Editoriale

Ora è d’obbligo recuperare l’Abbazia florense

Il governatore della Calabria, Mario Oliverio, ha un’occasione irripetibile. Assolti i tecnici del restauro
sabato 28 febbraio 2015.
 

La vicenda dell’Abbazia florense di San Giovanni in Fiore è stata affrontata in diversi modi e da più soggetti. Fatti, enfasi e parti politiche non hanno risolto la questione primaria, cioè la presenza di una casa di cura nell’edificio religioso.

Per un po’ varrebbe a mio avviso concentrarsi sul caso in sé, ricacciando ipotesi, accuse e interessi di sorta. L’Abbazia florense non è un palazzo, non è un magazzino, non è una palestra, non è un mercato né un ospedale.

L’Abbazia florense è un tempio di culto del XIII secolo, con simboli di Gioacchino da Fiore e tracce di un misterioso, lontano percorso di elevazione spirituale. L’Abbazia florense è anche il riferimento primo per chi voglia avvicinarsi a Gioacchino, maestro e profeta, precursore del francescanesimo e “fonte”, per esempio, di Michelangelo, Hegel ed Heidegger. È ovvio che nell’Abbazia florense non possa risiedere attività estranea alla funzione dei luoghi; a prescindere da tribunali, clamore e silenzi.

Purtroppo codesta evidenza è rimasta teorica, perché i diversi attori, specie istituzionali, hanno ignorato la storia, l’importanza e la ricchezza del monumento, trincerandosi nella burocrazia, nell’attesa di sentenze, decreti e decisioni altrui.

Oggi l’Abbazia florense è, dunque, come amputata: se ne può visitare soltanto un pezzo perché di là ci sono i vecchietti di una rsa, con la loro innocenza, coi bisogni e pensieri della terza età. È pacifico che quegli anziani non possano stare lì, tra le mura di una badia medievale. Ed è scontato che l’Abbazia florense debba pulsare come tutti i monasteri del mondo e la rsa operare in altra struttura, adeguata all’assistenza socio-sanitaria che svolge.

Ora, se la distinzione tra abbazia ed rsa è netta, immediata, bisogna chiedersi quanto ancora ci voglia per sistemarle ai loro posti. Il problema è di ubicazione. Ed è su questo che bisogna fermarsi, arrivati dove siamo, tenuto conto che la vicenda iniziò nel 2006, e in 9 anni può perfino cambiare il sistema economico occidentale.

L’altra necessità è che qualcuno adesso metta un punto e si volti pagina. Non è più possibile che la Calabria rinunci - bestialmente - al suo patrimonio culturale, di cui l’Abbazia florense è paradigma, seppellendo la sua stessa memoria con costante disprezzo del sacro, dell’antico, del proprio.

Il nuovo governatore regionale, Mario Oliverio, che - come me - proviene da San Giovanni in Fiore, ha il potere politico di risollevare le sorti dell’Abbazia florense, anche promuovendo il restauro e recupero che merita, annunciati dalla precedente giunta regionale e poi mai avviati. Per decenni, la chiesa di Gioacchino da Fiore è stata abbandonata, in un disinteresse collettivo imperdonabile. Oliverio ha, dunque, un’occasione unica, irripetibile: rendere giustizia a Gioacchino, alla sua città e alla sua terra.

Emiliano Morrone

P.S. I tecnici dell’ultimo restauro dell’Abbazia florense, Giovanni Belcastro, Salvatore Marazita e Domenico Marra, sono stati assolti con formula piena, insieme al Rup Pasquale Tiano, dall’accusa d’aver ordinato abusivamente l’esecuzione di lavori e di non aver adottato le cautele dovute per gli scavi eseguiti.

Le contestazioni (qui il link)


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