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U.S.A.: UNA TIGRE CON LE SPALLE AL MURO. Tutti si preoccupano della Guerra civile in Iraq. E negli Stati Uniti? Ci aspettano tempi paurosi! Un’analisi di Wallerstein

giovedì 28 settembre 2006.
 

[...] La posizione degli Usa nel sistema-mondo è molto più debole oggi che nel 2000, un risultato prodotto delle stesse sconsiderate politiche dei neo-con adottate durante la presidenza Bush. Oggi, molte persone parlano apertamente di declino degli Usa.

E allora, adesso che accade? Bisogna tenere d’occhio due posti: all’interno degli Stati Uniti, e al resto del mondo. Nel resto del mondo, governi di tutte le tendenze prestano sempre meno attenzione a qualsiasi cosa che gli Stati Uniti dicono di volere. Madeleine Albright, quando era segretario di Stato, disse che gli Stati Uniti erano «la nazione indispensabile». Questo può essere stato vero un tempo, ma certamente non è più vero oggi. Ora, sono una tigre con le spalle al muro [...]

Il paese più potente è sempre più in declino e la destra militarista fa paura

La tigre ha le spalle al muro: tempi “pericolosi” per gli Usa (e il mondo)

di Immanuel Wallerstein (www.liberazione.it, 28.09.2006)

Quando, alcuni anni fa, alcuni di noi dissero che il declino dell’egemonia degli Stati Uniti nel sistema-mondo era inevitabile, inarrestabile, e si stava già verificando, da molti ci venne risposto che ignoravamo l’ovvia, schiacciante forza militare ed economica degli Stati Uniti. E alcuni critici dissero che le nostre analisi erano dannose perché servivano da profezia che si autoavvera.

Poi durante la presidenza Bush i neo-con sono andati al potere, ed hanno applicato la loro politica di militarismo macho unilaterale, pensata (dicevano) per restaurare l’egemonia indiscussa degli Stati Uniti costringendo con la paura i nemici e con l’intimidazione gli amici all’obbedienza indiscussa alle politiche americane nell’arena mondiale. I neo-con hanno avuto la loro chance e le loro guerre e hanno fallito spettacolarmente sia nello spaventare chi era considerato nemico, sia nello spingere con l’intimidazione degli ex alleati all’obbedienza senza discussioni. La posizione degli Usa nel sistema-mondo è molto più debole oggi che nel 2000, un risultato prodotto delle stesse sconsiderate politiche dei neo-con adottate durante la presidenza Bush. Oggi, molte persone parlano apertamente di declino degli Usa.

E allora, adesso che accade? Bisogna tenere d’occhio due posti: all’interno degli Stati Uniti, e al resto del mondo. Nel resto del mondo, governi di tutte le tendenze prestano sempre meno attenzione a qualsiasi cosa che gli Stati Uniti dicono di volere. Madeleine Albright, quando era segretario di Stato, disse che gli Stati Uniti erano «la nazione indispensabile». Questo può essere stato vero un tempo, ma certamente non è più vero oggi. Ora, sono una tigre con le spalle al muro.

Non sono ancora proprio la “tigre di carta” di cui parlava Mao Zedong, ma certamente sono sulla strada di rivelarsi una tigre accovacciata per difendersi.

Le altre nazioni in che modo trattano una tigre con le spalle al muro? Con tantissima prudenza, va detto. Gli Stati Uniti, se quasi da nessuna parte sono più in grado di ottenere quello che vogliono, sono ancora capaci di fare tantissimi danni se decidono di scatenarsi. L’Iran può sfidare gli Stati Uniti con aplomb, ma sta attento a non umiliarli. La Cina adesso può sentirsi sicura di sé e certamente diventerà ancora più forte nei decenni futuri, ma tratta gli Stati Uniti con i guanti di velluto. Hugo Chávez può prendere la tigre apertamente per il naso, ma il più anziano e più saggio Fidel Castro parla in modo meno provocatorio. E il nuovo primo ministro italiano, Romano Prodi, stringe le mani di Condoleezza Rice mentre persegue una politica estera chiaramente mirata a rafforzare per l’Europa un ruolo mondiale indipendente dagli Stati Uniti.

E allora perché sono tutti così prudenti? Per rispondere a questo, dobbiamo guardare a cosa sta succedendo negli Stati Uniti. Il capo de facto, Dick Cheney, sa cosa bisogna fare dal punto di vista dei militaristi macho, dei quali è il leader. Gli Stati Uniti devono “tirare diritto” e anzi aumentare la violenza. L’alternativa è ammettere la sconfitta, e Cheney non è tipo da farlo.

Cheney tuttavia ha un acuto problema politico in patria. Lui e le sue politiche stanno chiaramente e massicciamente perdendo appoggio all’interno degli Stati Uniti. I discorsi allarmistici sui terroristi e le accuse di tradimento lanciate contro i suoi critici non sembrano più efficaci come una volta. La recente vittoria di Ned Lamont, critico nei confronti della guerra, sul difensore della guerra Joe Lieberman nelle primarie democratiche per le elezioni al Senato nel Connecticut hanno scosso l’establishment politico americano di entrambi i partiti. Nel giro di qualche giorno un grandissimo numero di politici è sembrato spostarsi nella direzione di porre fine all’operazione irachena.

Se, come ora sembra del tutto possibile, nelle elezioni di novembre 2006 i democratici otterranno il controllo di entrambe le camere del Congresso, rischia di esserci una corsa al ritiro, malgrado le esitazioni della leadership democratica al Congresso. Questo sarà tanto più sicuro se, in varie elezioni locali, vinceranno candidati di spicco contrari alla guerra. Cosa farà allora il campo di Cheney? Non ci si può aspettare che riconosca graziosamente l’avvento di un presidente democratico nelle elezioni del 2008. Saprà di avere probabilmente solo due anni ancora per creare situazioni dalle quali per gli Stati Uniti sarebbe quasi impossibile tirarsi indietro. E dal momento che, con un Congresso democratico, non sarebbe in grado di far approvare alcuna legge importante, si concentrerà (ancora di più di adesso) sul cercare di usare i poteri esecutivi della presidenza, sotto il docile uomo di paglia George W. Bush, per fomentare caos militare per il mondo e ridurre radicalmente la sfera delle libertà civili all’interno degli Stati Uniti.

La cricca di Cheney tuttavia incontrerà resistenza su molti fronti. Il punto di resistenza più importante sarà senza dubbio la leadership delle forze armate Usa (ad eccezione dell’aviazione), che chiaramente pensa che le attuali avventure militari hanno notevolmente sovraesposto la capacità militare americana ed è molto preoccupata che l’opinione pubblica degli Stati Uniti in futuro le attribuisca la colpa quando Rumsfeld e Cheney saranno scomparsi dai titoli dei giornali. Alla cricca di Cheney resisterà anche la grande impresa che vede le politiche attuali come portatrici di conseguenze assai negative per l’economia americana. E naturalmente incontrerà la resistenza della sinistra e del centro-sinistra americani che si stanno sentendo rinvigoriti, arrabbiati e ansiosi per il corso della politica Usa. C’è una lenta ma chiara radicalizzazione della sinistra, e perfino del centro-sinistra.

Quando ciò accadrà, la destra militarista reagirà molto aggressivamente. Quando Lamont ha vinto le primarie, un lettore del Wall Street Journal ha scritto una lettera in cui diceva che “abbiamo raggiunto un punto critico in questo paese - se permettiamo che la sinistra governi come maggioranza il nostro paese è finito”. Chiama i leader repubblicani “incapaci”. Lui, e molti altri, cercheranno leader più feroci.

Tutti si preoccupano della Guerra civile in Iraq. E negli Stati Uniti? Ci aspettano tempi paurosi!


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