Crediti scolastici ed insegnamento della religione cattolica
Fioroni ricorre al Consiglio di Stato
Comunicato urgente della Consulta romana per la laicità delle istituzioni
31-mag-2007 12.06
Consulta Romana per la Laicità delle Istituzioni
Associazione nazionale per la Scuola della Repubblica
CIDI - Centro d’iniziativa democratica degli insegnanti
CRIDES - Centro romano di iniziativa per la difesa dei diritti nella scuola
Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"
Fondazione Critica Liberale
Gruppo Martin Buber-ebrei per la pace
Associazione Italialaica.it
Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni
Associazione XXXI Ottobre per una scuola laica e pluralista
CIEI - Comitato Insegnanti Evangelici
Democrazia Laica
Comitato bolognese Scuola e Costituzione
ASSUR Associazione Scuola Università Ricerca
Federazione Chiese Evangeliche in Italia
AFFI - Associazione Federativa Femminista Internazionale
UCEI - Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Comitato Torinese per la Laicità della Scuola
Comitato Scuola e Costituzione
Comunicato
Il Ministro della Pubblica Istruzione ha deciso di ricorrere al Consiglio di Stato invece di recepire l’ordinanza del TAR Lazio che sospendeva l’art. 8, parr. 13-14, dell’Ordinanza Ministeriale n. 26 del 15 marzo 2007 perché "sul piano didattico, l’insegnamento della religione non può a nessun titolo, concorrere alla formazione del "credito scolastico" di cui all’art. 11 del D.P.R. n. 323/1988, per gli esami di maturità, che darebbe postumamente luogo ad una disparità di trattamento con gli studenti che non seguono né l’insegnamento religioso e né usufruiscono di attività sostitutive" (Ord. TAR Lazio n. 2048 del 24 maggio 2007).
La situazione è grave ed imbarazzante.
Il Ministro Fioroni ha cercato di introdurre surrettiziamente l’ora di religione fra le materie che concorrono a pieno titolo a formare la valutazione degli studenti per gli esami di Stato. Questo determina una situazione di discriminazione e disparità fra gli studenti che si avvolgono e quelli che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica, senza poter o voler usufruire di attività alternative. Come ha infatti stabilito la Corte Costituzionale con le sentenze 203/89 e 13/91 gli studenti che non si avvalgono dell’IRC non possono essere sottoposti ad alcun obbligo alternativo.
L’O.M. viola così l’art. 310, co. 3, del Testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione (D.Lgs. 297/94) ed il principio supremo di laicità stabilito dalla Costituzione.
Il TAR Lazio, sebbene solo con un provvedimento cautelare, aveva esaminato e accolto l’istanza di sospensione dell’Ordinanza Ministeriale.
Il Presidente della Sesta sezione del Consiglio di Stato, ha annullato provvisoriamente (sino al giorno successivo agli scrutini!!!), senza contraddittorio e senza motivazione, l’ordinanza cautelare del TAR, impedendo così che gli scrutini stessi possano avvenire nel rispetto della legge e della Costituzione. Nell’attuale situazione gli scrutini si svolgeranno secondo la volontà del Ministro, ma il successivo pronunciamento nel merito del TAR Lazio, che deve ancora avvenire, con molta probabilità ne porrà in dubbio l’esito annullando la parte impugnata dell’Ordinanza Ministeriale.
Si verificherebbe così una situazione di incertezza giuridica sul corso e sugli esiti degli esami di Stato, la cui responsabilità non potrà che ricadere sul Governo. Chiediamo al Presidente del Consiglio on. Romano Prodi di adoperarsi in tempi rapidissimi affinché impedisca questo grave scempio della laicità della scuola pubblica e vengano ristabiliti lo status quo ante, la legalità e la certezza del diritto, dal momento che il Governo può annullare in sede di autotutela le contestate e discriminatorie innovazioni apportate dall’ O.M. 26/2007.
Consulta romana per la laicità delle istituzioni
Via delle Carrozze 19
00187 Roma
tel/fax +39 06.6796011
romalaica@gmail.com
Mario Di Carlo
+39 3391950147
* Il Dialogo, Giovedì, 31 maggio 2007
Canarie, è scontro fra Stato e Chiesa
di Alessandro Chiappetta, 27 luglio 2007
Il caso L’arcivescovado delle Canarie risarcirà un’insegnante di religione licenziata perchè conviveva con un uomo: il Tribunale ha dichiarato inammissibili le indagini sulla vita privata della donna. I vescovi iberici annunciano ricorso e vanno all’attacco della nuova legge di Zapatero sulla scuola, marcatamente laica
Il Tribunale superiore della giustizia delle Canarie (Tsjc) ha condannato l’arcivescovado a pagare oltre 16 mila euro di risarcimento per aver fatto svolgere indagini sulla vita privata di un’insegnante di religione, licenziata nel 2000 "perché conviveva con un uomo che non era suo marito". Niente di paragonabile all’esborso miliardario della diocesi di Los Angeles, costretta a indennizzare le vittime di decenni di orrori pedofili, ma la sentenza crea un precedente importante nei rapporti tra scuola e istituzioni religiose, in particolare nella Spagna portabandiera di una nuova laicità.
La storia la racconta El Pais: Maria del Carmen Galayo Macias, insegnante di religione dal 1988 al 2000, ha avuto riconosciuto la mancanza di giusta causa nel suo licenziamento, ma ancora non la riassunzione nel suo ruolo. "Sono molto contenta, ma anche molto triste", ha commentato, amareggiata perchè le è stato proibito di fare quello che più le piace. "Sono stata anni senza lavoro - ha detto -, in difficoltà economiche e psicologiche, e senza aver ucciso né violentato nessuno. Non avevano diritto di fare quello che hanno fatto. Sono una cittadina spagnola, mica del Vaticano".
Il caso era stato sollevato nel 2002, con la denuncia della donna di fronte al massimo tribunale iberico perchè determinasse l’esistenza di un eventuale conflitto tra gli Accordi Chiesa-Stato del 1979 e la Carta fondamentale del 1978. In quell’occasione, la Corte Costituzionale aveva riconosciuto alla Chiesa cattolica il diritto di destituire la Galayo Macias, per aver violato la dottrina cattolica, convivendo con un uomo con il quale non era sposata, dopo la separazione legale dal marito. Oggi, invece, il verdetto del Tsjc riprende un’altra ordinanza della Corte Costituzionale, che affermava che l’insegnamento religioso presuppone per i docenti "una retta dottrina e la testimonianza della vita cristiana", senza entrare nel merito della vicenda della Galayo Macias, e lasciando l’onere della scelta al Tribunale superiore, nella cui sentenza si fa riferimento soprattutto alla privacy dell’insegnante. Un "diritto fondamentale" leso dalla decisione di non rinnovarle il contratto per l’anno accademico 2000/2001, per cui il provvedimento dell’episcopato va considerato "nullo", obbligando l’episcopato a risarcire la donna con 10.385,49 euro per l’interruzione del contratto e 6.010,12 euro per i danni morali. Eppure le motivazioni della sentenza lasciano comunque qualche perplessità. Nella lettera di licenziamento inviata dall’arcivescovado, si sottolineava come l’insegnante fosse inadeguata al suo ruolo perché stava vivendo "nel peccato". Secondo El Pais, però, la sentenza ammette che "vivere nel peccato" può giustificare il licenziamento, ma non è consentito che si indaghi sulla vita privata delle persone per scoprirlo.
La Conferenza Episcopale spagnola ha già annunciato che farà ricorso alla Corte Suprema, e magari di nuovo alla Corte Costituzionale, in ultima istanza, aumentando i rischi che possano passare almeno altri sette anni prima che la vicenda si concluda e l’insegnante possa tornare ad esercitare la sua professione. Nel frattempo in Spagna si discute sul problema della potestà della Chiesa, che si riserva di giudicare l’idoneità degli insegnanti non soltanto in base alla conoscenza della materia e alla capacità formativa, ma anche pretendendo di tenere conto delle convinzioni personali, dei comportamenti privati, e dei vincoli affettivi, familiari, perfino sessuali. Inevitabile quindi, che la riforma dell’istruzione (Ley Organica de la educacion) voluta da Zapatero sia malvista dalle gerarchie ecclesiastiche. La legge rivoluziona il mondo della scuola, apportando novità considerevoli proprio sull’insegnamento della religione, e introducendo una nuova discussa materia, chiamata "educazione alla cittadinanza". Vero pomo della discordia, la nuova disciplina può diventare secondo i vescovi una specie di "formazione statale obbligatoria della coscienza" e portare "all’imposizione del relativismo e dell’ideologia di genere", e a cui i prelati si sono fermamente opposti, contrastando la decisione di Zapatero con un documento stilato dal Consiglio permanente della Confederazione Episcopale. Secondo il progetto di legge, la materia dovrebbe essere obbligatoria per almeno un anno nella scuola primaria e un anno nella secondaria, spaziando da argomenti che vanno dalle istituzioni della democrazia alla globalizzazione, dalla circolazione stradale ai diritti umani. E sono proprio i diritti umani a irrigidire la Chiesa spagnola, temendo che tra questi rientri anche l’accettazione di quelle "nuove famiglie" e dei matrimoni omosessuali, che la Spagna, dopo Canada, Belgio e Olanda, ha recentemente legalizzato. Il timore che principi "laici" diventino concetti fondanti dell’istruzione nazionale, in certi casi in contrasto con dogmi, precetti e tradizioni della religione cattolica, spaventa i vescovi spagnoli, già alle prese con le battaglie sull’eutanasia e sulla limitazione dei diritti civili. In realtà, la riforma non piace alla Chiesa che perde in questo modo il controllo totale e talvolta subalterno che aveva sugli insegnanti di religione. I vescovi conservano la prerogativa di nominarli autonomamente, ma la loro attività verrà ora disciplinata dallo statuto dei lavoratori, come quella di ogni altro insegnante, tutti chiamati ora a rendere conto del proprio lavoro solo agli organi di Stato. Aspettando i verdetti definitivi, la vicenda Galay Macias può forse aiutare il dibattito e la riflessione sui rapporti tra Stato e Chiesa in Spagna, soprattutto nel campo dell’istruzione: dal 1998 l’assunzione di 17 mila insegnanti di religione dipende dallo Stato, ma la possibilità della Chiesa di giudicarne l’idoneità crea il conflitto tra istruzione pubblica di stato e la "catechesi" dottrinale di una confessione religiosa. Un paradosso scomodo che la Spagna laica e aconfessionale di questi anni è stanca di dover accettare.
* da APRILEONLINE.IT
Esami di maturità, c’è un voto di troppo. Quello di religione
di Marina Boscaino *
«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Articolo 3 della Costituzione: oggi un’opzione di inguaribile romanticismo o di insanabile vetero-ottimismo? Già: in quell’idea di società che è la scuola italiana, due punti di un’ordinanza ministeriale emanata il 15 marzo 2007 dal ministro Giuseppe Fioroni in merito all’Esame di Stato sollevano dubbi sull’inconfutabilità di quell’affermazione.
«Il voto in religione contribuisce alla determinazione del credito scolastico» con cui gli studenti accedono all’Esame di Stato.
Esame di Stato, appunto. Di uno Stato che - fino a prova contraria - non è confessionale. Il 23 maggio il Tar del Lazio - cui una serie di associazioni, tra cui il Cidi, erano ricorse per chiedere la sospensiva dell’ordinanza - aveva accolto la richiesta, affermando che «l’insegnamento della religione non può contribuire in alcun modo alla formazione del credito scolastico, perché determinerebbe in via presunta una disparità di trattamento con gli studenti che non seguono l’insegnamento religioso e non usufruiscono di un’attività sostitutiva». Ricordiamo a questo proposito le sentenze della Corte Costituzionale (203/1989 e 13/1991) che hanno stabilito che gli allievi che non scelgono l’Irc non hanno alcun obbligo, né di frequentare un altro insegnamento né di essere presenti a scuola, e che solo la piena facoltatività dell’Irc permette di non considerare questo insegnamento incostituzionale.
Il Consiglio di Stato ha accolto in via provvisoria il ricorso del ministro Fioroni dopo il pronunciamento del Tar, bloccando la sospensiva dei punti dell’ordinanza ministeriale, che è quindi tornata in vigore, come è stato ribadito da una circolare del ministero del 31 maggio a tutte le scuole italiane. Un braccio di ferro davvero pericoloso, che promette di non concludersi qui. Infatti l’udienza per il pronunciamento definitivo del Tar è fissata per il 12 giugno, 8 giorni prima dell’inizio dell’Esame di Stato e a scrutini completati. Qualora la sentenza definitiva annullasse l’ordinanza ministeriale, si metterebbe in dubbio il regolare svolgimento e l’esito dell’esame, determinando una grave situazione di incertezza giuridica, con eventuale fiume di ricorsi sull’esito finale.
Il ministro Fioroni - la cui incontenibile vocazione confessionale riesce a riscuotere consensi unanimi nel centrodestra e silenzi complici (o imbarazzati) nel centrosinistra - è però certamente persona in grado di comprendere che esistono alcuni temi che, per quanto apparentemente limitati, rappresentano paradigmi di un modo di essere e di pensare per il quale non io, ma - meglio e ben più autorevolmente di me - i costituenti e generazioni di donne e uomini hanno speso energie e vita. E sui quali non c’è possibilità alcuna di negoziazione. Uno di questi è la laicità della scuola pubblica: una tutela comune - né di sinistra né di destra -, un patto di civiltà e di difesa del diritto di cittadinanza delle culture - di tutte le culture - nella scuola. E di quel principio di uguaglianza dal quale siamo partiti.
Non è la prima volta che si tenta ad aprire una breccia nella direzione contraria a questi presupposti, nonostante le sentenze della Corte Costituzionale, che afferma che «l’insegnamento della religione cattolica non deve essere in alcun modo discriminante», anche in seguito a quanto stabilito dal Nuovo Concordato dell’84. Ma ora fa più male; ed è più pericoloso. Perché - nei tristi e disorientanti rituali di quest’anno contraddittorio e deludente, tra un Family Day e un arretramento progressivo sui Pacs-Dico - l’ingerenza delle gerarchie ecclesiastiche, il peso che gli viene concesso, gli spazi che gli vengono riservati nella gestione della politica italiana hanno portato a consentire l’ingresso di parole minacciose e inquietanti per la coscienza di tutti i cittadini laici e democratici. Sono parole del passato, di un modo di intendere la scuola che abbiamo combattuto per cinque anni. Parole pericolose nella scuola, il luogo della formazione della coscienza critica e della cittadinanza; e fuori della scuola, dove i bambini e i ragazzi italiani sono sottoposti a martellanti sollecitazioni che dicono altro e che portano altrove. E dove un mondo adulto poco consapevole e molto consumatore abbocca volentieri alla lusinga di una presunta «eticità» in pillole - che è solo basso moralismo - individuata da quelle parole; e così si salva l’anima; o, almeno, si illude di farlo.
Una parola chiave - che rispunta periodicamente - è, ad esempio, «identità»: ricordiamo la netta opposizione in Europa alla richiesta di Giovanni Paolo II di far inserire il concetto di «identità cristiana» nella Costituzione europea. L’allentamento della vigilanza su un terreno fertile come quello della scuola pubblica, combinandosi con l’alleanza cattolica trasversale ai partiti politici, potrebbe avere come esito l’allargamento di maglie nell’impianto neutrale e relativista che la Costituzione ha affidato alla pubblica istruzione. Disorienta poi l’enfasi che - in tanti documenti e dichiarazioni sulla scuola - si pone sulla «centralità della persona». Un’espressione che ha perso il proprio positivo significato letterale, assecondando la tendenza a valutare la persona come individualità predeterminata in senso cristiano. Sulla quale, dunque, qualunque intenzionalità educativa della scuola perderebbe la propria efficacia, immobilizzando la persona in una stasi impermeabile che configura quel percorso di scuola a domanda individuale in cui i bravi - che normalmente sono ricchi - diventano più bravi; e i non bravi - la cui inadeguatezza è molto spesso la concretizzazione delle condizioni socio-economico-culturali di partenza - rimangono tenacemente ancorati a quel destino marchiato a lettere di fuoco nel loro Dna.
La scuola, invece, dovrebbe essere terreno di crescita, di emancipazione, di miglioramento. Facciamo attenzione, dunque. L’attenzione, catapultata sulle macro-questioni - famiglia regolar-tradizionale - Dico - non può distrarsi da episodi più mimetizzati, ma ugualmente gravi e inquietanti.
Su questo terreno minato e per affrontare questa gimkana semantica - che configurano un accerchiamento lento e sapiente in termini ideologici - cautela e vigilanza sono d’obbligo. Per questo ci auguriamo che il presidente Prodi ascolti l’appello che la Consulta per la Laicità gli ha rivolto chiedendo di rimuovere le «contestate e discriminatorie innovazioni apportate all’O.M. 26/2007». Concedere le tutele agli «infedeli» che disertano l’ora di religione cattolica è un dovere; siamo ancora in tempo per bloccare una pericolosa deriva che minaccia di spaccare il Paese.
* l’Unità, Pubblicato il: 08.06.07, Modificato il: 08.06.07 alle ore 9.03
Ora di religione
Appello al premier: sconfessi Fioroni
di Francesca Longo (il manifesto, 05.06.2007)
Un’ulteriore novità per i ragazzi che quest’anno affronteranno l’esame di maturità: se non sei stato esonerato dall’ora di religione cattolica ci sono crediti in più. L’iniziativa ha fatto mostra di sé mesi fa in una ordinanza ministeriale ed è finita sul tavolo del Tar del Lazio dietro segnalazione della Consulta romana per la laicità delle istituzioni (cui molte associazioni, chiese protestanti, unione delle comunità ebraiche ecc. hanno aderito). Al ministro Fioroni arriva la notizia che il Tar ha accolto l’istanza di sospensione dell’ordinanza ministeriale, sebbene solo con un provvedimento cautelare, e si rivolge al Consiglio di stato.
E il Presidente della sesta sezione del Consiglio di stato annulla provvisoriamente (però sino al giorno successivo agli scrutini) l’ordinanza cautelare del Tar: pertanto, almeno per quest’anno, un buon voto in religione (cattolica) è d’aiuto per risollevare le medie. Grazia divina, evidentemente.
Scrive il Tar: «Sul piano didattico, l’insegnamento della religione non può a nessun titolo concorrere alla formazione del credito scolastico per gli esami di maturità, che darebbe postumamente luogo ad una disparità di trattamento con gli studenti che non seguono né l’insegnamento religioso e né usufruiscono di attività sostitutive». Scrive la Consulta per la laicità: «Nell’attuale situazione gli scrutini si svolgeranno secondo la volontà del ministro, ma il successivo pronunciamento nel merito del Tar Lazio, che deve ancora avvenire, con molta probabilità ne porrà in dubbio l’esito annullando la parte impugnata dell’ordinanza ministeriale. Si verificherebbe così una situazione di incertezza giuridica sul corso e sugli esiti degli esami di stato, la cui responsabilità non potrà che ricadere sul governo. Chiediamo a Romano Prodi di adoperarsi in tempi rapidissimi affinché impedisca questo grave scempio della laicità della scuola pubblica e vengano ristabiliti lo status quo ante, la legalità e la certezza del diritto, dal momento che il governo può annullare in sede di autotutela le contestate e discriminatorie innovazioni apportate dall’ ordinanza ministeriale 26/2007».
I tempi devono essere davvero rapidi: gli scrutini si terranno la prossima settimana. E al premier si rivolge anche la Rete degli studenti, che parla di «scandalose ambiguità createsi a ridosso degli impegni di fine anno che danneggiano solo e unicamente gli studenti nel proprio diritto di essere valutati indipendentemente dalla scelta o meno di una materia facoltativa». La Rete attiverà uno sportello on line «per reclami e ricorsi degli studenti che si trovino discriminati».
«L’ora di religione non è un privilegio della Chiesa»
Il presidente della Cei Bagnasco ai docenti Irc di Genova: «Non è catechesi ma cultura. E ha un fondamento giuridico nel Concordato»
Da Genova Adriano Torti (Avvenire, 05.09.2007)
Né privilegio, né concessione: l’insegnamento della religione cattolica, anche nelle scuole di Stato, ha un fondamento giuridico che si basa sul Concordato tra Stato e Chiesa. Lo ha ricordato l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, Angelo Bagnasco, in occasione del primo incontro plenario degli insegnanti di religione della diocesi che si è svolto ieri pomeriggio nel capoluogo ligure. L’insegnamento della religione cattolica nella scuola di Stato, ha spiegato, «è presente a pieno titolo in quanto non è una forma di catechesi ma di cultura» e lo statuto di tale insegnamento nelle scuole di Stato «è inscritto nella revisione del Concordato del 1984, all’articolo 9». Inoltre «non ha valenza catechetica», cosa che «avviene in parrocchia», ma culturale, e «ha le sue radici nella storia del nostro Paese e più ampiamente dell’Europa». Perciò «per vivere in Italia, ma potremo parlare anche dell’Europa, dobbiamo conoscere la religione cristiana, e noi in modo particolare quella cattolica».
Il rischio altrimenti è quello di vivere «spaesati» all’interno di un Paese e dello stesso continente, che «ha prodotto e continua a produrre cultura ispirandosi alla simbologia e alla tradizione cristiana».
In merito al Concordato ha chiarito che quest’ultimo «giustifica, da un punto di vista giuridico, l’insegnamento della religione cattolica nella scuola di Stato». «Mi è caro richiamarlo - ha aggiunto - perché, non di rado, su qualche giornale o in qualche pubblico dibattito emergono confusioni». L’insegnamento della religione cattolica, ha poi ricordato l’arcivescovo di Genova, è «una grande opportunità, un servizio che gli insegnanti di religione e la Chiesa rendono al Paese nella persona dei bambini, dei ragazzi e dei giovani, cioè al futuro del Paese». I giovani, infatti, hanno sete di verità e di obiettivi alti per la loro vita e l’esperienza di Loreto lo testimonia. «In fondo tutto si riassume in una sola domanda - ha concluso - ossia se la vita valga o no la pena di essere vissuta». E su questo punto ha aggiunto che «l’insegnante di religione ha molto da dire, magari provocando i giovani sulle domande fondamentali sul senso della vita» e proponendo da un punto di vista culturale l’insegnamento della fede e della tradizione cristiana come una risposta alle domande esistenziali dell’uomo di ogni epoca.