Politica internazionale

LA FRANCIA, L’ITALIA, E L’ EUROPA - L’ EUROPA!!! "Parlare d’Europa è importante, perché nessun paese diverrà, da solo, autonomo dagli Stati Uniti. Tanto più essenziale è la malattia francese, che dovrebbe di questi tempi inquietarci". La sollecitazione e l’"analisi" di Barbara Spinelli - a cura di pfls

François Bayrou ripropone la figura di Enrico IV (Le Roi Libre, Il re libero): "un mito ben più promettente, non solo per la Francia ma per gli europei, dell’icona nazionalista e consolatrice di Giovanna d’Arco".
domenica 4 marzo 2007.
 
[...] Il discorso di D’Alema sulla politica estera, il 21 febbraio al Senato, è significativo: se c’è una discontinuità nella politica del presente governo, essa non si esprime solo nei rapporti con Bush ma soprattutto, forse, con l’Unione europea. Una discontinuità, quest’ultima, su cui si sorvola e che tuttavia è fondamentale: Prodi ha ricominciato un’alleanza con Francia e Germania e non punta più sull’Inghilterra, dunque su un’Europa debole. Due siti italiani dedicati alla politica internazionale evocano, con argomenti convincenti, questa seconda discontinuità trascurata: il sito dell’Istituto affari internazionali, in un articolo di Gianni Bonvicini (affarinternazionali.it), e quello di Contropagina, nell’editoriale del 1° marzo (contropagina.com)[...]

Enrico IV contro la pulzella

di Barbara Spinelli (La Stampa, 4/3/2007)

Siamo talmente abituati a introspezioni più o meno nauseate, in Italia, che quasi non ci accorgiamo di quel che accade attorno a noi: delle patologie di altri Stati europei, spesso molto più pietrificate delle nostre. Della stasi che accartoccia l’Unione, originata non dalla nostra anormalità ma dalla ben più deleteria anomalia di paesi che hanno il potere storico di fare e disfare l’Europa, come la Francia.

L’America sembra l’unico nostro metro, l’unico criterio per valutare Prodi e la sua discontinuità rispetto a Berlusconi, ma questa concentrazione esclusiva sul lontano cancella il vicino e paradossalmente acuisce i provincialismi di introspezioni sempre più ideologizzate.

Il discorso di D’Alema sulla politica estera, il 21 febbraio al Senato, è significativo: se c’è una discontinuità nella politica del presente governo, essa non si esprime solo nei rapporti con Bush ma soprattutto, forse, con l’Unione europea. Una discontinuità, quest’ultima, su cui si sorvola e che tuttavia è fondamentale: Prodi ha ricominciato un’alleanza con Francia e Germania e non punta più sull’Inghilterra, dunque su un’Europa debole. Due siti italiani dedicati alla politica internazionale evocano, con argomenti convincenti, questa seconda discontinuità trascurata: il sito dell’Istituto affari internazionali, in un articolo di Gianni Bonvicini (affarinternazionali.it), e quello di Contropagina, nell’editoriale del 1° marzo (contropagina.com).

Parlare d’Europa è importante, perché nessun paese diverrà, da solo, autonomo dagli Stati Uniti. Tanto più essenziale è la malattia francese, che dovrebbe di questi tempi inquietarci.

È una malattia profonda, che nasce al tempo stesso da una incaponita sopravvalutazione della propria potenza nazionale e da una non meno proterva indifferenza a quel che Parigi può fare attraverso e con l’Europa. E’ in crisi l’idea che i francesi hanno della propria presunta, eccezionale grandezza. Sono in crisi ambedue gli schieramenti che in alternanza la governano, a destra e sinistra, e di conseguenza traballano anche bipolarismo, legge elettorale, Quinta Repubblica di De Gaulle.

Quando in Italia parliamo di legge elettorale francese tendiamo a dimenticarlo: bipolarismo e maggioritario, in Francia, favoriscono alternanze che oggi sono claudicanti e controverse. Fra poche settimane i francesi andranno al voto, e il 6 maggio (dopo un primo turno il 22 aprile) conosceremo il nuovo Presidente. Si scontrano due blocchi, come avviene da quasi mezzo secolo, capeggiati a destra da Nicolas Sarkozy e a sinistra da Ségolène Royal. Tutto sembra eguale ma molto è in realtà mutato.

I leader degli schieramenti raccolgono consensi lottando contro gli apparati, che sono la stoffa di cui sono fatti i blocchi. Hanno ambedue personalizzato la battaglia, presentandosi come figure irregolari e provvidenziali. Ma le malattie di destra e sinistra le sfruttano senza denunciarle, e di fatto le perpetuano.

Non così il terzo uomo, che d’un tratto disturba il duello ed è il centrista François Bayrou. Non è detto che riuscirà, ma già gli attribuiscono il 19% e con la sua mera presenza svela il male e lo conferma. Il male costantemente indicato da Bayrou è il bipolarismo quale oggi vige in Francia, sempre più impotente. Esso non produce più, portando alla ribalta le ali moderate dei due blocchi, dirigenti che dicano la verità sul paese e ne traggano conseguenze politiche.

Sono queste due ali, solitamente creatrici e riformatrici nei sistemi bipolari, che in Francia nascondono l’enormità del deficit pubblico e lo svanire del prestigio mondiale del paese. Che non sono fedeli agli ideali laici e repubblicani, proprio perché li sbandierano come inossidabili. La Francia oggi si chiude, ha diffidenza di tutto, di tutti.

L’Italia è un paese anormale, con Prodi che governa con le sinistre estreme? Quando ascoltiamo simili luoghi comuni faremmo bene a ricordare che in Francia il gollista Sarkozy non può usare la parola equità, senza esser subito accusato di depennare la giustizia. Che Chirac pare attratto da un singolare cupio dissolvi anticapitalista quando dice: «Il liberalismo, come il comunismo, è una perversione del pensiero umano» (Pierre Péan, L’Inconnu de l’Elysée, Fayard 2007).

La Francia ha la sensazione e l’incubo di essere una eroica nazione invasa dallo straniero e non a caso il mito di Giovanna d’Arco, che Ségolène adora incarnare, è tanto forte. La santa fu chiamata «patrona degli invasi» poco dopo la sconfitta inflitta dalla Prussia, a Sedan nel 1870, e da allora mortificazione e angoscia da usurpazione affliggono il paese a intervalli regolari.

La tesi di Bayrou è che la divisione fra due blocchi non favorisce più autentiche alternanze, ma un monotono avvicendarsi di immobilismi e nazionalismi, anche in presenza di progetti diversi: Sarkozy e Ségolène Royal fingono il nuovo, la rottura, ma la loro non è neppure contrapposizione destra/sinistra, tanto sono fossilizzate entrambe le famiglie politiche. Solo un leader politico che metta insieme le forze migliori di destra e sinistra - questa la conclusione di Bayrou - saprà estrarre i francesi dal marasma. Nei sondaggi lo sfidante centrista è ben più popolare dei due contendenti che presumono, con l’aiuto di apparati detestati ma preziosi, di fronteggiarsi nel turno finale.

Bayrou ha successo perché la sua proposta non è magari vincente ma ha un vantaggio considerevole. Parte dall’idea che la Francia sia veramente in decadenza, isolata in Europa e nel mondo, e che tale decadenza vada ammessa e spiegata. Prende sul serio il mal-essere di esclusi ed élite. Trae una lezione politica, istituzionale, culturale, dai sussulti che hanno costellato la vita francese negli ultimi anni: il trionfo di Le Pen e la scomparsa dei socialisti al primo turno nelle presidenziali del 2002, il no irato alla Costituzione europea nel maggio 2005, le banlieue in rivolta nel novembre 2005, la collera di istituzioni repubblicane d’improvviso sprezzate come l’educazione nazionale. Da questa strage di illusioni e speranze si esce con figure stile Giovanna d’Arco o con l’invenzione di nuove forme della politica: ma sempre strage è, e come tale va analizzata.

Il Terzo Uomo è conosciuto per il suo impegno europeista. È vicino al federalismo, al socialista Delors, e il premier che nominerebbe - ha detto - sarebbe «un Delors giovane». L’europeismo per ora lo dissimula, ma già oggi esso influenza i contendenti e Sarkozy sembra riconoscerne la forza: negli ultimi giorni ha adombrato svolte importanti, dicendosi favorevole a una costituzione snellita e ratificata in Parlamento, che abolisca il diritto di veto nell’Unione e faciliti la nascita di una difesa europea indipendente dall’America, non identica con le politiche della Nato.

La cecità delle sinistre e delle destre è quella di sempre: il bipolarismo non si tocca, anche se barcolla. Ha le parvenze della Bellezza che Baudelaire descrive nei Fiori del Male: «troneggia nell’azzurro quale Sfinge incompresa», «odia ogni movimento che scompone le linee», e «mai piange, mai ride», nell’inerzia dell’immobilità. Bayrou promette invece di scomporre le linee, magari reintroducendo un 50% di proporzionale, pur di metter fine alla stasi.

Il socialista François Hollande è cieco, quando dice che «tra destra e sinistra non c’è nulla», e che dunque il 19% del Terzo Uomo equivale a zero. È come quando Malraux, ministro delle Cultura di De Gaulle, ignorava le sinistre non comuniste e proclamava con arrogante compiacimento che «tra noi gollisti e i comunisti, non c’è nulla».

L’eccezionalità francese svanisce: questa la verità che Bayrou dice tra le righe. Non si tratta di trasferire all’Europa le sovranità nazionali, perché le sovranità da trasferire son dissolte e semmai urge recuperarle tramite l’Europa. Parigi non è neppure efficace: non trascina gli alleati, non pensa, non guida. Opporsi alla guerra in Iraq fu gesto lucido, ma l’Eliseo non costruì su tale veggenza una politica.

Criticare il nazionalismo dei nuovi venuti a Est fu giusto, considerato l’antieuropeismo di Varsavia e Praga, ma fu veggenza che produsse solo risentimento nelle marche di confine dell’Unione. Lo stesso tandem con Berlino stagna: da anni viene usato per bloccare l’Europa, non per crearla. La Francia è nazione indispensabile nell’Unione: tutto quel che è stato costruito lo si deve a lei; tutto quel che è stato smantellato lo è stato a causa sua, dall’Europa della Difesa nel ’54 alla Costituzione nel 2005. Tanto più cruciale è il voto che sceglierà la successione di Chirac.

Vale la pena ricordare che Bayrou ha scritto, nel ’94 per Flammarion, un libro su Enrico IV (Le Roi Libre, Il re libero). Enrico IV fu il monarca che sacrificò la personale fede protestante, per il bene pubblico e la fine di una sanguinosissima guerra di religioni. Il suo editto di Nantes fu l’inizio di una storica riconciliazione, e della nascita dello Stato laico in Francia. È un mito ben più promettente, non solo per la Francia ma per gli europei, dell’icona nazionalista e consolatrice di Giovanna d’Arco.


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