[...] Il Partito Democratico in cui intendo impegnarmi propone come temi fondamentali i diritti civili, il lavoro, la scuola, la salute, la ricerca, l’ambiente, la casa. Tutto ciò nel quadro - rigorosamente confermato - della Costituzione italiana. Si tratta di settori e aspetti della vita a cui il mercato (grande e superiore eroe della modernità) non provvede o che preferisce ignorare quando il costo non ha immediata contropartita. Le grandi democrazie ci dicono che la contropartita è costituita dai due valori della fiducia e della partecipazione dei cittadini.
Il Partito Democratico di cui parlo capisce e si fa capire, in uno sforzo di comunicazione che non tollera zone d’ombra, segreti e cose non dette. Non vuole la solitudine disorientata dei cittadini con cui nessuno parla, spiega, ascolta prima di decidere [...]
di Furio Colombo *
Chi avesse assistito nella mattina di venerdì 13 luglio al dibattito al Senato sul riordino dell’ordinamento giudiziario avrebbe notato subito un grave errore nel “manifesto per il Partito democratico” firmato da Rutelli, Chiamparino, Cacciari, Follini. Quel manifesto, pubblicato lo stesso giorno da Europa col titolo “Il coraggio delle riforme” dice: «È finita la lunga stagione in cui la coesione del centrosinistra è stata garantita dall’antagonismo verso Berlusconi». Ecco la prova dell’errore.
Il senatore Gerardo D’Ambrosio si era appena alzato a parlare sulla legge che deve cancellare la nefanda “riforma Castelli” quando la senatrice Anna Cinzia Bonfrisco è scesa nell’emiciclo per urlare all’ex procuratore della Repubblica di Mani Pulite: «Delinquente, assassino, zitto assassino, questo è il tuo giorno!». Anna Cinzia Bonfrisco, pur essendo immensamente volgare nonostante capelli e trucco già pronti per una festa e un abito argento da pubblicità dei cioccolatini, non è matta. E infatti il senatore Schifani ha ingiunto a D’Ambrosio di chiedere lui scusa alla senatrice insultante. E Buttiglione le ha baciato la mano. Tutti hanno ricevuto gli ordini e il messaggio. La sera prima Berlusconi era in televisione, due “dirette” di Rai e di Sky (oltre al Tg 2). Dirette che non toccheranno mai a George W. Bush quando avrà lasciato la Casa Bianca e non toccheranno mai a Chirac, a Shroeder, persino al carismatico Tony Blair. Insomma, mai a nessuno, in Paesi di normale democrazia.
In Italia Berlusconi è tutt’ora in grado di stare, come vuole e quando vuole, al centro della scena. È in grado di prendersi la “diretta” e di incitare il Paese alla rivolta. Berlusconi in una piazza di Napoli ha mentito per due ore. Ha detto persino (citazione) «Ho fatto più di trenta riforme, 106 opere pubbliche e 12 codici». Proprio così. Ha detto «12 codici». E ha chiamato l’Italia alla rivolta. I suoi senatori ci stanno.
Invano i capigruppo Zanda dell’Unione e Russo Spena di Rifondazione difendono D’Ambrosio e invocano il ritorno alla ragione. La manifestazione indecente si porta via una buona ora nella triste storia di questo Senato. Ma il punto è stato fermamente segnato.
Berlusconi è (politicamente) vivo e combatte insieme a loro. Perché ripetere il grande errore di negarlo? A beneficio di chi? Non del Partito democratico.
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Ma ecco ciò che sto per dire ai lettori di questo giornale, a coloro che mi seguono la domenica e che rispondono con e-mail di obiezioni e sostegno, approvazione e dissenso ai miei interventi: intendo candidarmi alla segreteria del nascente Partito democratico. Questo, vi è chiaro, non è l’annuncio del giornale l’Unità, che resta libero e aperto a tutte le candidature (speriamo molte). È l’annuncio di un candidato.
Immagino una prima legittima obiezione: ma non avevamo detto di fare spazio ai giovani? È una obiezione giusta è non c’è alcuna risposta logica se non questa: ognuno fa (deve fare) quello che può, quando può. Se lo fa bene, in una situazione che interessa tutti (o tanti) come questa, lo fa per passare il risultato agli altri. Che vuol dire: prima di tutto, per cambiare il gioco. O almeno per arricchirlo, se ci riesce, naturalmente.
La seconda obiezione è mia, nella forma di una incertezza. Si può partecipare alle elezioni primarie per la segreteria del Partito democratico, con una serie di regole che sembrano scritte per gli apparati dei partiti (i due “grandi”, Ds e Margherita), i soli ad essere presenti e a poter agire in fretta su tutto il territorio del Paese?
Vorrei ricordare che le elezioni primarie americane si svolgono nell’arco di molti mesi, Stato per Stato, luogo per luogo, quasi mai con coincidenza e sovrapposizione di date, e che ogni singolo episodio (vincere o perdere nel Vermont o in quale graduatoria ci si piazza nelle primarie del Maine) si riflette sia nel luogo sia nella opinione pubblica nazionale (nel 1980 Bush padre prevaleva su Reagan in alcune singole primarie, ma Reagan guadagnava sempre più favore nei sondaggi, anticipando i risultati delle votazioni successive).
Non dubito che gli addetti al disegno definitivo di percorsi e di regole - proprio perché scelti e nominati e insediati in base, devo pensare, a esperienza e buon senso - si porranno il problema più importante per questa nuova entità politica: come si nasce nel nuovo partito (dalla partecipazione alla candidatura) se non si è figlio di uno dei due partiti?
Intendo infatti rappresentare coloro che figli dei partiti non sono, non hanno alcun passato partitico da ricordare o da dimenticare. Intendo portare al centro dell’attenzione dei nuovi democratici lo squilibrio sociale nel quale vive il nostro Paese e la cui descrizione e interpretazione abbiamo affidato - chissà perché - soltanto agli uffici studi di banche e imprese, mostrando invece una sorta di istintivo fastidio, quasi una reazione allergica, se, quando parlano i sindacati.
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Userò ancora per un momento il “manifesto” Rutelli-Chiamparino- Cacciari-Follini per indicare la diversità (e anche, se volete, l’estraneità) della mia candidatura rispetto a ciò che fino ad ora è stato detto e anche celebrato.
Dicono i nostri, fra l’altro, che «modernizzare l’Italia non è solo indispensabile ma può essere popolare». Affermo che la vera innovazione e modernità del Partito Democratico non è una gettata di cemento in più o in meno ma riconquistare, attraverso comunicazione chiara e immediata, attraverso il contatto continuo e l’ascolto, la partecipazione dei cittadini, che sono, o si sentono adesso, troppo lontani dai punti di decisione e troppo estranei ai modi in cui si decide. Vicenza è un capolavoro negativo, da non ripetere. Nessuno, mai, (tranne la finta rappresentanza istituzionale di un sindaco inadeguato) ha interpellato o ascoltato i cittadini di quella città sulla base Usa da costruire. Il mio modello sono i town meeting (assemblea di città o di villaggio) di Bill Clinton. S’intende che la decisione finale era responsabilità del presidente. Ma prima il presidente girava mezza America per spiegarsi e ascoltare, due atti essenziali di un governo moderno.
«Coesione sociale è il futuro», affermano i “coraggiosi” di Rutelli. Ma coesione sociale è un punto di arrivo, non di partenza. Sul terreno troviamo un’Italia spaccata e divaricata in cui gli operai vengono ammoniti a non pretendere troppo sulle pensioni, ma è “moderno” stare bene attenti alle “giuste richieste” delle imprese.
Aggiungono i “coraggiosi” che bisogna dare «potere alla creatività dei giovani, un ascensore sociale che torni a far salire talenti, merito, lavoro».
Traducendo dallo stretto politichese, io dirò (direi, se risulterà possibile candidarsi) che ci si deve impegnare nel sostegno - e rifinanziamento - della scuola pubblica e dei suoi insegnanti; che occorre motivare le banche a sostenere con prestiti sulla parola i giovani universitari che non hanno la protezione di una famiglia agiata, ma meritano il prestito (come negli Usa e in Inghilterra) in base ai voti; che il merito non conta niente nel mondo del precariato e della raccomandazione. E che dunque tutto ricomincia dalla squalifica del familismo professionale (i genitori fortunati a cui subentrano figli o nipoti fortunati) e dal ritorno di concorsi bene organizzati e tecnicamente irreprensibili.
Nel manifesto dei “coraggiosi” trovo una frase inspiegabile in un testo politico. È la seguente: «È urgente uscire dall’inverno demografico». Sono stupito e dirò perché. Il problema di governare è creare accesso alle scuole, anche quelle specialistiche, anche quelle costose; al lavoro, attraverso un disegno dei percorsi che non abbandoni i giovani alla solitudine (più soli, più poveri); alla casa, attraverso progetti e programmi che, da decenni, non esistono più. Tutto ciò è urgente, ed è responsabilità pubblica. I figli sono una splendida scelta privata su cui i politici, in un contesto politico, non hanno niente da dire.
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Trovo strana, infine, e un po’ minacciosa, la frase finale (dunque, in senso retorico, la più importante) del manifesto Rutelli-Chiamparino-Cacciari-Follini che alcuni considerano fondativi del nuovo Partito Democratico. Trascrivo: «La maggioranza che ha vinto deve governare i cambiamenti. Sappiamo che potrà essere confermata solo se soddisferà le attese degli elettori. Altrimenti il Partito Democratico dovrà proporre una alleanza di centro sinistra di nuovo conio. Per non riconsegnare l’Italia alle destre. Ma soprattutto per non essere imprigionato dal minoritarismo e dal conservatorismo di sinistra, né della paralisi delle decisioni».
Il problema grave posto da questa frase è che prefigura uno spostamento di scena in cui esce dalla inquadratura una parte della sinistra, arbitrariamente definita da un presunto vertice illuminato. Ed entra in scena una parte della destra, indicata con la elegante espressione «un centrosinistra di nuovo conio».
Sostengono gli illuminati che «Veltroni a queste ragioni si ispira». Non mi risulta. In ogni caso propongo di battermi per un Partito Democratico meno gassoso e più fondato sulle cose, non tante. Ma chiare e sempre spiegate.
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Proverò a riassumere.
Il Partito Democratico a cui penso è perfettamente cosciente del perdurare della minaccia Berlusconi, che continua a essere visto, anche fuori dall’Italia, come l’incognita allo stesso tempo ridicola (vedi le sue domande parafasciste e un po’ insultanti per la folla di Napoli) e pericolosa per la nostra vita pubblica. Lo sbarramento a Berlusconi si realizza con la presentazione (già avvenuta) e il sostegno (di cui siamo in attesa) di una legge che ponga invalicabili ostacoli al conflitto di interessi.
Il Partito Democratico a cui penso si fonda sulla più rigorosa legalità, vuole sapere tutto dello spionaggio militare a cui sono stati sottoposti magistrati e giornalisti nei cinque anni del governo Berlusconi, e sull’intreccio di quello spionaggio con le intercettazioni private da parte di una grande impresa esente da conseguenze e sugli effetti mediatici di tutta l’operazione.
Quanto è stata deviata, inquinata, cambiata, avvelenata da quella vasta operazione illegale l’informazione su tutto ciò che sappiamo delle vicende italiane?
Il Partito Democratico in cui intendo impegnarmi propone come temi fondamentali i diritti civili, il lavoro, la scuola, la salute, la ricerca, l’ambiente, la casa. Tutto ciò nel quadro - rigorosamente confermato - della Costituzione italiana. Si tratta di settori e aspetti della vita a cui il mercato (grande e superiore eroe della modernità) non provvede o che preferisce ignorare quando il costo non ha immediata contropartita. Le grandi democrazie ci dicono che la contropartita è costituita dai due valori della fiducia e della partecipazione dei cittadini.
Il Partito Democratico di cui parlo capisce e si fa capire, in uno sforzo di comunicazione che non tollera zone d’ombra, segreti e cose non dette. Non vuole la solitudine disorientata dei cittadini con cui nessuno parla, spiega, ascolta prima di decidere.
Il Partito Democratico di cui stiamo parlando non sarà il congiungersi di due burocrazie di partito ma l’afflusso libero di cittadini decisi a essere protagonisti della vita pubblica e non spettatori passivi.
L’impegno è un paesaggio finalmente normale in cui la sinistra è a sinistra e la destra a destra, contando non sulla contaminazione o l’incrocio dei poli ma sulla chiarezza e sul riconoscimento reciproco, una volta espulsa l’illegalità e il conflitto di interessi dalla scena pulita della vita pubblica italiana.
Sinistra è lo spirito della tradizione solidaristica europea, dello schierarsi socialista e cristiano con i più deboli, della tolleranza “liberal” e multiculturale di impronta americana, tutti valori che sono il più vicino possibile alla pace, alla giustizia, alla eguaglianza almeno come punto di partenza. L’impegno è di restituire al cittadino laico lo stesso riguardo, rispetto e attenzione che viene dedicato al credente e alle gerarchie religiose del credente.
Per tutte queste ragioni chiederò, se sarà possibile - ai cittadini che si orientano a sostenere e dare vita e anima al Partito Democratico - di considerare la mia candidatura indipendente e laica che propongo nello stesso spirito con cui alcuni si candidano, in questo periodo, alle elezioni primarie americane. Lo spirito è dare un contributo di proposte e di esperienza, che altrimenti non ci sarebbe. Lo spirito è far sapere ai cittadini che voteranno in queste elezioni primarie che si apprestano a scegliere tra veri candidati e vere proposte alternative.
La vostra risposta di lettori sarà il primo modo di rendere possibile questa candidatura. Essa è soggetta, come già detto, a un chiarimento e a una condizione. Il chiarimento è che l’Unità, con questo articolo, ospita la mia intenzione. È un annuncio, non un “endorsement” (cioè quando i grandi quotidiani americani, sotto elezioni, dichiarano le loro scelte politiche ai lettori).
La condizione è che le regole consentano davvero la partecipazione di candidati senza apparato di partito e scorta di carica.
* l’Unita, Pubblicato il: 15.07.07, Modificato il: 15.07.07 alle ore 14.40
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Giustizia, ma quale dialogo: dieci ragioni per dire no
di Furio Colombo (il Fatto, 13.03.2011)
“Gentile Furio Colombo,
sono una casalinga demoralizzata e incazzata, ma purtroppo del tutto impotente. Mi permetto un piccolo sfogo sulla sua pagina perché mi fa sentire un po’ meno sola di fronte all’attuale, allucinante situazione italiana. Ma come è possibile, mi chiedo, che a un presidente del Consiglio imputato in quattro processi sia offerta collaborazione per riformare ‘insieme’ la giustizia?
Curatola Gabriella”.
L’osservazione è semplice e netta e difficile da eliminare. Penso che rappresenti lo stato d’animo di tanti cittadini, che forse voteranno a sinistra e forse no e stanno col fiato sospeso per vedere se il brusio di favore alla grande riforma di Berlusconi, che comincia a sentirsi tra le file dell’opposizione e nelle dichiarazioni di alcuni con nome e ruolo di prima fila nel Pd, diventerà davvero un modo di partecipare alla grande riforma costituzionale della Giustizia italiana. Ovviamente, in tempo di elezioni, la grande riforma apparirà in testa alla lista dei successi del gruppo Berlusconi (inteso sia come partito sia come azienda) e tra le colpe non perdonabili dell’opposizione in generale e del Pd in particolare.
Bisogna ammettere che l’infiltrazione nelle file e nelle teste dei parlamentari e degli opinionisti di area Pd dell’idea, dopotutto, sulla giustizia si può collaborare, è avvenuta con cautela e bravura , cominciando dalle colonne del Riformista, dai suoi opinionisti di prima fila e dai suoi ex, molto stimati e molto invitati nella vetrine Tv come “rappresentanti della sinistra”. La trovata è stata di iniziare subito il dialogo, (ma anche la zuffa va bene, l’importante è partecipare al gioco) sulle singole parti, innovazioni, trovate e articoli del progetto di legge Berlusconi-Ghedini-Alfano. Qui l’importante è di impedire che si manchi di rispetto al grandioso evento che cambierà la vita italiana, e che tutti, anche gli avversari, prendano sul serio la prova di forza (e di vittoria) che sta per attraversare come una valanga non resistibile il Parlamento mercenario che oggi decide a nome della Repubblica italiana.
MERITA UNA riflessione la possibilità che i Radicali eletti nel Pd, alla Camera e al Senato, accettino di lavorare alla riforma della Giustizia secondo Berlusconi. Penso che sia un errore, che però è coerente con tutte le cose dette e fatte dal partito di Pannella e Bonino (condivise o no dai compagni di strada dei Radicali in tutti questi anni). Infatti i Radicali, che si battono da decenni per una loro riforma della Giustizia (molto prima del 1994, anno che l’uomo di Arcore indica come data di nascita del suo progetto) vedono Berlusconi accostarsi al loro percorso e non viceversa.
Io non accetterei monete da un falsario, persino se sembrano identiche a quelle vere, e credo che a un certo punto scatterà la ben nota intransigenza di quel gruppo politico, e ci sarà una netta rottura, come è accaduto in passato. O almeno lo spero.
Meno facile è mobilitare contro Berlusconi le piazze, le donne, la raccolta di firme, una platea vasta e diversa, come sono gli elettori e I cittadini vicini al Pd, per poi chiedergli all’improvviso di rassegnarsi a discutere di giustizia “insieme”, mentre cominciano, a uno a uno, i processi a carico del grande timoniere della giustizia italiana. E infine, eventualmente, tornare in piazza e poi mobilitarsi per votare contro.
Propongo dunque le dieci ragioni da offrire al Pd per non partecipare in alcun modo alla riforma della Giustizia Berlusconi-Ghedini-Alfano.
1) La riforma nasce come “punizione” e come “vendetta”, e come tale viene annunciata. Anzi è stata rilanciata di colpo dopo l’incriminazione del premier per l’affare Ruby (concussione e prostituzione minorile);
2) Le imputazioni contestate al capo del governo italiano sono troppo gravi, anche come simbolo e immagine del Paese nel mondo, per poter intrattenere una discussione “insieme” sui problemi della giustizia e dei giudici;
3) Berlusconi ha invocato come ragione fondante della sua riforma la vicenda di “Mani Pulite”, il maggior evento di lotta contro la corruzione in Italia. Con la sua nuova legge - promette - la lotta giudiziaria alla corruzione non potrà mai più verificarsi in Italia;
4) Berlusconi è stato coinvolto, in accertate vicende giudiziarie (alcune ancora in corso) nel reato di corruzione di giudici. In altre parole, ha pagato e comprato giudici. Il suo partito-azienda, i suoi avvocati-deputati e lui stesso non possono accostarsi all’argomento “giustizia” e “riforma della Giustizia”, senza suscitare, sospetto e discredito;
5) La maggioranza di cui Berlusconi dispone è una maggioranza in parte comprata. La mancanza di “vincolo di mandato”, indicato dalla Costituzione, non sana questo grave aspetto o sospetto di corruzione. Meno che mai in una legge che riforma vita e attività dei giudici;
6) Berlusconi, personal-mente e attraverso il suo Giornale, ha definito i giudici “un cancro”, “un gruppo eversivo”, una “associazione a delinquere”, una aggregazione di poveri matti. Ci si può associare?;
7) Nell’annunciare che la legge costituzionale di riforma della Giustizia era sul punto di essere presentata in Parlamento, Berlusconi ha detto, riferendosi alla sua “persecuzione: “Così questa storia indegna finirà per sempre”. In tal modo e intenzionalmente, ha voluto rendere chiara per tutti la natura della nuova legge costituzionale: non renderà mai più possibile l’incriminazione dei potenti;
8) È evidente, ripetuta e vistosa la intenzione del premier e dei suoi avvocati di sterilizzare uno dei tre poteri su cui si fonda lo Stato democratico, il potere giudiziario, dopo avere ottenuto il controllo del Parlamento attraverso una poderosa e sfacciata campagna acquisti, e avere stabilito un record di ore di presenza su tutte le reti televisive, di Stato e private, e mentre sono in corso attività finanziarie per alterare gli equilibri di potere in uno dei due maggiori quotidiani italiani ancora indipendenti;
9) Berlusconi ha bisogno di complici. L’Italia è oggetto di scrutinio attento da parte delle democrazie e dell’opinione pubblica democratica del mondo. Una legge che riformi drasticamente il sistema giudiziario italiano, sotto bandiera Berlusconi, sarebbe guardata, fuori dall’Italia, con il sospetto che merita. È indispensabile per lui e i suoi avvocati, avere ben più che i “responsabili” a tariffa che hanno abbandonato altri partiti per offrirgli reputazione, lealtà e voto. Ora occorrono complici che siano la prova della buona fede di questa avventura;
10) La legge di riforma costituzionale della Giustizia non può arrivare sul tavolo del capo dello Stato senza i nomi e le firme di almeno una parte della opposizione e, soprattutto, di una parte del Pd in funzione di garanzia notarile.
Ecco dove il Pd si presenta al Paese come una opposizione invalicabile oppure come il complice necessario di Berlusconi. La campagna elettorale che ci sarà subito dopo si decide qui.
Primarie, sale la tensione. Prodi: viva la competizione
Dopo Bersani, anche Chiti sul rischio di accordi calati dall’alto
Pd, la Bindi sfida Veltroni
"Taglia fuori le oligarchie"
di GIANLUCA LUZI *
ROMA - "Veltroni? Ok, ma si deve liberare dalle oligarchie dei partiti". E’ Rosy Bindi a dare il senso dello scontro che anima la campagna elettorale per le primarie del Partito democratico. Sull’onda di Bersani che l’altro ieri sull’Unità metteva in guardia dal rischio di "verticismo" nella costruzione del Pd, tutti i rivali di Veltroni si scagliano contro la "nomenklatura" e contro gli apparati di Ds e Margherita che secondo questa tesi vorrebbero un esito già preconfezionato delle primarie: naturalmente con la vittoria di Veltroni.
Il sindaco di Roma, con la lettera di ieri a la Repubblica, ha tratteggiato il profilo delle riforme di cui si dovrà occupare il Pd. Nel merito nessuno contesta i punti di Veltroni, ma piuttosto i suoi rivali non perdono occasione per dipingerlo come ostaggio o prodotto di un accordo di vertice.
Ma anche tra chi appoggia la candidatura del sindaco di Roma c’è allarme. Vannino Chiti: "Un partito che ha l’ambizione di essere nuovo, di rappresentare la sinistra del XXI secolo, non può essere vittima di meccanismi verticistici fatti a tavolino e calati dall’alto. Il Pd e lo stesso Veltroni, che io sostengo convintamente, ne uscirebbero mortificati".
Enrico Letta chiede che le liste dei votanti alle primarie del 2005 per Prodi siano a disposizione di tutti i candidati o di nessuno e contesta l’obbligo di iscrizione al Pd per chi andrà a votare il 14 ottobre. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio intanto ha cominciato il suo tour elettorale per le primarie sulle spiagge delle vacanze e ammonisce: "Se il Partito democratico fallisce è perché è stato un incontro tra nomenklature di partito". Invece le primarie devono essere "un’operazione che parte dalla base, dagli elettori, e non dal vertice".
Lo stesso tasto lo batte Rosy Bindi, anche lei candidata alla segreteria in alternativa a Veltroni. "Se il partito nuovo è quello che Veltroni descrive a la Repubblica non potremo costruirlo senza liberarlo dalla tenaglia degli accordi verticistici e dal predominio delle oligarchie che cercano di condizionare le scelte dei militanti".
E anche se il silenzio di Prodi dalle vacanze conferma la sua linea secondo cui competition is competition e più candidati ci sono meglio è, sono proprio i colonnelli prodiani a lanciare i siluri più esplosivi contro Veltroni. L’ulivista Franco Monaco stronca la lettera del sindaco di Roma: "Non servono slogan, ma veri atti di rottura". Marina Magistrelli approfitta dell’allarme di Bersani per attaccare Veltroni. "Finalmente parole di verità a fronte di tanta retorica e ipocrisia - dice la senatrice applaudendo Bersani - Parole che il portavoce di Veltroni, Goffredo Bettini, bollerà come velenose solo perché, chiamando le cose con il loro nome, osano smentire la favole che Bettini va raccontando. Favole esse sì sfrontate e peraltro già smentite dalla pubblicazione di organigrammi già fatti a tutti i livelli".
Nervosismo anche nella Margherita tra ex popolari e rutelliani, tutti due sostenitori di Veltroni. A Fioroni che sostiene di avere il grosso dei cattolici schierati nel Pd, risponde lo staff di Rutelli annunciando che il "manifesto dei coraggiosi" per le riforme ha superato le diecimila adesioni con nomi importanti della cultura, delle professioni, dello spettacolo e dello sport.
* la Repubblica, 6 agosto 2007
Il ministro contesta la sua esclusione ma non farà ricorso
I radicali insistono: "Non ci fermiano, Pannella deve correre"
Furio Colombo, rinuncia con polemica
Di Pietro: "Temevano un vero concorrente"
Il senatore dell’Ulivo ha raccolto firme in mezza Italia ma via fax.
Il comitato tecnico del Pd
pretende gli originali in 48 ore. "Per me è impossibile. Non ho un partito dietro le spalle" *
ROMA - Il colpo di scena arriva poco dopo le sette di sera. Furio Colombo, senatore dell’Ulivo e uno degli otto candidati alle primarie del partito democratico, rinuncia alla competizione del 14 ottobre. Il motivo è molto tecnico. E lo annuncia lui stesso in una lettera che sarà pubblicata domani sull’Unità: il Comitato tecnico-scientifico del Pd ha contestato al senatore il fatto che molte firme da lui raccolte sono "in fotocopia" perchè "mi è stato impossibile, non avendo una struttura di partito alle spalle, andare in giro per l’Italia a raccogliere fisicamente le migliaia di firme". L’unica cosa che il senatore ha potuto fare, in poco tempo, è stato appunto raccogliere i fax degli amici in giro per l’Italia che lo hanno supportato. Ma secondo le regole, quei fax potrebbero essere fotocopie e quindi irrecevibili. Nell’attesa che il Comitato tecnico-scientifico decidesse sul dà farsi, e impossibilitato a rintracciare "in 48 ore" gli originali in giro per un paese che sta per andare in ferie, Colombo ha tagliato la testa al toro. "Rinuncio" ha scritto.
Pratogonista della giornata è stata la rabbia degli esclusi. Di Marco Pannella e di Antonio Di Pietro che non potranno correre alle primarie del Partito democratico. Che avrebbero voluto ma che sono stati stoppati. "Volete correre per il nuovo partito? Sciogliete i vostri" si sono sentiti dire dal comitato che, regolamento alla mano, decide le candidature per la corsa alla segreteria della costituenda formazione politica.
E oggi l’ex pm attacca: "Il Pd ha perso un’ottima occasione per potersi qualificare tale. Un partito, per potersi definire davvero democratico deve essere aperto e pluralista altrimenti semplicemente non è". 0 La motivazione con cui è stato escluso è semplicemente "un furbo espediente per non avere tra i piedi un concorrente vero e reale, un candidato che avrebbe rotto le uova nel paniere, che avrebbe potuto rimettere in discussione gli equilibri precostituiti". Ma il ministro va anche oltre: "Con il tempo e a mente serena bisognerà riflettere sulle reali motivazioni di questo diniego (che, in realtà, sono molto gravi e per certi versi inconfessabili) e trarne le inevitabili conseguenze, anche sulla opportunità di restare o meno in una coalizione che di fatto ci respinge!". Tra i motivi, l’ex pm non esclude "la posizione che ho assunto sulle intercettazioni" che hanno travolto il vertice dei Ds. Di Pietro ha detto che "Prodi si è molto rammaricato per l’esclusione dell’Italia dei valori dalla Costituente del Pd".
Anche in casa radicale c’è fermento. L’esclusione di Marco Pannella non è stata ancora digerita e oggi, Emma Bonino, insiste: "Il problema, più che tecnico, è tutto politico". Contesta le motivazioni, l’esponente radicale, parla di "arroccamento" di Ds e Margherita. E promette battaglia: "Questa decisione dimostra che si tratta della mera fusione di due oligarchie. Noi useremo le possibilità di ricorso, sperando che le nostre ragioni, che poi dovrebbero essere le loro, facciano breccia".
Ricorso che, invece, Di Pietro non farà. Non nascondendo, però, le conseguenze politiche della sua esclusione: "Con il tempo - dice il leader dell’Italia dei valori - bisognerà riflettere sulle reali motivazioni di questo diniego e trarne le inevitabili conseguenze. Per ora una cosa è certa: chi non ci vuole non ci merita!".
Tocca a Maurizio Migliavacca, uno dei coordinatori del comitato per il 14 ottobre, rispondere. Ed è un riaffermare dic ose già dette più volte. "Se dei leader nazionali vogliono partecipare alle primarie del 14 ottobre devono riconoscere le regole che valgono per tutti e impegnarsi concretamente per il superamento dei loro partiti". Quindi, chi ha ancora un partito alle spalle, non può pensare di candidarsi alla guida di un altro.
* la Repubblica, 31 luglio 2007
La mia lettera d’intenti
di Furio Colombo *
Scrivo questa “Lettera di intenti” per porre formalmente la mia candidatura alla Segreteria del Partito Democratico e sto per entrare in Senato da dove - per le note ragioni di rapporto numerico tra maggioranza e opposizione - non potrò uscire fino alla approvazione del Dpef e delle altre tre leggi che dovranno essere approvate entro questa settimana. Questa settimana è la stessa (e l’unica indicata) per la raccolta delle firme richieste per sostenere la lettera di candidatura. Penso che i lettori-elettori noteranno la situazione paradossale. Al momento per un senatore, date le regole indicate, non sembra esservi una facile soluzione. Ovviamente si aspettano chiarimenti. LETTERA DI INTENTI
Dichiaro la mia candidatura a Segretario del Partito Democratico per contribuire, con la mia esperienza di vita, di professione e di impegni internazionali che mi hanno posto a contatto con altre tradizioni democratiche, a dare al nascente partito un nocciolo di idee che confermino e arricchiscano la natura e la radice democratica di questo partito.
Cerco un legame con i cittadini in un periodo della storia in cui solitudine e paura, più ancora della “antipolitica”, allontanano e separano gli elettori dalla partecipazione agli eventi politici.
2 - Affermo che il cuore del partito che intendo rappresentare è il lavoro, la dignità, il legame fondamentale che rappresenta con il vincolo di cittadinanza, con la Costituzione, con le leggi, con le altre persone. Parlo del lavoro cercato dai giovani e che, quando c’è, il più delle volte è irrilevante per costruire un futuro.
Parlo del lavoro di coloro che stanno vivendo la loro esperienza di mestiere e di professione in un’epoca che tende a screditare e penalizzare il lavoro retribuito, tende a dichiarare esose anche le più legittime richieste di chi contribuisce con il proprio lavoro allo sviluppo e alla crescita del Paese, tende a prestare attenzione solo a chi, bene o male, ha già accumulato ricchezza.
Come avviene negli Stati Uniti, che pure sono considerati la casa madre dello sviluppo capitalistico, il Partito democratico dovrà essere il partito del lavoro. E ciò non in senso sindacale, ma nel profondo senso culturale e civile della tradizione democratica. Questo non vorrà mai dire essere ciechi e sordi alle esigenze di tutta la comunità in tutte le sue espressioni. Ma vuol dire sapere che la vita democratica di un Paese si fonda sul lavoro, le condizioni del lavoro, le garanzie del lavoro e la certezza che non saranno mai negati né la dignità del prestare la propria opera, né la certezza dei diritti a cui le controparti si sono di volta in volta impegnate verso che lavora e lavora bene. Sarà chiaro a tutti che non si tratta di una affermazione di classe ma di una constatazione di buon senso. La tenuta, la rispettabilità, la crescita, lo sviluppo di un Paese si basano sulla partecipazione dei cittadini attraverso il lavoro. Se si restringe il numero di coloro che lavorano e tarda a sopraggiungere il contributo delle nuove generazioni, il vero problema non è attuariale o statistico, ma è la diminuzione della partecipazione politica dei cittadini che vuol dire fine della politica.
Il patto fra generazioni non si fonda sui numeri delle tabelle ma sul passaggio di esperienza e di responsabilità fra i più giovani e i più anziani. Il patto di solidarietà è intorno al lavoro, non agli sportelli degli uffici postali dove si pagano le pensioni.
3 - Affermo che non mi sembra sensato candidarsi per rappresentare una particolare fascia demografica di cittadini. Ciò finisce per prefigurare una sorta di confronto conflittuale: il tuo lavoro sbarra la strada al mio, la tua pensione toglie a me il pane di bocca. Non è questo il fondamento che andiamo cercando per il nuovo Partito democratico. Ma se si insistesse sul dato generazionale, non avrei difficoltà a dire che a me tocca, allora, di candidarmi a nome di quegli italiani oltre i 70 anni, che non accettano di vedere screditato e svilito ciò che hanno fatto in decenni di lavoro perché sono diventati “vecchi”. Sono attualmente impegnato in Senato in cui molti non si imbarazzano a gridare insulti alla senatrice a vita Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la Medicina, e al presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro solo perché osano avere ed esprimere, alla loro età, e in una funzione (senatore a vita) che viene giudicata “un binario morto”, la loro persuasione politica.
Mi richiamo al nome e all’esempio di italiani come i due Senatori che ho nominato e di persone come Vittorio Foa o Pietro Ingrao per dire che ogni riferimento generazionale in questa candidatura è improprio e, sia pure involontariamente, offensivo.
4 - La scuola è un’altra grande ragione di questo impegno. Il nuovo Partito democratico dovrà dedicare alla scuola, dal primo contatto con i bambini che si affacciano alla vita sociale fino alla ricerca scientifica, la stessa attenzione, lo stesso rilievo, e lo stesso peso economico che un tempo si dedicava agli eserciti. Non può funzionare un Paese che non ponga la scuola, la formazione culturale e scientifica, la specializzazione al livello più alto della ricerca, al più alto livello di attenzione, di impegno di governo, di preparazione dei docenti e di fondi disponibili.
Il Partito democratico di cui parliamo dovrà essere in grado di riconoscere che la funzione, il livello, la qualità e il compenso degli insegnanti devono essere preoccupazione centrale del governare e percorso principale verso il futuro. Una scuola di alto livello e funzionante in tutti i suoi gradi, dalla prima scuola materna alla più avanzata ricerca scientifica è il vero patto fra generazioni. Per questo il Pd crede fermamente nella Scuola pubblica.
5 - Ospedali e struttura sanitaria costituiscono, con la scuola e il lavoro, i vincoli essenziali di cittadinanza. Quando il cittadino sa di poter contare su uno Stato presente e attivo nei momenti fondamentali della sua vita, dalla nascita dei bambini alla più pronta e bene organizzata prevenzione e cura delle malattie, al soccorso nelle emergenze, alla presenza assidua e competente nelle fasi finali della vita, allora il rapporto cittadino-Stato si apre alla fiducia, diventa leale e di reciproco sostegno. Ognuno farà la sua parte per uno Stato che c’è nei momenti difficili.
6 - La legalità, la giustizia, in un Paese senza segreti e che riconosce pienamente l’indipendenza della Magistratura, è ciò che distingue l’Italia democratica dal periodo di illegalità costante e di irrisione alle leggi e ai giudici del governo di Berlusconi, ed è naturale bandiera del Pd.
In questo specifico senso la contrapposizione netta a tutto ciò che ha rappresentato il governo Berlusconi non è un residuo sentimento del passato ma è progetto del nuovo partito: legalità che non accetta zone oscure e segreti, legalità che non ammette scorciatoie rispetto alle regole che vincolano tutti i cittadini, legalità che significa non ammettere e non tollerare l’inquinamento grave dei conflitti di interesse, specialmente quando quei conflitti, come nel caso di Berlusconi, riguardano la proprietà ingente di mezzi di informazione. Una situazione in cui il presidente del Consiglio è nello stesso tempo e nella stessa persona, concessionario e concedente dei diritti sull’uso delle frequenze televisive, come è avvenuto per il presidente Berlusconi che ha concesso al proprietario Berlusconi le autorizzazioni necessarie per le sue reti televisive, non dovrà e - a causa di una efficace legge sul conflitto di interessi - non potrà più ripetersi. Quando si ricordano i gravi problemi creati al Paese, e alla sua immagine e credibilità internazionale, dalle leggi ad personam, le leggi vergogna, (e in particolare la Legge Gasparri sulle Comunicazioni, misurata sugli interessi di Mediaset e ora respinta dalla Unione Europea) non si esprime uno stato d’animo rancoroso e personale come tendono a far credere coloro che sono, per una ragione o per l’altra, inclini a dimenticare. Si parla di leggi, di rispetto, di interessi dello Stato ma anche di immagine rispettabile del Paese.
7 - Il Pd alla cui Segreteria mi candido è laico nel rispetto del dolore di Welby, del diritto ad amarsi delle coppie di fatto, della protezione di diritti civili elementari e fondamentali come il Testamento biologico. Mai, in nessuna circostanza, immagina avversioni o mancanza di attenzione per la sensibilità e la persuasione dei cittadini credenti che sono tanta parte della storia e della sua vita italiana. Ma intende chiedere, per chi è laico, la stessa attenzione e lo stesso rispetto. Il Partito democratico che vorrei guidare non è una macchina del potere in più ma un insieme solidale di cittadini che intendono unirsi per dare, non per chiedere, per contribuire, non per profittare, soprattutto per portare il capitale del proprio lavoro e del proprio talento, che è la vera ricchezza e la vera forza di un Paese quando le regole sono chiare e pulite.
* l’Unità, Pubblicato il: 24.07.07, Modificato il: 24.07.07 alle ore 13.50
Il numero 50 di Adista è da non perdere.
segnalazione di Aldo [don Antonelli]
Vi si riporta un interessantissimo dibattito sull’attuale stato della politica italiana e non: America, la Destra italiana, Berlusconi, la sinistra, il cattolicesimo democratico, il partito democratico ed altro ancora.
Al forum partecipano Angelo Bertani, Furio Colombo, Raniero La Valle e Giorgio Tonini.
Vi riporto solo alcuni passi dell’intervento di Furio Colombo. Le evidenziazioni in grassetto sono mie. (Aldo)
Se vi interessa tutto il forum potete leggerlo nel sito www.adistaonline.it
Furio Colombo: Il vento nuovo che soffia dagli Usa aiuterà l’Italia a fare definitivamente i conti col berlusconismo? (......)
Ho vissuto a lungo in un Paese, gli Stati Uniti, profondamente permeato dalla cultura democratica: il Paese che veniva da Roosevelt, dalla lotta all’anti-fascismo, dalla enorme importanza che avevano i sindacati, la cultura del solidarismo, la militanza di preti e suore sui temi della pace e del disarmo. Nell’arco di questi ultimi anni ho visto come è nata la nuova destra americana. Una destra che, benché a livello profondo avesse sempre avuto le sue punte di diamante dentro i grandi interessi economici, in superficie ha iniziato a presentarsi nelle forme “popolari” della destra cristiana fondamentalista. Ad un certo punto le grandi Chiese protestanti, principalmente quella battista, hanno dato segni di fondamentalismo, iniziando a proclamare l’importanza della fede a scapito delle opere; anzi, quasi il disprezzo per le opere. Nel mio libro del 1982, “Il Dio d’America”, affermavo che l’America sarebbe stata segnata dai grandi movimenti religiosi e confrontavo i tre grandi movimenti allora presenti: quello evangelico-pentecostale-battista, con forti venature fondamentaliste e grande spinta verso la destra popolare di massa; quello cattolico, ancora vastamente solidarista e basato sui grandi valori del lavoro, dei poveri, del mito di Madre Teresa di Calcutta; quello del militantismo ebraico che era principalmente democratico e solidaristico, tanto è vero che, nonostante Israele, tuttora una piccola maggioranza dei 5 milioni di ebrei americani vota democratico, piuttosto che repubblicano.
Il cambiamento della destra americana è avvenuto all’improvviso, con un meccanismo molto simile a quello che in seguito sarà il meccanismo berlusconiano. In questo processo, Reagan ha agito in un modo piuttosto sommario e improvvisato. Qualcosa di molto più solido è accaduto con Bush padre, dove l’aggancio con alcune centrali di attività internazionale di destra e di estrema destra era forte, tuttavia Bush padre si sentiva ancora legato alle forme della politica, a certi aspetti costituzionali, per cui il suo spostamento a destra è stato, dal punto di vista degli effetti, meno visibile di quello operato da Reagan. Invece, con George W. Bush la destra ha perso qualsiasi pudore, rompendo ogni barriera politico-istituzionale. E qui c’è la saldatura con la situazione italiana, che ha con gli States un rapporto molto particolare. George W. Bush ha saldato con Silvio Berlusconi un rapporto assolutamente omogeneo e corrispondente tra destre decise a non avere alcun pudore.
Bush figlio è corso verso il voto della prateria cristiana rimuovendo ogni ostacolo, ha messo il piano inclinato e ha permesso che tutta la politica del partito repubblicano andasse verso quella parte: “Cosa volete? la preghiera nelle scuole, anche se offende le altre religioni? Non importa, noi siamo per la preghiera nelle scuole. Limitazioni all’aborto anche quando è in pericolo la salute della donna? Non c’è problema”. Quella di Bush è stata una corsa indifferenziata per ingraziarsi i favori della destra cristiana e in questa sua corsa è stato seguito dai media, che riflettevano gli interessi di quella finanza (......)
Questa manovra è stata ripresa in pieno da Berlusconi che ha capito da subito che bisognava mettere il piano inclinato, e lasciar scorrere tutto ciò che favoriva atteggiamenti tradizionalisti, conformisti, opportunisti, cercando di risvegliare tutto il vecchio e tutto il peggio della società italiana. L’incoraggiamento non esplicito ma molto diffuso nel mondo berlusconiano recita: “Tu devi fingere di essere credente, non devi essere credente”. Un grande incoraggiamento alla finzione; e nella finzione di essere credente non c’è limite, non c’è obiezione. L’Italia ha alle spalle secoli di opportunismo per poter sopravvivere: risvegliare l’opportunismo della finzione di essere credenti è stata una mossa vincente.
Stessa dinamica per un fatto accaduto recentemente: il caso della Guardia di Finanza. Il giorno che Padoa Schioppa riferiva in Senato sulla questione del generale Speciale, abbiamo saputo che a destra avevano previsto l’arrivo delle fiamme gialle nei loggioni del Senato, che avrebbero dovuto popolarsi di finanzieri. Un fatto gravissimo, che Marini ha impedito con un pretesto, facendo dire agli uscieri che mancava la richiesta. Ora, non è che a destra siano stati presi da una vampata di patriottismo, è che una volta messo il piano inclinato, non c’è più limite, non c’è più modo di fermarlo. Per questa ragione, in quattro anni di direzione dell’Unità io ho sostenuto il pericolo grave, mortale rappresentato da Silvio Berlusconi. Sono rimasto l’unico; non sono stato sostenuto e ad un certo punto sono stato pregato di andarmene. Zanda (Margherita) ha recentemente fatto appello a Berlusconi “a lavorare assieme per il bene della patria”. Gli ho detto: “Guarda, avrai la risposta di Berlusconi entro questa sera”. Sono passati 5 minuti e la destra ha occupato l’aula con i cartelli con il volto di Visco come quello del padrino, con le scritte “ridateci la democrazia”, bloccando i lavori e assumendo un comportamento indegno. E questo dopo l’appello di Zanda a “lavorare assieme”...
Allora io continuo a vedere il pericolo non in Ruini, ma in Berlusconi. Perché una calca di miscredenti è entrata con forza nelle chiese con il nuovo comandamento “tu crederai senza credere”. Alle spalle dei cattolici è arrivata la calca di miscredenti e ha cominciato a fare a gomitate e a pugni nello spazio nei pressi del papa. Per cui il papa non fa in tempo ad aprire la bocca che ottiene lo spazio in tutti i telegiornali: è un bollettino quotidiano, moltiplicato per tutti i telegiornali che l’Italia possiede, con delle sequenze che finiscono per influenzare la gente. Quindi in questo momento tutto ciò che chiamiamo Chiesa è in mano a miscredenti! In mano ad uomini come Giuliano Ferrara, in mano ai cosiddetti atei devoti; sono loro che condizionano e spingono la folla, creando dei mostri come il Family Day, che è stata una delle cose più umilianti che abbia mai visto, da italiano: l’esibizione di famiglie con sette figli io le ho viste da bambino solo al tempo del fascismo.
Il Family Day, così come ci è stato illustrato dalle televisioni, dai miscredenti, ci ha mostrato che la famiglia vera è quella che ha almeno sette figli. Invece era un’oscena operazione “anti”: contro i diritti di altre persone, attraverso un passaggio di una nefandezza logica e inesistenza logica assoluta, quella per cui se due persone si vogliono bene, vivono insieme e vogliono una legge che gli consenta di passarsi l’apparta-mento, per non farsi sfrattare in caso di morte di uno dei due, questo minaccia me, mia moglie, i miei figli e i miei nipotini! Ma come si può affermare una illogicità così profonda? Soltanto tra miscredenti. Soltanto tra gente senza fede, senza amore, senza solidarietà, senza rapporti tra esseri umani. Soltanto tra cinici si possono dire cose di questo genere, e per imporre questa logica perversa c’è bisogno che la piazza sia occupata da una folla di miscredenti e di finti credenti, di signore divorziate che stanno con il nuovo amico, scollate e con il crocefisso, nel loro quarto matrimonio benedetto da qualche vescovo. (.....) Penso .... che il cambiamento che viene dall’America porterà dei cambiamenti anche in Italia. Purtroppo, anche nel Senato italiano, ancora si continuano a lanciare appelli a Berlusconi, il peggiore personaggio che sia apparso alla ribalta della vita politica del mondo negli ultimi tredici anni. Al punto che, nella stampa francese, i detrattori o gli scettici di Sarkozy si domandano: sarà un Kennedy o un Berlusconi? Ma è nel vento nuovo che soffia in America che vedo l’aggancio con la speranza che si possa superare questa impasse, anche all’interno del nascente Partito Democratico, che però è afflitto al momento da un’anemia paurosa, in particolare nella parte che è numericamente più ampia, ovvero nella sinistra che ci sta entrando in condizioni di debolezza. Dalla posizione mite e prudente di Hillary Clinton a quella infinitamente più esposta e generosa di Barack Obama, c’è un’America solidaristica, un’America dei poveri, un’America dell’anti-guerra, dei grandi sentimenti popolari, come quella della signora Cindy Sheehan che ha perduto il figlio in Iraq, l’America che ha portato la cattolica Nancy Pelosi a divenire la speaker della Camera (con un Senato robustamente rappresentato da cattolici come Kennedy e Kerry) nel Congresso più anti-guerra che ci sia mai stato dopo il Vietnam. E se vedo dei cedimenti strani, terribili e poco promettenti, spero comunque che la scossa americana dia il frutto che potrebbe dare. Ma può darsi che abbia un eccesso di ottimismo.
Il direttore coraggioso
di Furio Colombo *
«Si affolla la gara per le primarie». Così inizia il suo articolo Stefano Menichini, direttore di Europa, organo dei “coraggiosi” che suggeriscono di smontare il palco dell’attuale centrosinistra per rimontarlo un po’ più vicino a Berlusconi.
Curiosa apertura di un articolo dedicato da un quotidiano politico non a una “gara” ma alle elezioni primarie per la carica di segretario del nascente Partito democratico. Ancora più curiosa l’immagine che il direttore evoca per i suoi lettori. Si “affolla” una “gara” che sabato 14 luglio era di uno (Walter Veltroni), il 15 luglio era di due (Walter Veltroni e io) e lunedì 16 era di tre (quando si è aggiunta felicemente Rosy Bindi).
Dopo un’apertura così poco giornalistica (a lui tre persone che vorrebbero confrontare idee e progetti per un nuovo grande partito sembrano una folla), segue un elaborato in cui Menichini perde il filo forse perché cautamente assente dagli anni di Berlusconi in cui Padellaro e io, solo per l’ostinazione di dirigere un giornale antiberlusconiano, venivamo definiti terroristi, omicidi (”testata omicida” era la definizione che ci spettava, mentre Menichini era probabilmente a Lugano) querelati quasi una volta al giorno (mai sui fatti), citati a giudizio in cause civili milionarie dalla batteria di avvocati di casa Berlusconi-Previti- Dell’Utri.
Se il direttore di Europa, invece che in un dorato esilio (così si deve immaginare a causa della sua memoria totalmente sgombra da persone e fatti realmente accaduti dal 2001 al 2006) si fosse trovato a vivere in Italia avrebbe notato che questo giornale - si è accorto delle violenze cilene accadute al G8 di Genova (un ragazzo ucciso e centinaia di feriti nel modo più brutale) come debutto democratico del duo Fini-Berlusconi, molto prima delle rivelazioni giudiziarie e delle drammatiche confessioni di parti in causa;
si è schierato con il Palavobis prima di sapere che invece di 400 o 4.000 partecipanti ci sarebbero stati 40.000 protagonisti di libertà (quella sì era una folla);
ha lavorato a sostenere tutti gli eventi liberi e tutti i girotondi fino all’autoconvocazione, senza cestini pranzo e autobus pagati, di un milione di cittadini in Piazza San Giovanni;
si è occupato giorno per giorno di ogni legge vergogna e di ogni Tv vergogna (direttori di grandi quotidiani che sedevano due ore in silenzio attorno al facondo monologante Berlusconi, sostenuto dal sorriso di Bruno Vespa, senza interromperlo mai);
si è meritato sia ripetute minacce di morte (il giornale ha dato notizia solo di quelle pubbliche, le altre le ha girate alla Digos) sia lo spionaggio personale e quotidiano per cinque anni, pedinamenti inclusi, di quella parte o gruppo dirigente del Sismi che è adesso al centro di una vasta inchiesta giudiziaria.
Menichini mi accusa di «presunzione di superiorità morale». Diciamo che, con Padellaro e tutti i miei colleghi de l’Unità, abbiamo lavorato per la fine della clamorosa e vergognosa illegalità che dominava sotto Berlusconi. E Menichini no. Nessuno si sarebbe sognato di rimproverargli la sua prudente assenza dalla scena. Dopotutto Berlusconi, senza il Palavobis, senza Piazza San Giovanni, senza centinaia di girotondi, senza la mobilitazione di tanti cittadini altrimenti estranei ai partiti e alla politica, e senza l’Unità (il solo giornale politico europeo con 70mila copie vendute) avrebbe potuto durare dieci anni e anche più, continuare il massacro delle nostre libertà, il controllo totale delle televisioni e la immagine ridicola e penosa dell’Italia, nata il giorno del non dimenticato scontro con l’eurodeputato Schultz, che Berlusconi ha chiamato kapò.
Ma adesso è Menichini che un po’ bizzarramente fa l’elenco di ciò che noi, secondo lui, non avremmo fatto. Ci vuole coraggio, ma dopotutto Menichini fa parte dei “coraggiosi”. Sentite. Avremmo dovuto (noi, l’Unità e il suo direttore) in piena epoca berlusconiana tener testa a Prodi, sfidarlo a quelle primarie; avremmo dovuto andarci piano con Berlusconi. Dopotutto è stato scelto da metà del Paese. Pensate alla fortuna dei cittadini americani che nessuno ha ammonito ad andarci piano con Bush, neppure quando aveva il 70 per cento di gradimento. E infatti adesso il suo gradimento è al 34 per cento. Si chiama democrazia.
Io, personalmente, dovrei essere molto prudente nelle primarie, mi ammonisce Menichini. Vedessi mai che le vinco. «Berlusconi - dice lui con una gentile affermazione di stima nei miei confronti - lo affosserebbe in tre giorni». Con il Sismi dei tempi di Berlusconi e tutta la televisione ferreamente sotto controllo, pena il licenziamento immediato, è possibile. Ma se la vita italiana fosse normale, Menichini pensa davvero che l’uomo rifatto di Arcore sia così irresistibile? Se lo immagina Berlusconi eletto a plebiscito in Francia o anche solo in Costarica? Senza Vespa, senza Confalonieri, senza i ragazzi a gettone di Dell’Utri e la folla napoletana che, sono certo, non si lascerà umiliare una seconda volta da quelle domande tipo spot dei telefonini a cui bisogna rispondere in coro “siiii” e “noooo” come non si vede neppure in “Fascisti su Marte”?
Menichini si domanda perplesso come Padellaro, Travaglio, Flores, e io (per dire i peggiori) ce la faremmo mai a battere Berlusconi.
Semplice, Menichini: prima di tutto smettere di venerarlo, smettere di pensare che sia astuto, good looking, affascinante, moderno e invincibile.
Chiamiamo a testimone Veronica Lario. Lei - che lo ha visto da vicino - ha voluto farci sapere che, a differenza di ciò che credono alcuni della Margherita (e anche alcuni Ds) l’uomo rifatto di Arcore viene dal più profondo e umiliante passato italiano.
Bello però il titolo di Menichini: «Con quelli non vinceremo mai». Ce lo avevano già detto, a cominciare dal 2001 e nei giorni della rinascita de l’Unità, molti suoi colleghi, quando lui era a Lugano. Noi testardamente siamo andati avanti. Pazienza, Menichini. Per il momento Berlusconi non governa. Nonostante lo spionaggio, le accuse, le calunnie, le querele milionarie, non ci ha spaventato, non ci ha affascinato e non ha vinto. Per il futuro, perché non augurare buona fortuna a chi non smette di provare, e di dare il suo contributo per un po’ più di dignità e di libertà in Italia, sempre che Europa sia, oltre all’ Unità, l’altro giornale del Partito democratico?
furiocolombo@unita.it
* l’Unità, Pubblicato il: 18.07.07, Modificato il: 18.07.07 alle ore 7.50
Colombo: «Chiedo i voti degli antiberlusconiani»
di Andrea Carugati *
«Ma come? Sono i giorni dell’anniversario del “pestaggio cileno” di Genova, come scrivemmo su l’Unità, e il centrosinistra pensa di andare a cercare Berlusconi per fare delle cose insieme?».
La lettura dei giornali di ieri, con le parole di Nicola Latorre al Giornale (in cui il senatore Ds auspica un dialogo con Berlusconi sulle riforme costituzionali), ha ulteriormente convinto Furio Colombo della scelta di candidarsi alla guida del Pd. Soprattutto per dare voce, spiega Colombo, «a tutti quelli che pensavano di non andare a votare alle primarie e che mi stanno scrivendo che la mia decisione gli ha fatto cambiare idea. Da domenica ho ricevuto decine di lettere». A scrivere è quel popolo di lettori de l’Unità, molti del Nord, deluso dal fatto che non si sia ancora fatta una legge sul conflitto di interessi. Timoroso di una deriva centrista del Pd e del centrosinistra. Colombo sfoglia le sue mail e sorride: «Non è certo il momento di andare a cercare Berlusconi, mentre lui chiama le piazze alla ribellione contro il governo legittimo e fa insultare in Senato Rita Levi Montalcini e D’Ambrosio». «La mia candidatura significa questo: gran parte degli elettori ha capito benissimo che non si può abbassare la guardia sul pericolo Berlusconi e sul conflitto di interessi. Lo dicono i risultati delle amministrative: anche a Genova meno persone sono andate a votare per la sinistra, nonostante una buona candidata. Si sono astenuti perché non hanno più sentito l’impegno sulle cose incredibili che hanno marchiato l’Italia durante i 5 anni di Berlusconi». Ma al Nord non si era perso per le tasse? «Sono cose scritte dal Giornale che tutti abbiamo adottato come “La Verità”. Noi abbiamo questa specializzazione: prendere le ragioni della destra e dire che “non sono niente male, possiamo dirle anche noi”. È successo anche con la presunta incompatibilità tra sinistra cosiddetta “riformista” e “radicale”: lo dice Tremonti in tv e noi ci siamo persuasi che sia vero. Ma sulla giustizia sono stati tre moderati di centro a far quasi cadere il governo Prodi».
Colombo, dunque, scalda i motori. Nonostante le difficoltà per lanciare una candidatura entro il 30 luglio: servono almeno 2mila firme di sostegno, in almeno 5 regioni. «Queste regole bizzarre sono state scritte avendo in mente esclusivamente importanti leader dei due partiti. Forse pensavano, in buona fede, che nessun outsider si sarebbe candidato: mi dispiace». «Negli Usa- spiega Colombo- le primarie non si fanno lo stesso giorno in tutti gli stati: si dà il tempo ai vari candidati di avanzare con le loro idee di piccolo luogo in piccolo luogo. Clinton era sconosciuto: se avesse dovuto affrontare tutte le primarie lo stesso giorno non sarebbe mai diventato presidente». «Per fortuna- dice Colombo- la risposta spontanea che ho avuto fino ad ora mi fa sperare che troverò aiuto anche in realtà dove non avrei i mezzi per organizzarmi». In molte mail, infatti, agli incoraggiamenti seguono numeri di cellulare e promesse di collaborazione: «Qui a Correggio siamo pronti a rimboccarci le maniche», scrive Rossana.
Dai big della politica non sono arrivate telefonate. Neppure da Nanni Moretti. «Ma anche Clinton ha conquistato consensi mano a mano...». Con Prodi ne ha parlato? «No, perché sarebbe sembrato che cercassi una sponsorizzazione. Ma sono sicuro che ne pensa bene». E il ticket con Rosy Bindi proposto da Travaglio? «È una delle persone con cui mi sarebbe più facile fare un ticket. Il lavoro sui Dico è molto civile e non apprezzo che sia stato abbandonato». E Veltroni? «Trovo molto onorevole essere in competizione con lui. C’è un antico rapporto di amicizia: confido che prevarrà sugli eventi contemporanei. Non mi candido contro di lui, ma per completare il discorso: ad esempio per dire a Rutelli che non sono d’accordo a cancellare dall’inquadratura una parte della sinistra per mostrare una parte della destra».
* l’Unità, Pubblicato il: 17.07.07, Modificato il: 17.07.07 alle ore 8.43
Il miasma di Weimar
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 15/07/2007)
Difficile dire come mai quel che ultimamente vediamo sui telegiornali pubblici e privati non ci impressioni più di tanto. Accade ogni sera, ed è ormai pane quotidiano della politica, dell’informazione.
Il capo dell’opposizione, Silvio Berlusconi, gesticola su un pulpito nel mezzo d’una piazza e dichiara morto il governo definendolo illegittimo, figlio di brogli, erede di criminose ideologie defunte. Fa un comizio dopo l’altro davanti a folle enormi che lo osannano, come se fossimo nel cuore infiammato di una campagna elettorale. Probabilmente l’evento non ci impressiona perché siamo abituati al controsenso eretto a sistema. Perché la cultura dell’instabilità che avevamo riguardo a inflazione e moneta s’è trasferita nella politica. Perché la storia a noi dice poco, e le instabilità nostre non ci ricordano instabilità - come quella di Weimar - che altrove rimangono un’ossessione.
Se fossimo visitatori stranieri, quel che succede ci riempirebbe di stupore, d’incredulità. Infatti non siamo in mezzo a una competizione elettorale, il Parlamento non è sciolto, il governo sta governando a fatica ma governa. Berlusconi è solo, a gesticolare sui podi di Napoli o Lucca. Non ha rivali, come usa nelle campagne elettorali: oggi per i rivali è tempo di governo, non di comizi e conquista del potere. Lo straniero avrebbe non poche ragioni per domandarsi se per caso l’Italia non stia deragliando. Se non stia scostandosi da quel principio essenziale della ragione che è il principio di non contraddizione. Non si può al tempo stesso dire che l’uomo è animale bipede e il contrario: «niente simultaneamente può essere e non essere», insegna Aristotele.
Invece da noi no. C’è chi governa da oltre un anno e c’è chi fa finta che no, e agisce come se al comando non ci fossero che ombre usurpatrici o immaginarie. È menzogna illusionista, ma Berlusconi ha il talento di trasformare le menzogne in verità condivise dai più. Con tale dote suscita poteri opposti a quelli legali sino a farli apparire e renderli reali: poteri delle piazze, dei sondaggi, dei media, di corpi separati dallo Stato appunto come a Weimar. Per capire come fa, bisogna mettersi nelle vesti dell’osservatore straniero - condividere la sua capacità di stupirsi, d’interrogarsi - e cercare di penetrare lo speciale potere di persuasione esercitato dal leader dell’opposizione.
È un potere ben conosciuto da chi ha studiato la potenza delle masse, della pubblicità, della propaganda. Già nel 1895, quando scrisse la Psicologia delle folle, Gustave Le Bon - medico di formazione - indicò i tre ingredienti del fascino sprigionato dal meneur des foules, dal trascinatore di folle: l’affermazione che non tollera confutazioni anche se falsa; la ripetizione ininterrotta dell’affermazione; il contagio. Tutti ingredienti presenti nell’agire di Berlusconi, che per prosperare non possono fare a meno di una permanente campagna elettorale, fondata su un vuoto o un passaggio di poteri ingannevoli. Dice Le Bon: i trascinatori «tendono a rimpiazzare progressivamente i poteri pubblici a misura che questi sono messi in discussione e s’indeboliscono». I poteri pubblici non sono solo indeboliti: Berlusconi li dà per morti.
Ma il controsenso non nasce solo dalla discordanza fra governo e conquista del potere. Anche se fossimo in campagna elettorale, l’osservatore straniero si stupirebbe parecchio. Innanzitutto per la violenza, inaudita, che emana dalle folle aizzate (venerdì, a Napoli, Berlusconi ha incitato ad agire un «esercito delle libertà»). Poi per offese che altrove son tabù. Se la folla urla oscenità contro Prodi, Berlusconi non la frena ma la sprona: «Siete lievemente rozzi ma efficaci». Come in Elias Canetti, la ferocia distruttiva degenera in muta animale, se lusingata.
Le Bon spiega come il trascinatore sia a sua volta un trascinato: può esserlo da un’idea fissa e da dottrine nazionaliste, socialiste, o da entrambi. Nel caso di Berlusconi accade l’inedito: la folla, solitamente non mossa da interesse privato (è il singolo ad avere interessi personali) innalza la rivendicazione particolare a interesse collettivo. Nella Psicologia delle folle questa possibilità è contemplata: il capopopolo può essere motivato da privati interessi.
La piazza che un tempo era cruciale per l’ipnotizzatore delle masse è oggi la televisione, oltre alla stampa. Anche su di loro, dunque, s’esercita la triplice potenza dell’affermazione, della ripetizione, del contagio. Anch’esse scambiano per verità l’immagine incantatoria d’una competizione elettorale incessante, d’un governo inesistente, comportandosi spesso come poteri che dall’esterno indeboliscono l’autorità pubblica. Più di un anno è passato dalle legislative, e i notiziari tv non son cambiati. In teoria c’è differenza tra Rai e reti private, di Berlusconi. In realtà, il leader di mercato è tuttora Mediaset e Mediaset dà lo standard, come se non ci fosse stata alternanza: in televisione come in altri corpi dello Stato il governo è di Prodi ma il potere resta di Berlusconi (non pochi suoi uomini d’altronde sono oggi consiglieri ministeriali). Se il governo passa una legge con il voto di un senatore a vita, la televisione lo presenta come patologia (inutile ricordare che anche Berlusconi s’avvalse dei senatori non eletti: il 18 maggio ’94 il suo governo ottenne la fiducia per un solo voto, grazie ai senatori a vita Agnelli, Cossiga, Leone).
Vorremmo citare il Tg1, e in particolare il notiziario di venerdì sul voto al Senato della riforma della giustizia. La cosiddetta pratica del panino resta immutata: il tg apre con dichiarazioni di Castelli della Lega, di Fini e Matteoli di An, di Schifani di Forza Italia (12,47 minuti). Seguono Finocchiaro, Salvi e Mastella, della maggioranza (38 secondi). Chiude il comizio di Berlusconi a Lucca (1 minuto). È la normalità, non un’eccezione: la Rai si ritiene obbligata a offrire lo stesso prodotto del concorrente. Obbligata da chi? Da un istinto fortemente legato al contagio. Nulla è più contagioso della menzogna e dell’immagine chimerica, conclude Le Bon: «Le folle non hanno mai sete di verità. Deificano l’errore. Chiunque le disillude tende a divenire loro vittima».
Il contagio per definizione trasmette l’infezione a tutti, compresi i sani e la città intera: infetta l’opposizione e i suoi tifosi, ma anche sindacati e esponenti della maggioranza. Esponenti d’estrema sinistra che impediscono al governo di decidere. Esponenti di centro che prospettano - come Rutelli - coalizioni alternative senza dire che qualsiasi alternativa, per necessità numerica, includerà i berlusconiani. È l’imperio del miasma, che nella Grecia antica è una misteriosa esalazione che s’espande a causa d’una colpa o un male banalizzato. Il male è quell’interesse personale trasfigurato in interesse collettivo, unito alla convinzione che il governo legale abbia tradito la nazione con pugnalate alla schiena e di conseguenza non sia legittimo.
Esattamente come a Weimar sono tanti a esserne contaminati, nonostante l’oggi non sia mai identico a ieri. Ma il presente può somigliargli, anche se i colpevoli non sono quelli evocati da Ostellino sul Corriere di ieri. Non furono i socialdemocratici a sovvertire Weimar ma i comunisti e i corpi separati (esercito, Freikorps). Oggi come allora, comunisti e destre rivoluzionarie sono di fatto alleate, prigioniere del medesimo miasma. A Weimar l’alleanza fu evidente. A partire dal ’28 i comunisti seguono Stalin, scelgono i socialdemocratici come nemico primario, e nonostante cronici scontri con milizie hitleriane concordano azioni eversive con i nazional-socialisti: referendum contro il governo socialdemocratico in Prussia (1931); comuni mozioni di censura (1932 contro von Papen); sciopero di trasporti e picchettaggi congiunti (autunno ’32); mozione comunista, appoggiata da Hitler, contro il rilancio economico di von Papen (dicembre ’32); mozione che scioglie il Parlamento nel ’32.
L’abitudine al controsenso minaccia anche il rimedio alla distruttività delle folle, che Le Bon individua nell’esperienza. Ma l’esperienza agisce assai lentamente: «Solo se vien fatta su larga scala e ripetutamente». Non ne basta una, come credeva Montanelli, e sovente l’esperienza d’una generazione non vale per le successive. Non basta sapere che Berlusconi ha esorbitanti conflitti d’interesse ed è stato indagato più volte, se c’è miasma e il privato interesse viene deificato. Se c’è miasma Berlusconi appare come vittima immacolata, anche se assolta con formule dubitative e colpevole di numerosi reati prescritti. Effetto del miasma è che non se ne tiene conto. Che i fatti vengono sottratti alla vista, come scrive Marco Travaglio. L’impunità è quel che consente alla folla di inferocirsi senza rischiar nulla, osserva Le Bon. Mimetizzandosi con essa, Berlusconi molto freddamente ne profitta.
L’annuncio del ministro: "Anch’io sento la responsabilità di un impegno in prima persona"
"Una vittoria più forte e limpida se gli elettori non si limiteranno alla ratifica di un solo nome"
Pd, Bindi rompe gli indugi
"E’ giusto che io mi candidi"*
ROMA - Rosy Bindi rompe gli indugi e annuncia la sua candidatura alla segreteria del Partito democratico alle primarie del 14 ottobre. "L’appuntamento ha risvegliato, nel popolo dell’Ulivo, nuove attese e una grande speranza nel Pd - afferma il ministro della Famiglia - che non possono andare deluse. Anch’io, come tanti, sento la responsabilità di un impegno in prima persona". Bindi sottolinea di aver "riflettuto a lungo" sul contributo che avrebbe potuto dare "a questa straordinaria opportunità per la politica e il Paese", si dice convinta che "la scelta più giusta e più utile sia quella di presentare la mia autonoma candidatura alla segreteria del nuovo partito". E annuncia: "Se sarò eletta rinuncerò a qualunque altro incarico e mi dedicherò esclusivamente a questo compito entusiasmante". In una lunga nota, le ragioni della sua decisione.
Per una vera competizione. Un partito che nel suo atto fondativo segna "una radicale discontinuità" rispetto al passato e sceglie la nuova classe dirigente con una consultazione popolare "ha bisogno di una competizione vera - sostiene Bindi - che favorisca il confronto delle idee e porti alla luce differenze e ricchezze culturali". Il Pd sarà "quel soggetto politico aperto e plurale che abbiamo sempre voluto, se sapremo superare il recinto dei partiti fondatori e mescolare vecchi iscritti e nuovi nomi". Chiunque vincerà le primarie, aggiunge, "avrà una vittoria più forte e limpida se gli elettori non si limiteranno alla ratifica di un solo nome".
Il momento delle donne. Bindi è dice convinta che "le donne non possano più aspettare" e che i tempi siano maturi "per lasciarci alle spalle schemi e pregiudizi culturali". E spera che la sua candidatura sia un incoraggiamento per le donne "che vogliono mettersi al servizio, in prima persona, della democrazia italiana".
Bipolarismo e laicità. Il Pd, osserva Bindi, deve avere l’ambizione "di restituire autorevolezza alla politica e qualità alla nostra democrazia". Serve "un bipolarismo maturo, senza ambiguità e tatticismi", per questo bisogna "cogliere fino in fondo la sfida di una nuova laicità". Il pluralismo etico, religioso e culturale che caratterizza la società italiana impone "un civile confronto tra credenti e credenti così come tra credenti e non credenti" e "la ricerca di un orizzonte più avanzato di dialogo e collaborazione".
Persone più forti delle regole. Il Comitato dei 45 ha approvato "un regolamento elettorale che favorisce chi può contare su una forte organizzazione", Ds e Margherita "hanno dichiarato di appoggiare la candidatura di Veltroni" ma, nonostante "questi limiti", Bindi è convinta che tantissimi "vogliono essere protagonisti della nuova stagione". E si appella "a coloro che guardano con speranza al partito nuovo" affinché entro una settimana vengano raccolte e presentate 3.000 firme.
* la Repubblica, 16 luglio 2007
Il ministro della Difesa rinuncia a correre per la segreteria del Partito Democratico
"Sostengo e saluto con soddifazione la candidatura di una donna che ha capito il senso delle primarie"
Pd, Parisi: "Non mi candido
Appoggio Rosy Bindi"
ROMA - "Non mi candido, appoggio la Bindi". Così Arturo Parisi al comitato referendario ha annunciato di non volersi candidare alla segreteria del Pd e di voler appoggiare il ministro della Famiglia, Rosy Bindi.
"Sono lieto - aggiunge Parisi - di sostenere le candidature che con maggiore trasparenza e determinazione rappresentano i nostri valori. Ho salutato e saluto ancora con soddisfazione la candidatura della Bindi, una candidatura coraggiosa di una donna che ha capito il senso delle primarie e il significato di questo partito nuovo per il quale ci siamo messi in cammino tanti anni fa’’.
Rosy Bindi ha reso nota ieri la sua decisione, applaudita da Parisi. "La Bindi ha alzato la mano indipendentemente dall’indicazione dei partiti anzi contro l’indicazione dei partiti stessi", ha detto ancora il ministro della Difesa. "Bindi - prosegue - si è candidata superando i limiti di un regolamento che è stato pensato sulla base e con il presupposto che ci fosse il controllo da parte dei partiti".
* la Repubblica, 17 luglio 2007
Pd, Bindi: «Le donne assumano la leadership» *
«Le donne italiane devono assumere la leadership delle risposte alla crisi della democrazia. Oggi sono le prime interessate alla reinvenzione della pratica democratica e partecipativa». Così Rosy Bindi, presentando al residence Ripetta il documento dal titolo Partito democratico davvero, spiega la sua decisione di candidarsi alla guida del Pd. Da un lato dare una risposta «all’antipolitica con una grande partecipazione» e dall’altro la valorizzazione del ruolo delle donne, quale appunto risposta alla crisi della politica.
Bindi ringrazia quindi il ministro Amato: «Lo ringrazio veramente per aver detto che il frammento delle donne è l’unico frammento che può veramente specchiare il tutto di una società divisa». Continuando sul tema Bindi nel suo documento aggiunge che «la sistematica esclusione delle donne dal potere è molto più di un simbolo delle prassi oligarchiche, della qualità della selezione politica, che umilia insieme le iscritte ai partiti e le donne fuori dai partiti, ma non solo le donne.
«Sono le prime a essere interessate sia a una politica capace di decidere, sia a riscrivere l’agenda politica in modo da privilegiare le grandi questioni irrisolte che pesano sulla vita quotidiana» e cita «gli squilibri nell’uso delle risorse la, formazione delle nuove generazioni, il governo pacifico dei conflitti anche etnici e regionali, la cura dei deboli e il rinnovamento senza tradimenti delle grandi culture storiche alla battaglia per la legalità e la riduzione dei costi della politica». La sua corsa è sostenuta dal premier Prodi? «No, ma a tutti farebbe piacere». E aggiunge: «Io non sfido Walter, do un contributo al Pd. Ma sSono come un Davide contro Golia, senza nemmeno avere la fionda».
* l’Unità, Pubblicato il: 19.07.07, Modificato il: 19.07.07 alle ore 16.56