Europa

Non alzare bandiera bianca

L’editoriale di Sergio Romano, sopra il Corriere della Sera di oggi, sul caso del referendum in Francia
lunedì 30 maggio 2005.
 

di SERGIO ROMANO

Corriere della Sera (www.corriere.it)

La gravità di una crisi si misura in ultima analisi dalla reazione di coloro che ne sono colpiti. Quella che è scoppiata ieri in Europa dopo il deciso no francese alla costituzione dell’Unione è certamente grave, ma non è la sola che il processo d’integrazione ha dovuto affrontare nel corso della sua storia. Vi sono stati altri momenti drammatici: il voto contro la ratifica della Comunità europea di Difesa al Parlamento francese nell’agosto del 1954, la «sedia vuota» della Francia al Consiglio della comunità dal luglio all’ottobre del 1965, il no della Danimarca al trattato di Maastricht nel giugno del 1992, il no dell’Irlanda al trattato di Nizza nel giugno del 2001. In ciascuno di questi casi l’Europa ha evitato il collasso o la secessione, ha ricucito lo strappo, ha trovato soluzioni intelligenti e inventato nuovi percorsi. Il primo problema da affrontare oggi (un problema da cui dipende per molti aspetti l’evoluzione della crisi) è la continuazione del processo di ratifica nei Paesi in cui non si è ancora votato. Il caso è previsto in una dichiarazione allegata alla Costituzione: se al termine di un periodo di due anni a decorrere dalla firma del trattato, i quattro quinti degli Stati (quindi 20 su 25) hanno ratificato e «uno o più Stati membri hanno incontrato difficoltà nelle procedure di ratifica», la questione passa al Consiglio europeo. Qualcuno sostiene che il no della Francia rende questo percorso inutile e persino dannoso. L’esempio di Parigi potrebbe contagiare un gran numero di Paesi e rendere la crisi irreversibile. Il governo britannico, in particolare, sarebbe lieto di rinunciare al proprio referendum e di sottrarsi così a una prova difficile. Ma in un saggio pubblicato dall’Istituto affari internazionali due studiosi, Gian Luigi Tosato ed Ettore Greco, sostengono con buoni argomenti che l’interruzione sarebbe ingiustificata e ricordano che il no della Danimarca e dell’Irlanda non bloccò la ratifica dei trattati di Maastricht e Nizza. Credo che abbiano ragione. I Paesi che hanno già ratificato sono nove e comprendono, tra gli altri, due Stati fondatori: Italia e Germania. Se noi chiudessimo la partita oggi commetteremmo almeno quattro errori. Daremmo alla Francia, implicitamente, un diritto di veto. Daremmo uno schiaffo alla Danimarca e all’Irlanda. Svaluteremmo il voto di coloro che hanno già ratificato. E regaleremmo alla Gran Bretagna (un Paese da sempre «bifronte», mezzo europeo, mezzo atlantico) il diritto di sottrarsi impunemente all’ora della verità. Se continueremo il processo di ratifica, invece, raggiungeremo almeno due risultati: avremo una radiografia completa dell’Europa e, soprattutto, obbligheremmo la Francia, nel frattempo, a valutare responsabilmente il peso delle proprie decisioni. Il no francese è un pot pourri di sentimenti, pregiudizi e valutazioni contraddittorie. Spetta al governo francese, dopo tutto, decidere quali siano le critiche di cui intende tener conto e quali quelle che considera irricevibili. A noi, nel frattempo, spetta tenere viva la prospettiva della costituzione senza fasciarci la testa prima di averla rotta.


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