineluttabile».