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"CHARTA 77". La Cecoslovacchia, il rock dei "Plastic People of the Universe", e il manifesto di trenta anni fa. Praga celebra l’anniversario - a c. di pfls

I promotori di Charta 77 vennero in vario modo perseguitati, licenziati, inviati a lavori non qualificati, pedinati o arrestati. Il 13 marzo 1977 Jan Patocka, sottoposto per molte ore ad un estenuante interrogatorio nella sede della Stb, ebbe un attacco di cuore e morì.
giovedì 4 gennaio 2007.
 


STORIA

30 anni fa, nella Cecoslovacchia ancora unita e schiacciata sotto il comunismo, veniva diffuso il manifesto di Havel e altri 200

Charta 77, i primi dissidenti

Praga si appresta a celebrare l’anniversario del movimento d’opposizione al regime, che vide fianco a fianco intellettuali laici e uomini di Chiesa

Da Praga Giovanni Bensi (Avvenire, 04.01.2007)

Trent’anni fa nasceva in Cecoslovacchia, allora ancora unita sotto il regime comunista, il primo documento pubblico di protesta in un paese dell’orbita sovietica, e, sulla sua scia, anche il primo movimento organizzato di dissidenza: Charta 77. Nove anni prima, nel 1968, Leonid Brezhnev aveva mandato i carri armati sovietici a schiacciare la "Primavera di Praga", messa in moto da Alexander Dubcek con l’illusione di poter creare un socialismo "dal volto umano". L’illusione era fallita e nel paese regnava la pesante atmosfera della normalizace, la "normalizzazione" imposta dal proconsole sovietico Gustáv Husák.

Charta 77 nacque da un episodio apparentemente banale. Le autorità comuniste, ossessionate dall’ "influsso occidentale", avevano incominciato a perseguitare un innocuo gruppo musicale alternativo, i "Plastic People of the Universe", colpevole di suonare musica rock che trovava molti fan, soprattutto fra i giovani. Nel 1976 la Stb, equivalente del Kgb sovietico, dopo un concerto arrestò quattro membri del gruppo compreso il saxofonista Vrata Brabenec. Le accuse erano di «turbativa dell’ordine pubblico».

Il fatto che il regime arrivasse a prendersela con gente come i "Plastic People" convinse alcuni cechi e slovacchi a pensare che i comunisti stessero perdendo il senso delle proporzioni e che fosse ora di reagire. Il 10 dicembre 1976 cinque intellettuali, il drammaturgo Václav Havel (poi divenuto primo presidente della Cecoslovacchia post-comunista), Jirí Hájek, già ministro degli esteri sotto Dubcek, il giornalista Jirí Dienstbier, lo scrittore Pavel Kohout e l’ex diplomatico Zdenek Mlynar, si riunirono a Praga, in casa del traduttore Jarosláv Koran, e redassero un manifesto in cui accusavano il regime comunista di violare i diritti dell’uomo rinnegando nei fatti i documenti che esso stesso aveva firmato, la Costituzione cecoslovacca, gli accordi di Helsinki e le convenzioni dell’Onu sui diritti politici, civili, economici e culturali.

Il documento venne fatto circolare ed ottenne l’adesione di numerosi esponenti dell’intellettualità cecoslovacca: alla fine di dicembre le firme erano 242, apposte da rappresentanti delle più diverse ideologie. Vi erano comunisti e non comunisti, credenti e non credenti, conservatori e progressisti.

Il 1° gennaio 1977 Havel e altri promotori, fra cui Ludvik Vaculik (già autore del "Manifesto delle 2000 parole") e Pavel Landovsky, cercarono di distribuire il testo alla stampa di Praga e Bratislava, mentre il 7 gennaio il documento fu pubblicato da alcuni giornali occidentali, fra cui Le Monde, il Times e la Frankfurter Allgemeine Zeitung.

Nessun giornale cecoslovacco invece osò pubblicare il manifesto, ma poiché quasi subito si mise in moto la propaganda "anti-Charta" del regime ed il testo del documento fu trasmesso in ceco e slovacco dalle radio occidentali, ben presto il contenuto di Charta 77 divenne di pubblico dominio.

Quando il regime comunista in Cecoslovacchia cadde nel 1989, esso recava ormai le firme di 2000 persone, fra cui anche Václav Malý, vescovo ordinante di Praga, ed il matematico Václav Benda, ora defunto, che dopo la caduta del regime divenne il capo dell’Ufficio per le indagini sui crimini del comunismo.

Fin dall’inizio le posizioni del gruppo Charta 77 erano rappresentate da tre portavoce che venivano rinnovati ogni anno: i primi furono Havel, Hajek ed il filosofo Jan Patocka. Dal manifesto nacque un vero e proprio movimento, aperto a tutte le ideologie, che si proponeva il dialogo con il partito comunista ed il governo al fine di realizzare nel paese la difesa dei diritti.

Il regime comunista tuttavia trattò Charta 77 come se fosse stato un pericoloso covo di sovversivi e terroristi, reagendo di conseguenza. Così già il 12 gennaio il Rudé Pràvo, organo del Pcc, accusava i promotori del manifesto di essere «al servizio dell’anticomunismo e del sionismo».

I promotori di Charta 77 vennero in vario modo perseguitati, licenziati, inviati a lavori non qualificati, pedinati o arrestati. Il 13 marzo 1977 Jan Patocka, sottoposto per molte ore ad un estenuante interrogatorio nella sede della Stb, ebbe un attacco di cuore e morì. Il 17 e 18 ottobre si svolse il primo processo contro quattro "chartisti" a Praga (altri sarebbero seguiti in altre città).

Le accuse furono di "sovversione" "attività controrivoluzionaria" e introduzione clandestina di letteratura anticomunista nel paese. Havel fu condannato a 14 mesi, Gli altri tre imputati, Ota Ornest, Jiri Lederer e Frantisek Pavlicek ebbero condanne da 17 mesi a 3 anni e mezzo. Molti firmatari di Carta 77, come Pavel Kohout, furono mandati in esilio e privati della cittadinanza.


Sul tema, nel sito, si cfr.:

Federico La Sala


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