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Perché gli italiani all’estero non sono più quelli di un tempo - di Vittorio Zucconi - selezione a cura del prof. Federico La Sala

Saving private Prodi
giovedì 13 aprile 2006.
 

Saving private Prodi

Perché gli italiani all’estero non sono più quelli di un tempo

di Vittorio Zucconi (www.repubblica.it, 12.04.2006)

Se tradizione italiana vuole che dopo le elezioni anche il più minuscolo dei partiti ci venga a raccontare che "ha vinto", questa volta possiamo dire con certezza matematica che un partito ha vinto di certo. E questo partito siamo noi, gli Italiani che vivono fuori d’Italia. Con quel voto che ha sorpreso tutti, me compreso che pure dall’estero ho votato, la Sinistra italiana ha avuto la maggioranza al Senato, così garantendo che Silvio Berlusconi e la Destra non potranno, in ogni caso, più essere chiamati a guidare il governo, anche se una verifica delle schede rovesciasse, cosa tecnicamente assai improbabile, quella paper thin majority di voti conquistati da Romano Prodi e dalla Sinistra alla Camera.

Siamo stati noi, dall’estero, a "Save Private Prodi" e se questo sia stato un merito o un disastro dirà il futuro incerto di un’Italia che oggi di tutto ha bisogno altro che di un calvario Florida style, di schede "incinta" o "vergini" come si diceva durante la riconta Bush-Gore. La certezza è la scoperta, sbalorditiva per gli Italiani in Italia e un poco sorprendente anche per noi Italiani fuori d’Italia, che i luoghi comuni su di noi sono antiquati come i servizi delle tv che ancora vanno a cercare gli italiani nelle Little Italys dove non vivono più da tempo e ci allietano con processioni e sagre paesane alla Mario Puzo.

L’Italia oltre l’Italia non è più, e da tempo, quella che Mirko Tremaglia immaginava, sfilando nel giorno di Colombo lungo la Quinta Strada di Manhattan. L’idea che il nostro emigrato e le sue famiglie siano ancora lacrimevoli figure di nostalgici disposti a svenire alla vista dei tre colori e votare chiunque glieli agiti in faccia, si è dimostrata falsa, oppure, per dirla con Mark Twain, grandemente esagerata. L’Italia fuori dall’Italia è, piuttosto, una comunità più raffinata ed evoluta dell’Italia stessa in Italia, perché esposta al confronto con mondi, culture e media diversi. Ci sono tra noi, naturalmente, i nostalgici, i nazionalisti che confondono le apparenze con la sostanza, i prigionieri della guerra fredda, i "rimpiantisti" e hanno il diritto di essere e pensare quello che vogliono.

Ma c’è una nuova Italia, fatta di ricercatori universitari, di piccoli e grandi businessmen, di professionals, di pendolari della nazionalità, di donne che vivono nelle carriere o nelle loro famiglie la coscienza dei propri diritti di cittadine. Queste persone leggono i giornali tedeschi, inglesi, francesi, australiani, giapponesi e americani e per avere notizie dall’Italia si collegano molto più a siti Internet come repubblica. it (grazie a tutti voi che ci avete scritto per ringraziarci) che non alla voce del padrone di turno, a quella Rai International che li offende con una programmazione imbarazzante e paternalistica. Uno strumento così rozzo, antiquato e controproducente da mandare in diretta e poi in differita tutte, dico tutte!, le serate dello straziante Festival di Sanremo, ma incapace di proporre in diretta i dibattiti Prodi-Berlusconi. Quella Rai che posiziona Vespa e Porta a Porta negli orari migliori, sapendo di poter contare sul fido portiere, ma condanna Ballarò, considerata un empio nido di leninisti no global, alla diretta, dunque al primo pomeriggio sul mercato americano, quando gli ascolti sono minimi.

A questa Italia che non vive di sagre di San Gennaro e di sole partite di calcio dal campionato di serie A, delle imposte sulla casa a Milano o sulla garbage collection a Roma, dei Bot, che nessun Italiano all’estero possiede, della Tirsu, la tasse sulla spazzatura, nulla o pochissimo importa. E l’assenza di quel bombardamento televisivo "shock and awe" scatenato dalle reti private dell’ex presidente del Consiglio (suona bene, dirlo, l’ex presidente del Consiglio) non è arrivato nulla, se non di rimbalzo, attraverso i pochi e sempre sarcastici servizi dei grandi media internazionali che ormai trattavano "Don Coglioni", come titolò il Wall Street Journal, con dileggio e aperto disprezzo.

A loro, a noi che abbiamo votato due settimane prima del 9 aprile dunque abbiamo evitato l’assedio finale e spasmodico del Cavaliere "imbavagliato" e dunque ventriloquo visto che parlava comunque dappertutto e sempre, dell’Ici importa poco e quelle leve azionate dalla destra per restare in quota di volo non funzionano. Importa invece lo stato della cultura, della università che ha disseminato i nostri cervelli in giro per il mondo impoverendo l’Italia e arricchendo le nazioni che astutamente li accolgono spesso con belle borse di studio e non li trattano da precari o carne da cannone nella salumeria dei lauree. Importano l’immagine del nostro governo, la dignità di una nazione che vorrebbero, almeno, poter indicare ai propri figli o ai propri nipotini come qualcosa di cui essere orgogliosi per i successi concreti, per la sua civiltà politica, non per le "trasvolate di Balbo" o per la pacche di un Bush talmente impopolare negli Usa da essere ormai evitato come la peste dai suoi stessi colleghi repubblicani in vista delle elezioni 2006. Gente stanca dispiegare ai bambini come di debba tradurre "testicles" nella loro lingua, quando i media citano non un clown un po’ grossier, ma un Presidente del Consiglio.

Questi sono emigrati temporanei o definitivi che non hanno paura dei comunisti, ma hanno paura dei consolati, nei quali entrano tremando al pensiero dell’incubo burocratico che li aspetta per le pensioni, le eredità, le procure, i passaporti. Trattati troppo spesso non come ospiti graditi, come padroni di casa quali sono, ma come rompicoglioni (cito un altro nostro ex ministro, Scajola): i maltollerati da funzionari overworked and understaffed, dotati di attrezzature tecnologiche da Regno Sabaudo, con fondi tagliati da un governo che non esita a spendere centinaia di migliaia di euro per un’inutile missione elettorale di Berlusconi a Washington, ma non trova i soldi per un cancelliere, un computer, un impiegato di concetto, una linea telefonica in più.

Non credo che l’Italia fuori dall’Italia sia di sinistra. Il primo voto degli italiani all’estero è stato un voto contro il governo, qualsiasi governo gli fosse capitato tra le dita ed è patetico dire oggi che la destra ha perso perché si sono presentati con manciate di simboli mentre l’Unione era, almeno in Nord America, sola. Se la Destra si è sminuzzata è perché la sua arroganza, la sua certezza, erano totali e credevano di giocarsi tra di loro la partita.

Il voto è stato un grido di rabbia che tanti hanno accumulato contro chi li ha sempre ignorati, al massimo trattati con condiscendenza, con una visita pastorale tra marcette, coccarde, pizze e retorica da "mamma luntana". Se il povero ministro Tremaglia che si aspettava una messe di deputati e senatori di destra e passerà invece alla storia come l’artefice della strombatura di Berlusconi, è un segnale di quanto profonda sia la loro insoddisfazione per il Paese che hanno lasciato, per libera decisione o per necessità e nel quale molti di loro, medici, biologi, fisici, chimici, specialisti di informatica vorrebbero anche tornare, se non temessero di essere trattati da idioti.

Spero che un nuovo governo, quando ci sarà e qualunque esso sia, cambi questa legge elettorale pessima per tutti e francamente ridicola nella suddivisione di collegi che avrebbero, per la loro vastità oceanica e dispersione, spaventato anche italiani come Verazzano o Colombo.

Per adesso, mi accontento di osservare con immensa gioia che il paternalismo alla Mirko Tremaglia e alla sua Rai International è fallito miserevolmente perché non siamo quello credevano che fossimo. E’ toccato ancora una volta alla gente venuta dal mare il compito di salvare, se non la democrazia, almeno la faccia dell’Italia.

(12 aprile 2006)


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