[...] Spieghiamo “diciannovismo”. Come novant’anni fa.
«Cioè, il tentativo di mettere alla gogna le istituzioni: prima si pensa alla politica e ai partiti, poi si passa al sindacato. Che senso vuole avere la sistemazione dentro una casta di sindacalisti e sindacati? Perché piegare a questo disegno la storia? Cito l’intollerabile dimenticanza che sta all’origine di quanto si scrive a proposito di patrimoni immobiliari. Una dimenticanza che rimuove la nostra storia e il fascismo, perché si cancella il fatto che il cosiddetto regalo delle sedi fasciste ai sindacati fu un risarcimento minimo di quanto i sindacati patirono dal punto di vista politico, umano e materiale nel ventennio. Vogliamo ricordare quante sedi sindacali vennero incendiate, devastate, distrutte? Occultare o dimenticare sono procedimenti che dovrebbero impensierire chiunque abbia coscienza democratica e quindi anche un settimanale come l’Espresso che nella costruzione di quella coscienza ha avuto sicuramente parte. Se tutto si rimuove, se tutto si azzera, si finisce con lo smarrire il senso di tante parole come “storia”, come “diritti”, come “solidarietà”... E naturalmente come “sinistra”...» [...]
di Oreste Pivetta *
Caro Epifani, ci sentiamo accerchiati? La firma sotto il protocollo, le riserve a proposito del protocollo, Fassino che non comprende le riserve, la sinistra e i riformisti, i metalmeccanici e Bonanni. Rifaccio la domanda, sfogliando l’ultimo numero dell’Espresso, quello con la copertina dedicata a Epifani, appunto, ad Angeletti e a Bonanni....
Sotto il volto dei tre segretari il titolo è «L’altra casta». E ancora «Privilegi. Carriere. Stipendi. E fatturati da multinazionale. I conti in tasca ai sindacati». Nelle pagine interne, poi, un lungo elenco di malefatte, una somma di delitti sotto il segno del potere.
Che dire del titolo, “L’altra casta”. Senza dimenticare quello all’interno, “Così potenti, così arroganti”... Vi sentite percorsi da un brivido di indignazione?
«Sì, siamo indignati. Siamo indignati per un’operazione a freddo, senza argomenti, senza nessuna indagine, tra distorsioni intollerabili. Come se il proposito fosse: abbiamo fatto i conti con la politica, adesso tocca al sindacato. In un’altra intervista all’Unità, avevo accennato al rischio di un diciannovismo di ritorno... ».
Spieghiamo “diciannovismo”. Come novant’anni fa.
«Cioè, il tentativo di mettere alla gogna le istituzioni: prima si pensa alla politica e ai partiti, poi si passa al sindacato. Che senso vuole avere la sistemazione dentro una casta di sindacalisti e sindacati? Perché piegare a questo disegno la storia? Cito l’intollerabile dimenticanza che sta all’origine di quanto si scrive a proposito di patrimoni immobiliari. Una dimenticanza che rimuove la nostra storia e il fascismo, perché si cancella il fatto che il cosiddetto regalo delle sedi fasciste ai sindacati fu un risarcimento minimo di quanto i sindacati patirono dal punto di vista politico, umano e materiale nel ventennio. Vogliamo ricordare quante sedi sindacali vennero incendiate, devastate, distrutte? Occultare o dimenticare sono procedimenti che dovrebbero impensierire chiunque abbia coscienza democratica e quindi anche un settimanale come l’Espresso che nella costruzione di quella coscienza ha avuto sicuramente parte. Se tutto si rimuove, se tutto si azzera, si finisce con lo smarrire il senso di tante parole come “storia”, come “diritti”, come “solidarietà”... E naturalmente come “sinistra”...».
Con argomenti che abbiamo letto e riletto sui fogli del centrodestra: i soldi dei Caf...
«Come se li avessimo cercati noi, i Caf, come se comunque non rappresentassero un servizio pubblico, utile a tanti. Un calderone inaccettabile, per concludere che il sindacato gode di un eccesso di potere. Se penso a questa accusa in rapporto al ruolo che abbiamo esercitato durante la complicata trattativa di questi mesi, devo dedurre che proprio questa forza espressa nel confronto con il governo e con le altre parti sociali si vuole colpire. Questa forza e questa autonomia... È evidente che qualcuno coltiva l’idea di una società semplificata, dentro la quale i poteri forti si contrappongono agli individui, senza più corpi di mezzo, senza più partiti o sindacati a mediare, fornendo alla affermazione del più forte sul più debole un modello tecnocratico, secondo un’ideologia liberista che riduce il mondo al mercato, spazzando via regole e rappresentanze, considerate un impiccio, un intralcio».
Se questa è la dimensione dello scontro, mi pare che la miopia non faccia difetto alla nostra sinistra, molto critica soprattutto dentro casa...
«C’è il vizio di cercare gli avversari tra i vicini, mentre probabilmente gli avversari stanno da un’altra parte. Ma in questo modo si smarrisce il senso di un’appartenenza e questo dovrebbe far riflettere la sinistra...».
Quando litigare diventa una malattia...
«Lo chiarisce Bersani...»
Quando sostiene che la parola sinistra non deve essere lasciata incustodita. È una raccomandazione che rivolge al nuovo Partito democratico...
«E a ragione. Sembra passare uno slogan: quello della contrapposizione tra sinistra riformista e sinistra radicale. Mentre dovrebbe finire in primo piano ciò che nella diversità delle posizioni comunque significa “sinistra”: e cioè solidarietà, senso della giustizia, difesa dei più deboli, concezione del lavoro. Valori, che mi auguro possano appartenere a un campo più vasto, ma che sono ancora il tratto della sinistra attraverso il quale ricostruire un linguaggio comune che sia libero da chiusure, schematismi, ideologismi. Ne dovrebbero discendere programmi e scelte, che, al di là delle articolazioni, riconducono a questo linguaggio. Dovrebbe valere anche per il futuro Pd».
Speriamo. Veniamo al presente del protocollo e della firma. Firma con riserve. Fassino ha detto di non capire. Non c’è il rischio che siano in molti a non capire, di fronte a un accordo giudicato comunque “buono”?
«Prima viene il dispiacere perché con poco sforzo si sarebbe potuto garantire un profilo riformatore più alto... Se penso a quei quattro punti che abbiamo indicato... Lo staff leasing: c’era l’impegno del governo a cancellarlo. La previdenza agricola: un progetto pronto è stato accantonato. Il lavoro a tempo determinato: si deve capire che bisogna affrontare il problema del “termine”, altrimenti si apre la strada a tutti gli abusi... Sono obiettivi importanti, ma non sono una montagna insuperabile per il governo. Spero che una risposta serena alle nostre domande comunque arrivi e mi pare che la discussione nel corso del consiglio dei ministri sia stata interessante, dal nostro punto di vista».
Queste le critiche. Anche la decontribuzione degli straordinari. Poi viene il buono... Sulle pensioni siamo tutti sensibili.
«Guai a sminuire il valore di questa intesa. L’aumento delle pensioni, l’aggancio al costo della vita... Cose note. Soprattutto bisogna ricordare che è il primo accordo che pensa ai giovani, dal riscatto della laurea alla misura dei coefficienti di rivalutazione. Per questo mi chiedo perché rinunciare a un passo avanti sui contratti a termine. Per questo, per tutte queste buone cose, malgrado le critiche, abbiamo firmato, assumendoci una responsabilità di fronte ai nostri iscritti, ai lavoratori, al paese. Come non hanno fatto tante altre grandi associazioni di interessi... Il sindacato ha cercato la difesa di un interesse collettivo, che riguarda il paese nella sua complessità, con un’attenzione che dovrebbe essere di tutti. Il senso della concertazione dovrebbe vivere in questa attenzione comune».
Che pensa allora del sì di Montezemolo, a condizione che non si tocchi nulla?
«Mi fa piacere, anche se non capisco il vincolo della immodificabilità. È assurdo pensare che non si possa più toccar nulla... Anche nel merito di questioni molto particolari. Ad esempio: non capisco perché Confindustria debba difendere lo staff leasing, non capisco perché non debba mirare ad una soluzione legislativa per il lavoro a termine, argomento che si ritroverà di fronte ad ogni discussione contrattuale, perché si capisce che non accetteremo mai situazione in cui il contratto a termine non torni alla sostanza chiara di contratto a termine».
Con la firma e con le riserve, andrete a chiedere il voto di lavoratori e pensionati...
«Il voto di tutti, insieme con Cisl e Uil. Vogliamo che la consultazione sia un momento di grande democrazia, di partecipazione, di coinvolgimento, perché non chiediamo soltanto un voto. Chiediamo di parlare e di spiegare, ma anche di ascoltare: vogliamo ascoltare le ragioni del malessere...».
Ma la Cisl si vorrebbe rivolgere solo agli iscritti.
«Legittimo che chieda un voto per sé. Del resto si devono riconoscere sensibilità diverse. Noi, unitariamente, vorremmo qualche cosa di più di un semplice voto. E torno da capo. Torno agli attacchi rivolti ai sindacati, ai tentativi di delegittimazione. Ai quali si deve rispondere».
A ridar forza al sindacato sarà anche la battaglia d’autunno. Si parla di iniziative diffuse, di una manifestazione a Roma...
«Vogliamo riproporre il tema dei migranti. In Parlamento stazionano quattro disegni di legge. Tutti fermi, mentre mi pare che non si possa attendere di fronte a un fenomeno sempre più vistoso, sempre più presente nella realtà italiana. Poi ci sono i giovani, poi c’è il lavoro precario. Tante iniziative locali, una grande iniziativa unitaria, la manifestazione... Queste sono le mie proposte».
Leggendo i giornali, al di là della “casta”, si scoprono contrasti dentro la Cgil, trame tra un sindacato e l’altro. Immagine non proprio di solidarietà.
«Ogni qualvolta la politica è scossa da un terremoto, anche il sindacato ne risente. Ma è sbagliato raccontare la discussione all’interno dei sindacati e della Cgil come fosse una trasposizione banale della discussione politica. La Cgil ha dentro di sé una forte convinzione della propria autonomia».
Ma della divisione tra cosiddetta “sinistra” e “riformisti” sapete qualche cosa anche voi.
«Ricordiamo che c’è stato un voto e che non è stato unanime. Una parte del direttivo ha votato contro. Rinaldini si è astenuto. Penso che questi compagni sbaglino, ma è legittimo sbagliare. La linea è però quella indicata dal voto».
Qualcuno, però, scrive che le parti si sono rovesciate: la Cgil in balia di questa insinuante e pervasiva sinistra, che pare il demonio e ha messo nell’angolo i riformisti. E rimpiange i tempi di Cofferati, quando le distinzioni erano nette.
«Mi sembra un’analisi profondamente sbagliata. che fa torto anche a Cofferati. Il pluralismo è un bene».
E comunque, si vedrà in autunno.
«Da una grande consultazione ci aspettiamo una grande legittimazione del sindacato, proprio quando il sindacato è sotto schiaffo. Recuperare una grande convalidazione democratica: questa è la sfida».
* l’Unità, Pubblicato il: 05.08.07, Modificato il: 05.08.07 alle ore 9.08
Sul tema generale, nel sito, si cfr.:
Damiano: «Difendo i sindacati, non sono una casta»
di Laura Matteucci *
«Questo è il tempo dell’attacco ai partiti, e adesso è cominciato anche l’attacco ai sindacati. Con il rischio di alimentare quella disaffezione nei confronti della politica e delle istituzioni che finisce poi con il colpire le grandi organizzazioni popolari. E di far venire meno quel collante indispensabile per la democrazia, il tessuto delle rappresentanze, che dovrebbe garantire una visione complessiva dei problemi del paese». Cesare Damiano parla da ministro del Lavoro e da ex sindacalista, per decenni dirigente della Cgil, peraltro appena riemerso da una faticosa trattativa per arrivare alla famosa firma in calce al protocollo su pensioni e stato sociale. Non è uomo che drammatizza, Damiano. Ma quell’articolo sull’Espresso, in cui si parla di sindacato come casta privilegiata, allarma anche lui.
Ministro, se il sindacato garantisce una “visione complessiva”, che significa quest’attacco? E a che cosa può portare?
«Il rischio è di una deriva corporativa degli interessi, l’esatto contrario di quello di cui il paese ha bisogno. È chiaro che in quel caso il sindacato confederale cesserebbe la sua funzione che, in Italia, e storicamente, è sempre stata quella di coniugare interessi generali e particolari. L’ultima trattativa è stata la prova migliore di come il sindacato riesca a rappresentare gli interessi generali senza dimenticare le fatiche e i problemi quotidiani del lavoro».
Perché adesso? Epifani parla del tentativo di semplificare la società, senza più corpi a mediare tra i poteri forti e gli individui. Concorda?
«Il tentativo di assestare un colpo ai corpi intermedi è periodico, non è la prima volta che avviene. C’è chi pensa che la vita democratica si possa meglio riorganizzare semplificando il sistema. Sono gli stessi che ritengono la concertazione un orpello, un di più, e non la pratica normale di una società democratica. In questo senso si registra una singolare convergenza tra l’estrema sinistra, che la concertazione la vede con sospetto in quanto fine del conflitto, e l’estrema destra economica, che invece la vede come un freno alle scelte, alle decisioni. Anche per questo difendo l’ultimo accordo che abbiamo raggiunto, perché si è basato proprio sulla concertazione, l’ha difesa e potenziata».
Il sociologo Luciano Gallino sostiene che il sindacato è fin troppo debole, che dieci anni fa non avrebbe mai firmato un accordo del genere.
«Il sindacato confederale in Italia è stato, secondo gli studiosi del lavoro, uno dei pochi che a livello mondiale ha saputo resistere ai tentativi di ridimensionare il ruolo degli attori sociali. E, dopo la crisi degli anni Ottanta, dopo reaganismo e thatcherismo che hanno voluto fare i conti con i loro sindacati, a partire dagli anni Novanta ha saputo riprendere la via della concertazione, delle riforme, della capacità di influire sulle grandi scelte. E questo è un miracolo tutto italiano. Il protocollo del governo ha consolidato il ruolo del sindacato, e non è un caso questo tentativo di ridimensionarlo. Anche perché è stata esercitata una vera azione di concertazione. Mi fa specie che un sociologo come Gallino, che stimo profondamente, parli di una firma che segnala la debolezza del sindacato. Anche lui, pur senza volerlo, dà un colpo alla rappresentatività del sindacato, perchè non vede il ruolo di indirizzo che è stato capace di svolgere. Per arrivare poi ad un accordo che è il migliore dal 1983, che redistribuisce allo stato sociale risorse per quasi 40 miliardi di euro in dieci anni. Altro che debolezza. Ha ragione Aris Accornero, che sostiene la tesi opposta a quella di Gallino. Qui si sconfina nell’autolesionismo, non vedere i risultati è il modo migliore per preparare la sconfitta».
Sarebbero proprio i risultati a difettare...
«Se vogliamo evitare una visione ideologica dei problemi, il fatto è che già in autunno oltre 3 milioni di pensionati con meno di 600 euro al mese avranno i loro aumenti. Cosa di cui si parlava da anni, ma che è stata ottenuta solo ora. Così come solo adesso anche i giovani che hanno un lavoro discontinuo avranno finalmente dei vantaggi, la contribuzione figurativa piena nei periodi di vuoto lavorativo, il riscatto più agevolato della laurea... Il punto è che troppi si fermano a guardare l’albero, e dimenticano la foresta».
Insomma, secondo lei i sindacati avrebbero firmato anche dieci anni fa.
«Di protocolli ne hanno firmati tanti, in diversi contesti: nel ’92 si raffreddò la pratica della contrattazione aziendale, e si decretò la fine della scala mobile. Nel ‘93 si consolidò il modello contrattuale della rappresentanza, e si preparò una stagione di moderazione salariale. Nel ’97 vennero introdotte forme di flessibilità nel mercato del lavoro per adeguarsi all’Europa. Accordi di scambio, dove non c’era un’evidente redistribuzione delle risorse. Che invece c’è adesso. Questo è un patto acquisitivo. Solo a prendere».
Però la Cgil ha firmato con riserva.
«Le riserve riguardano alcuni punti specifici, ma Epifani ha dichiarato che la Cgil sosterrà l’esigenza della firma e il consenso tra i lavoratori. Del resto, le riserve le ha espresse anche Confindustria, mentre artigiani e commercianti non hanno sottoscritto proprio, adducendo motivi contrari a quelli della Cgil».
Parla da ministro o da ex sindacalista? Lei avrebbe firmato?
«Da ministro con una lunga esperienza negoziale. Se fossi ancora un dirigente della Cgil, sarei con la maggioranza. E avrei firmato».
Ultima domanda: l’Espresso parla di privilegi economici, di carriere e stipendi poco trasparenti. Non c’è proprio nulla di vero?
«Il sindacato è una rete formidabile di attivisti e delegati, con l’obiettivo di migliorare le condizioni dei lavoratori. In qualsiasi organizzazione di massa possono esserci dei difetti. Ma basare la propria forza sul libero consenso dei lavoratori la rende sana. E forte».
* l’Unità, Pubblicato il: 07.08.07, Modificato il: 07.08.07 alle ore 10.14
l’appello per il 20 ottobre
Dal welfare a Vicenza, sette questioni fondamentali
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Pubblichiamo l’appello «A ottobre in piazza», uscito sulla prima pagina del manifesto il 3 agosto
L’attuale governo non ancora ha dato risposte ai problemi fondamentali che abbiamo di fronte, per i quali la maggioranza degli italiani ha condannato Berlusconi votando per il centrosinistra. Serve una svolta, un’iniziativa di sinistra che rilanci la partecipazione popolare e conquisti i punti più avanzati del programma dell’Unione, per evitare che si apra un solco tra la rappresentanza politica, il governo Prodi e chi lo ha eletto.
Occorre fare della lotta alla precarietà e per una cittadinanza piena di tutte e di tutti la nostra bussola.
Noi vediamo sette grandi questioni. Quella del lavoro: cioè della sua dignità e sicurezza, con salari e pensioni più giusti cancellando davvero lo scalone di Maroni e lo sfruttamento delle forme «atipiche», e con la salvaguardia del contratto nazionale come primario patto di solidarietà tra le lavoratrici e i lavoratori. Quello sociale: cioè il riequilibrio della ricchezza e la conquista del diritto al reddito e all’abitare.
Quello dei diritti civili e della laicità dello stato: fine delle discriminazioni contro gay, lesbiche e trans, leggi sulle unioni civili, misure che intacchino il potere del patriarcato. Vogliamo anche che siano cancellate le leggi contro la libertà, come quella sul carcere per gli spinelli. Quindi, la cittadinanza: pienezza di diritti per i migranti, rapida approvazione della legge di superamento della Bossi-Fini, chiusura dei Cpt. La pace: taglio delle spese militari, non vogliamo la base a Vicenza, vogliamo vedere una via d’uscita dall’Afghanistan, vogliamo che l’Italia si opponga allo scudo stellare. L’ambiente: ha tanti risvolti, dalla pubblicizzazione dell’acqua alla definizione di nuove basi dello sviluppo, fondate sulla tutela e il rispetto per l’habitat, il territorio e le comunità locali. Per questo ipotesi quali la Tav in Val di Susa vanno affrontate con questo paradigma. La legalità democratica: lotta alla mafia e alle sue connessioni con la politica e l’economica.
Nessuna di queste richieste è irrealistica o resa impossibile da vincoli esterni alla volontà della maggioranza. Il fallimento delle politiche di guerra dell’amministrazione Bush si sta consumando anche negli Stati uniti, i vincoli di Maastricht e della banca centrale europea sono contestati da importanti paesi europei, l’andamento dei bilanci pubblici permette delle scelte sociali più coraggiose. Ma siamo consapevoli che per affrontare tutto questo occorre che la politica debba essere politica di donne e di uomini - non solo questione maschile - e torni a essere partecipazione, protagonismo, iniziativa collettiva.
Per questo proponiamo di ritrovarci a Roma il prossimo 20 ottobre per una grande manifestazione nazionale: forze politiche e sociali, movimenti, associazioni, singoli. Chiunque si riconosca nell’urgenza di partecipare, per ricostruire un protagonismo della sinistra e ridare fiducia alla parte finora più sacrificata del paese.
*** Gianfranco Bettin, Lisa Clark, Tonio Dell’Olio, Antonio Ferrentino, Luciano Gallino, Pietro Ingrao, Aurelio Mancuso, Lea Melandri, Bianca Pomeranzi, Gabriele Polo, Rossana Praitano, Rossana Rossanda, Marco Revelli, Piero Sansonetti, Pierluigi Sullo, Aldo Tortorella, Nicola Tranfaglia
Note al Presidente
di Rossana Rossanda (il manifesto, 04.08.2007)
Signor Presidente del consiglio, ha ragione di preoccuparsi. Ho letto con attenzione quel che Lei ha risposto attraverso Liberazione e il manifesto alle sinistre che, ne conveniamo, meglio sarebbe chiamare popolari che radicali (ricordando, a scanso di equivoci, che si chiamano abusivamente «popolari» i partiti di destra detti una volta, e non per elogiarli, «moderati»). Ma lasciamo la filologia. Lei sa come noi dai sondaggi e dagli analisti che delusione e scontento corrono nella parte socialmente più debole del paese - quelli che cercano di vivere del proprio lavoro, quelli che devono vivere solo della pensione, quelli che in varia misura sono impoveriti o marginalizzati - e che tutti hanno votato per il Suo governo sperandone una sorte migliore. Questo «popolo» è poi quello che ha difeso il paese, varato la Repubblica e con i suoi figli ha costruito l’Italia dal dopoguerra a oggi.
Ora è un errore quando Lei scrive: tutti sanno che la priorità è il risanamento dei conti pubblici. No, non lo sappiamo tutti. Quel popolo non lo sa. Io non lo so. So che per chi da qualche tempo in qua non riesce più ad arrivare alla quarta settimana del mese, per i salari oggi assai più bassi di quelli dei tedeschi o dei francesi, per gli otto milioni di pensionati che non percepiscono 750 euro, l’80% dei quali non raggiunge i 500 euro, il primo obiettivo è riuscire a vivere. So che per i precari, che non sono affatto soltanto giovani, il primo obiettivo è che gli vanga rinnovato il contratto a termine, e anche questi sono milioni, non so se tre o quattro. Il paese può chiedere anche a loro dei sacrifici, non sono dei dementi e vi sono fin troppo abituati. Ma un governo con le sinistre lo può fare soltanto se ha messo in atto una inversione nella redistribuzione dei redditi, che dalla fine degli anni ’70 in poi si sono divaricati in modo gigantesco. Lei lo sa. È diminuita la ricchezza pubblica, è cresciuta in modo esponenziale quella privata, ma non per tutti, per una classe medio alta che sbandiera consumi di spreco, mentre si sono impoveriti i ceti bassi e medio bassi.
Il governo Berlusconi ha svergognatamente favorito questa tendenza. Per questo è stato battuto. Ma il suo governo non ha invertito la rotta. Forse che i meno abbienti non lo vedono? A chi gli dice «prima mettiamo a posto i conti pubblici», obiettano: «Sì, ma perché cominciate da noi?».
Hanno ragione. Sono le sole categorie sociali investite come tali. Delle altre si persegue, se si becca, solo chi evade le tasse, reato neppur prevedibile per chi ha un reddito fisso. Anche questo Lei sa come me. Ma la sua filosofia è che il governo deve favorire chi più ha perché finalmente si risolva a investire nel nostro asfittico capitale produttivo italiano (a dire il vero, con la legge sul Tfr il suo governo obbliga a investire soltanto chi non ha). Non le attribuisco alcuna intenzione di dissanguare i poveri.
Ma la persuasione, propria della Banca Centrale Europea e della Commissione che Lei ha a lungo diretto, che solo iniettando sangue, cioè soldi, nelle imprese e garantendo minuziosamente il libero gioco del mercato si avrà una crescita economica, della quale, poco a poco, profitteranno tutti, i più disagiati inclusi. Non sarebbe il caso di riflettere sui risultati di questa scelta, che ormai ha almeno quindici anni? Facciamo un bilancio. Una vera crescita non c’è stata. L’Europa galleggia appena attorno al 2,5 per cento, e l’Italia è quella più in basso fra i paesi industrializzati. In Francia e Olanda il progetto di trattato costituzionale, sottoposto a referendum, è stato bocciato e sarebbe successo anche in Italia, se non fosse passato silenziosamente al Parlamento. Dove si vorrebbe mandare quel che ne resterà. Le previsioni Sue, di Barroso e di Almunia non si sono realizzate. Non sarebbe il caso di trarne qualche conclusione? E di capire che c’è da diffidare della politica non economica ma monetaria che avete fatto, imponendo tagli pesanti su occupazione, previdenza, sanità e istruzione, mentre i detentori di capitali non investono in produzione ma nella speculazione, immobiliare e no?
Questo è il trend. Non lo dico io, lo dicono gli Stiglitz e i Fitoussi, che non definirei massimalisti. Non ci ripeta, prego, l’elenco di quel che siete riusciti a fare, alzare di sì e no cinquanta euro le pensioni minime. Lasci dire a Fassino che lui «non capisce» come si possa essere scontenti, Cgil inclusa, del cosiddetto pacchetto welfare. A prova che non ha più idea di come la gente campi. Noi, viceversa, capiamo che i problemi che avete davanti sono grandi, fra l’incudine dei parametri europei e una ripresa che non vuole ripartire sul serio. Ma perché avete usato il tesoretto per rientrare prima nel debito, invece che alleviare il livello crescente delle vecchie e nuove povertà? Eppure Sarkozy ha dichiarato alla Ue: «Sapete? Rientreremo non nel 2008 ma nel 2012». E ha difeso Alstom e Eads soltanto per una certa idea di sé e del primato della sua nazione. Almunia non lo ha scomunicato. Forse proprio per questo, mentre sul lavoro mena botte da orbi? Perché Lei non si sente di difendere con altrettanta determinazione una moderata causa sociale in nome della quale ha avuto i voti?
Noi, come Rc e Pdci e i Verdi, non auspichiamo davvero la sua caduta. È la destra della Sua coalizione che sembra sognare nuove maggioranze. Noi le diciamo che è la vostra politica tutta e solo monetaria che va cambiata. Ragionevolmente. Non è né giusto né lungimirante logorare le sinistre popolari, o la Cgil come Lei ha fatto imponendo un aut-aut a Epifani. Crede che senza una Cgil forte un governo di centrosinistra reggerà? Non reggerà. Non ha davanti a sé molto tempo. Veda quel che è successo in Francia nel 2002, in Germania alle ultime elezioni, e succederà alle prossime in Gran Bretagna. La destra è abile nel populismo, e aspetta solo di fare strame dei ceti più deboli. Non li spinga alla disperazione. Non aspetto risposte né le chiedo. Ma ascolti quel che le segnalano con insistenza due giornali modesti e onesti, e le dirà la manifestazione di ottobre. Non sono in pochi a pensarlo.