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San Giovanni in Fiore, attentato al sindaco: ennesimo appello all’unità civile

venerdì 27 gennaio 2012.
 

Di recente, San Giovanni in Fiore (Cosenza) ha dimostrato che non è, come a volte racconta di sé, una periferia del Sud arretrata e senza lode. A prescindere da tutto, la comunità locale ha partecipato coesa al dolore delle famiglie dei ragazzi morti a Natale.

Il valore di un popolo sta nella capacità di rispondere unito ai drammi collettivi e, in un secondo tempo, nel dato economico o sociale. Lo abbiamo visto a L’Aquila, distrutta dal terremoto del 6 aprile 2009, e a Bergamo, per il barbaro assassinio della giovane Yara Gambirasio. Prima ancora, lo abbiamo visto negli Usa, all’indomani dell’11 settembre 2001. Allora, agli americani rimasero solo macerie su macerie, documentate in dettaglio dal saggista William Langewiesche, e un’identità nazionale indispensabile per la ricostruzione.

Negli anni, a San Giovanni in Fiore, segnata dallo spopolamento, dalla disoccupazione e dai sussidi pubblici, si sono registrati scontri politici altissimi, azioni violente e, spesso, il vilipendio delle istituzioni proprio nei luoghi e organi del confronto politico.

Tuttavia, con la tragedia di Natale, in nome della sacralità della vita sono caduti l’astio, i livori e i veleni delle ultime elezioni comunali; perpetrati dall’incapacità della politica di dare l’esempio all’avversario, di tentare un dialogo pacato, di rinunciare alla reazione uguale e contraria a un colpo basso dell’uno o dell’altro polo. Partiti, militanti e schierati non hanno saputo comprendere il momento molto delicato per la Calabria, per l’Italia e per l’Europa. Vecchi conflitti locali hanno impegnato a senso unico energie e intelligenze. Così, ci siamo scordati della crisi, della minore disponibilità di fondi comunitari, dei piani di rientro, della necessità di convergere per evitare ulteriori danni e prepararci alla responsabilità del federalismo fiscale, soltanto rinviato.

In questo importante centro della Calabria, che non può ignorare l’attualità e la portata dell’utopia del fondatore, Gioacchino da Fiore, il dibattito politico si è fermato alla difesa delle posizioni delle singole parti, senza cercare collaborazione e sintesi. Questo è stato un errore, un errore di tutti.

Davanti ai problemi della nostra terra, in primo luogo la pervasività del crimine organizzato, c’è stata una chiusura culturale e politica. Qui, molti hanno confinato la presenza della ‘ndrangheta entro la giurisdizione amministrativa dei comuni più “inquinati”. Sicuramente, San Giovanni in Fiore è una città di persone buone, in grado di discernere e di mantenere quei valori positivi che ne hanno caratterizzato la storia; a partire dal dramma delle lontane emigrazioni e dalle tragedie di Monongah e Marcinelle.

Ciononostante, il gravissimo attentato al sindaco Antonio Barile, la cui matrice potrà stabilire solo la magistratura, impone alla politica e alla società civile, non solo quelle del luogo, di dare un segnale forte agli autori. Come per i ragazzi morti a Natale, occorre che la società si compatti e reagisca, al di là dei colori, delle bandiere e delle collocazioni della politica.

L’attentato a Barile indica, forse, che San Giovanni in Fiore è a un bivio: adesso lo Stato, delle istituzioni e dei cittadini, può ancora impedire che il seme mafioso attecchisca, rinforzando il controllo democratico e civile, prima che quello di polizia. Domani potrebbe essere troppo tardi.

Emiliano Morrone

pubblicato su Il Quotidiano della Calabria dell’otto gennaio 2012


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