Lo stabilimento è andato distrutto
Treviso: escluso pericolo diossina
Trenta vigili del fuoco al lavoro tutta la notte per spegnere l’incendio. Non c’è stata dispersione della sostanza tossica *
TREVISO - È proseguito durante tutta la notte e andrà avanti almeno per’l’intera giornata il lavoro dei vigili del fuoco per spegnere gli ultimi focolai dell’incendio che ha distrutto lo stabilimento De Longhi di Treviso. Sono impegnati una trentina di pompieri. Le analisi, dopo i timori che si erano diffusi in un primo tempo, avrebbero completamente escluso che nell’area ci sia stata dispersione di diossina in seguito al rogo di materiale plastico. Nello stabilimento lavoravano circa 800 persone tra operai e impiegati, ma nessuno ha riportato conseguenze.
* Corriere della Sera, 19 aprile 2007
Pompieri l lavoro per tutta la notte. Prefettura esclude rischio diossina
TREVISO. Sono ancora al lavoro i vigili del fuoco di Treviso tra le macerie dello stabilimento Dè Longhi a Silea (Treviso), distrutto completamente dalle fiamme ieri pomeriggio. I pompieri stanno domando piccoli focolai che ancora ardono tra ciò che resta della grande fabbrica che produce piccoli elettrodomestici, una delle aziende più importanti d’Europa nel campo del riscaldamento e della climatizzazione.
E il giorno dopo l’allarme è il momento delle indagini. Sull’accaduto è stata aperta un’inchiesta da parte della Procura di Treviso, indagine coordinata da Francesco Giovanni Cicero che sta acquisendo tutti i risultati delle perizie già effettuate dagli esperti sul luogo del disastro. L’intera fabbrica è stata posta sotto sequestro. L’ipotesi più verosimile è quella di un cortocircuito che ha innescato il rogo nel magazzino, investendo gli elettrodomestici in plastica e gli imballaggi di cartone e polistirolo. in poche ore sono andati a fuoco 30 mila mq di stabilimento. Tutto distrutto, salvo gli uffici amministrativi salvati in extremis dai pompieri.
È stata escluso definitivamente l’allarme nube tossica: per tutto il pomeriggio di ieri sopra la città - che dista solo 3 km dallo stabilimento - è rimasta sospesa a mezz’aria una nuvola nera e densa sprigionatasi dal rogo della fabbrica. Il prefetto Vittorio Capocelli ha dato disposizione di allertare la popolazione invitandola a non uscire di casa, a non aprire le finestre.In serata, dopo gli accertamenti dell’Arpav, l’agenzia regionale per l’Ambiente, sono arrivate le rassicurazioni ufficiali. Niente pericolo diosssina come si temeva, anche se la nube, che in serata ancora gravava sulla città, faticava a dissolversi e continuava a vedersi anche a parecchi km di distanza.
Oggi Treviso si risveglia dopo un incubo e restano le disposizioni della Prefettura: studenti e bambini dovranno restare chiusi nelle scuole e non potranno andare nei cortili, si invita a non consumare ortaggi e verdure raccolte nella zona dell’incendio. Giuseppe Dè Longhi, titolare dell’azienda, ha già rassicurato il migliaio di operai che temono per il loro posto di lavoro: oggi ci sarà una riunione d’emergenza per mettere a punto un piano e far ripartire l’attività in un’altra sede vicina, a Mignagola. «L’importante è che nessuno si sia fatto male - ha detto Bepi Dè Longhi che proprio ieri stava concludendo l’assemblea degli azionisti - siamo pronti a ripartire. È stata una disgrazia».
* La Stampa, 19/4/2007 (9:37)
Allarme diossina a Treviso per il rogo della fabbrica della De Longhi *
Allarme diossina a Treviso, dove mercoledì è andato a fuoco lo stabilimento De Longhi: quarantamila metri quadri. La popolazione della città è stata in parte allontanata dalle abitazioni più vicine alla zona dell’incendio dove insiste una nube di denso fumo nero in parte invitata a barricarsi dentro casa. Chiusi dentro, finestre e porte il più possibile sigillate, spenti i condizionatori. È l’invito congiunto di Prefettura e Vigili del Fuoco. Lo stesso Prefetto ha sottolineato che sono stati organizzati dei mezzi per permettere agli abitanti di allontanarsi dalla zona del rogo della De Longhi.
Sono stati anche allestiti due campi di raccolta degli "sfollati". Il primo si trova presso la Chiesa Votiva, vicino all’ospedale del Cà Foncello, mentre l’altro è stato organizzato presso la sede della Protezione Civile, poco distante dallo stadio comunale. Ne ha dato notizia il sito internet del Comune.
Lo stabilimento andato in fiamme è quello che produce gli elettrodomestici De Longhi. E secondo alcune testimonianze, ed in seguito anche ad un sopralluogo dei Carabinieri del Noe,il fumo liberato dagli elettrodomestici stoccati in azienda, sopratutto in plastica sarebbe effettivamente ricco di diossina. L’allarme ha fatto venire alla mente le terrificanti immagini del disastro Seveso, a trentuno anni da quel immane tragedia ambientale. Ma l’Arpav, l’agenzia regionale per l’ambiente del Veneto, ha esaminato il materiale incendiato con una squadra di esperti ed esclude che vi sia un serio rischio per la popolazione, anche se gli esami definitivi saranno disponibili solo in serata.
Gli abitanti di Treviso sono stati comunque allertati in via cautelare dagli altoparlanti piazzati sulle auto della Protezione civile, che invitano , appunto, a non uscire per strada o in terrazzo ma a rimanere tappati in casa per non inalare i fumi potenzialmente tossici.
Tutto ciò mentre sfrecciano i mezzi dei pompieri ancora impegnati a cercare di spegnere il rogo. Tra i numerosi mezzi al lavoro per domare l’imponente incendio che ha distrutto lo stabilimento è stato notato anche quello che trasporta il Nucleo Batteriologico Chimico Radioattivo-Nbcr, inviato da Venezia.Proprio i pompieri veneziani spiegano che il compito dell’unità Nbcr è quello, a Treviso, di portare supporto ed effettuare dei campionamenti vista la nube che insiste sulla città.
Secondo quanto si è appreso il pericolo, nella zona dell’incendio, è solo per coloro che si sono trovati a respirare sotto la cappa di denso fumo nero che, fortunatamente, grazie a favorevoli condizioni meteo, non viene spostata ma dispersa nell’atmosfera. Si tratta di una colonna di fumo alta decine di metri ma che dopo poche ore si è andata abbassando, segno appunto che si starebbe dissolvendo. La diossina però è un gas tossico e mutageno che persiste per decenni nell’ambiente contaminato. Nel suolo e nelle falde acquifere. E infatti anche a Treviso l’allarme è scattato anche per l’inquinamento delle acque superficiali.
Il ministro dell’ambiente Alfonso Pecoraro Scanio segue la situazione in contatto permanente con il comando del Noe, i carabinieri per la tutela ambientale, e l’Apat. E è su indicazione del ministro, l’Apat ha inviato dei tecnici sul posto per raccogliere, in accordo con Arpa veneto, tutti i dati necessari per stabilire le proporzioni del disastro.
* l’Unità, Pubblicato il: 18.04.07, Modificato il: 18.04.07 alle ore 20.11
TREVISO: INCENDIO DE LONGHI, DA ULTIME ANALISI PRESENZA DIOSSINA SOLO IN AREA ROGO
DATI DIFFUSI DA ARPAV
Treviso, 19 apr. - (Adnkronos) - Sono stati diffusi i risultati delle analisi dell’aria attorno al perimetro della De Longhi, l’azienda di elettrodomestici andata a fuoco a Treviso ieri. Secondo quanti riferisce l’Arpav, sulla base di due misurazioni prese in esame, e’ stata rilevata la presenza di diossina. Il picco massimo, rilevato attorno a mezzanotte, e’ stato di 270 picogrammi. Una seconda rilevazione, fatta verso l’alba, ha invece segnalato un concentrazione pari a 220 picogrammi. Si tratta di valori superiori al picco massimo consentito ma limitati alla zona del rogo.
Le testimonianze «Lì stava scoppiando tutto: temevamo un’altra Seveso»
«Ci hanno detto di uscire perché c’era un incendio. In due minuti, si è scatenato l’inferno, mai vista una cosa simile» *
TREVISO - «Fuori! Allontanatevi tutti, presto!». Senza divisa né tuta da lavoro, corre come forsennato lungo via Seitz. Sono le 13.40. Il volto madido, la cravatta allentata, grida allargando le braccia quasi a voler spingere la fiumana di tute blu che si allunga dalla colonna di fumo alla strada. È Fabio Peressini, il direttore del personale. Sta spingendo i «suoi» dipendenti. Deve fare in fretta. Deve avvisarli tutti, uno ad uno, i «suoi» operai che stanno fermi, impietriti, a osservare fiamme e fumo che si levano in cielo. «Non possiamo stare qui, dobbiamo allontanarci, via via, siamo evacuati tutti, ce l’abbiamo fatta, maadesso dobbiamo andarcene anche dalla strada». Striglia e conforta, sbraita e rassicura, ché è andata bene. Anche se il peggio deve ancora venire. La sua voce si confonde tra le sirene e si rompe ad ogni esplosione.
Uno, due, cinque botti in rapida successione. La De Longhi brucia, le macchine esplodono. «Lì dentro è un inferno, mai vista una cosa simile», sussurra un vigile del fuoco mentre affonda la pompa di rifornimento della cisterna nelle acque del canale dello Storga. Nei primi minuti, quella dallo stabilimento in fiamme, assomiglia a una processione di operai e residenti.
Increduli tecnici e impiegati, terrorizzata la gente, per lo più donne con in braccio bambini da portare al sicuro. Walter Crosato è uno dei primi a fuggire in strada. «Ho sentito un collega che mi diceva di uscire e poi le sirene dell’allarme antincendio- racconta l’operaio, da 27 anni nello stabilimento di via Seitz -. Ho pensato al disastro di Seveso, ho mollato tutto e sono corso fuori». «Ero in mensa con gli altri impiegati -spiega Paola -, ci hanno fatto uscire subi to, ci hanno detto che era scoppiato un incendio, ma non pensavo una cosa del genere ».
Mohamed Kabah è uno dei tanti immigrati approdati nelle catene di montaggio dell’azienda trevigiana di elettrodomestici. In via Seitz da sei anni si divide tra i turni in fabbrica e un appartamento affittato con altri connazionali. «Siamo usciti subito, io non ho avuto paura ma non so se ci sia gente ancora dentro». Il suo amico Mustapha allarga le braccia. «Questo vuol dire che ho perso il lavoro? Oggi era il mio primo giorno». Perché alla paura, tra i circa mille dipendenti della De Longhi, con il passare del tempo, si aggiunge la preoccupazione.
Seduti ai bordi della strada, decine di operai attendono silenziosi. Più del timore che il fumo li raggiunga, può l’ansia di sapere se lì dentro qualcosa si è salvato. Ad un certo punto, al passaggio dei primi mezzi di rimozione, un giovane esulta. «Eccola, è lei, la mia macchina, me l’hanno salvata ». Paolo invece sta a guardare, con gli occhi rossi e lucidi. «Sono qui dal 1981 - racconta -e non mi capacito di ciò che è successo. In due minuti, 120 secondi, si è scatenato l’inferno: un collega carrellista mi è venuto incontro urlando "al fogo, al fogo!".
Istintivamente ho preso gli estintori e sono corso verso il magazzino ma non sono riuscito nemmeno ad avvicinarmi. Ora non c’è niente da fare, solo aspettare». A rompere gli indugi sono gli altoparlanti delle macchine della polizia: «Rientrate in casa e chiudete le finestre, toglietevi dalla strada ed entrate in luoghi chiusi». Su via Seitz il silenzio.
Valentina Dal Zilio
* Corriere della Sera, 19 aprile 2007
Treviso: brucia un’altra fabbrica
Un nuovo incendio è scoppiato questa mattina attorno alle 11 nella zona industriale della città *
TREVISO. Un nuovo incendio è scoppiato questa mattina attorno alle 11 a Treviso, nella zona nord-est della città, in una fabbrica di gommapiuma. Sono intervenuti sul posto diverse squadre dei Vigili del fuoco anche da altre città (Vittorio Veneto, Montebelluna). Al momento, da quanto riferiscono fonti dei Vigili del fuoco, non si segnalano feriti.
L’area dove si è sviluppato l’incendio si trova nelle vicinanze di deposito di Gpl. Sono in corso, intanto, le attività dei Vigili del fuoco anche sullo stabilimento della De Longhi, dove ieri era scoppiato un incendio di vaste proporzioni che ha interessato un’area di circa 30mila metri quadrati dello stabilimento.
* La Stampa, 19/4/2007 (12:13)
"Dalla finestra sembrava il fungo di Hiroshima"
Un interminabile pomeriggio di angoscia a Treviso
di FABIO POLETTI, INVIATO A TREVISO *
In via Francesco Da Milano le tapparelle sono abbassate. Dietro i vetri chiusi si intravede un filo di luce e la gente che guarda fuori dalle finestre il buio e il nulla di questa colonna di fumo. «Sembra il fungo di Hiroshima...», dice un ragazzo mentre si infila veloce nel portone, il fazzoletto imbevuto d’acqua per combattere questo sapore acre che ti prende la gola, ancora adesso che sono passate più di sei ore. Non è Hiroshima, è Treviso, poteva essere Seveso. La De Longhi che va a fuoco, fabbrica sicura ma troppo polistirolo e plastica che provoca diossina. Una nube alta 600 metri nel cielo, che la si vede dalla laguna di Venezia e su fino a Conegliano, a 40 chilometri di distanza. Un incendio scoppiato sul tetto dove alcuni operai stavano lavorando per impermeabilizzare il capannone. Un incendio che scoppia - «Abbiamo sentito tre boati, era l’ora del telegiornale» - e che si mangia 30 mila metri quadrati di stabilimento. Ma quello che è peggio è la colonna di fumo che prima si alza nel cielo e poi spinta dai venti sembra mangiarsi Treviso.
Due ore dopo qualcuno teme l’Apocalisse. Il comandante dei carabinieri del Noe per il Nord Italia, Michele Sarno, dice che sta accadendo il peggio del peggio: «La nube sta portando su Treviso un’abbondante quantità di diossina. E’ un fatto naturale, quando si bruciano materie plastiche». Parole di un tecnico, eccessivamente zelante, si scoprirà poi, ma a tutti viene in mente una cosa sola: il viso devastato dalla cloracne di quella bambina troppo vicina alla fabbrica Icmesa di Seveso, luglio di 31 anni fa. Che possa succedere lo stesso agli abitanti di queste casette a due piani, grigie come è grigia la fabbrica di fronte? O agli alunni della scuola elementare dove i bambini giocavano in giardino, quando dall’altra parte della strada è iniziato il finimondo, con le fiamme alte e il fumo che viene su che sembra un fungo velenoso?
«Speriamo di no...», dice l’operaio Lorenzo Cescon, il cappello degli alpini in testa, la divisa della Protezione civile addosso, la maschera antigas sul volto - «E’ quella che uso quando lavoro nella mia fabbrica, reparto verniciatura» - e i pensieri che girano nella testa. Comandato per ore a stare qui, ad accompagnare gli inquilini delle case più vicine fatte evacuare per precauzione e a non far passare più nessuno, nemmeno i curiosi che non si accontentano delle riprese al telegiornale. Con l’alpino Cescon all’inizio di via Francesco da Milano ci sono tre carabinieri, le mascherine di carta, quelle che vanno bene quando c’è un po’ di smog in città, mica questa nube nera bucata dagli elicotteri che le passano in mezzo per analizzare il concentrato di polveri e materie chimiche.
Sembra Hiroshima ed invece è solo Treviso. I vigili del fuoco e gli esperti del Nucleo chimico, batteriologico e radioattivo si muovono tra i capannoni che bruciano per ore. Nella zona rossa ci possono stare solo loro. Ma il peggio è quello che potrebbe capitare nella zona gialla e bianca, quella dove ci sono le case con i giardini tenuti in ordine, i bambini che vanno in bicicletta, le donne che tornano dalla spesa e i papà che chiamano dall’ufficio e a casa non risponde più nessuno. «Ci hanno fatto evacuare, speriamo che non sia per sempre...», è terrorizzata una donna, mentre tira una valigia con le rotelle e in una mano porta due sacchetti di plastica del supermercato con dentro la prima risposta a questa emergenza. Cosa mettere in salvo: i vestiti buoni o gli oggetti preziosi? I ricordi di una vita o i libri di scuola del bambino?
Il «Ducato» della Protezione civile e il fuoristrada «Defender» con le insegne bianche e gialle e le luci arancioni girano piano nel quartiere appena fuori dal centro di Treviso, zona Fiera si chiama, e su un campetto spelacchiato ogni tanto ci sono le giostre. Per il resto solo capannoni. I più grandi sono quelli della De Longhi condizionatori, l’emblema del fresco, un paradosso davanti a queste pareti di cemento e di materiale prefabbricato sciolto per il troppo calore. Dai mezzi della Protezione civile gli altoparlanti ripetono la stessa litania: «Non uscite di casa, tenete le porte chiuse, se avete fatica a respirare mettete acqua su un panno e avvicinatela al viso». Le strade sono deserte come se ci fosse il coprifuoco, la nube di fumo sembra Hiroshima e invece è solo Treviso.
Vicino all’ospedale di Ca’ Foncello dove c’è la Chiesa votiva si alzano le tende per gli sfollati. Poco distante dallo stadio c’è un altro accampamento. Alla fine rimarranno quasi vuoti. Anche gli ospedali dove all’inizio era scattato l’allarme rosso, alla fine registrano poca cosa. Otto persone intossicate, ricoverate e subito dimesse. Qualche anziano con problemi respiratori, una donna in crisi di panico e un vigile tenuto in osservazione. Alle 17 e 40 l’Arpav emette un bollettino che a tutti fa tirare un sospiro di sollievo: «L’acido cloridrico e gli Ipa presenti nella colonna di fumo che si è prodotta non sono in concentrazioni tali da creare problema alla cittadinanza. La nube si sta spostando in direzione opposta alla città». I venti tirano verso Montebelluna, ma non c’è pericolo nemmeno lì. L’operaio Lorenzo Cescon non si toglie la maschera antigas nemmeno adesso che le 15 squadre dei vigili del fuoco hanno quasi avuto ragione delle fiamme. Le tapparelle rimangono abbassate. Per vedere quello che succede a 100 metri, i prigionieri nelle loro case si accontentano della televisione.
* La Stampa, 19/4/2007 (7:19)