Testimone uccisa e sciolta nell’acido
sei ergastoli, c’è anche l’ex compagno
La sentenza della Corte d’appello di Milano per l’omicidio di Lea Garofalo, la testimone di giustizia che fu sequestrata nel capoluogo lombardo nel novembre 2009 e poi uccisa
di SANDRO DE RICCARDIS *
Ergastolo. Sono quasi le nove di sera, quando nella prima Corte d’assise di Milano, presieduta da Anna Introini, dopo più di quattro ore di camera di consiglio si legge la sentenza che condanna al massimo della pena i sei imputati per l’omicidio di Lea Garofalo, la collaboratrice di giustizia uccisa e sciolta in cinquanta litri d’acido per aver testimoniato sulle faide tra la sua famiglia e un clan rivale. Il tribunale accoglie in pieno le richieste del pm Marcello Tatangelo. I giudici hanno condannato all’ergastolo con l’isolamento diurno per due anni l’ex compagno di Lea, Carlo Cosco, contro cui ha testimoniato in dibattimento anche la figlia Denise.
Stessa pena per il fratello Vito. Ergastolo e un anno di isolamento, invece, per Giuseppe Cosco, Rosario Curcio, Massimo Sabatino e Carmine Venturino, quest’ultimo ex fidanzato di Denise. Tutti erano accusati di sequestro di persona, omicidio e distruzione di cadavere.
Il collegio ha stabilito una provvisionale di 200mila euro per Denise e di 25mila per il Comune. Carlo Cosco perde la potestà genitoriale. Il processo aveva rischiato l’azzeramento per la nomina dell’ex presidente della Corte d’assise, Filippo Grisolia, al ministero della Giustizia, con scadenza dei termini della custodia cautelare a luglio. Il nuovo presidente è invece riuscito, con un calendario fitto di udienze, ad arrivare in tempo alla sentenza.
Si conclude così il processo sul primo caso di lupara bianca al Nord. Lea Garofalo era scomparsa in corso Sempione il 24 novembre 2009, arrivata dalla Calabria per tentare l’ultima riconciliazione con l’ex «pensando - ha spiegato il pm - che così avrebbe potuto continuare a vivere con Denise». Rapita e torturata per confessare cosa avesse raccontato agli investigatori, fu uccisa con un colpo di pistola e fatta scomparire. La ventenne Denise, con i legali Enza Rando e Ilaria Ramoni, ha ascoltato la sentenza da una stanza attigua all’aula.
«Il fatto più importante oggi è che una giovane ragazza a cui hanno ucciso la mamma ha avuto il coraggio di essere testimone di giustizia. Ha rotto la paura e l’omertà e ha portato il suo contributo a scrivere una pagina di giustizia e verità», è il pensiero che Denise ha espresso attraverso il suo legale Vincenza Rando. «Abbiamo restituito dignità, verità e giustizia a sua mamma - ha detto in aula don Luigi Ciotti, fondatore di Libera - Dobbiamo inchinarci davanti a una ragazza che ha trovato il coraggio di rompere l’omertà».
* PER APPROFONDIMENTI: La Repubblica, 30 marzo 2012
NEL SITO E IN RETE, SI CFR.:
LEA GAROFALO (Wikipedia)
“Lea”, il racconto senza retorica della donna che sfidò la ‘Ndrangheta
di Silvia Gernini (l’Unità, 12 novembre 2015)
Un omaggio alla donna che ha sfidato la ‘Ndrangheta: Lea è il film per la tv firmato da Marco Tullio Giordana che racconta la storia di Lea Garofalo, la testimone di giustizia uccisa nel 2009. La fiction, presentata al Festival dei Beni confiscati alle mafie e ieri all’apertura del Roma Fiction Fest, andrà in onda il prossimo 18 novembre su Rai1 a pochi giorni dall’anniversario dell’assassinio avvenuto a Milano il 24 novembre.
Donna decisa e coraggiosa, Lea è la sorella di un capocosca di Petilia Policastro, nel crotonese, e compagna di uno degli uomini fidati del clan il quale gestisce lo spaccio e l’usura a Milano. Stanca di vivere e di crescere sua figlia Denise in un ambiente violento e criminale, la donna lascia il marito che nel frattempo è finito in prigione e decide di rivelare i suoi traffici alla giustizia. Da quel giorno inizia un altro inferno: il cambio di identità, i continui spostamenti da una città all’altra, le minacce sempre più violente fino al tragico finale. “Lea e Denise non sono perdenti, ma esempi e bandiere per la gente - ha precisato, però, Giordana - sono più forti di chi voleva annientarle perché hanno ribaltato la loro sorte”.
A firmare la sceneggiatura lo stesso Giordana insieme a Monica Zappelli, autrice, sempre con lui, anche de I cento passi. Storie simili, quella di Lea e di Peppino Impastato: persone comuni che con la loro forza riescono a opporsi a un intero sistema e capaci di scuotere un’intera comunità. “Nella storia di Lea Garofalo - ha spiegato il regista - ci sono due aspetti straordinari: la sua forza di ribellarsi e l’intelligenza, che la accomunano a Peppino Impastato. Vorrei che questo film riuscisse a raccontare questa forza e l’esempio che Lea ha saputo dare a sua figlia e l’esempio che Denise ha saputo e continua a dare a tante donne - ha aggiunto - nella loro stessa situazione”. Per questo motivo, il film tv prodotto da Rai e Bibi Film sarà anche messo a disposizione di Libera, l’associazione contro le mafie guidata da Don Ciotti per portare la storia e il messaggio veicolato dal film nelle scuole italiane.
Una regia asciutta, semplice, diretta: Giordana lascia ai suoi personaggi e ai suoi interpreti (prima fra tutti Vanessa Scalera) il compito di dare forza all’opera senza mai cedere alla retorica e all’agiografia: “Non ho modificato nulla di questa storia straordinaria non ho aggiunto niente, non abbiamo toccato niente, perché la storia era già colma di colpi di scena così com’era” ha detto il regista che non ha potuto incontrare Denise. La ragazza è infatti nel programma di protezione testimoni, ma Giordana sa che lei “è contenta che sia stato io, il regista de I cento passi, a raccontare questa storia, perché Lea amava molto il mio film e glielo aveva fatto vedere da ragazzina”.
Lea Garofalo, il coraggio di dire no
Tv Movie Marco Tullio Giordana prossimamente su Rai1
di Nicoletta Tamberlich (Ansa, 12 ottobre 2015)
ROMA Un modello civile di coraggio: una madre e una figlia, due giovani donne, che mettono al centro il senso della vita rispetto alla malavita organizzata e al destino di sottomissione delle donne di clan. Il regista cinematografico Marco Tullio Giordana è tornato dietro la macchina da presa per un tv movie, per Rai fiction ispirato alla storia di Lea Garofalo nel 2009 uccisa e bruciata nei dintorni di Monza, in un agguato organizzato dal suo ex compagno, il boss della ’ndrangheta Carlo Cosco. Ed è un omaggio alla figlia di Lea, Denise che ha saputo trovare la forza per denunciare il padre. ’Lea’ è tra i film tv più attesi della stagione fiction, in onda prossimamente su Rai1, scritto da Monica Zapelli e Marco Tullio Giordana.
Protagonista è l’attrice pugliese Vanessa Scalera (Mia Madre di Nanni Moretti, Vincere e Bella addormentata di Marco Bellocchio); nel cast anche Linda Caridi, Alessio Pratico’, Mauro Conte e Matilde Piana. Produce la Bibi Film Tv, con il sostegno della Apulia Film Commission.
E’ una grande storia di denuncia e impegno che rende omaggio a una donna semplice diventata un modello civile di coraggio. Una testimonianza esemplare, affrontata con un linguaggio realistico, sul desiderio di giustizia e sull’affermazione della legalità nel nostro paese. Ancora una vicenda vera per l’autore dei Cento passi e della Meglio gioventù e di Romanzo di una strage. Le riprese si sono svolte tra La Puglia, Gravina, Bari per poi spostarsi a Milano.
Lea Garofalo (Petilia Policastro, 4 aprile 1974 - Milano, 24 novembre 2009) è cresciuta in una famiglia criminale calabrese. E un criminale è anche il padre di sua figlia partorita a soli 17 anni, Denise, l’uomo di cui la donna si era innamorata quando aveva solo 13 anni: Carlo Cosco. Lea, però, desidera una vita diversa, senza violenza, menzogna e paura. Nel 2002 decide di collaborare con la giustizia e viene sottoposta, con sua figlia, al regime di protezione.
Racconta ai magistrati i loschi affari dell’ex compagno e del suo clan. Dopo aver vissuto in solitudine, sotto false identità, cambiando continuamente residenza, nel 2009 la giovane donna esce dal sistema di protezione sfiduciata dalle Istituzioni ed esasperata dalle continue pressioni dei Cosco. Rimasta senza soldi e senza la possibilità di trovarsi un lavoro, Lea torna a chiedere per disperazione aiuto a Carlo per il mantenimento della ragazzina e lui ne approfitta nel più vile dei modi. La giovane madre viene rapita per strada, torturata e alla fine uccisa. Pur essendo solo una ragazzina, Denise non si piegherà e permetterà di individuare e processare tutti i responsabili dell’omicidio della madre, costituendosi parte civile contro suo padre. Sul processo per la scomparsa, l’omicidio e la distruzione del cadavere di Lea Garofalo si è pronunciata il 18 dicembre del 2014 la Cassazione, con la condanna definitiva dei cinque imputati: quattro ergastoli e 25 anni di reclusione.
L’omaggio di Milano a Lea Garofalo.
Don Ciotti: "Oggi la verità è giustizia"
Tanti cittadini in piazza Beccaria per ricordare la testimone di giustizia uccisa dalla mafia. Durante la cerimonia viene letto il messaggio che la vittima scrisse a Napolitano: "Abbiamo bisogno di aiuto". Il messaggio della figlia Denise, costretta a vivere nascosta *
Piazza Beccaria gremita di persone. Tremila bandiere fucsia, gialle e arancioni - i colori di Libera, l’associazione presieduta da don Luigi Ciotti - con il volto giovane e sorridente della ex collaboratrice di giustizia Lea Garofalo e la scritta ’vedo, sento parlo’. E tanti, tantissimi mazzi di fiori, degli stessi colori delle bandiere, in un’onda colorata che per una mattinata ha rotto il grigiore del cielo sopra Milano e insieme ha fatto da sfondo a una cerimonia che ha voluto lanciare un messaggio preciso per affermare, usando le parole di don Ciotti, che "la verità è giustizia".
Un delitto con quattro colpevoli. La città ha reso l’ultimo omaggio a Lea Garofalo, la giovane donna che ha trovato il coraggio di collaborare con la giustizia, denunciare quel contesto di ’ndrangheta in cui era vissuta e che per questo, proprio a Milano, ha trovato la morte: il 24 novembre del 2009 Lea e’ stata separata dalla figlia, rapita, interrogata, uccisa e bruciata. Quel che resta di lei, 2.800 frammenti ossei, sono stati recuperati lo scorso anno in una buca nel quartiere monzese di San Fruttuoso. Per il suo omicidio sono state condannate all’ergastolo quattro persone fra cui Carlo Cosco, il suo ex compagno e padre di sua figlia Denise.
Il verbale dell’orrore / L’ultima passeggiata di Lea
Il saluto della figlia Denise. A volere che il funerale della madre si tenesse a Milano è stata proprio Denise, che oggi ha 22 anni e che ancora vive sotto protezione. Ospitata per motivi di sicurezza nella palazzina comunale che ospita il comando della polizia locale, Denise non ha perso un attimo della celebrazione che ha commosso centinaia di persone ed è intervenuta in prima persona, dietro una balconata, per dire "ciao mamma". Facendo risuonare la sua voce in tutta la piazza, in un breve addio insieme orgoglioso e straziante, la ragazza ha salutato i presenti: "Ciao a tutti e grazie di cuore di essere venuti qui. Per me è un giorno triste ma la forza me l’hai data tu, mamma. Se è successo tutto questo è stato solo per il mio bene".
Il diario di Lea. Nel corso della cerimonia intervallata da brani amati da Lea Garofalo e scelti da Denise per questa occasione, fra un I tuoi occhi sono pieni di sale di Rino Gaetano, Gli angeli di Vasco Rossi, L’ombra della luce di Franco Battiato e Ave Maria di Fabrizio De Andrè, sono stati letti alcuni brani del diario che Lea Garofalo teneva. Il 19 agosto 1992 annotava: "Ho scritto tutto quello che ho sentito, che mi dicono. Non ho scritto quello che penso. Della mia vita non gliene frega niente a nessuno e sono sola. Oggi però ho una speranza: è Denise, mia figlia. Lei avrà tutto quello che io non ho mai avuto nella vita".
La lettera al presidente Napolitano. Lea aveva scritto anche al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ma il suo messaggio non è mai stato spedito. Era questo: "Sono un mamma disperata, allo stremo delle sue forze. Oggi mi trovo con mia figlia lontana da tutto e da tutti. Sono sola. Ho perso tutto. Sapevo a cosa andavo incontro e ora non posso cambiare il corso di questa mia triste storia. Con questa mia richiesta di aiuto vorrei che lei rispondesse alle decine di persone che si trovano nelle mie stesse condizioni. La prego ci dia un segnale di speranza. Abbiamo bisogno di aiuto". Nel messaggio non si firmava, ma si definiva "una giovane madre disperata".
Don Ciotti e il sindaco Pisapia. "Lea è ancora viva, non è morta", dice don Ciotti. E il suo feretro, al centro di un grande palco circondato da numerosi gonfalonide l Comune e della Provincia di Milano, della Regione Lombardia, del Molise, di Cormano, Bellusco e altre località ancora è diventato un "simbolo antimafia" di una tale forza da zittire, al suo arrivo, un’intera piazza di migliaia di persone pronte a esplodere in un applauso quando il feretro se ne va, trasportato dal sindaco Giuliano Pisapia, da don Ciotti, da Mario Calabresi, Nando Dalla Chiesa e da due parenti di vittime.
"Dobbiamo cercare la verità". "Oggi non basta parlare di verità, dobbiamo cercarla. La verità è la giustizia di cui abbiamo bisogno", dice don Ciotti dal palco. Lea Garofalo, prosegue, è "una martire della verità, una testimone della verità". Un simbolo attraverso il quale il sacerdote può rivolgersi "ai tanti giovani inghiottiti dalle organizzazioni mafiose" per cercare "la verità. Noi non vi lasceremo soli. Lea ha deciso di rompere il silenzio e l’ingiustizia. Il tuo cuore e la tua coscienza - aggiunge don Ciotti rivolgendosi al feretro di Lea Garofalo - sono sorgenti di libertà". E ancora: "Lea, hai seguito la tua coscienza per rompere un codice di odio e di mafiosità. Hai condotte con le tue piccole, grandi forze la tua scelta di libertà. Lea, hai visto, sentito e testimoniato".
"Non è stato un incidente". "Non è stato un incidente a causare la morte di Lea - ha ricordato dal palco il sindaco Pisapia - Non è stata una malattia: è stata la violenza di alcuni uomini, di quelli che gli erano più vicini. Lea ha voluto uscire dalla gabbia che la teneva prigioniera, sapeva che rischiava tutto, nonostante questo ha avuto il coraggio di ribellarsi.
Una donna che è un esempio per tutti, soprattutto per i giovani. In passato troppe volte si è detto, anche qui, ’non vedo non sento non parlo’. Oggi diciamo ad alta voce ’vedo sento parlo’, come si legge nelle bandiere che hanno riempito piazza Beccaria. La figlia di Lea, Denise, ha voluto che la cerimonia si tenesse a Milano. La città - ha aggiunto Pisapia - in cui Lea ha cercato un futuro migliore e dove ha trovato il coraggio di diventare testimone di giustizia".
* la Repubblica/Milano, 19 ottobre 2013
http://milano.repubblica.it/cronaca/2013/10/19/news/l_omaggio_di_milano_a_lea_garofalo_la_citt_in_piazza_per_i_funerali-68922413/?ref=HREC1-11
Trovati i resti di Lea Garofalo, identificati grazie a una collana
La collaboratrice di giustizia, uccisa dall’ex compagno, e’ stata bruciata *
MILANO - Il ritrovamento di alcuni monili come una collana e degli anelli hanno convinto gli inquirenti che i resti trovati in un campo in Brianza siano quelli di Lea Garofalo, la collaboratrice di giustizia uccisa dall’ex compagno, Carlo Cosco, in primo grado condannato all’ergastolo. La certezza assoluta verra’ pero’ determinata dall’analisi del dna. La notizia e’ stata anticipata da La Stampa.
Stando alle indagini, la donna non sarebbe stata sciolta nell’acido ma strangolata e poi carbonizzata. Nella ricostruzione fornita nel corso della requisitoria di primo grado dalla pubblica accusa, che ha chiesto e ottenuto dalla corte d’assise di Milano la condanna all’ergastolo di sei persone tra cui l’ex compagno della donna, Lea Garofalo, dopo il sequestro sarebbe stata raggiunta da un colpo di pistola, quindi probabilmente dentro una fossa biologica di un magazzino tra Milano e Monza sciolta in 50 litri di acido.
FORSE BISOGNEREBBE RIPENSARLA QUESTA CULTURA! La delinquenza fa parte della nostra cultura...
E’ troppo diffusa la cultura che ad un torto si risponde con un altro torto ancor più efferato. Anche se i più non arrivano a scioglere nell’acido una persona il desiderio di vendetta è sempre vivo, a ciò si aggiunge anche il desiderio di guadagnare facilmente. Insomma la delinquenza fa parte della nostra cultura.
Dobbiamo dire grazie anche ai modelli diffusi dai nostri "rappresentanti", vedi Andreotti, Berlusconi, Dell’Utri, ma anche da prosfessionisti senza scrupoli, vedi Alessandro Cozzi, i medici della clinica Santa Rita di Milano.
La cosa strana è che tutte queste persone hanno un elemento in comune: hanno tutti raggiunto il più alto livello di istruzione, l’elenco è interminabile. Tutti sono uomini di cultura tout court. Si dice che lo studio dovrebbe aprire la mente, sviluppare la capacità di analisi, il senso critico, il senso civico e tutti gli altri sensi, ma se così fosse perchè uomini di tale levatura arrivano a fare cose del genere ?
Forse bisognerebbe ripensarla questa cultura, e chiedersi se sia effettivamente l’unico strumento capace di liberare l’uomo dal suo desiderio di sopraffazione.
Antonio