Dopo la nostra intervista di ieri a Gianluigi Scaffidi, Cgil, Cisl, Uil e Ugl hanno interrotto il loro prolungato silenzio sulla sanità a San Giovanni in Fiore.
Ci hanno elencato le loro remote iniziative per l’ospedale civile: scioperi, carovane e proposte colossali. Hanno poi intravisto - ci dicano con quali lenti e prospettive - un’inversione di tendenza nella riorganizzazione della sanità nel territorio, sostenendo su un piano politico la recente consulenza affidata a un chirurgo delle tiroidi, che prenderà 800 euro per ogni singolo giorno di lavoro, anche se non dovesse eseguire alcun intervento.
In particolare, gli stessi sindacati ci hanno rammentato il ricorso al tar ai tempi del governo regionale Scopelliti, promosso mediante un comitato civico senza legittimazione. Gli avvocati firmatari si posero il problema, preliminare, della legittimazione, atteso che un comitato civico non può averla d’ufficio? Quegli avvocati agirono per impulso di natura politica? Qualcuno di loro ebbe poi degli incarichi, non solo nella nuova legislatura regionale.
Insomma, hanno impegnato tutta una premessa, Cgil, Cisl, Uil e Ugl di San Giovanni in Fiore, per difendere le scelte di un pezzo importante della Cgil locale (in foto il sindacalista Giovambattista Nicoletti, a destra, insieme al sindaco di San Giovanni in Fiore, Belcastro), che, regnante Scopelliti, spese settimane, energie e discorsi a diffondere la necessità di un ospedale generale con la Chirurgia. Il Pd si attestò sulle stesse posizioni, riverberate dall’attuale sindaco di San Giovanni in Fiore, Giuseppe Belcastro, reperibili nel prezioso archivio di Sila tv.
Allora era facile la demagogia spicciola: il piano di rientro era appena iniziato, i ministeri della Salute e dell’Economia avevano imposto un programma di tagli sanguinari, i bilanci della sanità erano stati liquidi a oltranza, era uscito un debito di 2,2 miliardi di euro, l’emergenza ordinata da Romano Prodi in seguito alla morte dei minori Federica Monteleone, Flavio Scutellà ed Eva Ruscio non aveva risolto un bel nulla e, soprattutto, il potere della crema e burocrazia romana voleva schiacciare e spremere a modo la Regione.
Era semplice, perciò, dall’opposizione bacchettare lo sfortunato governo regionale del momento, fomentare l’indignazione del popolo e promettere l’oro del Klondike a una comunità d’improvviso bastonata, punita, rimasta con pochi servizi e tanta, comprensibile paura.
Era facile aggregare, orientare la rabbia e la protesta verso chi allora incarnava il potere, addebitandogli ogni colpa e volontà degenere. Scopelliti ci mise del suo, cacciò a pedate un dirigente di spessore morale e professionale come Scaffidi, litigò col generale Luciano Pezzi, subcommissario per l’attuazione del piano di rientro, si consegnò alla pazza gioia, abbandonò il timone e lo passò al suo amico di movida Franco Zoccali.
Nel frattempo arrestarono per ’ndrangheta tre consiglieri regionali di maggioranza, negli uffici di Catanzaro ci furono terremoti giudiziari e d’altra specie, gli alleati interni batterono cassa con somma voracità e si scatenò la corsa alla mangiatoia pubblica, con quella famelicità animale che in natura rivive nella tragedia. Grazie all’immobilismo di un dirigente regionale poi rinvigorito e premiato dal futuro governatore Oliverio, il centrodestra al potere portò al fallimento la Fondazione Tommaso Campanella per le cure oncologiche. Fu un’ecatombe.
Così il centrosinistra vinse le elezioni proprio come si segna un rigore a porta libera. Ciononostante Oliverio si presentò al voto con la corazzata Potëmkin e vi imbarcò tutti, ceffi, vecchi, stolti e brutti.
Innanzi a tanta miseria e debolezza della politica, da Roma poterono mungere la Regione a piacimento, affidando (le solite) consulenze d’oro ad amici e amici degli amici.
Dalla capitale avevano già imposto il revisore contabile Kpmg, che incassa quasi quattro milioni all’anno ma non si sa bene che cosa produca, tanto ne è riservata l’attività. Per inciso, il relativo contratto con la Regione è stato rinnovato da quel dirigente dell’era Scopelliti poi promosso da Oliverio. Il piano di rientro è una bella manna (per pochi).
Il Pd double face, il prono Belcastro e i sindacati locali della rivoluzione d’ottobre non hanno mai fatto una sola riflessione sul punto chiave, che da un pezzo scriviamo e diciamo inascoltati: il piano di rientro è una pura truffa, perché il fondo sanitario è ripartito alle Regioni con un criterio (incostituzionale) che penalizza l’intero Sud, che ha morbilità superiore rispetto al resto dell’Italia. Dallo Stato la Calabria obbligata al rientro deve invece avere almeno - come ha calcolato per difetto il medico di base Giacinto Nanci - 1,7 miliardi di euro, spesi dal 1999 per garantire le cure obbligatorie ai pazienti cronici.
Ma questo non è affare dei sindacati nostrani, evidentemente impegnati a salvare la faccia rispetto alla propaganda degli anni scorsi sull’ospedale generale a San Giovanni in Fiore, che nelle loro dichiarazioni doveva avere anzitutto la Chirurgia.
Dunque, riassumo. Conviene ai sindacati fornire appoggio politico alla lussuosa consulenza in ospedale che abbiamo avversato per la sua inutilità manifesta in questo momento storico. I sindacati locali - forse non tutti, magari qualcuno avrà firmato il comunicato stampa di ieri per sentirsi meno solo - spingono nella direzione immaginaria di una riapertura della Chirurgia, ma non dicono che il governo nazionale sta tagliando 10 miliardi alla sanità, per il prossimo triennio.
Al Pd, e a Belcastro in particolare, è utile creare l’aspettativa che, pure grazie a questa consulenza, un giorno potrà riaprire la Chirurgia a San Giovanni in Fiore. Anche se dal 2010 a oggi in Calabria sono andati in pensione oltre 4000 unità di personale, tra medici, infermieri e operatori socio-sanitari, per nulla rimpiazzate. Questo Belcastro e sodali non lo dicono, né si pongono il problema delle 1298 unità di personale che per legge devono essere assunte, in Calabria, in seguito alla direttiva europea sui turni e i riposi obbligatori, risalente, pensate un po’, al 2003.
«Tuttappostu», Belcastro e i suoi ci fanno credere che potrebbe, potrà riaprire la Chirurgia. Ma non precisano con quali mezzi né con quali risorse, se Renzi ci sta levando perfino l’aria da respirare.
Io penso, e lo scrivo a chiare lettere, che continuare con questa farsa è irresponsabile e immorale. Per seguire la ragione di partito, il quale impone il «tuttappostu» a tutte le propaggini, qui si gioca sulla pelle dei cittadini, che invece hanno bisogno di sicurezza nell’emergenza-urgenza e, se non è troppo, di una struttura sul posto per le cure oncologiche e per tutti i controlli delle future mamme.
Emiliano Morrone
emilianomorrone(at)gmail.com