La notizia della donna morta in seguito alle violenze subite, sembra, da parte di un rumeno ha destato negli animi degli abitanti del Bel Paese rabbia e indignazione. Non solo, anche a livello politico sembra si stia muovendo qualcosa verso una più rigida legislazione in materia di immigrazioni ed espulsioni.
Il rischio, anche questa volta, è che tutto vada in "cavalleria", che tutto finisca in quell’orribile spirale che è il dimenticatoio. Terminata infatti l’onda emotiva che sta investendo il Paese, cosa si farà per dare concretezza a tutte queste belle parole che stiamo, per forza di cose, ascoltando dai "nostri" politici?
Si sta parlando di abbattere le baraccopoli, ovvero quella specie di agglomerati abitativi ed abusivi insiti dolentemente negli agglomerati urbani per restituire decoro a tutte quelle zone, come Tor di Quinto, quartiere semi-periferico nella zona a nord di Roma che, attualmente, sono dimenticate dai politici, specie quelli locali che più dovrebbero essere attenti alle problematiche del territorio.
Mi riferisco, ovviamente, al sindaco di Roma Walter Veltroni, futuro leader designato del neonato Partito Democratico (funzionera?) ed alla sua orda di consiglieri, assessori, consulenti. Dopo aver speso non so quanti milioni di euro per una cosa tanto stupida quanto inutile come il Festival del Cinema di Roma, non conveniva forse investire meno di un quarto per impiantare 8 o 10 lampioni in quel vialetto che collega la stazione di Tor di Quinto con l’arteria stradale principale?
Ci vuole tanto? Perchè i politici si fanno belli con quelle frivolezze (a che serve un altro festival del cinema se c’è già Venezia?) quando molte zone della città mostrano problematiche ben più impellenti che non vengono minimamente considerate?
Perchè, ancora oggi, ci sono distinzioni tra centro e periferia per quanto concerne, ad esempio, cose basilari come la pulizia ed il decoro delle strade? Nel centro di Roma gli addetti dell’AMA, l’azienda municipalizzata di nettezza urbana della capitale, puliscono almeno quattro volte al giorno. Perchè appena fuori le mura si vedono una volta alla settimana? Eppure tutti quanti pagano le tasse sui rifiuti solidi urbani, molto care tra l’altro, nella stessa egual misura: abitanti del centro e della periferia. Non c’è distinzione di localizzazione all’atto del pagamento, ma solo di metratura dell’appartamento.
Ancora oggi, abitando in quartieri semi-periferici di Roma, in uno di quelli in cui la famigerata "sopraelevata", la Tangenziale Est, entra dentro le case con i suoi rumori e i suoi fumi tossici, mi chiedo cosa spinga gli amministratori locali a far promesse da marinaio per raccimolare dei voti nel momento del bisogno. E ancora di più, mi chiedo come facciano i cittadini a sprecare il loro tempo andando a votare queste persone, di destra e di sinistra, per ungere ed ingrassare un sistema dal quale sono sistematicamente tagliati fuori.
Da dieci anni si vocifera, nel quartiere, che questo mostro urbano sarà abbattutto, ma puntualmente non avviene nulla. Ci sono progetti di recupero approvati ma, all’atto di concretizzare, come un refrain già ascoltato mille volte, mancano i fondi che, ovviamente, vanno spesi per organizzare il Festival del Cinema e altre frivolezze del genere.
Per questo, "caro" sindaco, prenda provvedimenti. Installi i lampioni, investa sulla sicurezza, spenda per il decoro urbano e non sprechi i risparmi di noi cittadini per organizzare rassegne dalle quali non attingiamo nulla, nè prestigio nè tantomeno denaro. Gettiamo la maschera?
Mauro Diana.
Cronache italiane
di Gabriele Polo (il manifesto, 02.11.2007)
Forse sarebbero bastati un paio di lampioni su quella strada, per evitare a Giovanna Reggiani il buio e l’orrore in cui è stata trascinata. Non sarebbero stati necessari decreti d’urgenza e leggi speciali che trasformano un delitto individuale nell’annuncio di un repulisti di massa. E non serviranno a salvare altre future vittime.
Di certo sarebbe bastata una maggiore attenzione alla vita quotidiana delle periferie per cercare una soluzione al violento degrado in cui giacciono migliaia di persone. Non serve inseguire la destra sul terreno che le è più naturale e vincente. Non servirà a cacciare le paure metropolitane e nemmeno - più in piccolo - a conquistare consensi elettorali. Servirebbe più Zavattini di «Miracolo a Milano» che Veltroni del cinema in festa.
Spesso la cronaca illumina più di qualunque analisi sociologica. E ci rimanda una società in cui la violenza è diventata la principale risposta che gli individui danno alla asperità quotidiane; in cui l’uso della forza definisce i rapporti tra le persone come tra i gruppi (anche quando si chiamano «nazioni») e, in quanto forza, fissa la gerarchia del potere tra i sessi, cui si aggrappa il maschile per rispondere alla propria crisi di egemonia, come una superpotenza un po’ traballante usa la guerra per convincersi di essere ancora in sella. Quella cronaca poi ci parla di un’altra crisi, di una politica ormai incapace di sottrarsi alla dittatura della paura umorale, per dare solo risposte che cercano di rassicurare senza cambiare, oppure di spaventare senza risolvere. Cogliendo semplicemente l’attimo, come nel delirio su possibili frotte di tifosi capitolini pronti a uscire da uno stadio per dar vita a un pogrom di massa. E, allora meglio (pensa Amato) che il pogrom lo faccia lo stato, con la sua organizzata e legale autorità. Oppure che si accentui la «prevenzione repressiva» (dice Fini) cacciandoli tutti, quei derelitti potenzialmente criminali. E ci mostra - quella cronaca - un giornalismo guerriero, incapace di riflettere o semplicemente di distinguere e raccontare i fatti, che getta tutto in uno stesso calderone e confonde: tanto tra un campo sosta e una baraccopoli che differenza fa? tanto tra un rom e un rumeno, tra quest’ultimo e tutta la Romania, c’è persino assonanza lessicale.
Forse per battere la forza delle violenze quotidiane, per sottrarsi alla paura degli umori profondi, per battere l’insicurezza che da materiale diventa esistenziale, bisogna distinguere sempre di più, segnalare e segnare le differenze. Tra i sessi, tra le classi, tra gli stessi individui, trasformando la debolezza di oggi in una mite forza di domani, basata su convinzioni e bisogni, non sui muscoli: mutuo soccorso, non più «compattezza militare». Perché se il terreno del potere non può essere che quello andato in scena tra martedì e mercoledì scorsi (su una strada e in una sede di governo), allora è meglio ripudiarlo e cercare altrove un’altra relazione comune. Vale per chi vive in una baraccopoli, come per chi siede in un parlamento.