ISTITUZIONI
Cossiga non ce l’ha fatta
Muore a 8 giorni dal ricovero
Stanotte le condizioni dell’ex presidente della Repubblica erano improvvisamente peggiorate. Il bollettino dei medici pubblicato dopo mezzogiorno parlava di "un quadro clinico di estrema gravità"
di CARLO PICOZZA *
ROMA - E’ morto stamane alle 13.18 al Policlinico Gemelli il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga. Le condizioni dell’ex capo dello Stato, ricoverato dal 9 agosto, avevano subito un improvviso peggioramento questa notte. Il bollettino diffuso dai medici poco dopo mezzogiorno parlava infatti di "un quadro clinico di estrema gravità", in seguito a "un repentino e drastico peggioramento delle condizioni circolatorie che ha necessitato la ripresa di tutti i supporti vitali". All’origine sembra esserci stata la diffusione dalla sepsi, la grave infezione che, attaccando i polmoni, aveva causato insufficienza cardiorespiratoria e aveva portato Cossiga, per via di una ’fame d’aria’, a ricorrere alle cure dei sanitari.
Il quadro clinico nei giorni scorsi sembrava al contrario in graduale miglioramento: i medici avevano infatti accertato che l’ex Capo dello Stato riusciva a respirare da solo, dopo che erano stati ridotti i farmaci che lo tenevano sedato. In altre parole lo avevano staccato dalla macchina della ventilazione invasiva, verificando una lenta ma graduale ripresa della funzione del respiro.
Così il piazzale antistante il pronto soccorso del Gemelli, a una trentina di metri dalla porta rossa che divide il mondo dal reparto di rianimazione, stamattina si era rapidamente ripopolato degli amici del presidente emerito, dagli uomini della sua scorta ai suoi più stretti collaboratori come Paolo Naccarato, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio con il governo Prodi ("Il vecchio leone tornerà a ruggire", aveva detto qualche ora prima di ferragosto).
Accanto al presidente emerito naturalmente innanzitutto i parenti, a cominciare dai figli Anna Maria e Giuseppe (sottosegretario alla Difesa).
* la Repubblica, 17 agosto 2010
Nel sito, si cfr.:
LE LETTERE
"Ho sempre servito la Repubblica
non voglio autorità ai miei funerali"
Cossiga ha lasciato oltre al testamento anche quattro lettere inviate alle alte cariche dello Stato. "Ho sempre servito la Repubblica sulla bara voglio la bandiera italiana e quella sarda"
ROMA - Quattro lettere inviate alle più alte cariche dello Stato e un testamento. In questi documenti sono contenute le ultime volontà e le ultime valutazioni politiche di Francesco Cossiga. Nella lettera a Schifani l’ex presidente della Repubblica scrive: "Fu per me un onore grande servire la Repubblica, a cui sempre sono stato fedele; e sempre tenni per fermo onorare la Nazione e amare la Patria. Fu per me un privilegio altissimo: rappresentare il Popolo Sovrano nella Camera dei Deputati prima, del Senato della Repubblica quale Senatore elettivo, Senatore di diritto e vita e Presidente di esso; e privilegio altissimo fu altresì servire lo Stato nel Governo della Repubblica quale membro di esso e poi Presidente del Consiglio dei Ministri ed infine nell’ufficio di Presidente della Repubblica". Poi aggiunge: "Nel mio testamento ho disposto che le mie esequie abbiano carattere del tutto privato, con esclusione di ogni pubblica onoranza e senza la partecipazione di alcuna autorità".
La lettera a Napolitano. Nella lettera al presidente Napolitano Cossiga ricorda il suo settennato spiegando di aver servito lo Stato con "fedeltà" e "devozione". "Signor presidente - prosegue - le confermo i miei sentimenti di fedeltà alla Repubblica, di devozione alla Nazione, di amore alla Patria, di predilezione della Sardegna, mia nobile Terra di origine". E conclude: "A lei, quale Capo dello Stato e rappresentante dell’Unità nazionale, rivolgo il mio saluto deferente e formulo gli auguri più fervidi di una lunga missione al servizio dell’amato popolo italiano. Con viva, cordiale e deferente amicizia".
La lettera a Fini. "Signor presidente - esordisce Cossiga nella lettera inviata a Fini - nel momento in cui nella fede cristiana lascio questa vita, il mio pensiero va alla Camera dei deputati, nella quale, per voto del popolo sardo, entrai nel 1958 e fui confermato fino al 1983, anno in cui fui eletto senatore. Fu per me un grandissimo e distinto privilegio far parte del Parlamento nazionale e servire in esso il Popolo, sovrano della nostra Repubblica. Professo la mia fede nel Parlamento espressione rappresentativa della sovranità popolare, che è la volontà dei cittadini che nessun limite ha se non nella legge naturale, nei principi democratici, nella tutela delle minoranze religiose, nazionali, linguistiche e politiche. Professo la mia fede repubblicana e democratica, da liberaldemocratico, cristianodemocratico, autonomista-riformista per uno Stato costituzionale e di diritto. Ringrazio i parlamentari tutti per il concorso che in tutti questi anni hanno dato con l’adesione o con l’opposizione, con l’approvazione o con la critica alla mia opera di politica. A tutti i deputati e a lei, signor presidente - conclude - l’augurio di un impegnato lavoro al servizio della libertà, della pace, del progresso del popolo italiano. Dio protegga l’Italia. Con cordiale amicizia, Francesco Cossiga".
Lettere datate 18 settembre 2007. Le lettere che Cossiga ha indirizzato alle quattro alte cariche dello Stato portano la data del 18 settembre del 2007. In quel periodo si era ancora nella XV legislatura, quindi solo una di queste quattro cariche era ricoperta dal titolare attuale: il capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Alla presidenza del Consiglio c’era invece Romano Prodi, mentre a guidare Senato e Camera siedevano rispettivamente Franco Marini e Fausto Bertinotti. Dopo la fine anticipata della legislatura per la caduta del governo Prodi, e le elezioni della primavera del 2008 vinte dal centrodestra, Prodi, Marini e Bertinotti sono stati sostituiti rispettivamente da Silvio Berlusconi, Renato Schifani e Gianfranco Fini. È toccato quindi a loro, oltre che a Napolitano, ricevere le lettere del presidente emerito.
Le ultime volontà: "Sulla bara bandiera italiana e sarda". Nel testamento l’ex presidente oltre ad aver chiesto che non vengano celebrate esequie di Stato ha detto però di volere un picchetto d’onore dei bersaglieri della Brigata Sassari. Inoltre avrebbe chiesto di essere seppellito nella sua città natale, Sassari, accanto al padre e alla sorella e ha chiesto che la bara sia avvolta nella bandiera italiana e quella sarda con i quattro mori.
Domani la camera ardente. In base a precise richieste della famiglia, la camera ardente sarà allestita domani dalle 10 alle 18 presso la chiesa centrale dell’università cattolica Sacro Cuore (largo Francesco Vito 1), aperta a semplici cittadini e autorità. Fonti vicine alla famiglia hanno riferito che i funerali si svolgeranno probabilmente nella parrocchia di San Giuseppe a Sassari e non a Cheremule, come appreso in un primo momento. Alla piccola chiesa di Cheremule, indicata come la candidata più probabile a ospitare le cerimonia funebre a carattere strettamente privato, sarebbe stata alla fine preferita quella della parrocchia dove Cossiga andava sempre a pregare quando si recava a Sassari.
* la Repubblica, 17 agosto 2010
ADDIO AL "PICCONATORE"
E’ morto Francesco Cossiga
Il presidente emerito della Repubblica, 82 anni, era ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma in terapia intensiva dal 9 agosto scorso. *
ROMA Il Presidente Emerito della Repubblica Francesco Cossiga, 82 anni compiuti lo scorso 26 luglio, è morto al Policlinico Gemelli alle 13.18. L’ex capo dello Stato era ricoverato in terapia intensiva dal 9 agosto per una insufficienza cardio-respiratoria, e le sue condizioni si erano improvvisamente aggravate la scorsa notte.
Le condizioni di Cossiga erano precipitate durante la notte, dopo giorni di cauto ottimismo. Cossiga, si leggeva nel bollettino medico di questa mattina, aveva mostrato un repentino e drastico peggioramento delle condizioni cardiocircolatorie che aveva necessitato la ripresa di tutti i supporti vitali. Il senatore a vita era sedato e intubato, e la respirazione si era fatta via via più difficile, fino al precipitare della situazione nella tarda mattinata di oggi.
«Invano cerco, con passo malfermo, di evitare la fossa che mi attende»: è la frase che Cossiga era solito pronunciare. È quanto si raccoglie nei capannelli di amici e parenti che si sono ritrovati all’ospedale Gemelli.
Il presidente del Senato Renato Schifani, secondo quanto si apprende in ambienti della presidenza di Palazzo Madama, ha interrotto le sue vacanze per fare rientro a Roma.
Sardo di Sassari, Cossiga aveva iniziato la sua carriera parlamentare nel 1958, nelle file della dc.
Francesco Cossiga è stato il politico dei record: è stato, nel 1966, a nemmeno 38 anni, il più giovane sottosegretario alla Difesa (terzo governo Moro) e a 48 anni è stato il più giovane ministro dell’Interno della storia della Repubblica (quinto governo Moro), e soprattutto il più giovane capo dello Stato, a 57 anni non ancora compiuti. Suo anche il primato dell’elezione più veloce del presidente della Repubblica, al primo scrutinio, con 752 voti su 977 provenienti da Dc, Pci, Psi, Pri, Pli, Psdi e sinistra indipendente. Con un’ora e 52 minuti di scrutinio, la seduta del 24 giugno 1985 sarà ricordata come quella della più rapida elezione dell’inquilino del Colle.
Una propensione a bruciare le tappe riscontrata già dalla sua biografia d’adolescente, quando a soli 16 anni Cossiga consegue il diploma di maturità e, iscritto alla facoltà di Giurisprudenza, si laurea, nel 1948, all’età di 20 anni. Nel frattempo, a 17 anni, la sua ultracinquantennale carriera politica era cominciata nella sezione sassarese della Democrazia cristiana, rappresentando da subito le esigenze di rinnovamento della classe politica locale.
A 28 anni guida la rivoluzione bianca dei ’giovani turchì, portando le nuove leve democristiane alla vittoria nelle elezioni del 1956 per il direttivo provinciale sassarese e, sull’onda di questo primo successo politico, diventa segretario provinciale della Dc di Sassari. Due anni più tardi entra per la prima volta a Montecitorio.
E’ stato presidente del Consiglio dal 4 agosto 1979 al 18 ottobre 1980 e presidente del Senato dal 1983 al 1985. Nello stesso 1985 Cossiga è diventato l’ottavo presidente della Repubblica (al primo scrutinio e con ampia maggioranza), carica che ha mantenuto fino all’aprile del 1992, a due mesi dalla scadenza del mandato, quando annunciò le dimissioni con un celebre discorso televisivo. Da allora, in qualità di ex presidente della Repubblica, ha ricoperto la carica di senatore a vita.
Il periodo più difficile nella lunga carriera politica di Cossiga coincide con gli anni di piombo (era ministro dell’Interno nei drammatici giorni del sequestro di Aldo Moro), ma sono momenti duri per tutto il Paese e per l’intera classe politica.
Il futuro capo dello Stato passa indenne attraverso roventi polemiche e nel 1985 viene eletto al Quirinale con una maggioranza record: 752 voti su 977 votanti. Per lui Dc, Psi, Pci, Pri, Pli, Psdi e Sinistra indipendente. Per cinque anni ricopre il ruolo di ’presidente notaio’, discreto e pignolo nell’attenersi alla Costituzione. Nel 1990, però, cambia stile.
Diventa il ’picconatore’, per «togliersi qualche sassolino dalle scarpe», spiega. Quando, nel 1990, Andreotti rivela l’esistenza di ’Gladio’, Cossiga risponde alle critiche ed agli attacchi degli avversari politici ribadendo la legittimità della struttura, ma prende posizione anche nei confronti della Dc dalla quale si sente ’scaricato’. Il Pds avvia la procedura di impeachment. Cossiga attende le elezioni del 1992 e poi si dimette con un discorso televisivo di 45 minuti.
Esce di scena volontariamente, ma tutto il sistema che da due anni è sotto i colpi delle sue ’picconate’ crollerà pochi mesi dopo. Sfaldatasi la Dc dopo il ciclone Tangentopoli, Cossiga decide in un primo momento di ritirarsi dall’attività di partito e di svolgere soltanto l’attività di senatore a vita. Successivamente, nel febbraio del 1998, dà vita ad una nuova formazione politica, l’Udr (Unione democratica per la Repubblica), con l’intenzione di costituire un’alternativa di centro e ricompattare le forze ex-democristiane.
L’Udr raccoglie l’adesione dei Cristiani democratici uniti di Rocco Buttiglione e di Clemente Mastella, alla guida di un gruppo di scissionisti del Centro cristiano democratico. Quando Rifondazione comunista fa mancare il proprio appoggio al primo governo Prodi, che viene battuto alla Camera per un voto, Cossiga sostiene la formazione del primo governo D’Alema.
Dopo meno di un anno Cossiga lascia l’Udr e torna a fare il ’battitore libero’ con l’Upr (Unione per la Repubblica).
Alle elezioni politiche del 2001 dà l’appoggio a Silvio Berlusconi, ma in seguito, in Senato, non voterà la fiducia.
Nel maggio 2006 vota la fiducia al governo Prodi; nel novembre dello stesso anno presenta le dimissioni da senatore a vita, che vengono respinte dall’assemblea di palazzo Madama.
Nel dicembre del 2007 vota la fiducia al governo Prodi sul decreto sicurezza.
Nel maggio del 2008 vota la fiducia al quarto governo Berlusconi.
Tutti i segreti del presidente
di Nicola Tranfaglia *
Non avrei mai creduto, di fronte alla scomparsa dell’ex presidente Francesco Cossiga, di trovare nel mondo politico italiano una così grande ed estesa unanimità di giudizi. Sembrano passati secoli piuttosto che anni dai contrasti che avevano accompagnato le “picconate” dei primi anni novanta con le quali l’uomo politico sardo aveva caratterizzato gli ultimi due anni di permanenza al Quirinale, dopo che nel ’91 il maggior partito di opposizione aveva tentato addirittura di destituirlo, con la procedura di impeachment, dalla più alta carica dello Stato anche per i suoi violenti attacchi a un vero servitore dello Stato quale è stato il prefetto generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e al giudice Livatino, che apostrofò come il “giudice ragazzino”, entrambi assassinati da Cosa Nostra.
E sembra passato un tempo ancora più lungo da quando, ministro degli Interni durante il rapimento di Aldo Moro, aveva nominato nel comitato di emergenza, formato dal Viminale per la ricerca del prigioniero, dieci alti funzionari ed era stato facile verificare che quasi tutti (otto su dieci, per la precisione) erano affiliati alla loggia massonica segreta P2 , sciolta qualche anno dopo dall’apposita commissione parlamentare istituita dal governo Spadolini come avversa alla Repubblica e contraria alla Costituzione. E ancora il fatto che fosse stato proprio Cossiga a spingere la polizia contro i manifestanti: a Bologna nel 1976 provocando la morte dello studente Lorusso e l’anno dopo a Roma causando l’uccisione della studentessa Giorgiana Masi.
Questi aspetti della carriera politica di Cossiga sembrano svaniti nel nulla, così come i suoi evasivi giudizi sulla lunga storia di presenza di poteri occulti che hanno sicuramente agito nella nostra storia repubblicana e rispetto ai quali l’uomo politico sardo, una volta divenuto ex presidente della Repubblica, si è più volte espresso, attribuendo al missile di un aereo francese la strage di Ustica, alla Cia americana quella di piazza Fontana a Milano, a un errore di guerriglieri palestinesi l’eccidio di oltre ottanta persone alla stazione di Bologna. Ma senza spiegare mai agli italiani quanto abbia contato in quella lunga scia di sangue la presenza, in un primo tempo, di gruppi neofascisti legati agli apparati dello Stato ex fascista e, in un secondo tempo, di sedicenti comunisti legati a servizi italiani e stranieri, come alla fine avrebbe argomentato la Commissione Stragi del nostro Parlamento.
Insomma, fino all’ultimo, Francesco Cossiga ha tenuto per sé i segreti importanti conosciuti negli anni in cui, prima come sottosegretario alla Difesa con delega ai servizi segreti, poi ministro dell’Interno e infine come presidente del Consiglio, aveva retto per un lungo periodo le sorti difficili del Paese.
* l’Unità, 20 agosto 2010