"L’Italia è una poltiglia di massa"
E’ l’analisi impietosa del Censis che fa luce su un Paese inconcludente, senza coesione e sguardo al futuro
ROMA. La società italiana sta diventando una «poltiglia di massa», sfilacciata, inconcludente e senza sguardo al futuro. E’ l’allarme lanciato oggi dal Censis nel 41° rapporto sullo stato sociale del Paese. Disillusa dalla politica e dalle istituzioni, l’Italia si frammenta sempre più e, mossa da pulsioni ed emozioni individuali rischia di perdere l’identità collettiva.
Lo studio del Censis descrive un’Italia a due velocità: da una parte lo sviluppo economico che si conferma positivo, dall’altra una società che non rispecchia lo stesso trend ma anzi se ne distacca. Lo sviluppo economico si muove, infatti, su dinamiche di minoranza (come quella industriale che «non sprigiona le energie necessarie per uscire dallo stallo») che non penetrano fra la gente, che rimane distante da questi processi elitari.
Italia aggressiva e litigiosa
In Italia è in corso una «degenerazione antropologica», che fa della aggressività la modalità espressiva quotidiana degli italiani. Lo dimostrano gli stadi e le famiglie. In casa aumentano violenze e separazioni.
Della politica non ci si può fidare
Gli italiani diffidano della politica. La pensano così 8 italiani su 10. Il 76,1% dice che «nessuno si preoccupa di ciò che accade agli altri mentre per il 56,4% valgono di più i propri interessi che gli altri». Sfiducia anche verso le istituzioni. In particolare dello Stato, 52,4% dice di essere poco o per niente soddisfatto del suo operato. Maggiori successi li riceve il comune (sfiducia al 32,7%).
Redditi
Casa ed energia sono le principali spese degli italiani. A questi scopi va il 31% degli stipendi. È diminuita invece la spesa per alimenti (dal 21,1% del 1996 al 18,9% del 2006).
Carceri
Solo quattro detenuti su dieci hanno una condanna definitiva. Dopo l’ indulto i detenuti sono diventati 43.957. Nei penitenziari oltre un terzo è straniero, per lo più clandestini.
Università
Uno su cinque è fuori sede. Si tratta di 350 mila studenti che preferiscono atenei lontani dalla propria città. La spesa media mensile per le loro famiglie ammonta a 1.100 euro.
Imprese
L’Italia è al terzo posto in Europa per numero di servizi pubblici destinati alle imprese on line, pari all’87,5% del totale. Diversa la situazione per i cittadini che su questo si trova invece al di sotto della media europea.
Criminalità
Il 22% della popolazione italiana, ossia circa 13 milioni di persone, vive in zone in cui è presente la criminalità organizzata. Si tratta di cittadini del sud, pari al 77,2% della popolazione di quattro regioni (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia).
Pensioni
Serpeggia il pentimento tra i pensionati. Il 31% dei pensionati se potessero tornare indietro ritarderebbero l’uscita dal lavoro. Non a caso l’innalzamento a 65 anni dell’età pensionabile non è più un tabù per la società italiana.
Bilanci comunali
Nei Comuni, salgono del 52% le entrate derivanti dalle multe degli automobilisti.
Solidarietà
Per il 69% degli italiani, in caso del bisogno si può contare sull’aiuto degli altri. Intensa è la partecipazione dei cittadini ai problemi della comunità: il 17,9% si organizza, spesso o molto spesso, con altri per un obiettivo comune. Soprattutto sulla sicurezza nei confronti degli immigrati
* La Stampa, 7/12/2007 (10:50)
DOCUMENTO DEL CENSIS: 2007 - XLI RAPPORTO SULLA SITUAZIONE SOCIALE DEL PAESE
Sul tema, nel sito, si cfr.:
LA REPUBBLICA DELLA "PENISOLA DEI FAMOSI" E UN PARLAMENTO CHE CANTA: "Forza Italia"!!!
ITALIA. PAESE IMPAZZITO. BULLISMO ... GENERALE E DI STATO
Il 41° Rapporto Censis. Costante la crescita, già rilevata nel 2007
ma non si traduce in uno "sviluppo di popolo". Il fenomeno della fuga all’estero
In Italia continua il silenzioso boom
ma è opera di una "minoranza vitale"
Cresce il fatturato di numerose aziende, il sistema si potenzia attraverso le aggregazioni
I redditi rimangono bassi, il debito pubblico alto, i consumi e le prospettive delle famiglie incerti
di ROSARIA AMATO *
ROMA - Il "silenzioso boom" va avanti: sembra aprirsi a una visione positiva dell’economia e della società l’edizione 2007 del Rapporto sulla situazione sociale del Paese del Censis. Ma poi, pagina dopo pagina, emergono tutti i blocchi e i problemi che impediscono a una "dinamica evolutiva di pochi" di diventare "uno sviluppo di popolo": la "buona ripresa" tarda ad arrivare, mentre il Paese si disperde in una "poltiglia di massa", una "mucillagine di elementi individuali e di ritagli personali tenuti insieme da un sociale di bassa lega, e senza alcuna funzione di coesione da parte delle istituzioni". Insomma, il Paese non cresce, anche se il Censis, rifiutando apertamente da anni "un’ipotesi di declino e di impoverimento", va con passione alla ricerca di tutto quello che individualmente, dal basso e senza coordinazione, ha intrapreso un percorso individuale di evoluzione.
A cominciare dalle "minoranze vitali" fautrici di una ripresa economica "ormai da tempo provata da una apprezzabile crescita degli indici del fatturato industriale e del terziario e dalla crescita sostenuta delle esportazioni". Una ripresa che però non riesce a coinvolgere l’intero sistema sociale, per via di problemi vecchi, come l’antico divario Nord-Sud, mai migliorato e semmai aggravato negli anni, e le sempre maggiori "degenerazioni antropologiche". "In ogni settore - ricorda il Censis - è tutto un tessere di astuzie, piccole illegalità, convivenze. Salvo poi, con l’esercizio antico di una doppia morale, scandalizzarsi per furberie più altisonanti. Perchè l’Italia continua ad essere un Paese troppo indulgente con se stesso".
Le "minoranze vitali" fautrici della ripresa
L’incremento del Pil dell’1,8 per cento previsto per il 2007 è sicuramente indice di una ripresa economica, osserva il Censis, o quantomeno del fatto "che il Paese è fuori dalle secche del lungo periodo di stagnazione che è andato dal 2002 alla prima metà del 2006". L’avvio di questa fase positiva non è però frutto di un’evoluzione generale, secondo gli analisti dell’Istituto, quanto piuttosto "di minoranze vitali che rischiano di non fare tessuto, di non riuscire a riverberare la propria vitalità negli strati più ampi e profondi del Sistema-Paese".
A testimonianza delle buone performance degli ultimi mesi ci sono relazioni trimestrali di bilancio delle imprese quotate in Borsa che mostrano utili ragguardevoli, "mai al di sotto del 10 per cento". Nel 2006 l’incremento dell’indice del fatturato industriale derivante da vendite in Italia è aumentato del 7 per cento, ricorda il Censis, quello delle vendite all’estero dell’11 per cento, e il 2007 dovrebbe chiudersi con un’ulteriore accelerazione. Spiccano poi nel sistema delle imprese le grandi operazioni di concentrazione e fusione attuati nel 2007, a cominciare da quella conclusa tra Capitalia e Unicredit.
Il Censis rileva comportamenti virtuosi e innovativi nell’industria manifatturiera e anche nelle imprese agricole, protagoniste almeno in parte di "un lento ma progressivo progresso di riorganizzazione e riposizionamento complessivo". Ancora, nel sistema imprenditoriale italiano si riscontra una forte tendenza al ricambio generazionale, grazie soprattutto alla costituzione di nuove attività.
I freni allo sviluppo
Ma "lo sviluppo non filtra sia perché non diventa processo sociale, sia perché la società sembra adagiarsi in quell’inerzia diffusa che è antropologia senza storia, senza chiamata al futuro". Tra i principali fattori inerziali il Censis cita i dati della contabilità nazionale: da un lato un andamento degli investimenti fissi lordi delle pubbliche amministrazioni "per il terzo anno di segno negativo", a fronte di una spesa pubblica in crescita e monopolizzata dal pubblico impiego, dalla sanità e dalle pensioni.
C’è dunque "un inguaribile strabismo delle politiche di bilancio che, non riuscendo a stabilizzare e ridurre le spese correnti, hanno più agevolmente compresso le spese di investimento". Il debito pubblico "pesa come un macigno non solo sui conti, ma anche sulla libertà psicologica dei cittadini". A questo si aggiunge "l’erratica scoperta di tesoretti e la loro destinazione erraticamente politica".
Anche gli interventi programmati, ricorda il Censis, raramente vengono portati a compimento: un recente monitoraggio attesta che in sei anni solo il 2,5 per cento delle infrastrutture programmate sono state ultimate. A questo si aggiunge una svalutazione dell’istruzione pubblica, che in percentuale sul Pil ha subito tra il 1993 e il 2004 un progressivo decremento, passando dal 5,4 al 4,6 per cento. Si è accentuato pertanto anche il divario tra il dato europeo e quello nazionale.
I consumatori con il fiato corto
La vitalità riscontrata nel settore delle imprese non si traduce in un’analoga condizione per le famiglie. Gli italiani, osserva il Censis, "giungono alla fine del 2007 ancora con il fiato corto, forse più che per una sensazione di scarsa fiducia nel futuro che per oggettive difficoltà o incertezze economiche". I consumi hanno ripreso però a crescere: +1,6 per cento nel 2006, +2 per cento nel primo semestre del 2007. Ma il reddito disponibile stenta ad aumentare, e pertanto frena la richiesta di mutui (+7 per cento nel primo semestre 2007 a fronte di un +21,1 per cento del corrispondente periodo del 2006) e quella del credito al consumo.
Le difficoltà del lavoro flessibile
Il lavoro in Italia sta cambiando. Da un lato il Censis osserva "la prefigurazione di un nuovo modello del lavoro professionato di fascia alta che esce dal lavoro autonomo e rientra nell’alveo delle professioni dipendenti". Ma dall’altro l’Italia rimane all’ultimo posto nella graduatoria europea per tasso di attività femminile (al 50,8 per cento nel 2006).
Inoltre è aumentata la quota di ingressi al lavoro di carattere temporaneo, passati nell’ultimo biennio da 720.000 a più di 870.000 (+20,1 per cento). Dei quasi 1.900.000 lavoratori che hanno trovato un’occupazione nel corso del 2006, il 38,2 per cento ha un contratto a termine, l’8,7 per cento un contratto di lavoro a progetto o occasionale e solo il 36,1 per cento un contratto a tempo indeterminato. A differenza di quanto sostengono gli imprenditori e le associazioni imprenditoriali, il Censis rileva come "la maggior parte dei lavoratori flessibili resta immobile nella prorpia condizione, quando non rischia di perdere il posto di lavoro: evento che, nel 2006, ha interessato il 12,4 per cento dei giovani con contratto a termine e il 12 per cento dei collaboratori, a progetto o occasionali".
Fuga all’estero
Chi può, considerate le pastoie del sistema Italia, sceglie "di intraprendere il proprio percorso di studio e di lavoro al di fuori dei confini patri". "La sensazione che emerge - osserva il Censis - è che flussi sempre più consistenti di italiani stiano ormai indirizzando e riorganizzando le proprie strategie di sviluppo, di business, di investimento all’estero". Un ennesimo dato che dimostra come le soluzioni italiane per uscire da un sistema bloccato siano assolutamente individuali, in mancanza di una seria evoluzione collettiva. Nel 2006, erano iscritti in facoltà universitarie estere 38.690 studenti, di cui il 19,9 per cento in Germania, seguiti da Austria, Gran Bretagna, Svizzera, Francia e Stati Uniti. Dal 2001 al 2006 inoltre l’Italia è stata, dopo Francia, Germania e Spagna la nazione da cui sono partiti più studenti Erasmus (in totale 92.010). Nel 2006 oltre 11.700 laureati hanno trovato lavoro all’estero.
Il numero delle imprese estere partecipate da aziende italiane è arrivato a quota 17.200 per un volume di addetti che supera il milione. Nel 2006 inoltre il numero degli italiani che ha trasferito all’estero la propria residenza è aumentato del 15,7 per cento rispetto all’anno precedente.
CENSIS
Un Paese fragile, isolato ed eterodiretto
con il welfare stremato da anni di tagli
di ROSARIA AMATO *
ROMA - E’ stato più di un anno orribile: la cifra di quanto l’Italia sia ormai un Paese fragile, isolato, privo della solida reputazione che ha avuto per secoli, prima ancora di giocare un ruolo politico nello scacchiere internazionale, l’ha data forse quello sguardo di scherno passato dal presidente francese Sarkozy alla cancelliera tedesca Merkel, in conferenza stampa a Bruxelles. Senza la sua "good reputation", all’Italia, osserva il 45esimo rapporto Censis, presentato stamane a Roma, non rimane che essere "eterodiretta", in balia della grande finanza e soprattutto delle istituzioni europee che ci dettano l’agenda, "quasi a imporci il compitino". Una situazione "che ci fa sentire confinati per l’eternità a mediocri destini".
E’ colpa soprattutto nostra, certo: abbiamo accumulato per decenni "un abnorme debito pubblico", ci siamo fatti trovare "politicamente impreparati a un attacco speculativo che vedeva nella finanza pubblica italiana l’anello debole dell’incompiuto sistema europeo", abbiamo dimostrato "per mesi e mesi confusione e impotenza nelle mosse di governo volte alla difesa e al rilancio della nostra economia".
Tornare all’economia reale. Possiamo venirne fuori? Il Censis indica una strada che va ben oltre il risanamento, la messa a posto dei conti imposta "dalla regolazione finanziaria di vertice", che "può esprimere solo una dimensione di controllo, non di evoluzione e crescita". E’ illusorio, sottolinea il Censis, "pensare che i poteri finanziari disegnino sviluppo. Perché lo sviluppo si fa con energie, mobilitazioni, convergenze collettive, quindi soltanto se si è in grado di fare governo politico della realtà". Premesso che "sarà faticoso, anche per chi si avvia a governare nel prossimo futuro, diffondere impegni di responsabile autodirezione e di rinnovata autostima", bisognerà tornare all’economia reale, e a una cultura che metta al centro la correttezza, e l’onestà.
Riscoprire l’onestà. Sembra lontana la logica della furbizia, del vince chi frega gli altri. E’ evidente che ci ha portati sull’orlo del baratro. Alla classe dirigente la maggioranza degli italiani (59%) chiede adesso "specchiata onestà sia in pubblico che in privato", preparazione (43%), "saggezza e consapevolezza (42,5%). Ma gli italiani sono pronti anche a prendere sulle proprie spalle la responsabilità di cambiare il Paese: il 57,3% si dichiara disponibile a sacrificare in tutto o in parte il proprio tornaconto personale per l’interesse generale (però poi il 46% restringe la propria disponibilità ai soli casi eccezionali). L’81% condanna duramente l’evasione fiscale: il 43% la reputa moralmente inaccettabile, il 38% pensa che chi non paga le tasse arreca un danno ai cittadini onesti. Onestà, dunque.
E il nostro "scheletro contadino". In fondo, osserva il Censis, si tratta di tornare al solido "scheletro contadino", inteso come "metafora della nostra cultura di continuo adattamento", ma anche dell’economia reale, che dà ricchezza vera, mentre il dominio dell’economia finanziaria ci ha portati alla crisi. "Potremo superare la crisi attuale se, accanto all’impegno di difesa dei nostri interessi internazionali, sapremo mettere in campo la nostra vitalità, rispettarne e valorizzarne le radici, capirne le ulteriori direzioni di marcia".
La nostra reputazione è migliore di quello che pensiamo. Per ripartire però bisogna anche liberarsi da quell’eccesso di "declinismo" che si è ormai abbattuto sugli italiani. All’estero non ci vedono poi così male: in una recente classifica internazionale risultiamo al quattordicesimo posto, due posizioni più in basso rispetto al 2009 (ma Spagna, Irlanda e Grecia hanno perso molto più terreno). Dell’Italia gli stranieri apprezzano lo stile di vita, l’ambiente, la capacità di intessere relazioni, il cibo. Caratteristiche che hanno anche una solida base economica: l’Italia è l’ottavo Paese esportatore del mondo, con circa il 3% dell’export mondiale e una crescita del 10,1% tra il 2009 e il 2010. Vanta un primato sui prodotti Dop e Igp, che hanno tenuto a livello di fatturato anche tra il 2008 e il 2009, quanto tutto arretrava. E del resto l’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari di qualità in Europa: ne abbiamo 219, il 22,1% di tutti quelli riconosciuti in ambito comunitario. Ma gli italiani non riescono più a vedersi obiettivamente, si giudicano male, decisamente molto peggio di quanto li giudichino gli stranieri: una classifica analoga, nella quale si chiede invece agli italiani quello che pensano dei vari Paesi, ci vede invece al 34esimo posto su 37 Paesi.
L’identità perduta. Gli italiani fanno persino fatica a sentirsi tali. Solo il 46% dei cittadini si dichiara "italiano" (con differenze territoriali: il 44,7% al Nord-Ovest, il 37,9% al Nord-Est, il 54,4% al Centro, il 46,8% al Sud e nelle Isole), mentre il 31,3% si riconosce piuttosto cittadino del proprio Comune, o della propria Regione; il 15,4% si sente "cittadino del mondo", il 7,3% si riconosce solo in se stesso. Anche se prevalgono ormai modelli familiari molto diversi da quello tradizionale, il senso della famiglia rimane il valore aggregante per il 65,4% degli italiani (con un picco del 75,2% al Sud e nelle isole), seguito a molta distanza dal gusto per la qualità della vita (25%) e dalla tradizione religiosa (21,5%).
Valorizzare i punti di forza. L’Italia ha ancora dei notevoli punti di forza. Le esportazioni, innanzitutto, che il Censis indica come possibile volano di crescita, soprattutto se le imprese italiane continuano con determinazione a raggiungere nuovi mercati, cogliendo le nuove opportunità offerte da Paesi come il Messico, il Perù, la Corea del Sud e la Malesia. Ma può giocare un ruolo importante per la ripresa anche la valorizzazione della ricchezza delle famiglie, che è ancora cospicua nonostante l’erosione dovuta alla crisi: è cresciuta del 22% infatti in termini reali nel decennio 1999-2009, raggiungendo il picco nel 2007. E’ cresciuta molto più del reddito: il rapporto tra la ricchezza netta delle famiglie e il reddito disponibile era pari a 7,4 volte nel 1999 ed è salito a 8,8 volte dieci anni dopo. Da valorizzare, ancora, le nostre eccellenze nell’industria manifatturiera e agroalimentare, e l’apporto sempre più indispensabile degli immigrati.
Rilanciare la produttività. Il punto debole del nostro sistema al momento è soprattutto la produttività bassa. Il Pil non cresce anche perché la produttività non cresce. E infatti mentre nell’ultimo decennio gli occupati sono aumentati del 7,5%, il Pil italiano è cresciuto solo del 4%, contro il 9,7% della Germania e l’11,9% della Francia, che hanno registrato incrementi occupazionali rispettivamente del 3% e del 5,1%. La produttività oraria ha avuto un vero e proprio crollo in Italia dal 2000 a oggi: siamo partiti in fatti da un valore pari a 117 (fatto 100 il valore medio europeo), arrivando nel 2010 ad appena 101, contro 133 della Francia, 124 della Germania, 108 della Spagna e 107 del Regno Unito. Inoltre il mercato non assorbe praticamente più lavoratori qualificati: gli imprenditori e i dirigenti sono diminuiti dell’11,5%, dei 309.000 nuovi posti dell’ultimo quinquennio 297.000 erano per addetti alla vendita. Non solo è calata la produzione industriale, ma anche il valore aggiunto dei servizi è cresciuto pochissimo (+1,3%), che sono invece cresciuti ovunque in Europa.
Promuovere la formazione. Alle carenze del nostro sistema produttivo corrispondono carenze forse anche più gravi di quello scolastico-formativo. Moltissimi si iscrivono alla scuola superiore, ma si diploma solo il 75% dei diciannovenni. Il 65% dei diplomati tenta la carriera universitaria, ma poi il 20% abbandona. E del resto il tasso di occupazione dei laureati è fermo al 76,6%, all’ultimo posto tra i Paesi europei e ben al di sotto della media (82,3%). I laureati che lavorano sono per metà sottoinquadrati al primo impiego (49,2%), ma lo sono anche il 46,5% dei diplomati.
Basta con i tagli lineari. Il fatto è che la scuola e l’università, come il welfare, come i trasporti, sono stremati da tre anni di "tagli lineari", che hanno prodotto gravi segnali di deterioramento dei servizi. Nel triennio 2008-2011 l’organico scolastico è diminuito di 57.000 posti, a fronte di un incremento di 76.000 unità degli alunni. Il comparto sicurezza ha subito tagli per 1,65 miliardi di euro. I trasporti locali sono al collasso, e ancor più lo sono le politiche sociali: il relativo Fondo Nazionale tra il 2009 e il 2011 è stato ridotto del 65,6%, mentre il Fondo nazionale per le non autosufficienze è stato azzerato.
Bisogno di piazza. Ma non basta riavviare l’economia, e neanche credere nuovamente in noi, e in valori come l’onestà e la correttezza. Bisogna potenziare le relazioni sociali, delle quali gli italiani sentono forte bisogno. E infatti hanno riscoperto le reti di prossimità, quello che una volta banalmente si definiva il vicinato, le attività di volontariato (svolte dal 26% della popolazione), gli incontri conviviali, dalle sagre alle feste (se ne tengono 11.700 ogni anno in Italia), i social network (che coinvolgono il 31% degli italiani). Il "bisogno di piazza" si esprime in termini molto più semplici: è proprio la piazza il luogo dove ancora oggi si incontra il 27,5% degli anziani, seguito dal bar (27,1%).
* la Repubblica, 02 dicembre 2011
Il sole nero della malinconia
di Ida Dominijanni (Il manifesto, 8 dicembre 2007)
Poltiglia di massa, indifferente al futuro e ripiegata su se stessa. Mucillagine inerte e inconcludente. Coriandoli individualisti che galleggiano solo per appagato imborghesimento. Aspirazioni senza scopo e senza mordente che separano e non uniscono. E su tutto, istituzioni incapaci di riattivare processi di coesione sociale. Sono citazioni testuali dal Rapporto Censis 2007, che stavolta non risparmia né i sostantivi né gli aggettivi per descrivere lo stato di vulneralbilità della società italiana. E non risparmia neppure l’autocritica. De Rita ci aveva provato, negli anni passati, a battere sul tasto dell’ottimismo: mentre altri piangevano sul declino, lui puntava sul «silenzioso boom». Che c’è stato e continua, grazie anche alle astute strategie di consumo post-Euro degli italiani e malgrado sia sabotato dai salari scandalosamente bassi e dal debito pubblico. Però, e questo è il punto, il silenzioso boom non fa sviluppo, non fa legame, non fa progetto, non fa speranza. A differenza che sotto il boom fragoroso degli anni Cinquanta, la società italiana non vola e non decolla: «antropologia senza storia», è intrappolata nell’inerzia di un presente depresso e senza futuro che progressivamente uccide la sua - per il Censis proverbiale - vitalità.
L’economia non è tutto, e questo ogni buon sociologo lo sa. Ma stavolta anche il sociologo vacilla: «Il benessere piccoloborghese degli ultimi decenni ha creato un monstrum alchemicum che ci rende impotenti, come di fronte a una generale entropia». La sensazione diffusa di una deriva verso il peggio in tutti i campi della vita individuale e collettiva, dalla politica allo smaltimento dei rifiuti, non si spiega solo con gli indicatori sociali. Il sociologo fa ricorso alla psicologia: le pulsioni frammentate che vincono sulle passioni unificanti, il «masochismo ansiogeno» che trapela dall’ansia di comparire in tv. Ma anche questo non spiega tutto. La crisi, De Rita deve dirlo a chiare lettere citando Melanie Klein, è di ordine simbolico: sta nella regressione individualistica di tutti i valori di riferimento - laici e religiosi, dalla libertà al lavoro all’etica pubblica - un tempo interpretati collettivamente. E si sa, citiamo invece Julia Kristeva, che quando crolla l’ordine simbolico sale il sole nero della malinconia.
Come sconfiggere questa malinconia? Non, dice il Censis, con i giudizi morali, o moralistici. Non con l’invocazione dell’uomo forte. Non con i riti fondamentalisti che resuscitano i simulacri di identità sepolte. Ma nemmeno resuscitando il simulacro di una politica sfinita. Qui il Rapporto si fa spietato: «l’offerta culturale e politica che oggi tiene banco è un’offerta taroccata dalla logica vuota degli schieramenti». Se c’è un antidoto alla malinconia, sta nelle «minoranze attive» che crescono, al riparo del sole nero, nel sottosuolo: lì c’è ancora vita e senso. Lì, può ancora esserci politica. Diventare minoranza, come diceva un filosofo, è l’unico progetto, se la maggioranza è diventata poltiglia.
E’ l’antipolitica che parla per bocca di un sociologo impolitico? O è solo uno sguardo non professionalmente politico che può cogliere come la politica professionale muore, e dove c’è ancora politica sorgiva? Stona, di fronte a una diagnosi tanto allarmante sullo spirito del tempo, il silenzio o la pochezza dei commenti dei politici deputati. Quelli che oggi si riuniscono alla Fiera di Roma, tentando di ridare senso alla parola «sinistra», speriamo meditino questa diagnosi. Qualcosa s’è rotto nel profondo della società italiana. L’entropia non domanda aggiunte ma tagli. Il sole dell’avvenire non basta a sconfiggere il sole nero. I simboli contrattati a tavolino non stuccano le crepe dell’ordine simbolico. Il passaggio è stretto, ma è solo nei passaggi stretti che qualcosa può venire al mondo.
Nel presentare il 41° Rapporto il presidente del Censis
denuncia "il processo di desublimazione" che sta disgregando l’Italia
De Rita: "Una società mucillagine
al posto dello sviluppo di popolo"
La speranza è che invece "le minoranze vitali" si allarghino e si moltiplichino
riportando il Paese alla coesione del boom economico degli anni ’50 o della lotta al terrorismo
di ROSARIA AMATO *
ROMA - Una "poltiglia", una "società mucillagine" composta da tanti coriandoli che stanno l’uno accanto all’altro, ma non stanno insieme. Sembra durissimo, accorato il giudizio che il presidente del Censis Giuseppe De Rita dà dell’Italia nel 41° Rapporto sulla situazione sociale del Paese. Eppure, la premessa è che "questo non è un Paese in declino". E infatti il problema non è il declino economico, scongiurato da tante minoranze operose e un discreto numero di big player che permettono all’Italia di non arretrare nelle retroguardie dei Paesi occidentali. E’ piuttosto che lo sviluppo promosso dalle minoranze attive "non riesce a percolare". "Non abbiamo più fiducia nello sviluppo di popolo - dice De Rita - che ha dato vita al boom economico degli anni ’50, all’industrializzazione di massa degli anni ’70, alla lotta al terrorismo".
Forse perché il popolo, così come la cultura, la scuola, le istituzioni, osserva il presidente del Censis, sono ormai parole svuotate, che non significano più nulla. E quindi anche i tentativi di "partiti del Popolo", come il Partito Democratico o quello proposto da Berlusconi sembrano proposte prive di senso, nel momento in cui nessuno crede più a "uno sviluppo collettivo in cui ci stiamo tutti". Anche perché il Pd "si raggrinza su se stesso" mentre "il Pdl è un’operazione di marketing".
"Abbiamo piuttosto il sistema assicurativo, bancario, industriale - spiega De Rita - ma è roba di Profumo o di Passera, non è una questione che riguarda la collettività. Minoranze vitali che non riescono a trainare una società che non funziona". E che ormai è pronta al peggio, denuncia De Rita: "Il vaffanculo scritto dappertutto, la violenza, la volgarità, lo sballo, questa dimensione sempre più disadorna della cultura collettiva, la scuola dileggiata dai ragazzi che filmano gli insegnanti con il cellulare o provocano incendi".
Una società che ha perso le passioni, e che ha solo impulsi: "Abbiamo solo gente che aspira alla presenza, al suo momento di piece, come l’impulso ad esistere fosse l’unico rimasto dentro di noi. Una società mucillagine dove tutte le componenti stanno insieme perché accostate, non perché siano integrate". De Rita parla di "processo di desublimazione": "La libertà diventa disponibilità di se stesso, l’etica un elenco di 128 indicatori, la scuola un parcheggio: stiamo subendo un processo di desublimazione, per cui noi al popolo, e allo sviluppo di popolo, non possiamo più credere".
Nessuno vuole più responsabilità: è da qui, per il Censis, che bisogna ripartire se si vuole invece ritornare allo sviluppo collettivo, allo sviluppo di popolo: "La prima speranza è che la minoranza vitale si allarghi. L’anno scorso, quando parlavamo di una minoranza silenziosa, non ce l’ha fatta. Ma dobbiamo invece sperare in un allargamento della base vitale del sistema. La seconda è la moltiplicazione delle minoranze".
Speranze accompagnate da quella del ritorno della "coscienza stretta": citando Leopardi, De Rita afferma che gli italiani hanno una "coscienza larga". E citando il presidente del Consiglio, ricorda: "Prodi una volta in un momento di rabbia ha detto che questa società non è meglio della politica". E allora deve migliorare la società, si deve tornare a una coscienza stretta: persino una minoranza faziosa, ma forte dei propri valori, afferma De Rita, è meglio della "mucillagine".
* la Repubblica, 7 dicembre 2007.