Governo battuto
Senato nega la fiducia
Dopo aver incassato ieri la fiducia della Camera, il presidente del Consiglio si è presentato anche al Senato.
Prima del dibattito, il premier ha avuto un nuovo colloquio col capo della Stato Napolitano. Rissa tra esponenti dell’Udeur. Cusumano dichiara il suo sì per Prodi e Barbato gli si scaglia contro
22:27 Prodi: "Sono sereno"
"Sono sereno". Questo il commento del presidente del Consiglio dimissionario Romano Prodi
22:26 Prodi domani all’inaugurazione dell’anno giudiziario
Confermata la presenza del presidente del Consiglio e ministro della Giustizia dimissionario Romano Prodi all’inaugurazione domani dell’anno giudiziario alla Corte di Cassazione
22:24 Fassino: "Voto a giugno"
"Vogliamo votare a giugno, così avremo la concreta possibilità di avere una legge elettorale che dia stabilità al prossimo Governo". Lo ha detto l’esponente del PD, Piero Fassino, ospite questa sera a ’Porta a Porta’
22:22 Domani Consiglio dei ministri
Si terrà regolarmente il Consiglio dei Ministri convocato per domani mattina alle 8.45. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha infatti invitato il Governo dimissionario al disbrigo degli affari correnti. Il Cdm di domani ha fra l’altro all’odg il decreto legge per il finanziamento delle missioni italiane all’estero
22:13 Berlusconi: "La Cdl non è più un ectoplasma"
Berlusconi: "La Cdl è sempre viva, non è più un ectoplasma"
22:10 Berlusconi: "Mastella può venire nella Cdl"
Berlusconi: "Mastella può venire nella Cdl"
22:09 Bertinotti e Marini domani da Napolitano
Le consultazioni del presidente della Repubblica avranno inizio domani pomeriggio con i presidenti di Camera e Senato
22:07 Domani le consultazioni
Domani inizieranno le consultazioni
22:03 Prodi si è dimesso
Il presidente del Consiglio Romano Prodi ha presentato le dimissioni al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che si è riservato di accettarle
21:59 Prodi lascia il Quirinale
Il presidente del Consiglio Romano Prodi ha lasciato il Quirinale
[...]
21:16 Prodi al Quirinale
Il presidente del Consiglio Romano Prodi è al Quirinale
[...]
20:49 Fini: "Grande gioia, ora subito elezioni" "Una grande gioia. Ora si va dritti a votare". Così Gianfranco Fini, che ha seguito il voto al Senato dal maxischermo montato da An a Largo Goldoni a Roma e, mentre volano coriandoli, sventolano le bandiere bianco-azzurre di An e si alzano cori, Fini osserva: "Ho sentito le dichiarazioni di voto di tutta la sinistra, e sparavano a zero soprattutto su Veltroni e sul Pd"
20:48 Governo battuto con 161 no e 151 sì Il Senato ha negato la fiducia al governo Prodi con 156 sì, 161 no e un astenuto. Tre senatori (Pallaro, Pininfarina e Andreotti) non hanno partecipato alla votazione.
L’ultimo discorso del primo ministro:
«il paese ha urgente bisogno di riforme»
Prodi sconfitto in Senato: cade il governo
Il premier al Quirinale per le dimissioni
Voto di fiducia: 161 i no 156 i sì. L’Udeur si spacca, -con Cusumano che vota sì: rissa, insulti e lui sviene *
ROMA - Non ce l’ha fatta. Il sogno di Romano Prodi si è infranto in Senato di fronte all’arida realtà dei numeri al termine di una lunga giornata cominciata con l’intervento del premier in Aula alle 15 e terminata con Prodi che alle 21 si è recato al Quirinale per rassegnare le dimissioni nelle mani del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano . Il presidente del Consiglio e il suo governo non hanno ottenuto infatti la fiducia richiesta. Hanno votato no in 161, mentre i sì sono stati 156. Un senatore (Scalera) si è astenuto, mentre tre erano gli assenti (Andreotti, Pallaro e Pininfarina). Il premier non è rimasto per ascoltare l’esito del voto, ma durante la votazione è immediatamente tornato a Palazzo Chigi. Il presidente del Consiglio è poi andato al Quirinale per rimettere il mandato nelle mani del capo dello Stato.
L’APERTURA DELLA CRISI - Lasciato il Quirinale Prodi dovrebbe recarsi a Montecitorio e a palazzo Madama per dare formale comunicazione delle dimissioni ai presidenti della Camera Fausto Bertinotti e del Senato Franco Marini. Da quel momento a parlare dovrà essere il Quirinale, a cui passa la gestione della crisi di governo.
LA GIORNATA - Il voto è arrivato al termine di una seduta ad alta tensione dove il premier aveva chiesto un voto di fiducia proprio per verificare l’esistenza di una maggioranza a sostegno del governo dopo la decisione dell’Udeur di uscire dall’esecutivo. E proprio la decisione di un senatore dell’Udeur, Nuccio Cusumano, di dare il proprio consenso al governo nonostante la posizione ufficiale del partito, schierato per il no, aveva causato un battibecco con scambio di violente accuse che si era concluso con un malore dello stesso Cusumano e con una sospensione della seduta per una decina di minuti.
L’INTERVENTO DI PRODI - Nell’intervento con cui aveva aperto la seduta, Romano Prodi aveva chiesto ai senatori un voto «motivato», promesso riforme istituzionali e un ritocco della squadra di governo. Il premier aveva poi ribadito di voler «il voto esplicito» di ciascun parlamentare nel rispetto della Costituzione spiegando che l’Italia «non si può permettere il lusso» di un vuoto di potere per far fronte all’emergenza economica e all’urgente bisogno di riforme istituzionali. Il premier aveva aggiunto poi di essere «ben consapevole» del fatto che il governo aveva bisogno di una ridefinizione per «rafforzare le sue capacità decisionali, snellire le sue procedure, migliorare la sua resa, forse ridefinire le sue strutture e la sua composizione».
L’ITALIA E LE RIFORME - Prodi aveva esordito parlando di «crisi politica ed esprimendo solidarietà a Clemente Mastella, «contro le strumentalizzazioni e gli opportunismi che si sono prodotti nei suoi confronti». «Sono qui al Senato per rispettare e applicare la Costituzione con lo spirito dei padri costituenti. La Carta non prevede infatti la prassi delle crisi extraparlamentari, e neanche quella delle mozioni di sfiducia individuali a un ministro. Vi chiedo di giudicare il lavoro dell’esecutivo con senso di responsabilità - ha detto Prodi -. Il Paese ha urgente bisogno di riforme, corre dei rischi per il grave ritardo in cui si trova. Ribadisco il mio impegno affinché non si vada a un voto che condanna il Paese all’ingovernabilità. Chiedo un voto motivato, nessuno può sottrarsi nel dovere di dire quale altra maggioranza chiede al posto di quella attuale». Successivamente nelle repliche agli interventi, prima delle dichiarazioni di voto, il premier si era poi definito «coerente e non testardo» per la scelta di essere in aula a confrontarsi con i senatori. E aveva poi definito «fango sulla democrazia» tutte le ricostruzioni che parlavano di compravendite di voti e ricatti per cercare di ottenere una nuova maggioranza.
UDEUR SPACCATA - Ma è stato l’Udeur il protagonista della giornata. Fuori e dentro l’Aula si è consumata la spaccatura del partito, anche se il suo leader Mastella fino all’ultimo ha cercato di non ammetterla: «Non c’è nessuna spaccatura nel mio partito. Come vedete siamo tutti qui tranne uno» (ma i senatori dell’Udeur sono in tutto tre, ndr) aveva detto Clemente Mastella dopo una riunione con i suoi in un ristorante vicino a Palazzo Madama, spiegando che chi non avrebbe votato contro Prodi sarebbe stato espulso. Pochi minuti dopo, però, il senatore Nuccio Cusumano aveva annunciato il suo voto a favore di Prodi e tra i banchi era scoppiato il finimondo. Al grido di «pezzo di merda, pagliaccio, venduto» il capogruppo Tommaso Barbato era corso in aula mentre dal video stava ascoltando la dichiarazione di voto del collega di partito e con le mani aveva mimato una pistola. Al termine del suo discorso e dopo l’attacco di Barbato, Cusumano si era sentito male ed era stato portato via in barella. Al suo indirizzo dai banchi dell’opposizione erano arrivati anche altri pesanti insulti. I commessi erano poi intervenuti per allontanare Barbato dall’Aula e la seduta era stata sospesa.. In mattinata anche Mastella aveva avuto un malore e per questo era stato accompagnato a Roma da un medico.
LE POSIZIONI - Fin dalle dichiarazioni di voto si era comunque capito che Prodi non ce l’avrebbe fatta. Come da previsione, i senatori del centrodestra avevano annunciato i loro voti contrari. Domenico Fisichella, ex An eletto nelle fila della Margherita, aveva invece annunciato che probabilmente non avrebbe partecipato al voto, cosa che poi non è avvenuta, dato che alla fine ha votato no.
E anche due (ora ex) alleati del governo, il leader dei liberaldemocratici Lamberto Dini (che ha votato no) e il suo compagno di partito Giuseppe Scalera (che si è astenuto, cosa che è equiparata al voto negativo in Senato) avevano annunciato il loro voto contrario.
MASTELLA - Grande attenzione per la dichiarazione di voto di Mastella che aveva esordito con una poesia di Pablo Neruda «Lentamente muore...» per poi chiarire che per lui la maggioranza non c’era più. «Dico no con molta fermezza alla fiducia» aveva spiegato Mastella che poi rivolgendosi a Prodi aveva aggiunto «Lei non può far finta che non sia successo nulla. Bisogna esigere rispetto dalla magistratura».
Le parole di Mastella erano profetiche. Poco dopo il no del Senato sanciva la fine del secondo governo Prodi.
* Corriere della Sera, 24 gennaio 2008
Governo Prodi battuto al Senato 161 no contro 156 favorevoli
Tre gli assenti e un astenuto *
Sulla carta, il no sembra già scritto. Ma sono troppe ancora le incognite per dare tutto per scontato. Romano Prodi lo sa, ma ha deciso comunque di andare fino in fondo: «Chiedo la fiducia - ha detto nella sua replica alle dichiarazioni di voto a Palazzo Madama - non si fugge dal giudizio del popolo». La conta che impazza a poche ore dal voto del Senato - inizierà attorno alle 20, ma l’esito di conoscerà verso le 21.30 - vede 158 favorevoli (151 dell’Unione, compresi Nuccio Cusumano , Natale D’Amico più sei dei senatori a vita) e 160 contrari (156 del centrodestra più i no annunciati di Franco Turigliatto, Dini, Mastella e Barbato). Si asterrà il liberal democratico Scalera (ma è come se votasse contro), mentre Domenico Fisichella non ha ancora definitivamente sciolto la sua riserva. Quasi sicuramente assenti in Aula, Luigi Pallaro e il senatore a vita Sergio Pininfarina.
Ma al di là delle sorti del governo, giovedì è stata la giornata della tragedia greca dell’Udeur: prima gli insulti e poi l’aggressione, con tanto di sputi e pugni, da parte del capogruppo dell’Udeur Barbato che gli grida «pezzo di merda». La “vittima” è il senatore Udeur Nuccio Cusumano che ha osato dichiarare il suo sì al voto di fiducia al Governo. Dopo l’assalto dei suoi compagni di partito Cusumano ha un malore e viene portato fuori dall’Aula. Resta da capire se riuscirà a partecipare al voto.
Per Mastella «è stato un tradimento atroce della persona in termini umani». Gli risponde a tono il ministro Di Pietro: «Invece di giustificare il suo tradimento del patto con gli elettori che lo hanno votato, Mastella cerca di buttare fango sugli altri». L’intervento dell’ex Guardasigilli a Palazzo Madama è tutto un crescendo di pathos: recita una poesia di Neruda, tutto per dire, alla fine che voterà no alla fiducia a Prodi. Ribadiscono la loro contrarietà al governo anche i diniani. Non cambia idea nemmeno Franco Turigliatto , il senatore ex-Prc passato a Sinistra Critica.
Il premier intanto invoca senso responsabilità: «L’Italia ci guarda, anche per questo bisogna essere all’altezza». «Abbiamo un urgente bisogno di riforme - aggiunge - Ho accolto e condiviso la sollecitazione del presidente della Repubblica affinché non si vada al voto con la legge elettorale attuale».
Nella giornata piena di imprevisti, rimbomba il silenzio di Walter Veltroni: doveva essere a Ravenna ai funerali del partigiano Boldrini, ma ha scelto di partecipare al Consiglio comunale a Roma., dove si discuteva della riqualificazione dello stadio Flaminio. Ora segue il dibattito, seduto nel loft.
* l’Unita, Pubblicato il: 23.01.08, Modificato il: 24.01.08 alle ore 20.50
Governo, via alle consultazioni
Prodi: "No al voto con questa legge"
Pd-Forza Italia, a Segrate la coalizione c’è già
di Alessandro Braga (il manifesto, 24 gennaio 2008)
Milano Se il dialogo sulla legge elettorale tra Walter Veltroni e Silvio Berlusconi ha frenato di fronte alla seconda bozza Bianco e poi si è fermato al precipitare della crisi di governo che pure ha provocato, in quel di Segrate il Partito democratico e Forza Italia vanno a braccetto da un bel po’. Anzi adesso addirittura si tengono per mano.
Arrivare al grande idillio è stato semplice: da un lato il sindaco forzista Adriano Alessandrini aveva da tempo intenzione di smarcarsi dai riottosi alleati, in particolare la Lega nord, che aveva mal digerito l’approvazione da parte della giunta dell’edificazione di un nuovo centro commerciale; dall’altro il neopartito veltroniano non ha mai nascosto il fastidio di un’alleanza con i partiti della sinistra alternativa, tanto che a fine novembre sul blog del Partito democratico segratese è uscito un intervento del coordinatore del Pd per l’area Milano sud Augusto Schieppati dal più che mai esplicito titolo «Sinistra radicale nun te reggae più».
E allora pochi giorni fa, il 16 gennaio, i gruppi consiliari di Forza Italia, Alleanza nazionale e Partito democratico hanno sottoscritto un documento, un accordo di legislatura, in base al quale le tre forze politiche si impegnano a lavorare insieme. Dando totale fiducia al sindaco forzista, visto che nel preambolo si legge che le forze politiche sottoscrittrici «constatano che non esistono rilevanti differenze per quanto riguarda le impostazioni programmatiche relative alle grandi tematiche che riguardano la città», «rilevano che occorre il formarsi di una collaborazione pragmatica e non ideologica tra le forze politiche responsabili presenti in consiglio comunale» e, dulcis in fundo, «concordano nel superare le logiche di schieramento e di condividere il programma del sindaco, opportunamente aggiornato e arricchito con alcune istanze e priorità portate avanti dai sottoscrittori e in particolare dal Partito democratico». Et voilà, l’inciucio è servito. Certo, in cambio di questa sua «genuflessione» al sindaco, il Partito democratico ottiene la possibilità, insieme a Forza Italia e An, di «concordare la definizione di una nuova compagine di giunta, al fine di attuare le indicazioni programmatiche sopra indicate». Che, tradotto dal politichese, vuol dire che il Pd avrà un assessore, e i bene informati dicono sia proprio quello Schieppati che già da tempo «nun reggae più» la sinistra alternativa.
La «grosse coalition» in salsa lombarda lascia tuttavia strascichi e malumori sia a destra che a sinistra. La Lega ha già fatto sapere che se la firma del protocollo sarà il primo passo per far fuori i lumbard dalla giunta, allora il Carroccio metterà in discussione tutte le realtà della provincia milanese dove il centrodestra governa con l’aiuto della lega. E da sinistra arrivano strali contro «l’inaccettabile inciucio» dalla coordinatrice provinciale milanese di Sinistra democratica Chiara Cremonesi, che accusa il Pd di «aver tradito il patto con gli elettori del centrosinistra», e dai Verdi regionali, che parlano di «sciagurato accordo per la condivisione e la spartizione del potere e della speculazione edilizia per cementificare la cittadina».
Se si pensa che la Lombardia è stata in tempi passati anticipatrice di quanto sarebbe accaduto poi a livello nazionale (senza andare a Depretis e al trasformismo basta pensare al craxismo degli anni Ottanta e all’accordo forzista con la Lega nel decennio successivo), è facile immaginare cosa potrebbe accadere da qui a poco in Italia. Del resto, il luogo è anche altamente simbolico: Segrate, cittadina di oltre 30mila abitanti nell’hinterland milanese, ha visto nascere Canale 5, Publitalia e l’impero mediatico del Cavaliere. E, sulla strada Rivoltana che tange la cittadina, giusto lo scorso anno è stata rimessa a nuovo la sede storica della Mondadori, che Berlusconi si è conquistato al termine di una lunga battaglia legale nota alle cronache più giudiziarie che culturali come la guerra di Segrate. In più, in un paesino vicino, c’è un parco giochi chiamato «Minitalia»: i bambini possono vedere tutte le bellezze del nostro paese in miniatura. E i loro genitori possono ammirare in consiglio comunale il «piccolo inciucio», in attesa che prenda forma quello grande, a Roma.
E ora il Pd vuole il governo per le riforme. Con Berlusconi *
Al Senato si stanno ancora contando i voti che già si pensa alla successione di Romano Prodi. Il segretario del Pd, Walter Veltroni, dice «no a elezioni, ora è il tempo della responsabilità». E Goffredo Bettini, braccio destro di Veltroni nel Pd, si sbilancia con una proposta diretta a Silvio Berlusconi e ai suoi alleati: facciamo un governo per le riforme.
Secondo l’esponente Pd lo scenario del dopo-crisi di governo può passare per un esecutivo a tempo, che si concentri sulle riforme: «Un esecutivo che stia in carica per il tempo necessario a portare avanti il filo del dialogo che si è intessuto finora», dice lasciando palazzo Madama dove ha assistito al dibattito e al voto sulla fiducia a Romano Prodi. L’attenzione, spiega, «è rivolta a diverse forze, penso a Udc ma anche a Forza Italia. Credo che per Berlusconi sia l’occasione per verificare se ha la spinta e la forza per passare dalla cronaca alla storia, verso un sistema bipolare maturo» conclude Bettini.
«Ora governo per le riforme», affermano "i diniani". Ma la destra non sembra d’accordo. La voglia di rivincita passa sopra gli interessi del Paese e così Gianfranco Fini, An («Ora subito le elezioni»), Silvio Berlusconi («Risultato atteso dalla maggioranza degli italiani. Ora bisogna andare al voto») e Roberto Castelli (Lega Nord), «Ora la parola torni al popolo»: chiedono subito il voto.
Governo di larghe intese? No, grazie. Dice invece la sinistra, che accusa Veltroni: «È il responsabile della crisi, ora alle urne», afferma il capogruppo del Pdci alla Camera, Pino Sgobio. E Manuela Palermi rincara la dose: «Questo è il capolavoro politico di Walter Veltroni», che nella ipotesi di elezioni a primavera, la Palermi si augura«una sinistra unita». Solo il senatore Armando Cossutta si smarca dalla sinistra e chiede un «esecutivo di transizione». Sottolinea Cossutta: «Andare al voto con la legge vigente sarebbe un disastro». E Epifani conclude: «È una crisi incomprensibile - dice il segretario della Cgil - epilogo con preoccupazioni».
* l’Unità, Pubblicato il: 24.01.08, Modificato il: 24.01.08 alle ore 21.55