Inviato: domenica 27 gennaio 2002 0.09
A: posta@magistraturaassociata.it
Oggetto: Per la nostra sana e robusta Costituzione...
Stimatissimi cittadini-magistrati
"Nella democrazia - come già scriveva Gaetano Filangieri nella sua opera La Scienza della Legislazione (1781-88) - comanda il popolo, e ciaschedun cittadino rappresenta una parte della sovranità: nella concione [assemblea di tutto il popolo], egli vede una parte della corona, poggiata ugualmente sul suo capo che sopra quello del cittadino più distinto. L’oscurità del suo nome, la povertà delle sue fortune non possono distruggere in lui la coscienza della sua dignità. Se lo squallore delle domestiche mura gli annuncia la sua debolezza, egli non ha che a fare un passo fuori della soglia della sua casa, per trovare la sua reggia, per vedere il suo trono, per ricordarsi della sua sovranità"(Libro III, cap. XXXVI).
Tempo fa una ragazza, a cui da poco era morta la madre e altrettanto da poco cominciava ad affermarsi il partito denominato "Forza Italia", discutendo con le sue amiche e i suoi amici, disse: "Prima potevo gridare "forza Italia" e ne ero felice. Ora non più, e non solo perché è morta mia madre e sono spesso triste. Non posso gridarlo più, perché quando sto per farlo la gola mi si stringe - la mia coscienza subito la blocca e ricaccia indietro tutto. Sono stata derubata: il mio grido per tutti gli italiani e per tutte le italiane è diventato il grido per un solo uomo e per un solo partito. No, non è possibile, non può essere. E’ una tragedia!". Un signore poco distante, che aveva ascoltato le parole della ragazza, si fece più vicino al gruppo e disse alla ragazza: "Eh, sì, purtroppo siamo alla fine, hanno rubato l’anima, il nome della Nazionale e della Patria. E noi, cittadini e cittadine, abbiamo lasciato fare: non solo un vilipendio, ma un furto - il furto dell’anima di tutti e di tutte. Nessuno ha parlato, nessuno. Nemmeno la Magistratura!".
Oggi, più che mai, contro coloro che "vogliono costruire una democrazia populista per sostituire il consenso del popolo sovrano a un semplice applauso al sovrano del popolo"(don Giuseppe Dossetti, 1995), non è affatto male ricordarci e ricordare che i nostri padri e le nostre madri hanno privato la monarchia, il fascismo e la guerra del loro consenso e della loro forza, si sono ripresi la loro sovranità, e ci hanno dato non solo la vita e una sana e robusta Costituzione, ma anche la coscienza di essere tutti e tutte - non più figli e figlie della preistorica alleanza della lupa (o della vecchia alleanza del solo ’Abramo’ o della sola ’Maria’) - figli e figlie della nuova alleanza di uomini liberi (’Giuseppe’) e donne libere (’Maria’), re e regine, cittadine-sovrane e cittadini-sovrani di una repubblica democratica.
Bene avete fatto, con la Vs. Lettera aperta ai cittadini, a rendere pubbliche le vostre preoccupazioni e a dire e a ridire che la giustizia non è materia esclusiva dei magistrati e degli addetti ai lavori, ma un bene di tutti e di tutte, e che tutti i cittadini e tutte le cittadine sono uguali davanti alla legge.
E altrettanto bene, e meglio (se permettete), ha fatto il Procuratore Generale di Milano Borrelli, già all’inizio (e non solo alla fine) del suo discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario, quando ha detto: "porgo il mio saluto, infine, ai cittadini, anzi, alle loro maestà i cittadini, come soleva dire il compianto Prefetto Carmelo Caruso, avvicinati oggi da un lodevole interesse a questa cerimonia, del resto non esoterica nonostante il paludamento, ma a loro destinata"; e, poco oltre, riferendosi specificamente alle "difficoltà che la giustizia minorile incontra", ha denunciato che "il denominatore comune - generatore del disagio donde nascono devianze, sofferenze, conflitti - è rappresentato dalle carenze di un’autentica cultura dell’infanzia, a volte necessitata dalle circostanze, a volte frutto di disattenzione, spesso causata dall’incapacità negli adulti di trasmettere valori che si discostino dall’ideologia di un’identità cercata, secondo la nota espressione di Erich Fromm, nell’avere piuttosto che nell’essere".
Da cittadino-magistrato non ha fatto altro che dire e fare la stessa cosa che don Lorenzo Milani, il cittadino-prete mandato in esilio a Barbiana, in tempi di sonnambulismo già diffuso (1965): suonare la campana a martello, svegliare - praticare la tecnica dell’amore costruttivo per la legge e, ricondandoci di chi siamo e della parte di corona che ancora abbiamo in testa, avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani....
Cordiali saluti
Federico La Sala
Funerale Borrelli domani pomeriggio
A Palazzo di Giustizia al mattino, poi la messa
di Redazione ANSA MILANO 21 luglio 2019
(ANSA) - MILANO, 21 LUG - Come cinque anni fa per il suo vice Gerardo D’Ambrosio anche la camera ardente dell’ex procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli viene allestita in quella che è stata la sua casa per metà della sua vita, ovvero il Palazzo di Giustizia.
Una camera ardente aperta solo la mattina di domani dalle 9,30, in vista del funerale che sarà celebrato dal parroco nella chiesa di Santa Croce alle 14.45.
Lunedì mattina dalle 9.30 camera ardente in corso di Porta Vittoria dove Borrelli, morto ieri a 89 anni, guidò a lungo la procura.
La messa nel pomeriggio nella chiesa di Santa Croce
di ORIANA LISO*
I funerali sono fissati per domani pomeriggio, lunedì, alle 14.45 nella chiesa di Santa Croce di via Sidoli, a due passi dal palazzo in cui Francesco Saverio Borrelli abitava e non lontano dagli indirizzi che, non solo idealmente, hanno composto il suo mondo in tutti questi anni: il Conservatorio e Palazzo di Giustizia. E proprio qui, nel tribunale di via Freguglia, dalle 9.30 alle 12 di domani mattina sarà aperta la camera ardente per tutti quelli che vorranno salutare un ultima volta l’uomo che ha legato per sempre il suo nome al pool di Mani Pulite, che ne è stato il capo e lo scudo, e che è morto ieri, sabato, a 89 anni, in una stanza dell’hospice dell’Istituto dei tumori di Milano dove era ricoverato da qualche settimana, da quando le sue condizioni si erano aggravate.
Con un minuto di silenzio e un applauso il Comitato direttivo centrale dell’Anm ha ricordato oggi Borrelli. "Piangiamo un maestro che si è distinto per livello intellettuale, professionale e morale", ha detto tra l’altro il presidente dell’Anm Luca Poniz, sottolineando come sia importante "in un momento in cui la magistratura è disorientata aggrapparsi a un modello come Borrelli".
E’ stata una giornata di grande commozione, di ricordi. Francesco Greco, procuratore capo di Milano e allievo di Borrelli, ieri mattina ha trascorso la giornata in tribunale a organizzare la camera ardente di oggi. Ma è stato anche un giorno di polemiche su un passato che - evidentemente - non è ancora stato archiviato, quella della morte di Francesco Saverio Borrelli. Che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato come "un servitore fedele della Repubblica", che tantissimi suoi colleghi di un tempo e di oggi hanno pianto commossi, ma che è stato anche bersaglio di critiche sull’azione della magistratura ai tempi di Tangentopoli da parte di politici e figli di persone che, a vario titolo, furono coinvolte nella stagione degli arresti per tangenti e del disvelamento di un sistema politico-affaristico proprio grazie alla squadra di magistrati raccolti intorno al procuratore capo Borrelli.
Bobo e Stefania Craxi - di lui ieri hanno detto che è stato "la punta di diamante di un colpo di Stato" -, il figlio di Gabriele Cagliari, avvocati che all’epoca difendevano i politici e gli imprenditori arrestati non hanno risparmiato critiche, anche se tutti o quasi premettendo parole di stima personali per Borrelli, citando anche quel suo discorso che invece, per molti, rappresenta ancora un caposaldo, quel "Resistere, resistere, resistere come sulla linea del Piave" pronunciato nell’ultimo anno della sua carriera da magistrato, prima della pensione e prima degli altri incarichi, dall’ufficio indagini della Figc alla presidenza del suo amato Conservatorio.
In via Venezian, dove ieri la moglie Maria Laura, i figli Andrea e Federica e i nipoti hanno trascorso la giornata, è arrivato nel pomeriggio uno dei colleghi e amici più vicini da sempre a Borrelli, Gherardo Colombo, che con sua moglie è entrato nella palazzina dell’hospice Floriani trattenendosi un po’ di tempo. E uscendone molto commosso. Domani sarà, con i suoi colleghi, a vegliare la bara del ’suo’ capo a Palazzo di Giustizia. Un’immagine che rimanda alla camera ardente che cinque anni fa, sempre a Palazzo di Giustizia, era stata allestita per Gerardo D’Ambrosio, altro nome mai dimenticato del pool Mani Pulite.
Morte Borrelli, l’ex pm Colombo in clinica a Milano: ’’Una persona eccezionale’’
* la Repubblica, 21 luglio 2019 (ripresa parziale - senza allegati).
Unità attorno alla Costituzione
di Vittorio Cristelli (vita trentina, 20 marzo 2011)
Il 17 marzo è stato dichiarato festa nazionale per i 150 anni dell’Unità d’Italia. C’è chi si è dissociato e non intende far festa, argomentando che 150 anni fa il proprio territorio non faceva parte dell’Italia e il Trentino Alto Adige è tra questi territori. Nel frattempo si sono svolte due grandi manifestazioni di piazza. La prima il 13 febbraio per la rivendicazione della dignità delle donne, la seconda il 12 marzo in difesa della Costituzione italiana. Ambedue hanno portato in piazza un milione di persone.
E allora mi son detto: “Perché non celebrare l’Unità d’Italia attorno alla Costituzione? Perché soffermarsi sulle tappe e non guardare al traguardo cui è giunta l’Italia con la Costituzione repubblicana? Parti dell’Italia hanno avuto storie diverse: una borbonica, una veneziana, una pontificia, una austroungarica. L’Italia è stata anche monarchica e fascista.
Mi balza alla mente il nostro Alcide De Gasperi, che era parlamentare austroungarico, e poi divenne artefice in posizione di alta responsabilità della Costituzione italiana. Rilanciamo ancora i borbonici, i veneziani, i papalini, e gli austroungarici? E perché non anche i monarchici, i fascisti e, più in là, i longobardi, i vandali, gli unni, gli ostrogoti, i visigoti e i celti?
Assumendo l’esempio della maturazione della persona, questo ritorno al passato in termini clinici si chiamerebbe regressione allo stato adolescenziale o addirittura infantile. L’elaborazione della Carta costituzionale ha rappresentato un vero e proprio esame di maturità in cui si sono confrontate visioni diverse, ideologie contrapposte, e hanno raggiunto quelle sì l’unità sfociata nel frutto finale costituito da una vera e propria patente di maturità: una delle Costituzioni migliori al mondo.
Accennavo alle manifestazioni per la dignità delle donne e in difesa della Costituzione. Ne cito solo il primo comma dell’articolo 3 che potrebbe fungere da bandiera: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religioni, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Ci sono tutti: gli uomini e le donne, i celti, i normanni, i reti e i longobardi; i parlanti italiano, francese, tedesco o ladino; i cattolici e i protestanti, ma anche i musulmani e i non credenti; quelli di sinistra e di destra; i ricchi e i poveri. E tutti convergono in unità. Ma di unità, come diceva già Emanuele Kant, si può parlare solo tra diversi. Perché altrimenti si tratta di omologazione.
Questo discorso vale a maggior ragione oggi che dobbiamo tendere ad un’unità ancora più larga, e cioè all’unità europea. Stridono fino alla contraddizione le richieste dell’intervento unitario europeo per affrontare l’emergenza emigrati dal Magreb in fiamme fatte da chi fino a ieri parlava di secessione di una parte d’Italia dall’unità nazionale.
E’ vero e ne sono pienamente cosciente che l’unità sui valori della Costituzione è un’unità culturale, ma propria per questo è importante perché terreno fecondo su cui può realizzarsi l’unità politica. Se manca ancora l’unità politica dell’Europa è perché ci si è ripiegati solo sull’unità economica. Lo diceva a chiare lettere Jean Monnet, uno dei fondatori della Comunità economia europea (Cee), quando osservò: “Se fosse necessario ricominciare lo farei a partire dalla cultura”. E allora si può ben dire che gli attacchi più pericolosi all’unità d’Italia oggi, ben più di quelli al tricolore e all’inno di Mameli, sono quelli diretti a scardinare la Costituzione. E i Comitati Dossetti in difesa della Costituzione sono presidi intelligenti dell’Unità d’Italia.
LA LEGGE DELL’"UNO" E L’UNITA’ E LA SOVRA(-U)NITA’ DI OGNI CITTADINO E DI OGNI CITTADINA: LA LEZIONE (1933) DI SIGMUND FREUD
L’ITALIA, Il "MONOTEISMO" DELLA COSTITUZIONE, E IL "BAAL-LISMO" DEL MENTITORE (1994-2010). IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI, ATEI E DEVOTI ...
(...) l’esperienza insegna che i valori costituzionali possono venire erosi gradualmente, in forme oblique, attraverso una pioggia d’episodi minori che in conclusione ne faccia marcire le radici. E questo pericolo chiama in causa non solo il Capo dello Stato, bensì ciascuno di noi, la vigilanza di ogni cittadino (...)
Federico La Sala
I padri costituenti e la difesa della Carta
di Nadia Urbinati (la Repubblica, 20.10.2009)
Il primo grido di allarme per le tentazioni distruttive verso la nostra Costituzione manifestate dalle maggioranze guidate da Silvio Berlusconi venne lanciato nel 1994 da Giuseppe Dossetti, uno dei padri più rappresentativi della nostra carta fondamentale e della nostra coscienza costituzionale. Con una lettera inviata il 25 aprile di quello stesso anno all’allora sindaco di Bologna, Walter Vitali, Dossetti lanciava i comitati per la difesa della Costituzione con queste parole: «Si tratta cioè di impedire ad una maggioranza che non ha ricevuto alcun mandato al riguardo di mutare la nostra Costituzione: [quella maggioranza] si arrogherebbe un compito che solo una nuova Assemblea Costituente, programmaticamente eletta per questo, e a sistema proporzionale, potrebbe assolvere come veramente rappresentativa di tutto il nostro popolo. Altrimenti sarebbe un colpo di stato».
Dossetti fu uno dei 556 deputati dell’Assemblea Costituente eletta il 2 giugno 1946, e poi membro della Commissione per la Costituzione (conosciuta anche come commissione dei 75) il cui compito era di elaborare un progetto di Costituzione. Il 21 novembre 1946, Dossetti presentò in Commissione la proposta relativa al diritto di resistenza. Queste le sue parole: «La resistenza individuale e collettiva agli atti dei poteri pubblici, che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino». Rileggere oggi le discussioni dei costitutenti sul tema dell’oppressione e della necessità che la Costituzione si doti di strumenti di autodifesa è un’esperienza intellettuale unica perché rivela quanta attenzione, preparazione e serietà ci fosse in quell’Assemblea costitutiva della nostra democrazia. Riprendere in mano quella storia, quelle discussione è diventato essenziale per la nostra libertà.
Dossetti era un tomista e pensava al potere politico (quello costituito nello stato) come alla fonte di un rischio permanente dal quale premunirsi. Aldo Moro fu dalla sua parte e nonostante le ragionevoli perplessità nei confronti di un principio che era essenzialmente metagiuridico e di difficile traduzione in legge, tuttavia anche lui come Dossetti comprese quanto fosse essenziale per una democrazia che la cittadinanza venisse concepita e vissuta come un’identità politica non solo giuridica, perché alla sua base stava il dovere morale di preservare i fondamenti della sua stessa esistenza. È il cittadino che preserva se stesso preservando la carta.
E così, quando nel 1994 il padrone di Mediaset impresse una direzione autoritaria alla politica italiana e i partiti dell’opposizione anche allora sembrarono non comprendere per davvero la natura nuova e inquietante di quel corso politico, Dossetti riprese il ruolo morale di padre costituente e tornò a fare il dovere che la cittadinanza richiede: lanciò un movimento di cittadini attivi per esprimere un chiaro e forte "No!" alle manipolazioni della carta da parte di maggioranze o leader bramosi di dominio illimitato; un movimento che avesse il compito di far capire a tutta la nazione che la Costituzione non era a disposizione - proprio come non lo sono le donne, secondo la bella risposta di Rosy Bindi al capo della maggioranza.
La sovranità non è la stessa cosa del governo; e non lo sarebbe nemmeno se per ipotesi il governo godesse del 99% dei consensi elettorali. La differenza tra sovranità e maggioranza eletta che governa per un tempo limitato non è numerica, ma di forma e di sostanza. E infatti, nonostante Berlusconi si riempia la bocca della parola "popolo" egli pensa ai suoi elettori e a quelli che le sue strategie commerciali possono eventualmente catturare. Ma la sovranità e la costituzione non sono a disposizione di una parte, di nessuna parte, e non hanno nulla a che fare con la massa che un leader pensa di catturare, tenere o imbonire.
La ragione di questa indisponibilità è ancora una volta ben espressa dalle parole di Dossetti: «C’è una soglia che deve essere rispettata in modo assoluto... oltrepasserebbe questa soglia qualunque modificazione che si volesse apportare ai diritti inviolabili civili, politici, sociali previsti nell’attuale Costituzione. E così pure va ripetuto per una qualunque soluzione che intaccasse il principio della divisione e dell’equilibrio dei poteri fondamentali, legislativo, esecutivo e giudiziario, cioè per ogni avvio, che potrebbe essere irreversibile, di un potenziamento dell’esecutivo ai danni del legislativo, ancorché fosse realizzato con forme di referendum, che potrebbero trasformarsi in forme di plebiscito... In questo senso ho parlato prima di globalità del rifiuto cristiano e ritengo che non ci sia possibilità per le coscienze cristiane di nessuna trattativa».
La coscienza cristiana di Dossetti coincideva in quel caso perfettamente con quella pubblica del cittadino perché la difesa delle prerogative costituzionali era difesa della libertà di ciascuno di distinguersi ed essere autonomo dalla pretesa di omologazione e dominio di una maggioranza. Nel maggio 1947, intervenendo sul tema proposto da Dossetti, Antonio Giolitti (allora Pci) ricordò che «la garanzia essenziale del regime democratico è... l’autogoverno morale e politico del cittadino». Per questa ragione, benché il diritto di resistenza (che avrebbe dovuto essere contenuto nell’Articolo 50) non passò l’esame, esso fa parte comunque nella cultura etica della cittadinanza democratica. La vita della Costituzione è nelle mani dei cittadini. Ha scritto anni fa Paolo Pombeni che le idee dossettiane e dei costituenti sulla resistenza come autodifesa della Costituzione «scomparvero dall’attenzione dell’Assemblea Costituente e dalla stessa memoria storica», ma il loro principio ispiratore ha una portata che «dovrebbe essere rivalutata» perché, si potrebbe aggiungere, la Costituzione, scritta da una generazione che non è piú, è viva nel nostro presente e la sua persistenza é un nostro dovere civile.
La piattaforma di Rosy Bindi: "Diamo risposte alla protesta
o emergeranno personaggi pericolosi". "Non possiamo fare finta di niente"
"Tagliamo costi e privilegi
o la democrazia è a rischio"
di CLAUDIO TITO *
ROMA - "Il problema non è solo la manifestazione di Bologna. Ma le tante firme, la gente che ha fatto la coda per aderire. E se uniamo il tutto alle copie vendute dal libro "La casta", allora bisogna capire che siamo di fronte ad una ribellione contro la politica che va presa sul serio. Non possiamo far finta di niente". Beppe Grillo, il Vaffa-day, i privilegi della politica, gli stipendi dei parlamentari. Rosy Bindi li mette tutti in fila come anelli di un’unica catena che rischia di stritolare nella culla il nascente partito Democratico.
Per questo "dobbiamo dare una risposta". Non si può tacciare quel che accade come "qualunquista e demagogico". "Quando vado ai dibattiti, alla fine le domande della gente sono sempre le stesse: "perché noi non arriviamo alla fine del mese e voi vi arricchite?". E me lo chiedono anche alle Feste dell’Unità, perché il messaggio di austerità di Berlinguer è ancora vissuto sulla pelle da una parte del popolo della sinistra. E certe cose non vengono digerite". La sua risposta, allora, il ministro della famiglia già ce l’ha: abolizione del Senato, Camera con 450 deputati, dimissioni dei condannati, stop agli aumenti degli stipendi dei parlamentari, rimborsi spese sottoposti al controllo di una agenzia indipendente.
Ma perché la protesta di Grillo va presa così tanto sul serio? E soprattutto perché adesso?
"Perché o diventa una seria occasione di rinnovamento della politica o è chiaro che sarà l’anticamera dell’antipolitica".
Non lo è già?
"Non voglio usare toni apocalittici. Io ho vissuto in prima linea la stagione di tangentopoli. C’era una grande rabbia contro i corrotti, la rabbia ora è nei confronti di tutta la politica. So che nelle parole di Grillo ci sono venature qualunquiste e anche un po’ di volgarità, ma prima di liquidarle come ribellione antipolitica forse è il caso di chiederci se non sia una domanda di buona politica".
Eppure i suoi colleghi dell’Unione tengono a distanza il fenomeno Grillo.
"C’è sempre la tentazione di rimuovere".
E invece?
"E invece credo che il nostro 14 ottobre debba essere una straordinaria occasione per chiamare le persone a firmare per la buona politica e non contro la politica. Altrimenti - dopo aver suscitato attese - l’effetto non potrà che essere devastante".
Se vuole rispondere alla piazza bolognese, dovrà allora recepire le sue istanze.
"Siamo ancora in tempo a non legittimare il passato. Il governo, ad esempio, ha cominciato a ridurre le indennità dei ministri. Ma bisogna imprimere un forte cambiamento".
Nel concreto che vuol dire?
"Ecco le mie proposte: i parlamentari del Partito Democratico si dovranno impegnare a modificare la legge elettorale fino a dichiarare che non si candideranno con quella attuale. Immediata attuazione del nuovo titolo V della costituzione con la soppressione del Senato e l’istituzione di una Camera delle regioni. E così avremo 315 parlamentari in meno".
Ma ci saranno i membri di questa nuova Camera?
"Sì, ma si tratta di un’assemblea di secondo livello. E comunque ci dovremmo impegnare a ridurre del 30% anche i componenti della Camera dei Deputati. Ma non mi fermo qui".
Cioè?
"Dimissioni di chiunque abbia avuto problemi con la giustizia e quindi massima trasparenza per le liste elettorali del futuro. Interruzione immediata dell’indicizzazione delle nostre indennità. Solo noi e i magistrati abbiamo questo privilegio. Separazione netta tra indennità personale e rimborsi spese. Uno stipendio di 5000 euro va bene, i rimborsi vanno affidati ad una agenzia indipendente che valuti le finalità della spesa, verifichi se risponde ad un’attività politica o meno. Stesso discorso per la gratuità dei mezzi pubblici: vale per l’attività politica e non per i viaggi privati. Bisogna anche limitare i mandati e prevedere le primarie per tutti gli incarichi politici".
I suoi "colleghi" non saranno tanto contenti. Anche perché per fare la riforma elettorale serve un consenso che va oltre il Pd.
"Veniamo considerati dei privilegiati e quasi inutili per la comunità. Per questo ci chiedono quanto costa la politica. Dobbiamo spogliarci dei nostri privilegi. Il vitalizio, ad esempio, va dato a 65 anni e deve essere un’assicurazione privata. Va rivista anche la legge sui rimborsi elettorali e sui giornali di partito. Anche la vita "finanziaria" dei partiti andrebbe controllata di una agenzia indipendente. E sa perché faccio queste proposte? Perché ritengo che il finanziamento pubblico della politica sia necessario".
Sembrava il contrario.
"Per difendere il finanziamento pubblico bisogna correggere le distorsioni. Lo difendo perché altrimenti faranno politica solo i ricchi o quanti trovano dei finanziatori che però, prima o poi, presentano il conto".
Sembra quasi che lei voglia dire: attenzione se non sarò io il leader del Pd, tutto questo non accadrà.
"Mi auguro che nel Pd saremo in molti a pensarla così".
E se il Pd non seguirà questa linea?
"Guardi, Grillo può anche essere un provocatore, ma se ottiene questo consenso, seppure con accenti di qualunquismo, non si può pensare che tutto resti come prima. Io farò la mia battaglia su questo, in ogni caso".
Però anche nel Pd potrebbero risponderle che è facile richiamare la gente con il qualunquismo e la demagogia.
"Senza una politica autorevole la vita democratica di un Paese può correre dei rischi. La nostra sfida è quella di restituire dignità alla politica costruendo un partito nuovo. Un grande partito popolare e nazionale che non sia emanazione solo di una persona. Per questo va approvata una legga sulla regolamentazione dei partiti in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione".
Lei chiede le dimissioni di chi ha avuto problemi con la giustizia. Ce ne sono anche nel centrosinistra. Vincenzo Visco è stato condannato per abuso edilizio. Dovrebbe dimettersi per questo?
"Io parlavo di corruzione e concussione. Il giustizialismo per me non è un valore, ma nel ’92-’94 quando la politica si rifiutò di autoriformarsi e si affidò alle aule dei tribunali, il risultato fu che arrivò Berlusconi. Come allora sono convinta che debba essere la politica a riformarsi".
Questa dunque dovrebbe essere la piattaforma del PD?
"Io penso che su questo si fonda il nostro futuro".
* la Repubblica, 10 settembre 2007.
Il giorno dopo è polemica sul successo della manifestazione di Grillo
Incertezza sulle frasi ingiuriose al giuslavorista. Mancuso le ha sentite in un clip
V-Day, Casini attacca: "Vergogna su Biagi"
Sott’accusa un video sui lavoratori
Bossi: "Un’esagerazione. Io, ad esempio, condannato per un reato di poca importanza"
Bindi, Violante, Monaco: in quella piazza anche cose giuste. Guai a mettere la testa sotto la sabbia *
di CLAUDIA FUSANI *
ROMA - E il giorno dopo, che succede dei 50 mila di Bologna, dei 300 mila che hanno firmato la proposta di legge, e dei "vaffa" strillati in più di duecento piazze italiane e in una trentina di capitali straniere?
Una faccenda politicamente "ingombrante" questa di Grillo e del suo evento - il V-day - organizzato solo sul web, successo molto poco virtuale e assai fisico. Una faccenda che imbarazza la maggioranza a cui - anche - è destinato il messaggio delle piazze dell’antipolitica. E poi due ministri, Di Pietro e Pecoraro Scanio, hanno aderito mentre gli altri sono stati pubblicamente sbeffeggiati dal comico-blogger. Una faccenda in cui l’opposizione può sguazzare a piacimento. E attaccare.
"Attaccato Marco Biagi" - Il primo è Pier Ferdinando Casini, che definisce il V-day "la più grande delle mistificazioni", una manifestazione "di cui dovremmo tutti vergognarci". Per il presidente dell’Udc, in realtà, il motivo della vergogna non è tanto il rischio del populismo e di una deriva qualunquista quanto un fatto accaduto a Bologna che ha ancora contorni poco chiari e che riguardarebbe il giuslavorista ucciso dalle Br Marco Biagi. "E’ stato attaccato Biagi che invece andrebbe santificato" dice Casini. Che aggiunge: "Dovrebbero vergognarsi i politici che pur di stare sull’onda del consenso popolare hanno mandato messaggi di adesione a Grillo".
Ora, l’assenza di dirette tv e radiofoniche - ad esclusione di Ecotv e Radio Radicale - e probabilmente la portata di un evento che ha superato la copertura di cronaca, ha fatto sì che in realtà non è ben chiaro in che modo e quando sia stato evocato Biagi. E’ certo che l’assessore Libero Mancuso, ex giudice ed ex presidente della Corte d’Assise che ha condannato gli assassini di Biagi, a un certo punto del pomeriggio ha lasciato la piazza Maggiore per colpa di una frase ingiuriosa contro Biagi. Grillo, dal palco, ha invocato l’abolizione delle leggi Treu e Biagi. "La frase è comparsa in un video" ha spiegato Mancuso.
Un video su "Il precariato nell’Italia delle meraviglie" - Il giallo si snebbia intorno all’ora di pranzo quando sul sito di Grillo i simpatizzanti del V-day mettono a disposizione i video con cui è possibile ricostruire la giornata in piazza Maggiore. E’ accertato che Grillo dal palco, a voce, ha fatto solo un riferimento alla legge Biagi e alle nuove forme di precariato. Lo sdegno di Mancuso nascerebbe invece da un video che è stato trasmesso sui maxi schermo della piazza nell’attesa tra un intervento e l’altro. Il video, curato da Grillo, s’intitola: "Il precario nell’Italia delle meraviglie", è accompagnato da una struggente colonna sonora e animato con due piccole scimmiette. Più che di un filmato si tratta di una video-story che racconta come "la legge Biagi ha introdotto in Italia il precariato, moderna peste bubbonica che colpisce i lavoratori soprattutto in giovane età (...) Tutto è diventato progetto per poter applicare la legge Biagi e creare i nuovi schiavi moderni (...). Questo libro è la storia collettiva di una generazione senza niente, neppure la dignità, neppure la speranza, che sta pagando tutti i debiti delle generazioni precedenti, tutti gli errori, tutte le mafie, tutti gli scandali (...)".
Bossi: "Che esagerazione" - Il nome del senatùr è stato scandito sul palco dal comico genovese come uno dei 25 deputati condannati che dovrebbero lasciare il posto in Parlamento perchè sia più "pulito". "E’ un’esagerazione - dice Bossi - io sono stato condannato ma cosa vuol dire?". In fondo il suo era un reato (vilipendio alla bandiera) "non troppo grave e non troppo vicino al cuore della gente". Attenzione, avvisa il fondatore della Lega, "se esageriamo viene avanti l’antipolitica". Severo anche il giudizio di Giulio Tremonti: "Non condivido nè Grillo nè i tanti grilli ben vestiti che sono in giro. Certamente il comico genovese è più simpatico di tanti moralisti" taglia corto il presidente di Forza Italia.
A sinistra cautela e imbarazzo - E dire che una volta, anni fa, Grillo era un figlio della sinistra più illuminata e dissacrante. Il giorno dopo nella maggioranza, pur prendendo le distanze dai modi populisti e qualunquisti, si riflette sul fatto che a quella piazza va data una risposta. E che con quella gente va cercato un dialogo prima di perderla del tutto. Rosy Bindi dice che va "rilanciata la dignità della politica". Il ministro Bersani ammette che "in effetti c’era tanta gente. E però non è che ogni volta che c’è la febbre la colpa è del termometro che è rotto". Il prodiano Monaco mette in guardia i colleghi: "Attenzione, non nascondiamo la testa sotto la sabbia". Guai a liquidare tutto con la storia dell’antipolitica, "a questo malessere va data una risposta". Luciano Violante ammette che nel V-day "ci sono tante componenti e, oltre all’insoddisfazione per la politica, anche cose giuste".
Mentre la politica riflette sul dà farsi, il popolo di Grillo impazza sul web e sul blog del comico. Chiedono "una replica dell’8 settembre". Chiedono di "insistere". Di "continuare la raccolta delle firme". Non ci stanno a passare per qualunquisti o per l’incarnazione dell’antipolitica. E’ solo che vogliono "un’altra politica".
Quel cuore di tenebra dell’Italia
ALFIO CARUSO (La Stampa,12/8/2007)
Si dilata il cuore di tenebra di un Paese sempre più attratto dal peggio. Cresce l’Italia che tifa per Moggi o per Corona, per le Br o per Cosa Nostra, per i Borboni o per Previti, per chi incendia i boschi o i cassonetti della spazzatura, per chi blocca le autostrade o le stazioni ferroviarie, per il pluriomicida Battisti o per l’ex ergastolano Fioravanti, per gli evasori fiscali o per i profittatori di Stato, per il professore che frega la scuola o per il genitore che insulta la professoressa. Si procede, ormai, per strappi ulteriori. Dilaga il rifiuto di fare i conti con le proprie scelte. Quanti di voi, almeno una volta, non hanno udito, in risposta a una domanda scomoda, la celebre frase: ben altro è il problema? Esempio: se una parte della Chiesa è impestata dai preti pedofili, il suggerimento è di guardare ai pedofili delle altre religioni. Alla disperata, la responsabilità appartiene agli ebrei, ai massoni, ai radicalchic, ai bevitori di anisette, ai cultori della pesca con la mosca, agli autostoppisti.
Ognuno ha il proprio irregolare di riferimento e, benché le uniche regole calpestate siano spesso quelle del Codice penale, a costui affidiamo lo sfizio che c’induce al sovvertimento. Le motivazioni, lo spessore morale del nostro eroe contano quanto il due di spade con la briscola a oro: l’importante è stare contro, l’istinto è di prendersela con chi incarna il concetto di Istituzione. Pretendiamo persino di essere selettivi, di saper valutare fiore da fiore, dando ovviamente per scontato che soltanto il nostro meriti ogni indulgenza. Così, davanti alla magia dei Faraglioni di Polifemo succede di ascoltare l’appassionato comizio del dotto professore universitario: con il sostegno degli immancabili riferimenti in latino passa, lieve e ispirato, dalla strenua difesa delle ragioni storiche della mafia all’invettiva contro la Legge, incapace di sbattere Moggi dentro la cella più buia e di buttare la chiave.
Con micidiale indifferenza leggiamo sia le intercettazioni nelle quali i brigatisti elogiano l’omicidio di un poliziotto da parte dei presunti fascisti di Catania, sia dei cori contro la polizia echeggiati durante un’amichevole del Catania senza che qualcuno s’indigni, intervenga per farli cessare. Purtroppo la cultura dello «spertu e malandrinu» ha fatto proseliti. La famosa linea della palma avanzante, secondo Sciascia, di 500 metri all’anno è arrivata in vista delle Dolomiti. Stare continuamente in contatto con l’impudenza ha dilatato i confini dell’impunità: consideriamo normale che un inquisito sia nominato capo di gabinetto, componente della Corte dei conti, assessore. Della disavventura romana dell’onorevole Mele non stupiscono la cocaina e le ragazze a pagamento, bensì che Casini l’abbia candidato e tanti pugliesi l’abbiano votato, malgrado il suo coinvolgimento in una vicenda di tangenti, sperperate peraltro al casinò.
In difesa dall’accusa di aver favorito Provenzano, il gioviale Cuffaro, governatore della Sicilia, sostiene che incontrava il braccio destro del boss nel retrobottega di un negozio di Bagheria per concordare il nuovo tariffario sanitario. In un Paese normale la toppa sarebbe molto più grave del buco: significherebbe, infatti, che la Regione più spendacciona e con la peggiore sanità nazionale ha i costi delle convenzioni decisi da Provenzano. Tuttavia, chiamati a scegliere fra Cuffaro e la Borsellino, i siciliani non hanno avuto dubbi. Di conseguenza i capi delle famiglie mafiose sono tornati a occupare ruoli pubblici nei partiti come succedeva quando Salvatore Greco, il fratello di Michele, il papa, era segretario della Dc di Ciaculli.
Dall’alto di un’intolleranza accumulata in secoli di servitù abbiamo inventato la presunzione d’innocenza fino all’ultima sentenza, che in un sistema giudiziario dai tempi biblici significa dimenticarsi la colpa e il colpevole. Dentro la pseudoculla del diritto lo stracitato in dubio pro reo dei romani si trasforma nell’assoluzione di tutti i rei. La Storia ci racconta che in occasioni eccezionali un pirata può diventare baronetto, non che tutti i pirati devono diventare baronetti. Solo in Italia s’ignora che il passato ci precede, dunque don Gelmini e i suoi estimatori pensavano che bastasse cancellarlo per esserne esenti. La televisione insegna che siamo i cavalieri del bene o le vittime del sistema. Per male che vada, la si può buttare in politica. A eccezione di Salvatore Giuliano, il giochino finora è riuscito a tutti.
Il parlamentare comunica la sua decisione e dice "Spero di mettere un freno a questo linciaggio politico"
Caruso: "Mi autosospendo
dal gruppo di Rifondazione"
Treu: "Una prima misura minima, mi aspetto che i suoi compagni la smettano di attaccare leggi che non sono responsabili del precariato"
di ANDREA DI NICOLA *
ROMA - "Mi autosospendo dal gruppo Prc-Se". Dopo le polemiche seguite alle sue parole su Tiziano Treu e Marco Biagi il parlamentare di Rifondazione prova così a mettere fine a quello che definisce un "linciaggio politico". Un comunicato di poche righe in cui rende nota la sua decisione dopo giorni di richieste di dimissioni, di scuse.
Parlando dell’ex ministro e del giuslavorista ucciso dalle Br Caruso aveva detto: "Le loro leggi hanno armato le mani dei padroni, per permettere loro di precarizzare e sfruttare con maggior intensità la forza-lavoro e incrementare in tal modo i loro profitti, a discapito della qualità e della sicurezza del lavoro". Un po’ meno di quell’"assassini" che era la primissima accusa lanciata ma comunque troppo poco per frenare le polemiche.
Parole "devastanti" ammetterà poi lo stesso deputato di Rifondazione che chiederà anche scusa. Ma intanto la palla di neve è diventata valanga portando sconcerto e divisione anche all’interno di Rifondazione comunista. I vertici sono coesi: "Parole indegne ma i processi non si fanno sui giornali, a settembre riuniremo il gruppo parlamentare e decideremo", dice il capogruppo Gennaro Migliore dopo la dura condanna del segretario Franco Giordano e il malumore fatto trapelare dallo stesso Fausto Bertinotti in una telefonata a Treu. Ma la base non è tutta contro il parlamentare e fa giungere via web la solidarietà al disobbediente campano. Il tutto mentre la destra attacca lancia in resta e gli alleati nell’Unione chiedono a Rifondazione di "chiarire la propria posizione".
Insomma una bufera che ha esposto il partito a bordate di ogni tipo. E così oggi Caruso decide per l’autosospensione e specifica: "E’ una scelta individuale e personale fatta senza alcuna sollecitazione. Voglio provare a mettere un freno a questo linciaggio politico". Una scelta che Migliore apprezza: "Credo che Caruso si sia reso conto della difficoltà in cui il suo gruppo si è trovato dunque questa scelta mi pare un segno di rispetto".
Ma, Treu, il bersaglio della polemica di Caruso non si accontenta. "E’ una prima misura minima - dice - ma non credo sia sufficiente, aspettiamo cose più politicamente significative, soprattutto da parte del Prc. C’è un problema politico generale, perché le sue affermazioni non sono state smentite da alcuni altri suoi colleghi, dalla Menapace a Cento, che anche se con altri toni, hanno continuato un attacco sbagliato contro leggi che non sono colpevoli del precariato. Semmai hanno cercato di regolare e migliorare il sistema, e i dati lo confermano. A settembre mi aspetto una presa di posizione più significativa".
Tensione in Rifondazione comunista attorno al deputato no global
E a settembre il gruppo parlamentare valuterà se espellerlo
"Bravo Francesco, falli indignare"
Sul web i militanti approvano Caruso
di ALESSANDRA LONGO *
ROMA - Un filo diretto, costante, al limite della nevrosi. Cellulari occupati, messaggi registrati, fax d’albergo. Rifondazione affronta la grana Caruso dalle vacanze. Il segretario Franco Giordano, notoriamente geloso della sua privacy e, per giunta in viaggio di nozze, deve affrontare dall’estero l’ondata che monta ed è furibondo. Russo Spena, capogruppo al Senato, dichiara dalla montagna, il rumore di una segheria in sottofondo. Cerca di contenere i danni, di far dimenticare "il grave errore di Francesco", quella frase, inutilmente smentita, su "Biagi e Treu assassini" e tornare al cuore della battaglia contro il precariato.
Si chiamano, si consultano. Espellerlo? Come si fa, è un indipendente, non iscritto. E poi "isolarlo - dice Russo Spena - vorrebbe dire portarlo alla disperazione, produrre in lui, che ha partecipato tanto ai movimenti, che si è speso, il definitivo distacco dalla politica vera".
Arriva il malumore dei compagni, della base, di molte segreterie regionali. Però arrivano anche, soprattutto via internet, i "forza Francesco", i "Forza Masaniello che ci fai sentire meno soli", i "Viva Caruso, continua così, falli indignare". E allora capisci che, nonostante l’anatema ufficiale di Bertinotti, il tunnel è stretto. Sì, ha offeso Biagi, è stato un ragazzaccio, ma... Ma ha detto, sulla legge 30, "ciò che tanti pensano, anche molti di coloro che in queste ore si sono dissociati".
A settembre, il Disobbediente verrà chiamato, redarguito, ammonito. "Gli faremo un discorso chiaro e collettivo - sceneggia Russo Spena - Gli diremo: "Guarda che ci hai messo in difficoltà grave, sappi che se cadrai ancora nel protagonismo, non andrai avanti tu e danneggerai noi"". Parola d’ordine: "Aiutarlo a crescere", come dice un dirigente che sembra parli del figlio ripetente. A chi evoca l’ipotesi alternativa, quella di accompagnare Caruso alla porta e suggerirgli l’iscrizione al gruppo misto viene risposto con un no: "Farebbe ancora più danni, diventerebbe incontrollabile".
C’è fastidio per questa grana non prevista, per tutto il lavoro fatto sulle morti bianche, sulla precarietà, che rischia di essere affogato nel mare mediatico di questi giorni, nell’offensiva della destra. Affiora anche un dubbio. Giusto prendersi in casa un tipo così? Giacomo Conti, segretario ligure di Rc: "C’è una distanza abissale tra quello che sostiene lui e quello che sente la nostra gente. Forse è il momento di fare un ragionamento sul meccanismo delle candidature. Bisogna aprire le liste, ma anche pensar bene a chi saranno, alla fine, gli eletti".
Daniele Farina, ex leader del Leoncavallo, oggi deputato, è avvilito, preoccupato: "Questa vicenda si commenta da sé". E persino Luxuria, certo non per perbenismo, prende le distanze: "Francesco non ha contato fino a dieci. In politica, l’impulsività non è una dote. Si deve dare una regolata, gli va fatto un ultimatum". Il vecchio Sandro Curzi liquida: "Non mi è mai piaciuto. I cretini di Ferragosto esistono a destra e sinistra".
Il cellulare, al mare, funziona poco. Michele De Palma, già leader dei Giovani Comunisti, ora nella segreteria nazionale, racconta che "non ci voleva credere", quando glielo hanno raccontato: "Caruso ha detto cose sconvolgenti e politicamente sbagliate. Mi mette ansia pensare che, di fronte all’ennesima morte di due ragazzi sul lavoro, non si parli che di lui. Tutto è diventato spettacolo, baraccone. A settembre dovremo ragionare a fondo su questa vicenda".
Niente espulsione, niente Gruppo Misto, ma c’è chi suggerisce a Caruso "di avere il coraggio, l’umiltà, di scrivere una lettera ufficiale di scuse a Rifondazione, alla famiglia Biagi, anche ai precari". Lo farà? Se legge i messaggi su www. sxnet. it, gli verrà il dubbio di essere nel giusto. Ecco un anonimo militante: "Personalmente non mi sento scandalizzato dalle parole di Caruso. In Italia, fino a prova contraria, esiste l’omicidio colposo e, volendo proseguire l’infelice metafora carusiana, si potrebbe invitare qualcuno ad assumersi la responsabilità politica e prendere atto di essere co-responsabile di più di 1200 morti all’anno".
E ancora: "La mia serenità e laicità mi spingono fino al punto di non poter sospendere il giudizio politico su Marco Biagi, barbaramente ucciso dalle Brigate Rosse, colpevolmente lasciato senza scorta dallo Stato, ma comunque elemento di snodo di una riforma del lavoro che precarizza, non garantisce e non previene le morti bianche". Non è l’unico messaggio così. Ma ce ne sono anche altri. Quello di Franco, per esempio: "Quando apro i giornali e leggo parole su Biagi come quelle di Caruso mi vergogno di far parte di Rifondazione".
* la Repubblica, 11 agosto 2007
E al segretario Giordano dice: "Non sono iscritto al Prc, non vedo come posso essere
incompatibile. Disponibile a discutere della mia presenza nel gruppo"
Caruso: "Biagi un povero Cristo Mi spiace, ma anche lui sfruttato"
L’ex Disobbediente aveva detto che "Biagi e Treu con le loro leggi sono degli assassini"
Poi la correzione: "Le loro norme impropriamente usate per rendere precarie le condizioni di lavoro"
di CLAUDIA FUSANI *
ROMA - Alla fine, dopo dodici ore di polemiche e di attacchi per quelle parole assurde contro i giuslavoristi Biagi e Treu, l’onorevole disobbediente Francesco Caruso trova la frase che corregge fino a smentire quello che aveva detto in mattinata. "No ho mai accusato nessuno di essere un assassino - precisa - Non volevo offendere chi ha sofferto e ancora soffre. Penso che sarebbe giusto però abrogare le leggi dei due giuslavoristi che hanno reso assai più precarie le condizioni di lavoro. Fare questo può essere una forma di risarcimento e di rispetto per i morti sui posti di lavoro. Abrogare questo impianto normativo e ridare dignità e diritti ai precari è uno dei punti del programma di centrosinistra. Lavorare perchè ciò avvenga è un mio preciso dovere etico, prima ancora che politico".
Onorevole Caruso, il suo segretario Franco Giordano dice che le sue parole su Biagi e su Treu sono "incompatibili con Rifondazione". Cosa risponde?
"Mi spiace che Giordano pensi questo. Comunque io non sono iscritto a Rifondazione e non vedo come possa essere incompatibile con qualcosa di cui non faccio parte".
Non la possono espellere, come è già successo a un suo collega senatore?
"Non possono espellermi da un partito a cui non sono iscritto. Posso mettermi fuori dal gruppo: se la mia presenza dentro Rifondazione è un problema, se ne potrà discutere nella prima riunione alla riapertura dei lavori parlamentari".
Le sue parole sui due illustri giuslavoristi sono inaccettabili. Lei ha detto che "Biagi e Treu, con le loro leggi, sono degli assassini". Biagi è stato assassinato dalle Br nel 2002, sotto casa. La reazione di Giordano non è così insolita.
"Una delle caratteristiche di Rifondazione è proprio la pluralità di pensiero e di esperienze. Finora sono state una ricchezza e non un limite. Comunque spiego meglio quello che volevo dire...".
Ecco, lei ha detto "Biagi e Treu assassini".
"Sta venendo fuori un polverone assurdo. Mi rendo conto che quello che ho detto non è politically correct. Volevo dire è che quel povero uomo di Biagi, il pacchetto di norme sulla flessibilità e sulla riforma del lavoro che portano il suo nome, tutto questo è stato strumentalizzato dalla destra per creare condizioni di lavoro assurdo, precario, instabile, incerto".
Onorevole, cosa c’entra la riforma del lavoro di Marco Biagi con le morti bianche nei posti di lavoro?
"Quelle leggi sono state usate per armare le mani dei padroni e permettere loro di precarizzare e sfruttare con maggiore intensità la forza-lavoro e incrementare i profitti. Mille e duecento morti sui posti di lavoro in un anno, una media di quattro morti al giorno: questo è inaccettabile; questo deve far vergognare. Allora però succede che nessuno si sente responsabile per questi morti, così, sono morti per caso. E invece no: ci sono responsabilità politiche precise. Sono sconcertato".
Da cosa?
"Da questo moto isterico e collettivo di autoassoluzione che parte dalla casta, dalla classe politica. Qualcuno si vuol prendere la responsabilità politica di queste morti?".
Quali sono le "responsabilità politiche precise"?
"Quelle di uno Stato e di un governo che accettano - tanto da definirle per legge - condizioni di lavoro precarie, instabili e incerte. Ecco: io questo volevo dire. Mi spiace per Biagi, lui è solo un povero cristo che è stato usato. Anzi, sfruttato".
Caruso, dove si trova adesso?
"A Serra d’Ajello, provincia di Cosenza. Ci sono trecento persone, i dipendenti dell’istituto Papa Giovanni che rischiano di perdere il posto di lavoro dopo gli sperperi e le ruberie dei responsabili dell’istituto su cui indaga la procura".
* la Repubblica, 9 agosto 2007
Caruso: «Biagi e Treu assassini»
Il deputato no global di Rifondazione comunista attacca precarietà e legge 30.
Il partito prende le distanze.
Il Quirinale: «Parole indegne»
di Stefano Milani (il maniesto, 10.08.2007)
Roma. «Tiziano Treu e Marco Biagi sono gli assassini» dei due giovani morti l’altro ieri sul lavoro a Mugnano e Bolzano. «Le loro leggi hanno armato le mani dei padroni, per permettere loro di precarizzare e sfruttare con maggior intensità la forza-lavoro e incrementare in tal modo i loro profitti, a discapito della qualità e della sicurezza del lavoro». Il parlamentare no global di Rifondazione comunista Francesco
Caruso ci va giù pesante. Nulla di nuovo sui contenuti. Sono anni che il deputato devoto a San Precario punta il dito contro il pacchetto Treu e la legge Biagi, norme che secondo Caruso sono la causa dell’attuale instabilità del lavoro in Italia. Stavolta però il suo dare degli «assassini» agli autori dei due diversi provvedimenti legislativi sulla flessibilità è sembrato troppo anche a chi quelle leggi non le ha mai condivise.
E a nulla sono valse le successive rettifiche dello stesso Caruso, che poi tanto rettifiche non sono («Io non volevo dire che Treu e Biagi sono assassini. Piuttosto, sono quelli che, con le loro leggi, hanno fornito le armi agli assassini, e cioè agli imprenditori senza scrupoli che, per aumentare i loro profitti hanno abbassato la sicurezza, la qualità del lavoro e i salari...»), le scuse («Dispiace aver tirato in ballo Biagi, barbaramente ucciso e alla sua famiglia va la mia solidarietà»), le precisazioni («Mille e duecento morti sui posti di lavoro in un anno, una media di quattro morti al giorno: questo è inaccettabile. Nessuno si sente responsabile per questi morti, così, sono morti per caso»), e ancora le puntualizzazioni di tarda serata («Non ho mai accusato nessuno di essere un assassino. Ho detto che di fronte all’impressionante numero di morti sul lavoro è necessario individuare delle responsabilità»).
Il polverone è ormai alto, la condanna mediatica già partita. Dal Quirinale la presa di posizione è netta, e il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, parla di «indegno vaneggiamento». In serata interviene anche il premier Prodi, si accoda alle critiche e telefona in segno di solidarietà a Treu, il quale risponde alle accuse di Caruso definendole «irresponsabili e deliranti» atte solo ad «avvelenare il clima»). E’ poi tutto lo stato maggiore di rifondazione comunista a prendere le distanze dalle affermazioni del suo deputato. A cominciare da Franco Giordano: «Le parole di Caruso sono culturalmente incompatibili con l’impostazione da sempre adottata dal Prc. Sono parole in libertà di cui il solo responsabile è il deputato Caruso». Dichiarazioni «sconcertanti» di una «cultura politica barbara» chiosa il ministro Ferrero. Ma tutta la giornata è un susseguirsi di dichiarazioni, è il tono è sempre lo stesso: di condanna.
L’attuale ministro del Lavoro, Cesare Damiano, definisce «demenziali» le dichiarazioni di Caruso: «Sono usate con irresponsabilità e leggerezza - accusa - che segnalano purtroppo la rottura del meccanismo della normale dialettica politica, con un linguaggio da bandire che fomenta l’odio e disconosce l’impegno del governo e del Parlamento con la recente legge a tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori. Una legge tesa a contrastare la tragedia delle morti bianche».
Anche per Olga D’Antona, vedova del giurista assassinato dalle Br come Biagi e oggi deputata di Sinistra democratica, è particolarmente colpita dall’assalto verbale del collega del Prc. «Parole offensive - dice - che ledono la dignità e la memoria di persone che legittimamente si sono impegnate in progetti di riforma del lavoro, che possono essere più o meno condivisi ma che sono comunque frutto di legittime convinzioni».
Per la destra le parole di Caruso sono una manna caduta dal cielo. E gli aggettivi si sprecano. Farneticanti, pazze, aberranti, folli, irresponsabili, superficiali, solo per citare i più teneri. Il leghista Maroni, collaboratore di Biagi nel 2001, chiede che Caruso sia «cacciato dal Parlamento».
Politica - Dibattito
EPPUR SI MUOVE!
di Lucio Garofalo
Caruso rimandato a settembre *
Mentre Ri(af)fondazione prosegue nelle aule parlamentari e nelle altre sedi istituzionali la sua "coraggiosa" battaglia politica contro la precarietà e lo sfruttamento dei lavoratori (ridiamo per non piangere!), il povero Francesco Caruso è malauguratamente incappato nelle forbici della censura ed ha deciso di autosospendersi volontariamente, in attesa di conoscere a settembre la sua sorte nel gruppo parlamentare del PRC-Sinistra Europea. Il deputato "disobbediente"beneventano aveva osato rilasciare alcune dichiarazioni che hanno scatenato unanimi reazioni di scandalo e sdegno da parte di un cieco ed arrogante ceto politico (compresi i quadri dirigenti del PRC) che si ricompatta ogni volta che viene messo in discussione il suo potere oppure viene smascherata la reale natura dello Stato e del sistema economico-capitalistico. Tuttavia, a parte l’alone di ipocrisia che ha circondato le frasi "incriminate", altrove non sono mancati gli attestati di solidarietà nei confronti dello sventurato Caruso. Che dire? Anzitutto, perché aggredire e linciare in coro un Caruso qualsiasi, appena apre bocca? In genere tace, il ragazzo, che finora si è distinto solo per aver espresso il suo voto favorevole alle peggiori nefandezze di questo governo, anche e soprattutto in materia di politica estera. E poi, basta con questa omertà mafiosa istituzionale! Basta con questa ipocrisia e pusillanimità filo-governativa! Nel Parlamento italiano il più pulito ha la rogna! Si dimetta Caruso, ma insieme a tutti gli altri parlamentari che hanno pendenze o problemi di natura legale, ed in modo particolare tutti coloro che hanno ricevuto condanne penali in via definitiva. Allora sì che ci sarebbe da ridere (sempre per non piangere), visto che in pratica dovrebbe essere evacuato l’intero Parlamento, licenziando un’intera classe politica "digerente". Inoltre, vogliamo affrontare seriamente le drammatiche questioni del lavoro, degli omicidi bianchi, della precarietà e dello sfruttamento, e quindi delle leggi che hanno contribuito in maniera determinante ad inasprire e "normalizzare" le condizioni di precarietà, miseria e sfruttamento in cui versano i lavoratori in Italia, in modo particolare le giovani generazioni e gli extracomunitari? Sbaglio o l’abolizione della legge 30 era uno dei punti programmatici fondamentali della piattaforma dell’Unione, almeno durante la campagna elettorale? Non sbaglio, ma ho detto giustamente: era! Per sconfiggere Berlusconi servivano i voti dell’elettorato della cosiddetta "sinistra radicale". Oggi, invece, la legge Biagi non si tocca!
Repetitaiuvant
Le “incaute” esternazioni rilasciate dall’onorevole Caruso, a parte le reazioni ipocritamente indignate che hanno provocato negli ambienti istituzionali, possono se non altro vantare il merito di aver re-suscitato il dibattito su una questione che pareva sepolta nell’oblio, totalmente archiviata e depennata dall’agenda politica del governo in carica. Mi riferisco al tema della precarizzazione e dello sfruttamento economico dei lavoratori salariati, alla cruda e triste realtà degli omicidi bianchi. In Irpinia, solo negli ultimi giorni sono morti sul lavoro altri due giovani operai. Il segretario provinciale della Federazione irpina del PRC-Sinistra Europea, Gennaro M. Imbriano, ha espresso alcune riflessioni a riguardo, sostenendo che "i dati, le statistiche, ci consegnano una condizione di autentica guerra sociale". A parte la sottile distinzione terminologica (sottile ma non elegante, dato che non può essere elegante un eufemismo lessicale che, sebbene sia "politicamente corretto", serve semplicemente a dissimulare, o comunque ad ammorbidire un’amara e tragica verità) nell’usare i termini "morti bianche" in luogo del più aspro vocabolo "omicidi", si può senza dubbio concordare con le dichiarazioni del segretario provinciale irpino di Rifondazione, ma occorrerebbe aggiungere coerentemente altre valutazioni, trarne le dovute conseguenze e porsi alcune domande: 1) anzitutto, se ci sono degli omicidi chi sono gli assassini? In altre parole, adoperando un frasario più "politicallycorrect", se si verificano morti sul lavoro bisognerebbe individuare le relative responsabilità, sia materiali che ideologiche; 2) inoltre, come è possibile conciliare la posizione del PRC (critica, benché solo a chiacchiere) rispetto alla legge 30, con altre posizioni più moderate quanto ferme e perentorie, presenti se non egemoni all’interno della coalizione di governo, secondo cui "la legge Biagi non si tocca", una posizione che si accomoda e soggiace perfettamente ai diktat imposti dalla Confindustria?
Lucio Garofalo
* Il dialogo, Venerdì, 31 agosto 2007 - ripresa parziale, senza i "rinvii".