PRECARIETA’ AI TEMPI DELLA CRISI

domenica 11 dicembre 2011.
 
Come sentirsi insicuri, e ancora più precari, nel mezzo della burrasca turbocapitalistica
Le notizie che ci incalzano ormai giornalmente sui tracolli delle borse, sugli speculatori che s’arricchiscono, sulle agenzie di rating che declassano per non far altro che il gioco degli speculatori, sugli stati inermi a guardare e subire e rattoppare a suon di tagli ristrutturazioni razionalizzazioni lasciano, da una parte, una confusione enorme e, dall’altra, un senso di disarmante smarrimento. Sembra davvero di non capirci più nulla di questa crisi economica su scala mondiale. Non si riesce a star dietro al lessico di questi servizi giornalistici impastato di termini ormai troppo tecnici, troppo specialistici nonostante ogni tanto un economista venga invitato a spiegarci quello che sta succedendo e soprattutto perchè sta succedendo. Non si tratta di notizie in arrivo da mondi lontani e diversi, aliene dalla nostra quotidianità, così invadenti da disturbare, un poco, lo sciatto far niente del nostro svacco prenatalizio. La burrasca economico-finanziaria, declinata nelle nostre vite e nel nostro presente, porta il nome, ancora una volta, di precarietà. Perchè le crisi dei mercati sono, saranno, le nostre crisi, perchè tutto diventa più insicuro e incerto, perchè per tappare la voragine aperta dalle scosse del turbocapitalismo il peso, il sacrificio lo sopportano, lo sopporteranno, gli anelli deboli della catena sociale. Non importa se in regola o in nero, se a tempo indeterminato o a progetto, se disoccupati cronici: ognuno metterà la sua parte. Ancora una volta “lacrime e sangue”, ancora una volta “sempre gli stessi a pagare”: già, i soliti e abusati slogan dal chiaro tenore populista, triti e ritriti, letti e riletti in qualche documento sindacale che rimandano però all’immediata verità delle cose. I ricchi, medio ricchi, tutelati e pronti a incassare ancora di più, e il grande esercito di pensionati, studenti, ricercatori, operai, operatori del terzo settore, piccoli artigiani, piccoli commercianti a subire e tentare di parare il colpo. I governi sono incapaci di reagire, cercano di salvare quello che si può salvare, fino a snaturare il proprio credo e la propria visione politica. Come ha scritto tempo fa Helena Janeczek sull’Unità ”Forse, a questo punto, ci sentiremmo più sicuri sulla nave di Capitan Barbossa che non esiste”. domenico barberio

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