Approfondimento

Calabria. Abbazia florense abbandonata: l’inchiesta continua, fra passato e presente

Sotto processo, a Cosenza, i direttori dei lavori e il Rup
martedì 17 luglio 2012.
 

San Giovanni in Fiore (Cosenza) - Su “il Cittadino” del settembre ‘95 c’è una pagina dedicata a don Franco Spadafora, all’epoca nuovo parroco di Santa Maria delle Grazie-Abbazia florense. Dino Trabalzini, allora vescovo di Cosenza, lo nominò al posto di don Vincenzo Mascaro, che nel 1989 restituì l’Abbazia florense al culto, grazie alla collaborazione della politica.

Nel settembre di quell’anno, poco prima della caduta del Muro di Berlino, il cardinale Ugo Poletti, che presiedeva la Cei, presenziò alla riapertura dell’Abbazia, ristrutturata con fondi del Tesoro. La Dc mobilitò Carmelo Pujia, più volte sottosegretario di Stato e vicino a Giulio Andreotti. Il Pci partecipò con Antonio Acri e Mario Oliverio, rispettivamente assessore provinciale a Cosenza e all’Agricoltura regionale. Il Psdi convenne con Giuseppe Atteritano; il Centro internazionale di Studi gioachimiti concorse con l’allora presidente, Salvatore Oliverio. Tutti insieme, per una settimana di celebrazioni religiose e civili, con un fitto comitato di autorità, il Banco del Mutuo Soccorso e la banda musicale dei carabinieri.

Tra passato e presente, un ex amministratore del luogo ci fornisce un quadro preciso sull’Abbazia florense, monumento oggi dimenticato sul quale pesano individualismi, giochi remoti della politica, logiche spartitorie, invidie e appetiti. Una lunga storia, che partì dalla denigrazione di don Mascaro con un episodio grottesco. La notte in cui si festeggiava all’Hotel Dino’s la nomina a cavaliere della Repubblica di Benedetto Agostino Iaquinta, patron dell’albergo, diversi politici locali rimossero con forza, ubriachi, la targa all’ingresso della navatella di sinistra dell’Abbazia, apposta da don Mascaro in memoria di Luca Campano, biografo di Gioacchino da Fiore. Seguirono articoli ingenerosi contro don Mascaro, che per la causa dell’Abbazia s’indebitò perfino in proprio.

Nella stessa pagina del citato mensile, figurano due pezzi non firmati. Uno, che è contro don Mascaro, indirettamente tacciato d’arroganza, apre a don Spadafora, ritenuto “subito disponibile”. L’altro, invece, critica così l’avvicendamento: “Certamente sarebbe stato più facile lasciare le cose come in passato: l’Abbazia è stata da sempre parte della parrocchia S. Maria delle Grazie e la sua riapertura al culto si deve a uno dei pastori succedutisi in questa comunità”.

L’intera pagina è un esempio dei rapporti pubblici: qui la “macchina del fango” procede nell’ambiguità. Senza nomi, protagonisti, autori. Più che la Calabria delle collusioni, dove il teatro della forma mantiene una certa, diffusa tranquillità, San Giovanni in Fiore vive nel finto buonismo, una sorta di cappa sociale in cui si mescolano sacro e profano, ispirazione cattolica e opportunismo malcelato. Questa cultura, questo costume, questo modo è la causa del mancato sviluppo, delle pesanti diseguaglianze e dello spreco di denaro pubblico, di risorse locali e umane; con assistenzialismo, clientelismo e irregolarità impunite.

Don Spadafora è stato condannato per truffa e appropriazione indebita, pagando debolezze personali sfruttate in ambienti politici. Peraltro, fu protagonista della cessione a privati della casa di riposo in Abbazia. Ora lì c’è una rsa, con lucro e senza corresponsioni al Comune, proprietario dei locali, per decenni in comodato alla Chiesa, che vi faceva carità.

Angelo Gentile, ex consigliere comunale dei Socialisti di Zavettieri, dice che la proprietà del Comune è indubbia, e lo abbiamo verificato consultando un inventario pubblico del 1959. Gentile aggiunge che l’accreditamento della struttura in Regione è viziato, essendo invariata la destinazione d’uso. All’Ufficio tecnico comunale risulta una destinazione B1, per uffici. A riguardo, Gentile accusa il sindaco Antonio Barile (Pdl) di reticenze, “perché lì fa il medico il presidente del Consiglio comunale”, Luigi Astorino (Pdl).

Si distinguono azioni punite dal codice penale e interessi, movimenti di oligarchie che rispondono in primo luogo alla coscienza. Individuale e collettiva. Don Mascaro è morto da anni, vilipeso al punto da cedere, proprio per la sistemazione dell’Abbazia florense; contesa, negli anni Novanta, fra Comune e Chiesa.

La lunga vicenda parrocchiale di don Spadafora a San Giovanni in Fiore ha da fare col recente restauro dell’Abbazia, finanziato dall’Unione europea e sospeso per motivi amministrativi, penali e civili. Andiamo per ordine, iniziando dalle novità sul caso.

I tre progettisti e direttori dei lavori, Domenico Marra, Giovanni Belcastro e Salvatore Marazita, sono sotto processo a Cosenza con l’ex responsabile del procedimento, Pasquale Tiano, già dirigente dell’Ufficio tecnico comunale. L’accusa contesta opere in assenza dei pareri delle Soprintendenze. Non ci risultano imputazioni per gli incarichi; conferiti in violazione delle norme, secondo l’Autorità di vigilanza sui Lavori pubblici, dagli esecutivi di centrosinistra di Riccardo Succurro e Antonio Nicoletti.

Nostre fonti ci hanno sussurrato l’archiviazione per le irregolarità sugli incarichi, ma la notizia non è certa.

In un’informativa degli inquirenti sono contenuti possibili reati contro la P.A., di cui sarebbero responsabili gli ex amministratori, firmatari delle delibere di giunta con le quali, senza un bando pubblico, furono scelti i professionisti. Questi ricevettero l’incarico dal parroco don Spadafora. Di seguito, il Comune recepì con delibera; prassi del tutto ignota all’allora responsabile dell’Autorità di vigilanza, Attilio Fralleone, “in tutta la carriera”.

In procura vige il massimo riserbo, e, nella fattispecie, la giustizia sarebbe rallentata dal trasferimento di Adriano Del Bene, magistrato molto serio, già titolare delle indagini sull’Abbazia florense.

Vale ricordare che, in proposito, sono due le questioni da accertare:

1) se l’esecuzione dei lavori è avvenuta secondo legge;

2) se la procedura per il conferimento degli incarichi tecnici, irregolare per l’Autorità di vigilanza, ha - e in teoria dovrebbe avere - profili penalmente rilevanti.

Rischierebbero, se non c’è stata archiviazione, i firmatari delle delibere di giunta n. 883/1996 e n. 146/2005, per cui l’Autorità rilevò “inosservanza delle disposizioni di cui agli artt. 7, c.7, 17, c. 12, e 27 della legge 104/94, nel testo vigente all’epoca dei fatti, e delle disposizioni di cui agli artt. 123 e ss. e dell’art. 224 del D.P.R. n. 554/99, nonché dei princìpi di correttezza, trasparenza e libera concorrenza sanciti dall’ordinamento interno e comunitario”.

Nei giorni scorsi, durante una conferenza stampa dei Socialisti in merito al Palazzo dello Sport, c’è stato un richiamo a un nostro presunto silenzio sul restauro dell’Abbazia. Noi non siamo politica, siamo stampa. E loro hanno un consigliere comunale, Salvatore Lopez, all’opposizione; oltre che un ex sindaco, Nicoletti, con un ruolo nella vicenda.

L’indagine della Procura di Cosenza e le conclusioni dell’Autorità di vigilanza - qualche volta vale l’esercizio collettivo di memoria - hanno avuto origine dalle denunce. La parallela inchiesta giornalistica, condotta a lungo su “il Crotonese” e riportata su "la Voce di Fiore", ha raccontato i fatti; con documenti, testimonianze degli organi amministrativi e interventi di istituzioni della Repubblica e della cultura: dai parlamentari Angela Napoli (Fli) e Franco Laratta (Pd) all’allora presidente della commissione del parlamento europeo per il controllo dei Bilanci, Luigi De Magistris; dal Nobel Dario Fo all’intellettuale di destra Marcello Veneziani.

Il punto, ad oggi, è che il restauro dell’Abbazia florense è ancora fermo e il monumento ha lesioni evidenti; già rilevate dalla Sbap di Cosenza, che riferì di condizioni peggiori rispetto alla perizia di Francesco Bencardino, perito dell’appaltatore Ati Lufraco.

Bencardino rappresentò problemi di stabilità. Di recente, l’abate don Germano Anastasio ha denunciato l’abbandono e i problemi dell’edificio. Gli ha replicato Laratta, garantendone la stabilità. Ciononostante, i lavori di sicurezza ordinati dal ctu Luigi Ascione e autorizzati dalla Procura di Cosenza il 19 settembre 2009 non sono mai stati eseguiti; il finanziamento europeo è congelato presso la Regione Calabria ed è saltata la composizione della controversia fra il municipio e l’appaltatore. Questi avrebbe chiuso, spese comprese, a circa 1.100.000-1.200.000 euro. Il Comune a guida Barile ne ha offerti 630.000, sulla base della consulenza di Franco Valente, ingegnere di San Giovanni in Fiore. La causa civile, in corso a Cosenza, andrà avanti. Se il Comune dovesse soccombere, dovrebbe pagare con fondi propri e non con le risorse europee.

Speriamo che la politica ritrovi quell’unità e quella saggezza del passato, quando, superato l’antico conflitto ideologico Dc-Pci, seppe ritrovarsi con la Chiesa per il bene collettivo.

Intanto, sarebbe giusto ricordare, facendone tesoro, l’opera e la lungimiranza di don Mascaro, che può essere un riferimento per rimuovere gli ostacoli pre-giuridici al rilancio urgente dell’Abbazia florense. Che è il vero futuro della città.

Emiliano Morrone

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