Camorra, arrestato il boss Giuseppe Setola
A quanto apprende l’Adnkronos le forze dell’ordine l’avrebbero bloccato a Mignano Montelungo, ai confini tra le province di Caserta e Frosinone
ultimo aggiornamento: 14 gennaio, ore 15:47
Napoli, 14 gen.- (Adnkronos) - A quanto apprende l’ADNKRONOS, le forze dell’ordine avrebbero arrestato pochi minuti fa il boss Giuseppe Setola a Mignano Montelungo, ai confini tra la provincia di Caserta e di Frosinone. Il boss era sfuggito due giorni fa, scappando attraverso le fogne, ad un blitz dei carabinieri.
E’ stato catturato a Mignano Montelungo, nel Casertano in una casa diroccata
Il superlatitante dei Casalesi, due giorni fa, era sfuggito scappando per le fogne
Camorra, arrestato il boss Setola
Ai carabinieri: "Avete vinto voi"
Aveva un braccio rotto ma ha cercato di darsela a gambe per i tetti
Maroni: "Un colpo durissimo alla criminalità organizzata"
NAPOLI- E’ stato arrestato Giuseppe Setola, il boss del clan dei Casalesi, che due giorni fa era sfuggito alla cattura scappando attraverso le fogne. I carabinieri lo hanno preso a Mignano Montelungo, ai confini tra la provincia di Caserta e di Frosinone.
L’arresto. Quando lo hanno catturato, il camorrista si trovava in una casa diroccata. Stava per andare in una clinica privata lì vicino a farsi curare il braccio, rotto durante la rocambolesca fuga di lunedì scorso. Appena ha visto le forze dell’ordine, ha tentato di fuggire attraverso i tetti, ma lo hanno bloccato. "Avete vinto voi", sono state le sue parole ai carabinieri. Poi ha alzato le mani e sono scattate le manette.
Superlatitante. Setola, 38 anni, era fra i trenta latitanti "di massima pericolosità". Condannato all’ergastolo in secondo grado dalla Corte d’Assise d’Appello di Napoli, era ricercato dal 2008: nell’aprile scorso si è perfino finto cieco per evadere dalla clinica di Pavia dove era ricoverato. E’ accusato di vari reati tra cui l’omicidio di almeno tre imprenditori, associazione per delinquere di tipo mafioso e strage, accusa che si riferisce all’agguato a Castelvolturno firmato dalla camorra contro un gruppo di immigrati nel settembre scorso. Nella sparatoria morirono sei persone. In seguito alla strage il governo decise di mandare anche l’esercito sul territorio di Caserta.
Gli altri arresti. Nell’operazione di oggi pomeriggio sono stati arrestati anche i suoi compagni di latitanza, tre uomini e una donna. Tra loro c’è Paolo Gargiulo, detto ’’’o calimero", ritenuto dagli inquirenti uno dei due sicari che il 31 dicembre scorso spararono a Trentola Ducenta, nel Casertano, cercando di uccidere un pregiudicato. C’è anche un italo americano, Loran Heran, già sfuggito all’arresto due giorni fa. Gli inquirenti stanno valutando la posizione delle altre due persone, gli affittuari dell’appartamento dove Setola si nascondeva: Riccardo Iovine (di San Cipriano D’Aversa, ma ancora non si sa se imparentato con il numero uno dei Casalesi Antonio Iovine) e una donna di cui non si conosce il nome. Nella casa c’erano anche armi, tra cui un kalashnikov, munizioni, centomila euro e alcuni medicinali.
L’aiuto dei pentiti. Ancora non è chiaro il ruolo svolto dai pentiti nella vicenda. Durante un’intervista a Skytg24 il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso ha detto che "questi risultati si raggiungono anche con la collaborazione di uomini di Setola che hanno dato utili contribuiti poi decisivi per la sua cattura". Mentre Carmelo Burgio, il comandante provinciale dei carabinieri di Caserta, ha affermato, sempre a Sky, che "nessun pentito ci ha detto dove avremmo potuto trovarlo, c’è stata solo una nostra attività di indagine fatta con attrezzature tecniche".
Come ha spiegato il capo dell’Antimafia di Napoli, Franco Roberti, le autorità hanno lavorato intensamente in questi giorni per ricostruire i movimenti del boss. "C’è stato sicuramente qualcuno che ha informato i carabinieri - ha detto Roberti a radio Capital - ma d’altra parte noi contavamo sul fatto che fosse in difficoltà e magari fosse ferito dopo la fuga dell’altro ieri".
I beni del boss. Questa mattina c’è stata anche una maxioperazione della Dia di Napoli, della Guardia di finanza e della polizia che ha portato al sequestro dei beni del boss. Si tratta di immobili che hanno un valore che si aggira intorno ai 10 milioni di euro. Erano intestati ai familiari di Setola e anche alla moglie, Stefania Martinelli, arrestata due giorni fa a Trentola Ducenta. I beni erano stati acquisiti attraverso estorsioni e traffici illeciti, come risulta dalle indagini e dai riscontri dei pentiti Domenico Bidognetti - nipote di Francesco, uno dei capi storici del clan - Alfonso Diana e Gaetano Vassallo.
Le reazioni. "Grandissima soddisfazione" ha espresso il ministro dell’Interno Roberto Maroni, che ha definito l’arresto "un colpo durissimo inferto alla camorra". "E’ la risposta che gli italiani si aspettavano dopo la strage di Castelvolturno", ha detto Marco Minniti, ministro dell’Interno del governo ombra del Pd. "Finalmente l’attività investigativa svolta in questi mesi è stata premiata", ha detto il generale Franco Mottola, comandante della regione carabinieri della Campania. "Un bel risultato da apprezzare. Ora occorre rilanciare", ha osservato il senatore del Pd Giuseppe Lumia, ricordando che "ancora mancano all’appello i due grandi latitanti, Iovine e Zagaria".
* la Repubblica, 14 gennaio 2009
Saviano commenta le agghiaccianti frasi di Setola e del suo complice
Dopo aver letto certi dialoghi uno scrittore non può più fidarsi della sua fantasia
Nella testa dei killer di Gomorra
così l’orrore diventa routine
di ROBERTO SAVIANO (la Repubblica, 18.01.2009)
Se un narratore avesse raccontato di un boss latitante che riceve nella sua villa imprenditori edili dell’alta velocità mentre carezza una tigre al guinzaglio; o se avesse scritto che i killer della faida di Scampia dopo le esecuzioni correvano a vedere come le televisioni trasmettevano la notizia e poi continuavano la partita alla Playstation, qualsiasi giornale o editore avrebbe respinto il suo articolo o il suo romanzo. Considerando inverosimile o esagerato lo scritto. E mitomane e infantilmente provocatore l’autore. E invece è la verità. Il primo episodio si riferisce al latitante Michele Zagaria, il secondo riguarda il gruppo di Ugo De Lucia killer di Scampia.
Ascoltare i dialoghi tra assassini - come quelli pubblicati ieri da Repubblica - è un modo per comprendere come la normalità sia intessuta con la guerra. Sparare in faccia, girare con Ak47 e calibro 38, è parte naturale della vita d’ogni giorno. Uno scrittore dopo aver letto quei dialoghi non può più fidarsi della sua fantasia. Le parole usate dai killer hanno un sapore irriproducibile e superano ogni immaginazione. Sono colme di un’aberrazione che spaventa perché inserita nei tempi e nei gesti quotidiani. Si uccide tra un caffè e una guantiera di dolci, si parla di sparare in faccia come si commenta una partita. E si almanacca su come fregare un nemico attraverso i più strani stratagemmi.
Giuseppe Setola che propone di prendere un caffè subito dopo un omicidio è parso scandaloso. Ma è una delle classiche situazioni da guerra di camorra. Dopo un’esecuzione si fa festa. Vincenzo Gallo, dopo aver ucciso Modestino Bosco nel settembre 2006 a Secondigliano, pur non riuscendo a trovare compagni con cui festeggiare, si compra una guantiera di profiteroles. "Spesi una cifra. Mi feci tre bicchieri di vino rosso". Non riesce a prendere sonno e non capisce il motivo. In fondo non ha fatto qualcosa di inusuale. Racconta che la moglie gli disse: "Non so come ti vedo". Compra dello champagne e lo beve vedendosi "Miseria e nobiltà" e al telefono aggiunge: "Mi schiattai dalle risate". Ma il sonno non gli arriva, così mette un dvd con degli incontri di wrestling. Giunta l’alba capisce finalmente qual era la sua preoccupazione: la mattina legge il nome dell’uomo che ha ucciso sul giornale e pensa di aver sbagliato persona. Infatti conosceva la vittima solo col soprannome di Celeste. "Quando ho letto Modestino ho detto: mamma mia, vuoi vedere che ho sparato uno per un altro? Non sia mai Gesù Cristo".
Questa è la quotidianità in un territorio di guerra che si finge invece essere un luogo di pace. Gallo dopo l’esecuzione racconta "Mi lavai la faccia con la pisciazza, presi l’acqua fredda, mi sciacquai, mi passai la leocrema nelle mani e mi lavai un’altra volta con la varechina". L’urina è l’unico modo per togliersi dalla faccia tracce di sangue e polvere da sparo. Se ti fermano e ti fanno la prova stub (per identificare la polvere da sparo), ti salvi se ti lavi in questo modo. Gallo, pur lavandosi la faccia, non riuscì a salvare le scarpe appena comprate, ma troppo lerce di sangue: dovette buttarle.
Due sono i topoi classici del linguaggio gestuale dei killer. Mangiare dopo un’esecuzione e cambiarsi le scarpe. Lo stesso Setola e il suo gruppo usano la messa in scena della festa per fregare Granata, loro ex amico. Vanno sotto casa sua, citofonano e gli mostrano di essere arrivati con torta e champagne. Oggetti che rassicurerebbero persino un sospettoso camorrista. Quello si sporge dal balcone, e loro iniziano a sparare con i mitra.
Oggi la parte maggiore dei killer spara alla testa. Negli anni ’80 si sparava al petto e al basso ventre. Molte sono le ragioni tecniche per questo cambiamento: moto più agili, pistole più potenti e quindi meno precise da lontano, la coca di cui si riempiono che non gli permette di vedere bene l’obiettivo. Ma è anche soprattutto una questione di moda. Nei film si spara con la pistola messa di piatto, e tenuta con le due mani. E i killer sparano come gli attori di Tarantino. Giovanni Letizia - secondo il pentito Oreste Spagnuolo - quando uccise l’imprenditore Michele Orsi indossava una parrucca e ai piedi aveva un paio di Hogan di tela, scarpe indossate anche da Paolo Di Lauro. Uccisero in un tempo di azione ed esecuzione di sette minuti. Nella fuga dopo si fermarono perché "avevano forato".
Gli venne fame e quindi andarono a mangiare con "Letizia che aveva ancora le scarpe sporche di sangue", ma "preferiva pulirle con la spugnetta invece di buttarle". Quando il suo capo, chiese perché invece di perdere tempo a lavarle rischiando di essere beccato per quel paio di scarpe, Giovanni Letizia gli rispose che "Orsi non valeva le sue scarpe".
Giuseppe Setola che viene descritto come un criminale di grosso calibro è invece un killer disperato che i capi casalesi, ancora latitanti, o ancora al comando dal 41 bis hanno usato e tollerato. Un capozona incline ad agguati fatti con l’inganno. Un uomo senza molto coraggio, che preferisce uccidere solo se è sicuro che le vittime sono disarmate e preferibilmente di spalle.
Setola è già stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Genovese Pagliuca, ucciso a Teverola nel 1995. Il ragazzo si era ribellato alle violenze subite dalla fidanzata per aver rifiutato una relazione lesbica con Angela Barra, amante di Francesco Bidognetti. Fu sequestrata e violentata per 13 giorni. Pagliuca, che stava cercando di trovare il nascondiglio dove veniva tenuta prigioniera, venne poi ammazzato per ordine del clan. Ci pensò proprio Setola. Ma le uccisioni e le violenze equivalgono a messaggi che si vuole dare, a un linguaggio mediatico chiaro. Uccido quindi sono. L’immaginario collettivo si figura che un killer vada a compiere un omicidio con aria tragica, pieno di angoscia. In realtà ascolta canzoni neomelodiche, magari le canta pure. Ferocia e sentimentalismo vanno assieme perché fanno entrambi parte della vita quotidiana. Per Ugo de Lucia, altro killer, ammazzare si dice "fare un pezzo". Il linguaggio è già di per se tecnico. Come assemblare un’auto, essere metalmeccanici, artigiani. "Io l’ammazzavo, mica gli sparavo in una gamba se ero io gli spappolavo le membrane lo sai!" Così commenta in una telefonata il lavoro fatto da un altro e eseguito male perché aveva solo ferito la vittima.
Il dialogo della società contemporanea ormai è scritto nelle intercettazioni. E il mondo criminale non è un mondo a parte, anzi è parte integrante, se non l’avanguardia del nostro tempo. Non esiste più confine tra fiction, immaginazione, rappresentazione scenica, leggenda metropolitana. Nelle parole raccolte dalle intercettazioni c’è una sedimentazione di tutto. A seconda degli obiettivi. Emulare battute da film, prendere l’accento e la ferocia del proprio paese per incutere spavento, cantare una canzone, fermarsi a bere un caffè. Non ci resta da capire che, tragicamente, la quotidianità del male non avviene affatto in un mondo diverso da quello di ognuno di noi.
© Roberto Saviano 2008. Published by arrangement with Roberto Santachiara Agenzia Letteraria