Ansa» 2008-01-27 09:16
Card. Bertone: accordo per bene comune
ROMA - Il segretario di Stato Vaticano, card. Tarcisio Bertone, ha espresso stasera la speranza che le forze politiche italiane "si mettano d’accordo per il bene comune".
ll porporato è stato avvicinato dai giornalisti, all termine di una messa da lui celebrata in una chiesa del quartiere Trionfale, a Roma. Agli inizi, Bertone è apparso restio a fare qualsiasi dichiarazione sulla crisi del governo Prodi. "Non parlo, non parlo", ha detto ai cronisti che lo assediavano in sagrestia. Ma come cittadino, gli è stato chiesto, non ha alcun auspicio per l’Italia? "Beh, un auspicio di speranza", ha risposto Bertone. Che tipo di speranza? "La speranza che si mettano d’accordo per il bene comune", è stata la replica.
E sul Pdl: «Si va avanti, nulla è cambiato.
Un riferimento nel logo di FOrza Italia»
«Si voti o a milioni in marcia su Roma»
Berlusconi: alle urne senza indugi.
«Nella Cdl chi condivide il programma, porta aperta
alla sinistra responsabile» *
RIVA DEL GARDA (Trento) - «Se all’interno di questa sinistra c’è qualcuno che vuole dividere con noi certe responsabilità, non saremo certo noi a dire di no». Silvio Berlusconi non ha cambiato idea sulla strategia da adottare dopo la caduta del governo Prodi e incentrata sul desiderio di un ritorno immediato alle urne. Ma non chiude la porta al confronto con una parte della coalizione avversaria qualora, dopo il voto, si presentasse la necessità di affrontare i grandi temi istituzionali.
VOTO SUBITO - Il leader di Forza Italia è intervenuto in collegamento telefonico con la platea di Rete Italia (il movimento di «amici» che sostiene l’azione politica di Roberto Formigoni), riunita a Riva del Garda ribadendo che la via maestra da perseguire è quella del voto subito, anche perché se non fossero convocate in tempi stretti nuove elezioni «milioni di italiani si riverserebbero a Roma per chiederle». Il Cavaliere è convinto della necessità di tornare alle urne e, a differenza del leader di An Gianfranco Fini, non pone limiti ad un allargamento delal coalizione: «Se ci sono persone che hanno la volontà di condividere il nostro programma - ha detto - ben vengano».
«PARTITINI? NESSUN PROBLEMA» - Rispondendo a una domanda dello stesso Roberto Formigoni sul ruolo dei partitini all’interno delle coalizioni («che prima ti strappano i parlamentari e poi ti fanno soffrire»), Silvio Berlusconi, ha spiegato: «noi abbiamo subito nel 2001 e abbiamo fatto sufficiente esperienza per guardarci da questi rischi». «Noi daremo supporto e sostegno ai nostri alleati - ha aggiunto -, daremo loro visibilità, ma poi con i loro voti dovranno eleggere i loro rappresentanti. Il confronto lo faremo al nostro interno in ambito nazionale perchè la legge elettorale non può essere cambiata».
«IL PDL VA AVANTI» - Forza Italia, ha annunciato il leader del centrodestra, si presenterà con il suo nome e il suo simbolo, anche se verrà inserito nel logo «un richiamo al Pdl». Il progetto del nuovo soggetto politico non si ferma, ha poi precisato, «si va assolutamente avanti, non è cambiato nulla», anche se le operazioni per il varo di un nuovo partito sono complesse e «in questo momento credo interferiscano con le elezioni che riteniamo urgenti».
*Corriere della sera, 27 gennaio 2008
Sul tema, nel sito, si cfr.:
ILSOLE24ORE 26 GENNAIO 2008
Audio intervista / Borrelli: il clima del 1992 non è mai passato Audio intervista di Raffaella Calandra
"Il clima del ’92 non è mai passato. Anzi, ora verso la magistratura c’è una reattività ancora maggiore di allora". Paragona la situazione attuale agli anni di Tangentopoli, l’ex procuratore di Milano, Francesco Saverio Borrelli, il procuratore del triplice "resistere" che oggi - dice - "andrebbe ripetuto". "La classe politica vuole addebitare alla magistratura colpe che non ha, la cuda del governo non è dipesa dall’inchiesta di Santa Maria Capua Vetere. Mastella ha solo colto quest’occasione". Ospite della cerimonia dell’inaugurazione dell’anno giudiziario a Milano, Borrelli - intervistato da Radio24- definisce la classe politica "refrattaria ai controlli di legalità": "l’attività di Mani Pulite non è servita, il costume nazionale è quello che è". Per questo, invoca un "rinnovamento etico e culturale". In quest’intervista, parla anche delle intercettazioni e dei giudici in tv e ai suoi colleghi dice: "abbassiamo la cresta, il nostro è un ruolo di servizio".
L’intervista a Francesco Saverio Borrelli è di Raffaella Calandra
Il vecchio che avanza
di Barbara Spinelli (La Stampa, 27 gennaio 2008)
Basterebbe fare una semplice operazione aritmetica - due più due uguale quattro, ad esempio - per fugare parecchi equivoci sulla caduta di Prodi e vedere l’Italia così come s’accampa davanti a chi sa vedere: nello stesso momento in cui il governo di centro sinistra è sfiduciato in una delle due Camere, l’opposizione che si prepara a tornare al potere fa quadrato attorno a personaggi del ceto politico o dell’amministrazione condannati dalla giustizia: attorno al governatore della Sicilia Cuffaro, condannato a 5 anni per favoreggiamento a mafiosi e interdetto in perpetuo dai pubblici uffici; attorno a Contrada, condannato definitivamente a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa; attorno a chiunque chieda che il politico o l’alto funzionario dello Stato non sia, come ogni cittadino, imputabile quando infrange la legge. Cuffaro ieri si è dimesso ma Casini insiste ad accusare gli «sciacalli» che avrebbero screditato un’onesta persona.
Questa è l’evidenza matematica che abbiamo di fronte: nell’Italia che sta richiamando Berlusconi ai comandi non ci si fida di Prodi ma ci si fida di Cuffaro, di Contrada, di Dell’Utri, condannato in primo grado a 9 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa e in secondo grado per estorsione aggravata. Non ci si fida di Prodi, ma si fa capire a Mastella che la magistratura, caso mai dovesse giungere a un giudizio negativo sul suo operato in Campania, non avrà l’autonomia per farlo. Quando si parla di tramonto del prodismo e di una scommessa invecchiata e morta conviene tenere a mente questa realtà, limpida e ben visibile. Quel che viene offerto oggi agli italiani non è un nuovo che caccerà il vecchio, non è la fine dello spadroneggiare dei partiti sulla cosa pubblica, come chiesto da tanti cittadini. I partiti tornano a essere decisivi, e sono loro a far quadrato attorno alla presunzione d’impunità che sostituendo la presunzione d’innocenza diverrà il marchio del rinnovamento promesso. Di questa restaurazione Berlusconi è principe, e tutto quel che ha detto nell’ultimo decennio sul teatrino della politica si copre di polvere e frana. Il teatrino è imperante, e quel che vediamo non è quel che appare. Prodi non è riuscito a imporre il nuovo, ma nuovo resta pur sempre quel che ha proposto e tentato. L’aura di novità abbandona Berlusconi e quel che propone è in realtà il vecchio.
Anzi è vecchissimo. Poco prima del voto al Senato, il capo dell’opposizione fece capire che se Prodi avesse ottenuto la fiducia in ambedue le Camere, lui si sarebbe appellato alle Piazze. Bossi ha rincarato la dose assicurando che quelle piazze avrebbero «trovato facilmente le armi», per una rivoluzione. Hanno detto queste cose nell’indifferenza generale: della destra, dei leader di sinistra, di stampa e televisione, delle Istituzioni della Repubblica. Anche questo non è davvero nuovo. Nella storia recente d’Europa c’è memoria viva di tempi simili, quando si pensava che le parole non pesassero e invece pesarono: la Repubblica di Weimar aveva queste caratteristiche, questa violenza linguistica, questi demagoghi. Due più due non ha fatto cinque nella storia passata e non farà cinque neppure in quella che si sta tessendo, opaca ma consequenziale, sotto il nostro sguardo.
La storia presente non è tuttavia fatale, così come non lo è il futuro. A differenza del passato, il futuro che fabbrichiamo oggi è aperto a soluzioni molteplici, è libero. Ed essendo libero consente domande che sono decisive e che dunque vale la pena porsi: sono veramente nuove le politiche proposte da chi affossando Prodi assicura una sorta di palingenesi o comunque un’alternativa migliore? C’è una sinistra, c’è una destra che hanno fatto i conti con l’esperienza di centro sinistra e che avendo fatto tali conti sanno discernere una categoria politica dall’altra, e distinguere quindi tra il ritorno al potere cui anelano e il piano di governo su cui pervicacemente tacciono?
Dicono che il nuovo consiste in modifiche profonde della Costituzione, che diano più poteri all’esecutivo e diminuiscano quello dei partiti. Dicono non senza ragione che il Presidente del consiglio è fallito perché i particolarismi potenti nella maggioranza hanno corroso la sua autorevolezza, il suo governare, il suo desiderio di risanare non solo l’economia ma l’etica pubblica. Ma le forze vincenti sono ben più vecchie dei vecchi impedimenti che hanno reso così difficile il compito di Prodi e che ce l’hanno mostrato negli ultimi venti mesi così solo, come Franca Rame ha scritto con cristallina sconsolatezza sulla Stampa del 25 gennaio: «Prodi, in quel suo governo, di fatto, si è trovato come un condannato agli arresti domiciliari con manco un cane che gli portasse le arance... non l’avete mai considerato? Andavano da lui solo a imporgli, a chiedere e a ricattare. Bella gente!». Questa bella gente gli ha impedito di fare quel che si era ripromesso: una legge sul conflitto d’interessi, una legge che sottraesse le televisioni al dominio dei politici. Questa bella gente ha chiuso e chiude gli occhi davanti alla triplice violazione della Costituzione di cui Berlusconi si è reso colpevole: delegittimazione non solo dell’iniziale voto alle legislative ma anche del voto delle Camere (il ricorso alle piazze in caso di fiducia del Senato vuol dire questo); controllo dei mezzi televisivi da parte di un candidato alla guida del Paese; corruzione dei senatori come appare dalle intercettazioni dei colloqui tra Berlusconi e Saccà, manager della Rai.
I partiti che hanno partecipato all’esperienza Prodi escono particolarmente malconci, perché più d’ogni altro si prestano all’equivoco, scambiando il vecchio per il nuovo. Cosa resta infatti del centro sinistra? Resta lui, Prodi, che si è battuto usando la forza durissima della sua testa («Sembra un ferro da stiro o il muso di un’escavatrice», scrisse Eugenio Scalfari) e che contro praticamente tutti ha deciso di contare i fedeli in Parlamento e dunque di far politica pubblica in pubblico, non nelle segrete dei partiti. Resta un’estrema sinistra, che ha fatto il tentativo di governare contro se stessa, contro il proprio istinto, che ha ripetutamente teso la corda ma sarà influenzata da un esperimento di gestione responsabile che non è stata lei a rompere. Ma soprattutto resta il Partito democratico, che il nuovo pretende di costruirlo seppellendo l’Unione come fosse un logoro vestito di cui spogliarsi. Per la verità non si sa che partito sia, che programmi di governo abbia, che militanza vanti, che alleati cerchi. Anche in questo caso, è il potere ciò cui sembra aspirare e non il governare, e l’equivoco è esistito in fondo sin dalle primarie del 14 ottobre, che suscitarono l’adesione di più di tre milioni di cittadini ma a questi cittadini non chiarì, per l’occasione, né quale fosse il programma né quale fosse la politica di alleanze. Chiarì che Veltroni sarebbe stato il leader, creò innanzitutto una personalità, alla maniera berlusconiana. Il 19 gennaio, a Orvieto, Veltroni ha poi detto che il suo partito «correrà da solo alle prossime elezioni», e con questo ha di fatto screditato la scommessa di Prodi e dell’Ulivo (2 giorni prima dell’uscita di Mastella dalla maggioranza, 5 prima della caduta di Prodi). Per suggerire che cosa, anch’egli, che non sia il vecchio, e cioè un partito che si presenta alle urne e poi deciderà con chi e con quale programma governerà? In una lettera a Repubblica, il 2 settembre 2006, l’odierno segretario citò Tahar Ben Jelloun: «I nostri passi inventano il sentiero a mano a mano che si va avanti». Il libro da cui sono tratte queste parole è un romanzo, Creatura di sabbia. Ma la politica non è letteratura, e nel libro è scritto anche questo: «Nella vita bisognerebbe poter avere due facce... sarebbe bene averne almeno una di ricambio. Oppure, e questo sarebbe ancora meglio, non avere nessuna faccia, semplicemente... essere solo delle voci.. un po’ come i ciechi». Può darsi che Veltroni ce la faccia, ma grande è il rischio e strana la velleità di sconfitta che lo anima: lui avrà insegnato al partito democratico i vizi della prima repubblica, mentre Berlusconi continuerà a battersi con vaste alleanze tipiche del bipolarismo.
C’è un passaggio nel discorso di Prodi al Senato, che vale la pena rimeditare: «Sarebbe necessario innanzitutto rileggere la nostra Costituzione con lo spirito con cui i padri costituenti la scrissero. Non vi troveremmo, se la rileggessimo così, la debolezza dell’Esecutivo che paralizza chiunque sieda a Palazzo Chigi; non l’ammissibilità di voti di sfiducia individuali nei confronti di singoli ministri; né la prassi delle crisi extraparlamentari; né l’asservimento dell’informazione pubblica al potere politico». È un passaggio che nessuno a sinistra ha fatto proprio, e non stupisce oltre misura. I partiti riprendono il potere, e presentano tutto questo come Nuovo che avanza. Ma i partiti sono come gli Stati nazione: la loro forza sovrana è del tutto fittizia. Un partito che decide di correre da solo e poi di allearsi con chi vuole è un partito in costante metamorfosi coatta, non è sovrano, è più che mai prigioniero delle forze extraparlamentari (mezzi di comunicazione, istituti di sondaggio, potentati non eletti) che hanno voluto la fine di Prodi.
La parola «popolo delle primarie» non significa niente; se non significa nulla non ha poteri. È un’illusoria figura. Immagino che la stragrande maggioranza degli elettori di Veltroni lo sappia: la loro forza, i loro diritti-doveri, il loro peso, sono infinitamente più insignificanti del peso e dei diritti che nei vecchi tempi avevano gli iscritti, figura scomparsa nel vocabolario del Pd. Chi ha forza sono i poteri che perdurano nonostante il voto, sono le Piazze sempre di nuovo invocate, sono gli uomini con capacità di dominio sui telegiornali, e sono, non per ultimi, i politici decisi a riconquistare l’impunità che per un breve lasso di tempo hanno visto minacciata.