LO SCANDALO DI COSENZA. LA PROCURA ACCUSA GLI AMMINISTRATORI DELLA CASA DI CURA: AVREBBERO INTASCATO MILIONI DI EURO DESTINATI AI PAZIENTI
La reggia del prete in Harley Davidson
Quadri e gioielli con i soldi del «manicomio»
di Marco Sodano (La Stampa, 20/10/2006)
SERRA D’AIELLO (Cosenza). I trecentosessanta fantasmi condannati a scontare la malattia mentale - chi vent’anni, chi trenta e più - all’istituto Papa Giovanni di Serra d’Aiello sono vestiti con roba di recupero. Oggi arriva un furgone carico di scarpe, domani si spera nelle maglie di lana. Nel superattico intestato all’ex presidente della Fondazione che gestisce l’istituto monsignor Alfredo Luberto, dice il faldone custodito a Palazzo di Giustizia, hanno trovato un televisore al plasma in ogni stanza, una sauna e la palestra. I dipendenti del manicomio-lager travestito da casa di cura mendicano credito dal fornaio per i loro assistiti (150 mila euro gli arretrati per il pane) e a fidano nella Provvidenza, in attesa di uno stipendio che non arriva intero da anni.
Dai conti della Fondazione qualcuno ha spiccato assegni intestati alle gioiellerie più esclusive di Roma, boutique di grido, ad alberghi a cinque stelle nei registri dei quali sono annotati soggiorni da favola «in camera matrimoniale». I dipendenti, protagonisti di proteste accese contro Luberto, raccontano che il monsignore si faceva vedere in giro a cavallo di una Harley Davidson: sembrava una battuta avvelenata, carica di livore sindacale. Oggi come oggi, una maximoto è ridotta al rango di peccato veniale. Un salotto «inestimabile» I pazienti del Papa Giovanni convivono con le zecche, i casi di scabbia sono diversi. Dormono in letti sgangherati e senza lenzuola tra servizi in condizioni penose, pareti scrostate, finestre che fanno aria: altro che ospedale, altro che casa di cura.
Il lusso più sopraffino è una cioccolata alla macchinetta nell’atrio. E invece tra i tesori acquistati dai consiglieri d’amministrazione del Papa Giovanni figura un leggio firmato Giacomo Manzù un dipinto firmato Giorgio De Chirico, un «rarissimo orologio a pressione atmosferica» e un salotto d’antiquariato che ha lasciato a bocca aperta i periti incaricati dalla Procura di Paola di valutarlo: «È inestimabile», hanno risposto lì per lì. Poi, messi alle strette dai magistrati - «Abbiamo bisogno di una cifra, almeno indicativa» - hanno azzardato: «Un pezzo del genere si paga senz’altro più di un milione».
Il blitz della Finanza
L’inventario dei tesori e delle miserie del Papa Giovanni è custodito nel fascicolo dell’indagine sul manicomio-istituto condotta dal pubblico ministero della Procura di Paola Eugenio Facciolla. Nei giorni scorsi (e dopo il reportage pubblicato da La Stampa) il magistrato ha mandato sul posto la Guardia di Finanza, che si è presentata ai cancelli alle due del mattino. Un blitz in piena regola per mettere nero su bianco le condizioni in cui vivono i malati: due ore dopo l’ispezione l’intera casa di cura è finita sotto sequestro probatorio. L’attività continua, perché non sarebbe possibile sistemare in altro modo gli ospiti, ma a questo punto non si tocca più nulla, non è ammesso neppure il più piccolo ritocco salvafaccia (alle strutture) almeno finché le indagini non saranno concluse. Quelle sull’istituto e quelle su conti correnti e proprietà delle cinque persone che hanno gestito il Papa Giovanni per conto della Diocesi di Cosenza. A cominciare dall’ex presidente Alfredo Luberto.
Nel frattempo, si attendono gli esiti degli esami clinici ordinati dal magistrato, e dopo il blitz s’è allungata la lista delle ipotesi di reato su cui lavora la Procura. Appropriazione indebita, associazione a delinquere finalizzata alla truffa, false fatturazioni, abbandono di persone incapaci. Così il gergo della Giustizia riassume l’accusa: i soldi destinati ai malati finivano in tasca degli amministratori. Lo scippo all’Antiusura Ma il lavoro di Facciolla ha scoperchiato un’altro pentolone inquietante.
Al buco nero nei conti del Papa Giovanni - 80 milioni di debito che si aggrava al ritmo di 500mila euro al mese -, s’è aggiunto un altro cratere. Scovato ne fondi antiusura gestiti dalla diocesi: anche il denaro destinato a combattere i cravattari (in una terra in cui povertà e omertà combinate rendono ancora più difficile una guerra del genere) sarebbe finito in una società-calderone architettata dai cinque indagati. La stessa società che avrebbe raccolto i milioni dei rimborsi per le prestazioni sanitarie pagati dalla Regione Calabria e dallo Stato al Papa Giovanni e mai convertiti in medicinali, stipendi per gli infermieri, abiti decenti, lenzuola eccetera eccetera. Denari spesi in boutique, in gioielleria, nei grandi alberghi, dagli antiquari.
Lussi da faraone, non da monsignore.
La palla ai politici Ora in Calabria si muove anche la politica. Il senatore di Forza Italia Antonio Gentile ha presentato un’interrogazione, chiedendo che si vegli perché «l’istituto non cada preda degli interessi non legittimi di politici locali», il deputato dell’Ulivo Franco Laratta chiede «la chiusura dell’istituto», l’assessore regionale alla sanità Doris Lo Moro assicura che si provvederà presto a trovare una soluzione per affidare la casa di cura a una gestione degna. Nel frattempo, i trecentosessanta ospiti del Papa Giovanni continuano a scontare la loro malattia. Troppo facile derubarli: dell’attico, della sauna, della palestra non sanno che farsene. E sul leggio di Manzù appoggerebbero la solita cioccolata della macchinetta, accompagnata dal ritornello con cui accolgono tutti i visitatori: «Me lo dai un euro?».
CALABRIA LA DIOCESI CERCA DA ANNI DI CEDERE LA STRUTTURA ALLA REGIONE, CHE DOVREBBE DARLA IN CONCESSIONE AI PRIVATI. DECINE DI PROMESSE, MA L’ACCORDO NON SI RAGGIUNGE MAI
La follia dell’ultimo manicomio.
Quattrocento pazienti e un mare di debiti:
150 mila euro solo per il pane
di Marco Sodano (La Stampa, 09.10.2006)
SERRA d’AIELLO (Cosenza) Chiamiamoli pure Luigi, Ciccio, Giuseppe, Franco, Antonio. Trecento e passa nomi, altrettanti disperati. Per gli interessati fa lo stesso: reclusi in una prigione dalle porte aperte - non saprebbero dove andare - non hanno esigenze di privacy. Ingabbiati nei loro cattivi pensieri cercano altro: «Tu ssì Giuseppe, u nipote mio? Ssu’ ventiquattr’anni che stu ‘ccà, che mi hanno chiuso qui, um’mi sì cchiù venut’atruvà», non sei più venuto a farmi visita. «Mò ne tengo sessantasei, di anni. Ssì uguale a Giuseppe, e l’amico tuo uguale a Giovanni, i nipoti miei».
Chiamiamolo Franco: il viso un groviglio di rughe, braccia gambe collo annodati dalla malattia, più che camminare incespica, «me lo dai un euro?». Come no, e la moneta accende un barbaglio di lucidità in fondo agli occhi a fessura. Pochi passi, eccola trasformata in un bicchiere al baruccio del paese. Serra d’Aiello, provincia di Cosenza: piazza deserta, due signore sulle sedie d’ordinanza, silenzio rotto da parole urlate al vento. Più che grida di dolore maledizioni, invocazioni d’aiuto, risate sgangherate. Le urla vengono dall’Istituto Papa Giovanni. Tre casermoni Anni Sessanta arroccati sull’appennino calabrese, 420 posti letto, un padiglione incompiuto, un altro sventrato per una ristrutturazione rimasta a metà. Tutt’intorno terre a perdita d’occhio, come nella storia del Gatto con gli stivali e del marchese di Carabàs: di chi è quest’uliveto? «D’u Papa Giovanni». E le piante da frutta? «Sempre d’u Papa Giovanni», e così il frantoio, le casette, e tutto il resto. Tutto del Papa Giovanni, che a sua volta è della Diocesi di Cosenza.
Il manicomio che non c’è
I manicomi non esistono più, se basta cambiare la targhetta in «istituto di riabilitazione». Ma niente come il «Papa Giovanni» somiglia a un manicomio. «Uomini e donne lasciati a terra come cartocci, letti senza lenzuola, porte e finestre sgangherate» ebbe a raccontare l’allora arcivescovo di Cosenza Giuseppe Agostino dopo una visita a sorpresa nell’aprile 2004. «Mi sono vergognato di essere uomo, cristiano, vescovo e calabrese», scrisse in una lettera pubblica Agostino definendo il (suo) istituto «una bestemmia sociale». Gli uomini e le donne lasciati a terra come cartocci sono sempre lì, sempre lì i letti senza lenzuola, le porte sgangherate: ancora lì dovrebbe essere di conseguenza la vergogna per la bestemmia sociale.
Ancora lì è, per esempio, Giuseppe (chiamiamolo così). Non arriva a 45 anni: sul punto è confuso, al posto di quella di nascita ha fissa in testa un’altra data. «Sono entrato qui nel ‘71», e doveva per forza di cose essere un ragazzo agitato da una qualunque delle declinazioni della malattia mentale: schizofrenia, depressione, alzheimer, sindromi assortite, ritardi, deficit... il Papa Giovanni non si fa mancare niente. Giuseppe indossa un’assurda maglietta con un cuore mezzo rosa e mezzo a stelle e strisce «I love America», l’America non l’ha vista mai. E invece: «A volte c’è da mangiare, a volte un po’ meno. Manca il pane, fino a qualche giorno fa mancavano le scarpe». Anche lui, alla fine, ottiene una monetina e saltella alla macchinetta del caffè, nell’atrio: la trasforma in una cioccolata calda, si siede accanto a un compare di sventura che, rincagnato sulla panchina, guarda fisso nel vuoto. Non c’è verso di strappargli una parola, un saluto, un cenno che dimostri: si è accorto di te.
Il delirio burocratico
Roba da matti, dentro e soprattutto fuori dal cancello. Da una decina d’anni il Papa Giovanni rotola su se stesso preda di un delirio burocratico che puzza di saccheggio politico: la Diocesi dovrebbe cederlo alla Regione, che è pronta a pagare il pacchetto 15 milioni. La Regione dovrebbe poi affidarlo a una società privata che lo gestirebbe in convenzione. I privati fanno la coda, perché la convenzione è un fiume di denaro che non si secca mai. Nonostante i conti siano una voragine senza fondo: trecento dipendenti che sopravvivono al 40% dello stipendio (in media, 1.200 euro al mese). Molti hanno fatto causa all’istituto: aspettano chi 20 chi 40 mensilità arretrate. Il debito complessivo si aggira intorno ai 40 milioni. Perfino «il panettiere avanza 150 mila euro» e anche per questo a volte il pane manca. «Per dar da mangiare agli ospiti andiamo al banco alimentare», spiegano gli operatori, che si affidano come Don Bosco alla Provvidenza. Anche oggi gli «ospiti» hanno ricevuto la cena, intanto la gara per la convenzione è stata bloccata per l’ennesima volta. Nonostante la coda di pretendenti: prima c’era un gruppo milanese specializzato in gestione di strutture sanitarie, poi s’è fatto avanti un imprenditore di Cosenza, ora sono in gara tre società.
Sul più bello l’affare si inceppa, soprattutto perché lassù qualcuno ha capito che il «Papa Giovanni» è una monetona sonante che vale soprattutto se - anziché spenderla - la si promette a destra e a sinistra. Raccattando promesse di fedeltà politica, crocette sulle schede elettorali, appoggi in questo e quell’affare. Nel frattempo, a mandare avanti la baracca, ci pensano i dipendenti: quest’anno si sono tassati per portare gli ospiti che stanno meglio al mare. Lo stesso fanno per le feste di Natale e Pasqua, un po’ per carità cristiana. un po’ perché dopo tanti anni agli «ospiti» vogliono bene, un po’ perché il Papa Giovanni, «con tutti i soldi che ci deve, chi lo molla?» Roba da matti.
Il valzer dei crediti
I sindacati accusano la Curia di aver spogliato il Papa Giovanni nel corso degli anni, e certo qualche affare sul bordo della follia è stato fatto. Nel dicembre 2003 monsignor Alfredo Luberto «nella sua qualità di legale rappresentante della Fondazione di religione e di culto istituto Papa Giovanni XXIII» ha ceduto i crediti vantati nei confronti delle aziende sanitarie di tutto il Sud a un imprenditore di Crotone. Non un grande affare: tre milioni 769 mila euro di crediti sono passati di mano per 500 mila euro, pagabili in due rate da 250 mila. C’è tanto di atto notarile. Sarà pur vero che le aziende pubbliche fanno penare i pagamenti, ma un imprenditore avveduto sa che in banca non è difficile farsi anticipare «pagherò» del genere al 50%: qui siamo uno a sette, con buona pace degli stipendi arretrati, del pane che arriva a singhiozzo e perfino del fornaio che aspetta i suoi 150 mila euro.
Chiamiamoli Luigi, Ciccio, Giuseppe, Franco, Antonio e avanti così. Per loro non fa differenza, per chi sta fuori neppure: la vergogna non brucia meno se nascondiamo un essere umano dietro un’identità di cortesia, così come un istituto di riabilitazione non fa meno paura di un manicomio se gli ospiti sono «gettati a terra come cartocci», nei letti niente lenzuola, le porte restano sgangherate e chi dovrebbe assistere i malati non riceve lo stipendio da anni. Roba da matti.
Protesta a Cosenza contro il trasferimento degli ex pazienti del "Papa Giovanni"
La Regione vuole trasferirli in una Rsa a Catanzaro. La Cgil: «Sulla sanità privata non si programma, si ascoltano solo i gruppi di potere» *
30/01/2012 Hanno protestato questa mattina, davanti alla sede dell’Asp cosentina, i dipendenti di Villa Igea e dei parenti degli ex pazienti dell’Istituto Papa Giovanni XXIII, che sono ricoverati adesso nella clinica privata che si trova a San Fili (Cosenza). I 32 ammalati dal 1° febbraio, come annuncia una circolare della Regione Calabria, saranno strasferiti in una clinica RSA convenzionata di Santa Caterina sullo Ionio (Cz). I pazienti dell’istituto, vennero fatti sgomberare dalla struttura di Serra D’Aiello il 19 marzo del 2009 e la loro odissea sembra non avere fine.
Sconcerto tra i vertici della clinica del cosentino, che avevano investito per accogliere i pazienti quando, nel 2009, questi furono ricoverati a seguito della chiususa della clinica di Serra d’Aiello. Per il loro paventato trasferimento, rischiano il posto di lavoro una trentina di infermieri. Si lamentano anche i parenti dei pazienti, che temono per l’equilibrio psicologico degli ammalati, a causa del secondo trasferimento, e anche perchè molti, del cosentino, avrebbero difficoltà ad essere raggiunti di frequente dai congiunti. Dalla Regione, si sottolinea che la soluzione trovata era solo momentanea e che la clinica di San Fili, oltre a non essere convenzionata, non avrebbe i requisiti richiesti per legge per l’accoglienza dei pazienti. Sulla vicenda è scesa in campo anche la Cgil: «Denunciamo alle forze politiche, agli amministratori e alla società civile - si legge in una nota a firma di Franca Sciolino, segretaria generale Fp Cgil Cosenza e Piero Piersante, Coordinamento Sanità - l’assoluta mancanza di un progetto per dare una missione definita alla sanità privata della nostra regione, che ne sappia valorizzare le capacità imprenditoriali e premiare le eccellenze, in sinergia coi servizi gestiti dal pubblico. È ora di dire basta a questo modo di procedere, che accontenta parzialmente e temporaneamente ora questo e ora quel gruppo di potere, scaricando conseguenze gravissime sui lavoratori, utilizzati come strumento di ricatto per sollecitare le rimesse regionali o per ottenere nuovi accreditamenti di posti letto».
«A distanza di tre anni dalla deportazione dei ricoverati dell’istituto di Serra d’Aiello, l’Asp di Cosenza si appresta a nuove deportazioni, con l’aggravante che in tutto questo tempo non sono stati mantenuti gli impegni presi: di aprire finalmente delle case famiglia, più economiche e più adeguate alle necessità dei ricoverati; e di ricollocare il personale in cassa integrazione. Proprio gli “ex Papa Giovanni”, attualmente presenti in alcune strutture cosentine, nei prossimi giorni saranno spostati in una Rsa della costa ionica di Catanzaro, al confine con quella di Reggio. Una struttura, dunque, lontanissima dai parenti e dai tutori, ma per nulla diversa dalle precedenti: infatti è stata accreditata nel 2008 per dare assistenza fisiatrica e neurologica a disabili e vittime di incidenti e ictus».
* IL QUOTIDIANO DELLA CALABRIA, 30.01.2012
Blitz al’alba degli uomini delle forze dell’ordine al "Papa Giovanni XXIII
sotto inchiesta per malversazioni e il sospetto di diversi omicidi
Cosenza, sgomberato con tensioni
l’istituto dei pazienti scomparsi
Dopo le prime difficoltà, l’operazione, richiesta dalla Procura di Paola
si è svolta tranquillamente. Trecento persone saranno smistate in altre strutture
di ANNA MARIA DE LUCA *
COSENZA - I circa trecento ricoverati della clinica degli orrori, l’istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello, questa mattina sono stati portati via dalle forze dell’ordine, diretti verso altre strutture di ricovero. Lo sgombero è avvenuto alle prime luci dell’alba. Momenti delicati, tensioni, rabbia e pianti. Da molti giorni si temeva che l’operazione potesse trasformarsi in una tragedia a causa dell’opposizione dei circa cinquecento dipendenti che rischiano di trovarsi senza un lavoro e che da giorni occupavano l’istituto con un presidiandolo anche fuori dai cancelli. Resistenze anche da parte dei ricoverati, da anni e anni parcheggiati nella clinica: malati di mente, invalidi, anziani, gente dimenticata persino dalle famiglie.
Ed è proprio giocando sull’abbandono che nella clinica sono potuti accadere i terribili reati di cui si parla nell’inchiesta scoperta da Repubblica la scorsa settimana e portata avanti dalla Procura di Paola per la scomparsa di tredici ricoverati - l’ultimo a fine 2008 - il presunto omicidio di altri quindici e un centinaio di casi di lesione aggravata. Ieri delegazioni di dipendenti hanno protestato sia a Roma, davanti a palazzo Chigi, che a Catanzaro, davanti all’assessorato regionale alla Sanità, contro la chiusura dell’istituto. Ma i fatti accaduti nella clinica sono così gravi che, questa volta, la politica non ha potuto neanche provare a fermare il lavoro della magistratura.
L’ordinanza di sgombero emessa nei giorni scorsi dalla Procura di Paola è stata determinata dall’irregolarità della struttura - impianti non a norma e via dicendo - e dalla gravissima situzione economica in cui versa la clinica di proprietà della Curia: dopo la scomparsa di 13 milioni di euro, a cui se ne aggiungono altri quindici destinati ai contributi, l’istituto si è ritrovato sul lastrico, con pignoramenti su pignoramenti. Per questi ammanchi, sono stati emessi la scorsa settimana 27 rinvii a giudizio. Primo della lista il prete che amministrava la clinica, don Alfredo Luberto, famoso per il tesoretto trovato nella sua casa mentre i ricoverati pativano la fame. E in alcuni momenti anche la scabbia, in un inferno che porta il nome di un Papa ed era gestito da un prete.
Da questa mattina la clinica è vuota. Il business è finito. Il sostituto procuratore Eugenio Facciolla ha fermato in sistema. La Regione Calabria nel corso degli anni ha versato per ogni paziente cifre incredibili, fino a 195 euro a persona a fronte di una spesa reale certificata dalle perizie della Procura, che andava dagli otto agli undici euro. Il resto veniva intascato. I ricoverati aumentavano il numero dei residenti nel piccolo paesino e, negli anni passati, votavano anche alle elezioni. Risultavano però incapaci di intendere e di volere per quanto riguardava l’aspetto patrimoniale: i loro beni venivano intestati al curatore che lavorava nella clinica e passavano alla struttura.
Testamenti falsi, morti sospette, sparizioni. Sono tanti i misteri che la Procura di Paola dovrà ora sciogliere. Di certo ora dal Papa Giovanni non potrà più sparire nessuno.
* la Repubblica, 17 marzo 2009
Concordo pienamente con Lei e mi associo allo sdegno per il colpevole silenzio della stampa. Credo di averne capito il motivo: il desiderio di scoop a tutti i costi è stato raggiunto, è stata sufficientemente infangata la Chiesa, cosa occorre di più?
C’è poi un valido motivo per mettere tutto a tacere: il comportamento dei lavoratori che non hanno esitato a prendere in ostaggio 360 persone, come un qualsiasi blocco merci per cautelarsi. Questo è un fatto assolutamente vergognoso ed indegno di una società civile. Lo rimarcheranno l’autorità giudiziaria ed i responsabili sindacali? Si tratta di sequestro di persona !!
Capisco il dramma dei lavoratori, ma questo loro comportamento esclude la mia solidarietà.
Lettera al Direttore di Repubblica
di Assunta Signorelli
Una lettera sulla vicenda di Serra D’Aiello in Calabria *
Gentile direttore,
le scrivo in relazione all’articolo comparso oggi sul Suo giornale dal titolo “Sparizioni e sospetti omicidi sui monti calabresi un ospizio degli orrori”.
Ho una domanda da porle, domanda che potrà sembrare pleonastica ma che voglio, comunque, farLe: “perché proprio ora”?
Le notizie riportate sono notizie vecchie e macinate. Già nel 2006, il Forum Salute Mentale Nazionale, come da sempre fa in riferimento ai nuovi contenitori che hanno sostituito i manicomi, aveva denunciato le condizioni delle persone ricoverate e lavoratrici dell’IPG XXIII di Serra D’Aiello (Cosenza), ma allora la cosa non suscitò interesse: il destino delle persone “senza” (diritti, lavoro, casa, affetti, documenti e così via) non è notizia “in sé”, lo diventa solo quando sostiene interessi e convenienze di chi “senza” non è dal momento che ha tutto, potere politico, mediatico ed economico.
Sono consapevole che la cosa non è del tutto vera. Quella denuncia fu accolta da qualche protagonista di quella che sembrava poter essere la “stagione del riscatto della Calabria”. Il Centro Sinistra aveva vinto le elezioni e dichiarava di voler assumere la sanità calabrese come questione centrale da affrontare nella direzione di una sua riorganizzazione e legalizzazione: efficacia ed efficienza dei servizi pubblici, controllo e attenzione di quelli privati, riconoscimento e rispetto del “diritto alla cura” per la cittadinanza dovevano essere le parole d’ordine del nuovo corso.
Fui tra quelli che credettero a questa promessa, perciò oggi mi ritrovo ancora qui, per conto del tribunale di Paola (Cosenza), ad avere la responsabilità della Direzione Sanitaria dell’Istituto Papa Giovanni.
Ho iniziato nell’agosto 2006, ed ho trovato quella situazione che oggi viene descritta, anche se, per amore di verità, già allora esistevano isole felici, luoghi dove il personale, in una situazione strutturalmente disastrata ed economicamente deficitaria, cercava d’impegnarsi nell’accudimento e nel sostegno delle persone.
Non mi soffermerò sul lavoro svolto in questi tre anni: mi limito a riportare il dato che questo lavoro ha sempre tenuto presente la necessità di rispondere alla domanda di legalità e rispetto che le persone ricoverate e il personale ponevano alle istituzioni tutte, dalla chiesa ai governi locali e centrali, passando attraverso i tribunali, la sanità e la politica dal momento che a loro deve ricondursi la responsabilità della condizione di degrado e miseria nella quale i ricoverati e il personale (per anni a mezzo o senza stipendio) sopravvivono da più di dieci anni.
Questa necessità si è inverata in una pratica collettiva: molto del personale ha attivamente partecipato al processo di trasformazione istituzionale, teso a costruire spazi di vita che ridessero dignità, non solo alle persone ricoverate, ma alle istituzioni nel loro complesso.
Oggi la situazione è profondamente cambiata: le persone accolte non vivono più in reparti sovraffollati, hanno la possibilità di usufruire del loro denaro, alcune, circa trenta, abitano in piccoli alloggi dignitosamente arredati e tutte, nessuna esclusa, ricevono cure ed assistenza secondo le loro necessità. La revisione della situazione giuridica delle singole persone (interdette o in amministrazione di sostegno) ha prodotto, fra le altre cose, la nomina di amministratori di sostegno appartenenti al mondo del volontariato e della cooperazione sociale che hanno attivamente partecipato al lavoro di riabilitazione.
Certo permangono i problemi strutturali più grossi, ma se si pensa che tutto è avvenuto senza un aumento di spesa, non si poteva fare di più!
Quanto precede non fa notizia, così come l’azzeramento del processo terapeutico riabilitativo, la deportazione delle persone ricoverate in luoghi, forse meno vetusti ma ugualmente escludenti, le famiglie del personale dipendente sul lastrico, non è cosa che merita un rigo di giornale!
E sì, perché nonostante il lavoro fatto, l’istituto va sgomberato: così vuole il governo della regione che in questi ultimi anni non è stato in grado di elaborare un progetto di riconversione e rilancio dell’Istituto come da impegni presi nel 2006 all’inizio dell’esperienza.
Anzi, dopo una prima fase di condivisione, con il cambio di due assessori alla sanità e di un direttore generale dell’azienda sanitaria territoriale, ha fatto cadere proposte e progetti in grado di salvaguardare il bisogno di cura delle persone e un buon numero di posti di lavoro. E questo fino ad arrivare alla fase attuale quando, a fronte della conclusione del procedimento giudiziario, altro non resta se non il fallimento e la chiusura definitiva dell’istituto con le persone ricoverate trasferite in altre strutture private del territorio e il personale sottoposto a trattamenti i più diversi: cassa integrazione, lavoro precario o “precariamente” garantito, secondo uno schema ben noto in questo nostro paese.
Di quanto precede non si fa cenno nell’articolo in questione, del fatto che da dieci giorni si dia per imminente uno sgombero forzato dell’istituto (si vocifera di circa mille poliziotti pronti ad intervenire) che alternativamente dovrebbe interessare il personale, le persone ricoverate o tutti insieme appassionatamente, non c’è riscontro alcuno.
S’informa solo di quanto accaduto nel passato: che importa, poi, se chi legge pensa che questo continui ad accadere e, così, chi sgombera e chiude ci fa pure una bella figura! Dietrologia perversa di una psichiatra la mia? Non credo ed il riscontro l’ho avuto nelle numerose telefonate ricevute: volevano sapere cosa stava succedendo al Papa Giovanni! Il battage mediatico di martedì 10 marzo (da Mediaset alla RAI tutti hanno confuso e sovrapposto i tempi) ha oscurato l’attualità e riproposto un passato ormai superato facendo il gioco di chi tratta i “senza” come merce di scambio e la classe lavoratrice come zavorra inutile e fastidiosa!
Cordialmente.
Assunta Signorelli
Serra D’Aiello 11-03-2009
Ansa» 2009-03-10 18:55
INCHIESTA SU CLINICA: "TROPPE MORTI SOSPETTE"
di Ezio De Domenico
PAOLA (COSENZA) - Degenti scomparsi, morti sospette ma anche traffico di organi e falsi testamenti per accaparrarsi i beni dei pazienti. Ha dell’incredibile quanto sta emergendo dall’inchiesta che la Procura della Repubblica di Paola sta conducendo sull’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello. La struttura, di proprietà di una fondazione che fa capo all’Arcidiocesi di Cosenza, è nell’occhio del ciclone dal 2006, da quando cioé fu sequestrata a causa delle condizioni di degrado.
Ma è nel luglio del 2007 che il bubbone della struttura di ricovero scoppia in tutta la sua virulenza con l’arresto del direttore, don Alfredo Luberto, un sacerdote che si sarebbe appropriato di somme per milioni di euro investendole in appartamenti di lusso, quadri antichi, gioielli e altri beni poco consoni all’austerità cui dovrebbe ispirarsi la vita di un sacerdote. Don Luberto, proprio nei giorni scorsi, è stato rinviato a giudizio. Adesso, però, si scopre che l’istituto Papa Giovanni XXIII non sarebbe servito soltanto a don Luberto ed alla cerchia dei suoi più stretti collaboratori per arricchirsi. La casa di cura sarebbe stata, secondo la definizione del Procuratore della Repubblica di Paola, Bruno Giordano, "un pozzo degli orrori".
Nelle indagini si parla, infatti, di 12 persone scomparse e di 15 morti sospette riguardanti altrettanti degenti. I numeri, tra l’altro, secondo gli investigatori, sono parziali ed a conclusione dell’inchiesta, quando i fatti saranno accertati completamente, saranno molto più consistenti. Chi è deciso ad andare fino in fondo in questa vicenda è proprio la Procura di Paola "Stiamo indagando - ha detto Giordano - per fare luce su tutte le stranezze che hanno caratterizzato la gestione del Papa Giovanni. E vogliamo anche capire le complicità occulte di cui potrebbero avere beneficiato i responsabili di questa situazione". La Procura ha già disposto lo sgombero dei 300 degenti del Papa Giovanni. Un provvedimento che sarà eseguito, ha detto Giordano, "soltanto quando sarà trovata una collocazione alternativa per i ricoverati e quando si realizzeranno le condizioni più opportune per la sua esecuzione. Non una pura azione repressiva, dunque, ma di salute e sicurezza pubblica, nell’interesse in primo luogo degli ammalati e dei lavoratori".
Bisogna anche risolvere il problema del futuro dei circa 500 lavoratori del Papa Giovanni. L’istituto è servito anche per gestire clientele politiche legate all’assunzione del personale. Ci sono stati periodi in cui il Papa Giovanni ha avuto più dipendenti che ricoverati. Per l’attuazione dello sgombero saranno impiegati oltre mille agenti con l’intervento del Reparto Celere. Quanto sta emergendo dall’inchiesta viene, comunque, vivacemente contestato dal portavoce dei dipendenti dell’istituto.
"In questa struttura - dicono i dipendenti - non si è verificato nulla di losco. Non ci sono state scomparse e meno che mai omicidi, ma solo 4-5 allontanamenti volontari. Troviamo ingiusto che ora noi dipendenti veniamo descritti come degli assassini quando, invece, per anni, ci siamo presi cura dei pazienti che si trovano in questa struttura".
In 27 rinviati a giudizio per le truffe della casa di riposo Papa Giovanni XXIII
Aperta una nuova inchiesta su 12 pazienti "scomparsi" e 15 "possibili assassinii"
Cosenza, sparizioni e sospetti omicidi
Così si moriva nella clinica degli orrori
dall’inviato ATTILIO BOLZONI *
SERRA D’AIELLO (COSENZA) - C’è una casa degli orrori sulle montagne calabresi. Dove in tanti scompaiono, dove in troppi muoiono. E’ un ricovero per derelitti e ripudiati di ogni specie che è diventata reggia per un prete e discarica umana per chi c’è finito dentro. Truffe, imbrogli, saccheggi e ora, ora anche il sospetto di alcuni omicidi. Donne e uomini che non si trovano più. Qualcuno sta indagando per scoprire che fine hanno fatto in ventisette. Dodici sono spariti, per altri quindici l’ombra di una morte violenta. Il luogo del mistero è Serra D’Aiello, paesino di settecento abitanti aggrappato all’appennino aspro che da Cosenza scende a strapiombo verso il mare di Amantea e la piana di Falerna.
La casa degli orrori è nascosta là sopra, in tre casermoni di pietra grigia incastrati uno dentro l’altro che dieci anni fa davano riparo a 900 degenti e oggi a quasi 300. Giovani e vecchi, malati, invalidi, mutilati, paralitici, matti veri e matti presunti, tutti soli dalla nascita o abbandonati dalle famiglie, molti con un piccolo patrimonio personale che è stato inghiottito nelle casse di una fondazione religiosa. Ma dopo i raggiri alla Regione e le ruberie ai pazienti, i carabinieri stanno cercando di ricostruire le "morti sospette". Da qualche mese il sostituto procuratore di Paola Eugenio Facciolla ha formalizzato un’inchiesta su quei 12 scomparsi e su 15 "possibili omicidi". Poi ci sono almeno altri cento casi di pazienti che hanno subito lesioni gravi. E non solo una volta. Gli investigatori ipotizzano che dentro all’istituto Papa Giovanni XXIII avrebbero fatto sparire uomini e donne per appropriarsi dei loro beni.
Ci sono anche un paio di anonimi arrivati ultimamente in Procura che parlano "di un traffico di organi". Quanto sia vera fino in fondo questa storia lo svelerà il futuro dell’inchiesta giudiziaria, intanto però la storia raccontiamola dall’inizio. Dal luglio del 2007. Dal giorno che don Alfredo Luberto è stato sospeso a divinis dopo cinque mesi di arresti domiciliari. I finanzieri ci hanno messo dodici ore per fare l’inventario delle "cose" trovate nella bella casa di don Alfredo. Disegni di De Chirico, scatole piene di ori e argenti, preziose stilografiche, una rara collezione di orologi, un leggìo scultura di Giacomo Manzù, mobili di lusso, una sauna e una palestra in mansarda. E ci hanno messo qualche giorno per scoprire che quel prete, presidente dell’istituto Papa Giovanni XXIII - casa di ricovero di proprietà della curia arcivescovile di Cosenza nata "per curare malati cronici o con problemi psichici" - era il ras del manicomio lager dove molti pazienti erano trattati come bestie. Nel silenzio di tutti, nell’omertà di un paese intero.
Lasciati per giorni in mezzo alla sporcizia, le zecche in corsia, epidemie di scabbia, letti sgangherati, coperte che non c’erano, finestre senza vetri, cessi che nessuno puliva mai. All’istituto di Serra D’Aiello, negli anni Novanta quasi duemila dipendenti fatti assumere dai politici di ogni colore della provincia, la Regione Calabria versava per ogni ricoverato una retta giornaliera dai 110 ai 195 euro. Quello che lì dentro spendevano realmente per i malati - l’hanno certificato i periti nominati dalla procura di Paola - andava dagli 8 agli 11 euro al giorno. Gli altri soldi se li tenevano don Alfredo e pochi altri. Succedeva di tutto con il denaro che non arrivava mai a chi doveva arrivare. Cinquanta euro al giorno di contributi regionali per l’"assistenza spirituale" o cinquanta euro al giorno per l’"assistenza religiosa", a volte i malati non avevano però neanche da mangiare. L’accusa ha calcolato che in pochi anni gli amministratori della fondazione si sono impossessati di 13 milioni di finanziamenti e di altri 15 milioni di contributi mai pagati. In un primo momento è stato indagato anche l’ex vescovo di Cosenza Giuseppe Agostino ("Avrebbe dovuto vigilare e invece firmava carte per conferire a don Alfredo il dominio perpetuo sull’istituto Papa Giovanni"), poi il monsignore è uscito incolpevole dalle indagini. A rinvio a giudizio - deciso proprio ieri - andranno in 27 per associazione a delinquere e truffa e appropriazione indebita. Il primo della lista è il "prete dell’Harley Davidson". L’altra passione di don Alfredo: le motociclette americane.
Dopo lo scandalo dei soldi sono saltate fuori le cartelle cliniche taroccate. Centinaia sembravano compilate in fotocopia, tutte uguali. Come le diagnosi. Tutte uguali anche quelle. Per chi aveva problemi alle gambe o per chi aveva problemi alla testa. Altre cartelle cliniche non si sono mai trovate, altre ancora hanno fatto partire le nuove indagini sulle morti sospette. "Ci sono casi di fratture multiple mai trattate", racconta un investigatore. La relazione dei periti e, nel settembre del 2008, l’apertura della nuova inchiesta sugli scomparsi di Serra D’Aiello.
Dal 1997 sono cominciati a svanire nel nulla i primi pazienti. E il primo fra i primi è stato un certo Bruno. Poi è toccato a una donna (il suo nome è ancora top secret), poi a Domenico Antonino Pino. Lui aveva ventinove anni, era rinchiuso al Papa Giovanni da dodici. Una notte dell’estate del 2001 qualcuno è entrato nella stanza dove dormiva e se l’è portato via con la forza. Il suo compagno di ricovero ha riconosciuto due uomini in camice, nessuno gli ha creduto. "E’ matto", hanno detto. I parenti di Domenico Pino per anni l’hanno inutilmente cercato. Qualcuno dell’istituto è arrivato a dire "che se n’era andato con le proprie gambe": Domenico era immobilizzato da bambino su una sedia a rotelle. Dopo di lui è scomparso un certo Di Tommaso, poi un certo Pollella, poi un certo Tiano. E un altro e un altro ancora. Fino al dicembre scorso. L’ultimo sparito di Serra D’Aiello è un uomo di 68 anni.
"Lo so anch’io di quest’ultimo scomparso e anche di Domenico Pino", dice il sindaco Antonio Cugliotta. Di scomparsi, solo di scomparsi si parla sottovoce in questi giorni nel paese sulle montagne calabresi. In piazza. Nei vicoli che si inseguono fino ai boschi. Nella strada davanti al Papa Giovanni dove ora i 550 dipendenti, con anni di stipendi arretrati, protestano perché non arrivano più soldi dalla Regione. Dice il proprietario del bar "centrale" Amerino Sendelli: "Vivo qui da prima del 2000, tutti sanno di quelle scomparse e tutti tacciono per paura". Dice Francesco Provenzano, carpentiere: "Tutti hanno paura". Dicono tutti: "Tutti hanno paura". E’ il mistero di Serra D’Aiello. (Ha collaborato Anna Maria De Luca)
* la Repubblica, 10 marzo 2009
SACERDOTE ARRESTATO PER TRUFFA E ASSOCIAZIONE A DELINQUERE
Ex presidente Istituto Assistenza di Serra d’Aiello, Cosenza
(ANSA) - SERRA D’AIELLO (COSENZA), 17 LUG - L’ex presidente di un Istituto di Assistenza di Serra d’Aiello, il sacerdote Alfredo Luberto, e’ stato arrestato.Luberto, 49 anni, ex presidente dell’Istituto di Assistenza Sociosanitaria Papa Giovanni XXIII, e’ stato arrestato dalla Guardia di Finanza con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla truffa. Insieme a Luberto e’ stato arrestato un ex componente del Consiglio di amministrazione dell’Istituto, Fausto Arcuri, di 40 anni.
ANSA» 2007-07-17 08:57
(ANSA) - PAOLA (COSENZA), 17 LUG - La Procura della Repubblica di Paola sta svolgendo indagini sull’ex arcivescovo di Cosenza, mons. Giuseppe Agostino.Le indagini riguardano l’inchiesta sui presunti illeciti nella gestione dell’Istituto di assistenza Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello. Si apprende da fonti giudiziarie. La Procura sta verificando l’operato di mons. Agostino. Oggi e’ stato arrestato un sacerdote, ex presidente dell’istituto e lo stesso istituto e’ stato messo sotto sequestro preventivo.
ANSA » 2007-07-17 10:22
[Fonte: http://superando.eosservice.com/content/view/713/112 - 16 gennaio 2006]
Serra d’Aiello: Nulla su di Noi senza di Noi
di Nunzia Coppedé*
Nemmeno in questo periodo di festività si devono spegnere i riflettori sull’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello (Cosenza) e sulla segregazione vissuta dalle persone con disabilità che vi sono ricoverate. Ed ora la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) della Calabria attende una convocazione dalla Regione perché nessuna decisione venga presa senza una rappresentanza delle persone con disabilità
Serra d’Aiello è in provincia di Cosenza, ai confini con quella di CatanzaroIn questo inizio d’anno, la FISH Calabria ONLUS, nel clamore sull’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello (Cosenza), intende riportare l’attenzione sulla situazione delle persone con grave disabilità in esso ricoverate e in silenzio. Per loro, infatti, è vitale che qualcosa cambi in meglio e in particolare che l’organizzazione socio-assistenziale si tramuti in assistenza a dimensione umana, che esse non vengano più mantenute segregate, che possano accedere a servizi di qualità secondo le leggi esistenti in materia.
Non serve, a questo punto, affermare che la controparte nella vicenda che coinvolge l’istituto è la Regione e non la Chiesa. Non serve nemmeno sostenere che la grande struttura di Serra d’Aiello costituisce non un peso, ma un patrimonio vero dell’intera Regione.
Queste affermazioni non servono alla verità perché la storia, le crisi e le proteste continue avvenute nell’Istituto dimostrano che esso è una "palla al piede" e non un patrimonio positivo della Regione.
E non servono alla verità perché la Fondazione è un ente di natura privata e i suoi proprietari, reggenti e gestori non possono esimersi dalle loro personali responsabilità.
Siamo inoltre convinti che una soluzione seria al problema possa essere valutata finalmente solo attraverso una trattativa altrettanto seria che segua e applichi le leggi nazionali e regionali vigenti, ridando priorità ai bisogni e ai diritti delle persone attualmente ricoverate e garantendo loro un futuro nel rispetto della dignità umana e della qualità della vita.
Ora abbiamo appreso dagli organi d’informazione che l’assessore alla Sanità della Regione Calabria Doris Lo Moro ha convocato per il 5 gennaio la Fondazione, i vertici dell’Istituto e quelli dell’ASL di Paola e per il 9 gennaio le organizzazioni sindacali, ma nella trattativa risulta ancora assente la rappresentanza delle persone con disabilità e dei loro familiari.
Con tale assenza ai tavoli i disabili risultano come imbavagliati e questo silenzio imposto porterà inevitabilmente a percorrere di nuovo ipotesi di soluzioni convenienti all’Ente e/o agli operatori, ma non agli “ospiti”.
Il 2 dicembre 2005 una delegazione della FISH Nazionale e Regionale si recò a Serra d’Aiello, accompagnata dal senatore Nuccio Iovine, per portare un saluto alle persone ricoverate e per dir loro con la nostra presenza: «La vostra vita e i vostri diritti ci stanno a cuore, e noi disabili come voi li difenderemo!».
Andammo lì anche per dire che volevamo dedicare loro la Giornata Internazionale sulla Disabilità che si festeggia ogni anno il 3 dicembre. Successivamente, il 3 dicembre, nella tavola rotonda organizzata nell’ambito della Conferenza sulla Disabilità Esserci: il Sentire della Vita - Nulla su di Noi senza di Noi, la FISH Calabria chiese all’assessore alla Sanità della Regione di poter partecipare al tavolo per la trattativa sulla situazione dell’Istituto Papa Giovanni XXIII, come rappresentanza e per la tutela delle persone ricoverate. La proposta era stata accolta dall’assessore e ora attendiamo quindi la convocazione alle prossime iniziative sopra indicate.
È infatti un diritto e un elemento di garanzia per le persone con disabilità ricoverate rappresentarsi ed essere rappresentate da loro pari ed è per questo che chiediamo di essere convocati in nome della partecipazione alla programmazione dei servizi a noi rivolti. Ancora una volta e sempre: Nulla su di Noi senza di Noi.
*Presidente della FISH Calabria ONLUS (via dei Bizantini, 95/97, 88046 Lamezia Terme - Catanzaro - tel. 338 7844803, fax 0968 463568, fishc@fishcalabria.org - www.fishcalabria.org).
Ultimo aggiornamento (lunedì 16 gennaio 2006 18:51)
La segregazione di Serra d’Aiello
di Pietro V. Barbieri*
È sempre alla ribalta delle cronache l’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello (Cosenza), definito qualche tempo fa «una bestemmia sociale» da monsignor Giuseppe Agostino, ex presidente della Fondazione che gestisce la struttura. Una delegazione della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) vi si è recata il 3 dicembre, per dare maggiore sostanza alla Giornata Internazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità. Segregazione: questo è l’unico termine che può fotografare la realtà di Serra d’Aiello
Pietro V. Barbieri, presidente della FISH, alla manifestazione del 15 novembre a RomaSabato scorso la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) ha scelto di celebrare il 3 dicembre, Giornata Internazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità, a Lamezia Terme, in occasione di una ricorrenza altrettanto significativa per la Federazione: i dieci anni dalla costituzione della FISH Calabria.
Prima però di iniziare i lavori della conferenza Esserci: il Sentire della Vita - Nulla su di Noi senza di Noi, promossa appunto per festeggiare il decennale, una delegazione della FISH ha voluto sostanziare ulteriormente la giornata facendo visita ad uno di quei luoghi - non l’unico in Italia, purtroppo - dove la negazione dei diritti si manifesta in tutta la sua crudezza. Lontano cioè dalle sedi istituzionali, ma all’interno di un Istituto.
L’Istituto Giovanni XIII di Serra d’Aiello (Cosenza) [del quale Superando.it si è già occupato approfonditamente, N.d.R.] è collocato in vetta a una stradina di tornanti che attraversa una zona collinare semidisabitata. Una desolazione che, a fronte di una splendida vista mare, contribuisce ad acuire la percezione dell’isolamento di cui una struttura di questo tipo è generalmente portatrice. Un cancello degno delle migliori cliniche introduce poi in un giardino curato, che si apre dinanzi ad un imponente complesso costituito da tre palazzine.
Dalle finestre gli sguardi degli “ospiti” e quelli ancora più interrogativi di alcuni operatori hanno osservato l’arrivo della delegazione FISH.
Un’avanguardia, formata da chi scrive e dalla presidente della FISH Calabria Nunzia Coppedé, dopo una lunga anticamera viene ricevuta dal vicedirettore sanitario del Centro.
Dopo avere ascoltato i rappresentanti delle associazioni che tutelano i diritti delle persone con disabilità e le loro motivazioni a celebrare il 3 dicembre facendo visita alle persone ospitate nell’Istituto, il dirigente presenta una serie di scuse a giustificazione del fatto che non può acconsentire a questa visita: motivi di privacy, innanzitutto, e la mancata autorizzazione da parte del presidente dell’Istituto, contattato telefonicamente dallo stesso vicedirettore e piccato per il fatto che la FISH non si fosse curata di avvisare del proprio arrivo i responsabili della struttura.
Anche dopo un acceso confronto telefonico con Nunzia Coppedé, il presidente continua a negare la possibilità di accedere ai reparti. Che l’evento fosse annunciato a mezzo stampa non sembra infatti giustificare la presenza della Federazione all’interno della struttura. Se la FISH avesse informato l’Istituto delle sue intenzioni per la Giornata Internazionale, il Giovanni XXIII sarebbe stato felice di collaborare, organizzando addirittura un concerto (!) in una sala dell’Istituto, ma stando così le cose l’accesso rimane negato.
Il senatore Nuccio IovineE così, è solo dopo l’arrivo del senatore Nuccio Iovine che viene concesso alla delegazione - composta anche da Tommaso Marino (FISH Calabria), Maurizio Ciccarelli (AISM - Associazione Italiana Sclerosi Multipla), Anna Petrone (UILDM - Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e dal vicepresidente della FISH Salvatore Nocera - di accedere ad un piccolo reparto. In quest’ala sono presenti tre letti per stanza. Un bagno per ogni camera - inaccessibile - letti sfatti e un odore sgradevole. Alla fine del corridoio, una zona adibita ai pasti, che poco si differenzia dal resto del padiglione, non fosse che per i tavoli. I degenti che incontriamo presentano prevalentemente disabilità intellettive o relazionali e le persone con disabilità motoria che hanno avuto la sfortuna di arrivare qui mostrano (inevitabilmente) difficoltà relazionali.
Su sollecitazione del senatore Iovine e di Nocera, il vicedirettore sanitario "si sbottona" su alcuni dati significativi: in passato l’Istituto è arrivato ad ospitare sino a 1000 persone, per scendere ora alla sempre impressionante cifra di 371 “ospiti”, dei quali almeno 100 provengono da fuori Regione, alcuni addirittura dalla Lombardia, la maggior parte dalla Sicilia.
Infine, la situazione degli operatori di un Istituto che ha rappresentato una sorta di "Fiat" per questa zona, per le opportunità di collocamento che offriva in una terra dove la carenza di lavoro è atavica: le persone impiegate nella struttura stanno aspettando di ricevere il 90% dello stipendio delle prestazioni effettuate nel dicembre 2004...
Questa la cronaca secca. Difficile poi descrivere i volti dei delegati durante la breve visita, impossibile raccontare il loro silenzio all’interno del pulmino durante il viaggio di ritorno verso Lamezia Terme, consci e storditi dalla situazione delle persone che si lasciavano alle spalle. All’emozione di questo momento dovrà necessariamente seguire una fase di analisi e supporto all’impegno della FISH Calabria su questo fronte e in particolare di Nunzia Coppedè. Un dovere che la Federazione deve assumersi, su tutto il territorio nazionale.
Diritti Umani delle persone con disabilità. Oggi abbiamo dovuto associare questo concetto all’unica definizione che può dare il senso di una vita vissuta all’interno di questi Istituti: “segregazione”.
*Presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
Ultimo aggiornamento (venerdì 23 dicembre 2005 13:15)
E al segretario Giordano dice: "Non sono iscritto al Prc, non vedo come posso essere
incompatibile. Disponibile a discutere della mia presenza nel gruppo"
Caruso: "Biagi un povero Cristo Mi spiace, ma anche lui sfruttato"
L’ex Disobbediente aveva detto che "Biagi e Treu con le loro leggi sono degli assassini"
Poi la correzione: "Le loro norme impropriamente usate per rendere precarie le condizioni di lavoro"
di CLAUDIA FUSANI *
ROMA - Alla fine, dopo dodici ore di polemiche e di attacchi per quelle parole assurde contro i giuslavoristi Biagi e Treu, l’onorevole disobbediente Francesco Caruso trova la frase che corregge fino a smentire quello che aveva detto in mattinata. "No ho mai accusato nessuno di essere un assassino - precisa - Non volevo offendere chi ha sofferto e ancora soffre. Penso che sarebbe giusto però abrogare le leggi dei due giuslavoristi che hanno reso assai più precarie le condizioni di lavoro. Fare questo può essere una forma di risarcimento e di rispetto per i morti sui posti di lavoro. Abrogare questo impianto normativo e ridare dignità e diritti ai precari è uno dei punti del programma di centrosinistra. Lavorare perchè ciò avvenga è un mio preciso dovere etico, prima ancora che politico".
Onorevole Caruso, il suo segretario Franco Giordano dice che le sue parole su Biagi e su Treu sono "incompatibili con Rifondazione". Cosa risponde?
"Mi spiace che Giordano pensi questo. Comunque io non sono iscritto a Rifondazione e non vedo come possa essere incompatibile con qualcosa di cui non faccio parte".
Non la possono espellere, come è già successo a un suo collega senatore?
"Non possono espellermi da un partito a cui non sono iscritto. Posso mettermi fuori dal gruppo: se la mia presenza dentro Rifondazione è un problema, se ne potrà discutere nella prima riunione alla riapertura dei lavori parlamentari".
Le sue parole sui due illustri giuslavoristi sono inaccettabili. Lei ha detto che "Biagi e Treu, con le loro leggi, sono degli assassini". Biagi è stato assassinato dalle Br nel 2002, sotto casa. La reazione di Giordano non è così insolita.
"Una delle caratteristiche di Rifondazione è proprio la pluralità di pensiero e di esperienze. Finora sono state una ricchezza e non un limite. Comunque spiego meglio quello che volevo dire...".
Ecco, lei ha detto "Biagi e Treu assassini".
"Sta venendo fuori un polverone assurdo. Mi rendo conto che quello che ho detto non è politically correct. Volevo dire è che quel povero uomo di Biagi, il pacchetto di norme sulla flessibilità e sulla riforma del lavoro che portano il suo nome, tutto questo è stato strumentalizzato dalla destra per creare condizioni di lavoro assurdo, precario, instabile, incerto".
Onorevole, cosa c’entra la riforma del lavoro di Marco Biagi con le morti bianche nei posti di lavoro?
"Quelle leggi sono state usate per armare le mani dei padroni e permettere loro di precarizzare e sfruttare con maggiore intensità la forza-lavoro e incrementare i profitti. Mille e duecento morti sui posti di lavoro in un anno, una media di quattro morti al giorno: questo è inaccettabile; questo deve far vergognare. Allora però succede che nessuno si sente responsabile per questi morti, così, sono morti per caso. E invece no: ci sono responsabilità politiche precise. Sono sconcertato".
Da cosa?
"Da questo moto isterico e collettivo di autoassoluzione che parte dalla casta, dalla classe politica. Qualcuno si vuol prendere la responsabilità politica di queste morti?".
Quali sono le "responsabilità politiche precise"?
"Quelle di uno Stato e di un governo che accettano - tanto da definirle per legge - condizioni di lavoro precarie, instabili e incerte. Ecco: io questo volevo dire. Mi spiace per Biagi, lui è solo un povero cristo che è stato usato. Anzi, sfruttato".
Caruso, dove si trova adesso?
"A Serra d’Ajello, provincia di Cosenza. Ci sono trecento persone, i dipendenti dell’istituto Papa Giovanni che rischiano di perdere il posto di lavoro dopo gli sperperi e le ruberie dei responsabili dell’istituto su cui indaga la procura".
* la Repubblica, 9 agosto 2007
Tensione in Rifondazione comunista attorno al deputato no global
E a settembre il gruppo parlamentare valuterà se espellerlo
"Bravo Francesco, falli indignare"
Sul web i militanti approvano Caruso
di ALESSANDRA LONGO *
ROMA - Un filo diretto, costante, al limite della nevrosi. Cellulari occupati, messaggi registrati, fax d’albergo. Rifondazione affronta la grana Caruso dalle vacanze. Il segretario Franco Giordano, notoriamente geloso della sua privacy e, per giunta in viaggio di nozze, deve affrontare dall’estero l’ondata che monta ed è furibondo. Russo Spena, capogruppo al Senato, dichiara dalla montagna, il rumore di una segheria in sottofondo. Cerca di contenere i danni, di far dimenticare "il grave errore di Francesco", quella frase, inutilmente smentita, su "Biagi e Treu assassini" e tornare al cuore della battaglia contro il precariato.
Si chiamano, si consultano. Espellerlo? Come si fa, è un indipendente, non iscritto. E poi "isolarlo - dice Russo Spena - vorrebbe dire portarlo alla disperazione, produrre in lui, che ha partecipato tanto ai movimenti, che si è speso, il definitivo distacco dalla politica vera".
Arriva il malumore dei compagni, della base, di molte segreterie regionali. Però arrivano anche, soprattutto via internet, i "forza Francesco", i "Forza Masaniello che ci fai sentire meno soli", i "Viva Caruso, continua così, falli indignare". E allora capisci che, nonostante l’anatema ufficiale di Bertinotti, il tunnel è stretto. Sì, ha offeso Biagi, è stato un ragazzaccio, ma... Ma ha detto, sulla legge 30, "ciò che tanti pensano, anche molti di coloro che in queste ore si sono dissociati".
A settembre, il Disobbediente verrà chiamato, redarguito, ammonito. "Gli faremo un discorso chiaro e collettivo - sceneggia Russo Spena - Gli diremo: "Guarda che ci hai messo in difficoltà grave, sappi che se cadrai ancora nel protagonismo, non andrai avanti tu e danneggerai noi"". Parola d’ordine: "Aiutarlo a crescere", come dice un dirigente che sembra parli del figlio ripetente. A chi evoca l’ipotesi alternativa, quella di accompagnare Caruso alla porta e suggerirgli l’iscrizione al gruppo misto viene risposto con un no: "Farebbe ancora più danni, diventerebbe incontrollabile".
C’è fastidio per questa grana non prevista, per tutto il lavoro fatto sulle morti bianche, sulla precarietà, che rischia di essere affogato nel mare mediatico di questi giorni, nell’offensiva della destra. Affiora anche un dubbio. Giusto prendersi in casa un tipo così? Giacomo Conti, segretario ligure di Rc: "C’è una distanza abissale tra quello che sostiene lui e quello che sente la nostra gente. Forse è il momento di fare un ragionamento sul meccanismo delle candidature. Bisogna aprire le liste, ma anche pensar bene a chi saranno, alla fine, gli eletti".
Daniele Farina, ex leader del Leoncavallo, oggi deputato, è avvilito, preoccupato: "Questa vicenda si commenta da sé". E persino Luxuria, certo non per perbenismo, prende le distanze: "Francesco non ha contato fino a dieci. In politica, l’impulsività non è una dote. Si deve dare una regolata, gli va fatto un ultimatum". Il vecchio Sandro Curzi liquida: "Non mi è mai piaciuto. I cretini di Ferragosto esistono a destra e sinistra".
Il cellulare, al mare, funziona poco. Michele De Palma, già leader dei Giovani Comunisti, ora nella segreteria nazionale, racconta che "non ci voleva credere", quando glielo hanno raccontato: "Caruso ha detto cose sconvolgenti e politicamente sbagliate. Mi mette ansia pensare che, di fronte all’ennesima morte di due ragazzi sul lavoro, non si parli che di lui. Tutto è diventato spettacolo, baraccone. A settembre dovremo ragionare a fondo su questa vicenda".
Niente espulsione, niente Gruppo Misto, ma c’è chi suggerisce a Caruso "di avere il coraggio, l’umiltà, di scrivere una lettera ufficiale di scuse a Rifondazione, alla famiglia Biagi, anche ai precari". Lo farà? Se legge i messaggi su www. sxnet. it, gli verrà il dubbio di essere nel giusto. Ecco un anonimo militante: "Personalmente non mi sento scandalizzato dalle parole di Caruso. In Italia, fino a prova contraria, esiste l’omicidio colposo e, volendo proseguire l’infelice metafora carusiana, si potrebbe invitare qualcuno ad assumersi la responsabilità politica e prendere atto di essere co-responsabile di più di 1200 morti all’anno".
E ancora: "La mia serenità e laicità mi spingono fino al punto di non poter sospendere il giudizio politico su Marco Biagi, barbaramente ucciso dalle Brigate Rosse, colpevolmente lasciato senza scorta dallo Stato, ma comunque elemento di snodo di una riforma del lavoro che precarizza, non garantisce e non previene le morti bianche". Non è l’unico messaggio così. Ma ce ne sono anche altri. Quello di Franco, per esempio: "Quando apro i giornali e leggo parole su Biagi come quelle di Caruso mi vergogno di far parte di Rifondazione".
* la Repubblica, 11 agosto 2007
Il parlamentare comunica la sua decisione e dice "Spero di mettere un freno a questo linciaggio politico"
Caruso: "Mi autosospendo
dal gruppo di Rifondazione"
Treu: "Una prima misura minima, mi aspetto che i suoi compagni la smettano di attaccare leggi che non sono responsabili del precariato"
di ANDREA DI NICOLA *
ROMA - "Mi autosospendo dal gruppo Prc-Se". Dopo le polemiche seguite alle sue parole su Tiziano Treu e Marco Biagi il parlamentare di Rifondazione prova così a mettere fine a quello che definisce un "linciaggio politico". Un comunicato di poche righe in cui rende nota la sua decisione dopo giorni di richieste di dimissioni, di scuse.
Parlando dell’ex ministro e del giuslavorista ucciso dalle Br Caruso aveva detto: "Le loro leggi hanno armato le mani dei padroni, per permettere loro di precarizzare e sfruttare con maggior intensità la forza-lavoro e incrementare in tal modo i loro profitti, a discapito della qualità e della sicurezza del lavoro". Un po’ meno di quell’"assassini" che era la primissima accusa lanciata ma comunque troppo poco per frenare le polemiche.
Parole "devastanti" ammetterà poi lo stesso deputato di Rifondazione che chiederà anche scusa. Ma intanto la palla di neve è diventata valanga portando sconcerto e divisione anche all’interno di Rifondazione comunista. I vertici sono coesi: "Parole indegne ma i processi non si fanno sui giornali, a settembre riuniremo il gruppo parlamentare e decideremo", dice il capogruppo Gennaro Migliore dopo la dura condanna del segretario Franco Giordano e il malumore fatto trapelare dallo stesso Fausto Bertinotti in una telefonata a Treu. Ma la base non è tutta contro il parlamentare e fa giungere via web la solidarietà al disobbediente campano. Il tutto mentre la destra attacca lancia in resta e gli alleati nell’Unione chiedono a Rifondazione di "chiarire la propria posizione".
Insomma una bufera che ha esposto il partito a bordate di ogni tipo. E così oggi Caruso decide per l’autosospensione e specifica: "E’ una scelta individuale e personale fatta senza alcuna sollecitazione. Voglio provare a mettere un freno a questo linciaggio politico". Una scelta che Migliore apprezza: "Credo che Caruso si sia reso conto della difficoltà in cui il suo gruppo si è trovato dunque questa scelta mi pare un segno di rispetto".
Ma, Treu, il bersaglio della polemica di Caruso non si accontenta. "E’ una prima misura minima - dice - ma non credo sia sufficiente, aspettiamo cose più politicamente significative, soprattutto da parte del Prc. C’è un problema politico generale, perché le sue affermazioni non sono state smentite da alcuni altri suoi colleghi, dalla Menapace a Cento, che anche se con altri toni, hanno continuato un attacco sbagliato contro leggi che non sono colpevoli del precariato. Semmai hanno cercato di regolare e migliorare il sistema, e i dati lo confermano. A settembre mi aspetto una presa di posizione più significativa".