Per la verità e la riconciliazione ...

“LIFE SAVER - IL SALVAGENTE”: Biennale di Architettura di Venezia. Il Padiglione d’Israele celebra il suo eroe e figlio, Superman?! Chi gettera’ il salvagente al popolo palestinese?

Ai Giardini, Sabato 14 ottobre alle 11.30: Presidio e CONFERENZA STAMPA
sabato 14 ottobre 2006.
 

[...] Vorremmo che il visitatore distinguesse le opere d’arte dai crimini anche di stato; che non venisse solo a conoscere le ’imprese’ della Brigata Negev e della forza paramilitare Palmac ma anche le ripetute violazioni del diritto internazionale a cominciare dal furto di quella terra, occupata e annessa nel 1967, su cui tanti dei siti esposti nella mostra sono stati costruiti. Ma ancor più della terra rubata e delle case abbattute vorremmo veder ’esposti’ in qualche angolo della mostra nomi e volti di migliaia di arabi uccisi o imprigionati, vittime di un folle progetto di conquista coloniale

Sono la legalità internazionale e le Nazioni Unite Il salvagente da gettare a questo popolo abbandonato a sé stesso tra i marosi di un sistema perverso di occupazione. [...]

Un appello

Chi gettera’ il salvagente al popolo palestinese? *

Sabato 14 ottobre alle 11.30, Alla Biennale di Architettura di Venezia - Ai Giardini CONFERENZA STAMPA In occasione di un presidio pacifico e nonviolento di Associazioni e gruppi che denunciano: Chi gettera’ il salvagente al popolo palestinese?

Alla Biennale di Architettura di Venezia la storia è stata quantomeno mutilata e i crimini che giorno dopo giorno distruggono la Palestina sono stati dimenticati e cancellati nel silenzio.

Vieni anche tu alla Biennale a portare un salvagente per la giustizia e la legalità.

Il padiglione di Israele, presentando monumenti che commemorano insieme sia le vittime dell’Olocausto sia i soldati uccisi nelle varie guerre israeliane dal 1948 ad oggi, confonde la memoria della Shoà con la storia coloniale delle inarrestabili invasioni, occupazioni e annessioni di terre arabe in cui Israele ha avuto e continua ad avere la responsabilità di un numero mostruoso di vittime.

Tula Amir, la curatrice, scrive nella introduzione della mostra:

“La giustificazione delle guerre di Israele legittima la perdita di vite nel passato e di quelle possibili in futuro; la continuazione di una cooperazione senza condizioni tra l’apparato militare del paese e i suoi cittadini; e una non equivoca intesa comprensione che questa lotta è il solo mezzo per la sopravvivenza di Israele.”

Provoca davvero un brivido questa affermazione che, invece di trarre una lezione dalla storia coloniale e dalle attuali responsabilità di Israele nella distruzione del Libano come nella rioccupazione di Gaza e nell’ingabbiamento della Cisgiordania, unisce passato, presente e futuro nel giustificare crimini e massacri.

A partire dalla denuncia dell’esperta di architettura israeliana Esther Zandberg sul quotidiano Haaretz, un gran numero di Associazioni di architetti inglesi e palestinesi hanno preso posizione per far aprire gli occhi sul dramma dell’occupazione militare e sul colpevole silenzio di chi si ostina a non vedere i segni di una strage in atto. Purtroppo molti architetti e urbanisti israeliani sono coinvolti nella pianificazione e nella realizzazione di un sistema di oppressione e controllo che è iniziato con l’appropriazione e la confisca di terre a partire dal 1948, e continua oggi nella Cisgiordania e nella striscia di Gaza, costruendo colonie in continuo sviluppo, strade proibite agli abitanti palestinesi e quel Muro di Apartheid ripetutamente condannato dall’Onu.

E’ proprio al visitatore della mostra dal titolo “LIFE SAVER - IL SALVAGENTE” che vogliamo pensare: vogliamo mettere sulla sua strada e nei suoi occhi l’immensa sofferenza del popolo palestinese che non solo non avrà un padiglione alla Biennale finchè non sarà riconosciuto come Stato, ma che viene privato dei diritti umani fondamentali, murato vivo e osservato a distanza dalla comunità internazionale.

Altre volte La Biennale d’Arte di Venezia aveva ben evidenziato l’assurda condizione di un popolo di ’invisibili’, senza stato e senza volto. La città di Venezia non merita oggi una manifestazione internazionale di arte e architettura, che invece della civilizzazione e del progresso della umanità, nasconda e mascheri simili atrocità.

Vorremmo sollecitare chi esce dal padiglione israeliano a riconoscere le pagine di storia tenute nascoste alla gente: non è possibile cancellare la pulizia etnica che ha tentato di sopprimere un popolo intero fin da quei più di 400 villaggi palestinesi distrutti e cancellati dalla memoria come risultato della creazione dello Stato di Israele; a ricordare i 750.000 Palestinesi cacciati dalle loro case dal 1948, che insieme ai loro figli e nipoti continuano oggi a essere profughi senza diritto al ritorno.

Vorremmo che il visitatore distinguesse le opere d’arte dai crimini anche di stato; che non venisse solo a conoscere le ’imprese’ della Brigata Negev e della forza paramilitare Palmac ma anche le ripetute violazioni del diritto internazionale a cominciare dal furto di quella terra, occupata e annessa nel 1967, su cui tanti dei siti esposti nella mostra sono stati costruiti. Ma ancor più della terra rubata e delle case abbattute vorremmo veder ’esposti’ in qualche angolo della mostra nomi e volti di migliaia di arabi uccisi o imprigionati, vittime di un folle progetto di conquista coloniale

Sono la legalità internazionale e le Nazioni Unite Il salvagente da gettare a questo popolo abbandonato a sé stesso tra i marosi di un sistema perverso di occupazione.

Il cittadino italiano, israeliano, palestinese o di ogni parte del mondo non può uscire dalla Biennale senza distinguere l’occupante dall’occupato, l’oppressore dall’oppresso, con la sensazione che alla fin fine, il popolo che rischia oggi di venir cancellato dalla carta geografica e che viene oggi ingabbiato e ridotto alla fame non sia quello palestinese ma quello israeliano.

Ass. Il Villaggio info@associazioneilvillaggio.it, Associazione per la Pace, Donne in Nero di Padova, Associazione Al Quds, Mezzaluna Rossa, muraNO,


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www.ildialogo.org, Giovedì, 12 ottobre 2006


Contro l’Arte dell’Occupazione!! Cancellate il Padiglione “Israele” alla Biennale di Venezia (9 settembre 2006) *

Ramallah, 7 Settembre 2006 - Come Campagna Palestinese contro il Muro dell’Apartheid siamo sgomenti nel constatare che la Biennale di Venezia di quest’anno si presta come piattaforma per la glorificazione di crimini di guerra e conquiste militari-coloniali, mascherate come opere d’arte.

Il padiglione di Israele all’interno della sezione “Biennale Architettura” mostra un terrificante connubio di violazioni dei diritti umani, del diritto internazionale e delle più fondamentali norme etiche dell’arte del secondo dopo guerra mondiale.

Gli oggetti espositivi della mostra “LIFE SAVER - Typology of Commemoration in Israel - Architecture and Society” includono una rappresentazione del “Memoriale alla Brigata Negev” ed del “Museo della storia del Palmach”. Palmach, forza sionista paramilitare e terroristica vietata addirittura dalle autorità britanniche, concepiva ed eseguiva gran parte degli attacchi contro i 513 villaggi palestinesi distrutti e spopolati nel 1948 durante la “Nakba”. Quest’ultima era alla base della formazione dello stato d’Israele e ha comportato l’espulsione di oltre 800 000 Palestinesi. La brigata Negev, creata dal Palmach e ora parte dell’esercito israeliano d’occupazione, all’epoca eseguì la pulizia etnica dell’antica città palestinese di Ramle e si occupò dell’espulsione di oltre 110 000 beduini dal deserto del Negev.

Nonostante la mostra continui a glorificare gli “eroi” dei servizi segreti israeliani con una riproduzione del “museo nazionale dei caduti dei servizi segreti israeliani”, non si possono e devono dimenticare le “esecuzioni extra-guidiziali” e le torture che questo corpo israeliano ha commesso e sta commettendo quotidianamente non solo contro la popolazione palestinese.

Alla mostra, per tutti coloro che si interessano di violazioni del diritto internazionale e delle risoluzioni dell’ONU, è presente anche una rappresentazione del “Memoriale di Ammunition Hill per la Guerra dei Sei Giorni”, costruito su terra occupata nel ‘67. Ammunition Hill da allora è sito della colonizzazione sionista di Gerusalemme. Più emblematici sono gli edifici delle due prefetture della polizia israeliana, costruite su terre Palestinesi occupate, confiscate ed annesse. Assieme ad altre colonie, Ammunition Hill forma un doppio cordone di insediamenti ebraici che soffocano la presenza palestinese nella loro capitale, derubando spazio abitativo e agricolo.

Gli insediamenti coloniali israeliani, creati per solo ebrei su terra palestinese occupata, espongono in modo particolarmente evidente l’uso militare e razzista dell’architettura all’interno delle politiche israeliane. Ad oggi, il progetto delle colonie israeliane - che si espande a macchia di leopardo sui campi e fra i villaggi palestinesi - trova il suo massimo completamento nella costruzione del Muro dell’Apartheid. Il progetto del muro mira a confiscare circa il 48% della Cisgiordania, rinchiudendo letteralmente in ghetti, dietro filo spinato o muri di cemento alti fino a 9 metri, le comunità e città palestinesi.

Ironicamente - mentre nel padiglione israeliano si celebrerà l’uso coloniale, razzista e militare dell’architettura fino al 19 Novembre - dal 9 al 16 di quel mese, in oltre 30 paesi del mondo, movimenti e organizzazioni si mobiliteranno per la 4° settimana nazionale ed internazionale contro il muro dell’Apartheid.

Nella mostra, la funzione di legittimazione di un ethos sociale, culturale e artistico sionista basato sulla guerra continua contro la popolazione indigena viene addirittura espresso nella presentazione ufficiale dell’evento: “La giustificazione delle guerre israeliane legittima la perdita di vite nel passato e la loro possibile perdita nel futuro; la continuazione della cooperazione incondizionata fra l’establishment militare e di difesa e il cittadino individuale.” Quello che viene omesso è che questa incondizionata complicità di tutte le aree della società israeliana nei crimini di guerra contribuisce soprattutto alla perdita di vite da parte delle popolazioni oppresse, occupate ed espulse. Quello che non viene commemorato sono 60 anni di espulsione, uccisione e occupazione del popolo palestinese alle mani dello stato d’Israele. Difatti, nella presentazione ufficiale è così citato: “La creazione di questi edifici e il loro disegno architettonico conferma miti esistenti e normative sociali all’interno del contesto particolare della società israeliana”. Nel mito della terra senza popolo, la popolazione indigena palestinese viene esclusa e negata con la stessa determinazione con la quale gli strateghi politici pianificano la nostra sparizione dietro muri di cemento.

E’ semplicemente coerente che il governo israeliano abbia scelto di esporre una mostra di questo tipo, visto che si fonda su questi miti e glorificazioni quanto sulla sua economia di guerra vera e propria.

Non sorprende nemmeno che oltre al governo israeliano, l’Agenzia Ebraica Nazionale/ KKL abbia sponsorizzato questo evento. Quest’ultima, lungi da essere una “agenzia”, è di fatto un’istituzione para-statale sionista che sin dalla sua nascita ha contribuito al furto delle terre palestinesi, all’espulsione degli abitanti da queste terre e alla loro conseguente colonizzazione ebraica.

Ci rifiutiamo, però, di pensare che i valori culturali e morali dell’Italia siano conciliabili con questa mostra. Crediamo che sia doveroso da parte degli organizzatori della Biennale prendere coscienza che una cooperazione con lo stato israeliano significa complicità e propaganda per l’occupazione e l’espulsione dei palestinesi dalla loro terra. Nessun evento potrebbe dare maggiore visibilità della mostra stessa. Insieme a varie altre organizzazioni di accademici e architetti palestinesi (Riwaq - Centre for Architectural Conservation, Society of Palestinian Architects, PACBI, Palestinian Engineers Association - Jerusalem Center) chiediamo quindi l’immediata cancellazione del padiglione. Non chiediamo una mostra “soft” che nasconda le verità espresse nell’allestimento attuale ma un rifiuto di presentare l’architettura israeliana fino a quando queste sono - come sottolineato dai curatori - le espressioni fondamentali.

Chiediamo al mondo culturale, accademico ed alla società civile italiana di mobilitarsi ed opporsi a questo abuso di spazi culturali al servizio dell’Occupazione.

Oltre 170 organizzazioni della società civile palestinese si sono uniti in un appello per il boicottaggio, il non investimento e le sanzioni contro Israele il 9 Luglio del 2005; in questa data ricorre il primo anniversario della quasi dimenticata decisione della corte Internazionale dell’Aja che ha chiesto lo smantellamento del Muro. Chiediamo che le persone e le organizzazioni di coscienza si uniscano in questa occasione per dare vita ad una campagna che almeno ottenga lo smantellamento di questo padiglione, per cominciare ad abbattere la complicità internazionale con la retorica e la realtà di occupazione, apartheid ed espulsione.

Campagna Palestinese contro il Muro dell’Apartheid

www.stopthewall.org


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fonte: luisa.morgantini@europarl.europa.eu


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