La pellicola con Raz Degan è quasi il testamento artistico del regista
"Centochiodi", l’ultima volta di Olmi
è un film spirituale e realista
di ROBERTO NEPOTI *
Dopo aver trafitto con grossi chiodi i preziosi manoscritti di una biblioteca universitaria, un giovane professore di filosofia dell’università di Bologna fa perdere le proprie tracce; poi si nasconde in un rudere lungo l’argine del Po. Dato alle fiamme il trattato che gli ambienti accademici attendevano da lui, l’uomo (che per tutto il film resterà innominato) intreccia nuovi rapporti con gli abitanti del posto: una piccola fornaia che se se innamora, un postino, i componenti di un insediamento abusivo, gente semplice e benevola per la quale il tempo s’è fermato. Quando la "civiltà" si fa viva è per turbare la quiete, portando le ruspe e chiedendo conto dell’operato del professore.
Ermanno Olmi ha annunciato che Centochiodi sarà la sua ultima opera narrativa; poi, tornerà ai documentari con cui iniziò l’attività registica. Ci auguriamo che non vada così; e tuttavia questo ha tutti i caratteri di un film testamento: per il soggetto che propone, per la lucidità con cui lo affronta, per lo stile eccezionalmente maturo che coniuga una spiritualità e una concretezza d’immagine rare a trovarsi al cinema.
Olmi ha il coraggio di mettere in scena un nuovo apologo su Gesù Cristo con un impeto polemico che evoca Dostoevskij, una nitidezza d’immagini che fa pensare a Bresson, una leggerezza danzante vicina a Fellini (non è un piccolo "Rex" quel lontano battello che solca ripetutamente il fiume, sulle note di "Non ti scordar di me"?). Dietro le immagini serene della vita di paese, o lo sguardo limpido di un sorprendente Raz Degan, trapela un’invettiva senza acrimonia ma determinata, dura e pura, contro coloro che manipolano il senso della vita, della fede ("Le religioni non hanno mai salvato il mondo" è l’exergo del film), dei libri.
Tutt’altro che predicatorio, il misticismo del regista lombardo ha questo d’impagabile: saperci raccontare di un Cristo quotidiano, che potremmo incontrare in un giorno e in un luogo qualsiasi, con la più assoluta naturalezza, rendendocelo familiare e facendo di noi amici tra i suoi amici. Olmi ci lascia con un compito di enorme responsabilità: scegliere l’amore anziché l’odio, la pace al posto della guerra dipende unicamente da noi.
CENTOCHIODI
Regia di ERMANNO OLMI
Con RAZ DEGAN, LUNA BENDANDI, AMINA SEYD
* la Repubblica, 30 marzo 2007
CENTOCHIODI
Ieri l’altro sono andato a vedere il film di Olmi “Centochiodi”.
Mi è piaciuto, e molto! Al di là della fotografia, stupenda, come sempre, è tutto il discorso che intercorre tra la grandiosa scena dei libri crocifissi e il malinconico sentiero illuminato come per accogliere qualcuno ma dal quale non arriva nessuno! Secondo Carlo Petrini, su Repubblica di ieri, Olmi sembra dirci che “la vera sapienza, quella che davvero serve e ci aiuta a vivere, sta nelle relazioni, nei nostri comportamenti, nei nostri sentimenti, non in quello che scriviamo e leggiamo. Non è lì la verità, ma dentro di noi”.
La critica di Olmi è contro la “feticizzazione” della cultura, contro la “ipostatizzazione” della religione da biblioteca e contro il “divismo” gerarchico.
“La religione non salva”, grida il professore di filosofia che lascia la cattedra e va abitare in una cascina fatiscente!
La religione che si fissa sui libri e dimentica le persone non salva!
Il “dio” prigioniero della verità scritta è un dio omicida.
La vita è altrove.
Un abbraccio
Aldo [don, Antonelli]