Giustizia

In Italia la difficoltà più grossa è quella di circoscrivere un problema e dare soluzioni. Si preferisce cavalcare ondate di giustizialismo o farsi cullare da bonacce di garantismo

Riproponiamo un’analisi di qualche anno fa. E’ ancora attuale?
sabato 1 maggio 2010.
 

Giustizia e garanzie non stanno in contraddizione, intendo dire non debbono essere considerate come concetti che si escludono a vicenda. Hanno invece l’una bisogno delle altre. Un sistema giudiziario che pretenda di rendere giustizia ricorrendo ad esempio alla tortura sarebbe un abuso di giustizia. Allo stesso tempo un sistema di garanzie piegato al garantismo (i cavillatori di cui parlava Giustiniano?) rischia di essere una negazione di giustizia. Essendo concetti che devono coesistere, sarebbe opportuno non farne dei cavalli di battaglia o delle bandiere.

Mi riferisco alle recenti posizioni del noto giornalista Marco Travaglio, in relazione a fatti commessi da uomini politici e relativi procedimenti penali.

Travaglio nella trasmissione “Anno zero” del 31 gennaio 2008 di Michele Santoro diceva che non trovava assolutamente strano l’arresto della moglie di Mastella perché “anche i comuni cittadini vengono arrestati così”. Questo ragionamento sembra porti con sé il vizio di un sofisma. Il fatto che i cittadini siano arrestati così non giustifica un abuso della magistratura (la quale, non si dimentichi, è sottoposta alla legge). Occorre chiedersi se l’arresto della moglie di Mastella sia o meno un abuso. Dunque se una persona viene arrestata pur non essendoci le condizioni previste dalla legge, ciò costituisce una violazione di legge, a certe condizioni un reato, vale a dire la lesione di quel bene giuridico che è la libertà personale. E nulla cambia che l’arrestato sia un politico o un semplice cittadino. E che l’arrestante sia un pubblico ministero o un fuorilegge.

Certo Travaglio potrebbe replicare che quando a subire l’abuso è un cittadino nessuno ne parla, mentre quando ci vanno di mezzo i politici la casta insorge. Ritengo che anche questo argomento sia debole. E come se un medico dicesse: siccome il cancro ha colpito il fegato, è bene che invada tutto il corpo. Un cancro per quanto possibile va rimosso e basta. Allo stesso modo un abuso va sanzionato e basta.

Altra posizione che non condivido è quella sulla violazione del segreto investigativo. Travaglio, a mio vedere, incorre in un sofisma analogo. Egli, nella Prefazione al libro di Bruno Tinti Toghe Rotte, scrive che i politici fanno litanie, quando si vedono pubblicate le intercettazioni che li riguardano, “come se il problema non fossero i fatti scoperti dalla Magistratura, ma la pubblicazione delle notizie sui giornali”. Insomma non avrebbero per lui ragione di lamentarsi perché ai cittadini interessano i fatti.

Perché un sofisma? Perché non c’è dubbio che i fatti scoperti dalla magistratura siano importanti. Sia sul piano giuridico in quanto su di essi i pubblici accusatori possono costruire un processo, e ancora più importanti sul piano politico in quanto i cittadini possono effettuare una valutazione politica. Eppure ciò non giustifica la violazione di un altro bene, peraltro di alto valore: la rivelazione di segreti inerenti un procedimento penale è un reato contro l’amministrazione della giustizia. E lo stesso discorso vale per la pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale. Non sono norme fatte per coprire questo o quel politico corrotto, ma per garantire tutti i cittadini e fare in modo che la giustizia sia amministrata correttamente ed efficacemente (che ne sarebbe se l’indagato sapesse di essere indagato quando non deve saperlo?). Questo Travaglio sembra non avere chiaro: tutti i reati, chi più chi meno, sono un problema. Prima della chiusura delle indagini, fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza, per il bene della giustizia, non vanno diffuse né pubblicate intercettazioni a prescindere da chi sia l’intercettato.

Una civiltà giuridica si misura in termini di buona resa di giustizia nel rispetto delle regole e dei diritti inviolabili della persona umana.

Sia chiaro che non sto facendo la difesa di nessuno. Il sistema politico italiano non mi piace: la sua partitocrazia è capace di produrre clientele, affarismi, ricatti e schiavitù. Credo però che la politica debba essere migliorata dalla politica stessa (partiti e cittadini). Se gli uomini politici commettono reati siano processati nel rispetto delle norme (anche quelle sugli arresti e sui segreti investigativi!). Se la magistratura abusa violando la legge sia anch’essa sanzionata (riproponiamo il tema della responsabilità dei magistrati). Se le indagini e i processi che riguardano uomini politici si svolgono nel rispetto delle regole, la casta non faccia ridicoli girotondi davanti ai tribunali, minando l’autonomia della magistratura. Se invece si svolgono al di fuori delle regole, la questione sia affrontata con i rimedi giuridici e non in sede politica, alimentando quello scontro tra poteri che non giova alla democrazia.

I cittadini hanno sì bisogno di sapere se un politico, un candidato, un uomo delle istituzioni abbia commesso reati, ma questo può saperlo con certezza (processuale) alla fine dell’ultimo grado di giudizio. Prima di questo momento l’indagato-imputato è innocente per Costituzione.

Travaglio dice (e siamo all’ultima posizione sulla quale esprimo solo dei dubbi) che il cittadino ha diritto di sapere dal procedimento penale i fatti politicamente o moralmente rilevanti, a prescindere dall’innocenza che lui stesso riconosce. D’accordo. Ma il processo e le indagini - mi chiedo - sono deputati a misurare la moralità o la qualità politica di una persona? Il processo non dovrebbe solo accertare reati e punire i colpevoli? È chiaro che se un politico ha commesso un reato, il cittadino ne trae un giudizio politico e morale - da utilizzare poi in sede elettorale - ed è giusto che sia così. Ma qual è la funzione della giustizia penale moderna? Quella di indagare sulle condotte di vita (politica e privata)? A meno che non si amino i roghi medievali circondati da folle assetate di moralismo e carne bruciata, fino a che punto al cittadino può interessare che un tal politico in una tal serata è andato a prostitute (il che non costituisce reato)? Potrebbe anche interessare, ma è corretto che lo venga a sapere dagli atti di un procedimento, se questo serve solo per accertare responsabilità penali? Se pensassimo che il procedimento penale debba fungere anche da termometro per misurare i gradi di immoralità, che ne sarebbe della laicità del diritto penale?

In Italia forse la difficoltà più grossa è quella di circoscrivere un problema e dare soluzioni. Si preferisce cavalcare ondate di giustizialismo o farsi cullare da bonacce di garantismo. E intanto ci si trova in alto mare ove la sfiducia è l’unica barca di cui si dispone.

Vincenzo Tiano

mercoledì 6 febbraio 2008


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