ANSA» 2008-02-20 13:47
’NDRANGHETA: FORGIONE, ALLARME ALTISSIMO, STATO INTERVENGA
ROMA - ’’Dopo la strage di Duisburg si erano accesi i fari sulla realtà, drammatica e in forte espansione, della penetrazione della ’ndrangheta in Italia e all’estero. Quei fari sono stati spenti poco dopo. Ora l’Antimafia con la relazione che consegna al parlamento, li riaccende e non si debbono più spegnere". E’ l’appello che il presidente della Commissione Antimafia Francesco Forgione ha lanciato alla politica e allo Stato presentando la relazione sulla ’ndrangheta.
’’Il primo scioglimento di un consiglio comunale in Calabria nella seconda metà dell’Ottocento. L’ultimo sempre in Calabria quindi c’é ben poco di emergenziale in quello che accade in un territorio che ha molte fette delle aree sociali e economiche sottratte alla legalità. Lo Stato non abbia alcuna logica emergenziale e non utilizzi strumenti di questo tipo perché oggi questa è la mafia più potente su scala internazionale la più ’credibile’ agli occhi degli altri cartelli criminali mondiali. Ha ben pochi pentiti, grazie alla sua struttura familiare di base, molti soldi per i traffici e per le attività lecite e entrate altissime, immense perché è il vero broker internazionale che gestisce tutte le porte di accesso per la cocaina in Europa".
’PARTITI SCELGANO OCULATAMENTE I CANDIDATI’
’’Il futuro della politica in Calabria si gioca su una oculata scelta dei prossimi candidati per le prossime elezioni politiche". Francesco Forgione sottolinea che questo è un impegno che riguarda tutti, forze di centrodestra e di centrosinistra. La politica non può sempre arrivare dopo la magistratura. I partiti dovranno fare delle scelte oculate su ogni singolo candidato oppure la Calabria non ce la farà.
FORGIONE,NESSUNA DENUNCIA DA INDUSTRIALI CALABRI
ROMA - ’’Dagli industriali calabresi non abbiamo raccolto alcuna denuncia. Vi sono solo 8 associazioni antiracket nella regione e la cosa grave è che nessuno invita a denunciare. Il vertice della Confindustria della regione è commissariato per altre ragioni e il vicepresidente ha patteggiato per concorso in associazione mafiosa". E’ questo il duro giudizio espresso dal presidente dell’Antimafia, Francesco Forgione, presentando la relazione dedicata alla presenza della ’ndrangheta in Italia e all’estero. "Siamo in Calabria ad una situazione ben diversa da quella della Confindustria siciliana. Per due volte abbiamo ascoltato Montezemolo che è loro intendimento espellere gli industriali che pagano il pizzo o si rendono contigui con la mafia però non abbiamo riscontri concreti e la situazione è quella che è".
CONFINDUSTRIA CALABRIA, FORGIONE NON DICE VERITA’
CATANZARO - "Quanto afferma il presidente Forgione a proposito della passività degli industriali calabresi contro la ’ndrangheta e’ smentito dai fatti". Lo ha detto il presidente di Confidustria Calabria, Umberto De Rose. "Confindustria Calabria, un mese fa - ha aggiunto De Rose - ha deliberato all’unanimità, primo caso in Italia, la costituzione di parte civile in tutti i processi di mafia, usura, corruzione, collusione e lesioni di tutti i ciritti delle libertà economiche delle imprese. Quanto deliberato, peraltro, troverà pratica applicazione già nell’immediato in un importante processo per usura che si svolgerà nei prossimi mesi a Palmi contro un isttituto di credito". "Non è vero neppure - ha aggiunto De Rose - che gli industriali calabresi non denunciano le estorsioni subite. Negli ultimi mesi gli esposti in merito alle estorsioni sui cantieri dell’A3 sono state più di una. In ogni caso la lotta alla ’ndrangheta passa anche attraverso un’azione di intelligence investigativa sul territorio che necessita anche di risorse che mia sembra che allo stato non ci siano, se è vero, come è vero, che le autorità di polizia e la magistratura nel Distretto calabrese operano in assoluta ristrettezza economica, addirittura in alcuni casi attraverso l’impiego di risorse personali. E’ evidente che non si può fare la lotta alla più ricca organizzazione criminale del mondo pensando di investire pochi spiccioli".
"Porto franco", viaggio nella ’ndrangheta
da criminalità contadina a impresa globale
Il libro di Francesco Forgione, ex presidente della Commissione antimafia, è un saggio-inchiesta che con ritmo da romanzo ricostruisce mezzo secolo di storia, gli intrecci con la politica, i servizi, il mondo degli affari. "Ma il cuore, l’intelligenza" dell’organizzazione "restano in Calabria ed è lì che bisogna intervenire, cambiando i calabresi"
di SILVANA MAZZOCCHI *
Raccontare la ’ndrangheta come una saga delle famiglie vincenti sopravvissute alle faide interne e alle inchieste giudiziarie più incisive; svelare i loro affari milionari e gli intrecci con la politica, ricostruire mezzo secolo di storia criminale dalla Calabria al nord Italia, descrivere la nuova realtà che promuove la ’ndrangheta da mafia locale a potenza globale. Una sfida riuscita per Francesco Forgione, 52 anni, calabrese, ex presidente della Commissione antimafia che, con Porto Franco, saggio-inchiesta scritto con il ritmo del romanzo, ricostruisce mezzo secolo di ’ndrangheta, con storie e personaggi veri (numerosi gli episodi e i dettagli tratti dalle recenti indagini giudiziarie), e bene spiega la realtà criminale di oggi.
In principio, tutto ruota intorno a Gioia Tauro, avverte l’autore che dedica il primo capitolo alla Piana ribattezzata Gioia nostra, un paesone di diciannovemila persone, Comune sciolto più volte per inquinamento mafioso e feudo della onnipotente famiglia dei Piromalli, i traghettatori tra la mafia contadina e quella attuale, moderna e imprenditoriale. Per decenni gli interessi della Piana e del Porto si sono incrociati con pezzi di potere della prima Repubblica (ma non solo), con la collaborazione di imprenditori corrotti, politici collusi, servizi segreti infedeli, massoni compiacenti. E quanti affari loschi, droga, omicidi, azioni criminali per arrivare a svecchiare la ’ndrangheta e a renderla quella di oggi, un potere parallelo, sviluppato e fiorente tanto da resistere all’impegno rinnovato della magistratura e delle forze dell’ordine.
Porto franco evidenzia le tessere del mosaico criminale: le parentele fra famiglie, gli intrecci con i personaggi della politica, gli effetti della corruzione e delle complicità, gli omicidi e gli affari. Con nomi, cognomi e circostanze. Ma, soprattutto, ed è questa la particolarità del libro, l’ex presidente della Commissione antimafia accende i riflettori sul percorso che ha reso la ’ndrangheta "un’organizzazione globale, potente e invincibile... Ci si affilia a Milano, a Duisburg e a Toronto", sottolinea Forgione "... ma il cuore, l’intelligenza organica della ’ndrangheta vivono in Calabria e si alimentano della sua storia...".
E allora che fare per vincere un’organizzazione criminale che gestisce insieme l’antico e il moderno, che collega tradizioni e web, e che ha diramazioni ovunque nel mondo? Conoscere innanzi tutto, ripartire dalla Calabria e capire come sia stato reso possibile il prosperare di questo vergognoso Porto franco fuori da ogni legalità. Ormai da qualche anno, le maglie dello Stato si sono fatte più strette: si sono moltiplicati gli arresti e le inchieste giudiziarie ottengono eccellenti risultati. Protagonisti e storie "tra passato e presente hanno tessuto una inquietante trama", conclude Forgione "ma non è scritto su alcuna "tavola" che il futuro di questa trama debba continuare a essere prigioniero".
La Calabria è davvero un Porto franco?
"Da almeno cinquant’anni la Calabria è un porto franco per la democrazia, prima ancora che per la legalità, che qui, nel deserto di diritti e opportunità, è un’idea astratta. Solo in questa terra si è vista una commistione tra ’ndrangheta, massoneria, servizi deviati, apparati dello stato, giudici, tale da creare un potere parallelo, separato e allo stesso tempo interno allo Stato. A differenza della Sicilia, tutto è avvenuto nel silenzio più assoluto. Quello delle armi della ’ndrangheta che non hanno quasi mai sparato contro uomini dello Stato, politici, giornalisti, magistrati, fatta eccezione per il magistrato Antonino Scopelliti e il vice presidente del Consiglio regionale, Francesco Fortugno; e quello della politica e delle istituzioni che la ’ndrangheta non l’hanno mai voluta vedere e combattere. Basti pensare che la Commissione parlamentare antimafia esiste dal 1963 e la sua prima relazione sulla mafia calabrese è del febbraio del 2008. I capi della ’ndrangheta, dal loro punto di vista criminale, sono stati più intelligenti dei Corleonesi di Cosa nostra: si sono tenuti inabissati, hanno accumulato potere economico e forza politica, si sono espansi nel nord dell’Italia e nel resto del mondo, si sono protetti dalla reazione dello Stato e "dall’infamia" dei pentiti e si sono via via trasformati in un potere parallelo. E, anche quando hanno acceso i riflettori su di loro, come dopo la strage di Duisburg, hanno avuto la capacità di ricreare un cono d’ombra. Ma il vero problema non è la ’ndrangheta. E’ la politica, il mondo economico, la borghesia, gli intellettuali, l’informazione, che hanno fatto della Calabria una zona franca".
Com’è cambiata la ’ndrangheta in cinquant’anni?
"Dall’inizio degli anni ’70 a oggi, si è compiuto il vero salto della ’ndrangheta nella dimensione economica e finanziaria globale. Dopo la rivolta dei Boia chi molla di Reggio nel ’70, con la massa di miliardi arrivati per la costruzione della Salerno-Reggio Calabria, per il V centro siderurgico mai realizzato e per il porto, la dimensione imprenditoriale ha preso il sopravvento. Certo, i boss non hanno mai smesso di sparare e di uccidere, ma hanno privilegiato gli affari e le imprese. Ovviamente supportati dalla grande massa di ricchezza prodotta dal traffico della cocaina di cui i boss calabresi sono i principali importatori in Europa. Un po’ come avveniva negli anni ’70, quando i sequestri di persona fornivano la liquidità finanziaria per trasformarsi in imprenditori. La novità vera, nel panorama criminale internazionale, è però costituita dalla sua capacità di assumere una dimensione globale. Perché i comuni che vengono sciolti al nord lo sono sempre per ’ndrangheta, e non per camorra o per Cosa nostra? E’ avvenuto da Bordighera a Ventimiglia, da Canavese Po a Busto, da Nettuno in provincia di Roma a Fondi, in provincia di Latina, bloccato all’ultimo momento dal governo Berlusconi. Perché la ’ndrangheta, fuori dalla Calabria, non ricicla soltanto i propri soldi o cura i propri affari, attività comune alle altre mafie, ma riproduce un modello criminale e un modello antropologico culturale: crea le ’ndrine, dà vita ai "locali", si dota del Crimine, e di una "cupola", regione per regione. E, ancora, "pezzi" di Calabria, comunità chiuse, riti religiosi. Cioè un modello di consenso e di controllo del territorio simile a quello della terra d’origine, che vuol dire controllo delle imprese, della pubblica amministrazione, della stessa politica e della stessa società. Questo è avvenuto in Lombardia, Liguria, Emilia, Piemonte, con la complicità di chi ha governato in queste regioni, Lega e Pdl innanzitutto che emerge come il partito più inquinato. Ormai decine di inchieste lo documentano. Insomma, politica, finanza e massoneria hanno dato a questa mafia una dimensione di potere parallelo, nazionale e globale. Sullo sfondo, candidature, voti, petrolio, gas, multinazionali farmaceutiche, traffico di oro... In mezzo, faccendieri, imprenditori, avvocati, politici, magistrati, agenti dei servizi. Una terra di nessuno nella quale il passato della Prima Repubblica è traghettato nella modernità del sistema liberista e berlusconiano".
Storia criminale e storia politica. E il futuro?
"In Calabria è quasi impossibile distinguere la storia criminale da quella delle classi dirigenti e della politica. A differenza della Sicilia dove forti sono stati i conflitti nei partiti, nella magistratura, nella società, nella chiesa, in Calabria tutto è palude. Si è persa ogni linea di confine, non c’è mai stata una rivolta della società civile, o degli imprenditori. Tutto è doppio. E anche l’informazione nazionale, compresa quella cosiddetta antimafia e d’inchiesta, continua a non voler vedere, capire. Per questo racconto storie piccole e grandi. Perché, proprio ora che tutti parlano della ’ndrangheta come potenza criminale globale, è necessario ritornare in Calabria, sconfiggerla e combatterla lì. Cambiando anche i calabresi, rompendo i loro silenzi e la loro omertà sociale. E quindi trasformando radicalmente la politica e le istituzioni che rappresentano l’altra faccia e la forza principale di cui godono i boss della ’ndrangheta per accumulare potere, consenso e ricchezza. Però, per fortuna, i santuari intoccabili stanno crollando e, anche se non è detto che ci si riesca, neanche è "scritto" che siamo destinati a perdere".
Francesco Forgione
Porto Franco
Dalai editore
pag.408, euro 18.
* la Repubblica, 08 giugno 2012
Nel mirino abitazioni, aziende, terreni e altro. Tutti riconducibili ai clan
di San Luca Nirta-Strangio e Pelle-Vottari, protagonisti di una faida infinita
’Ndrangheta, maxisequestro di beni alle famiglie della strage di Duisburg
Un valore complessivo di oltre 150 milioni di euro. Trovato anche un bunker
nella palazzina dei familiari del boss latitante Antonio Pelle: "E’ stato usato recentemente"
REGGIO CALABRIA - Un’operazione dei carabinieri, in provincia di Reggio Calabria e in Lombardia, ha portato al sequestro di beni - per un valore di 150 milioni - di euro a cosche della ’ndrangheta. Secondo l’accusa, il patrimonio è riconducibile alle famiglie Nirta-Strangio e Pelle-Vottari, protagoniste della sanguinosa faida di San Luca culminata, nel giorno di Ferragosto dello scorso anno, nella strage di Duisburg, in Germania, nella quale vennero uccise sei persone.
E nel corso delle perquisizioni è stato scoperto a San Luca anche un bunker, nella palazzina in uso ai familiari del latitante Antonio Pelle, detto ’’’Ntoni Gambazza", il boss irreperibile dal 2000. E che deve scontare una condanna definitiva a 26 anni di reclusione. Nei giorni scorsi un altro bunker era stato trovato nello stesso edificio. Il nascondiglio trovato oggi, realizzato a piano terra e a cui si accede con un meccanismo telecomandato, sarebbe stato utilizzato recentemente.
Tra i beni sequestrati, invece, ci sono aziende, attività commerciali, abitazioni, terreni, polizze assicurative e auto di lusso. Il sequestro è stato disposto dal tribunale di Reggio Calabria su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio e della Procura di Locri.
La faida di San Luca, che vede al centro le famiglie Nirta-Strangio e Vottari-Pelle, ha avuto inizio nel giorno della festa di carnevale del 1991. All’origine dello scontro un banale lancio di uova tra un gruppo di giovani. Quell’episodio portò al compimento di un agguato nel quale furono uccise due persone, e altre due rimasero ferite.
Col passare degli anni, però, la faida ha assunto altri connotati, e gli omicidi che si sono susseguiti hanno avuto come movente principale il controllo del traffico di droga e l’infiltrazione negli appalti pubblici. Lo scontro ha fatto registrare anche un lungo periodo di pausa, sino al Natale 2006 quando, in un agguato, tre persone, tra le quali un bambino, rimasero ferite e fu uccisa una donna, Maria Strangio, moglie di uno dei presunti boss, Giovanni Luca Nirta, considerato dagli investigatori il vero obiettivo dell’agguato.
La risposta a quell’agguato è stata la strage di Duisburg, con sei persone uccise a Ferragosto davanti al ristorante "da Bruno" di proprietà degli Strangio.
* la Repubblica, 4 marzo 2008
La lotta alla ’ndrangheta: Giuseppe Nirta è latitante
Arresti fra Montecatini e Lima, individuato deposito di coca
Duisburg, individuato l’altro killer
Traffico di coca Perù-Calabria
di GIUSEPPE BALDESSARRO *
REGGIO CALABRIA - Ha un nome il secondo killer della strage di Duisburg. Si tratta di Giuseppe Nirta, cognato di Giovanni Strangio, già ricercato da mesi proprio per l’agguato di ferragosto davanti al ristorante "Da Bruno". L’uomo è stato individuato grazie alle impronte digitali rilevate in un’abitazione di Duesseldorf, affittata dal commando prima di eseguire la strage.
A rivelarlo è stato il settimanale "Focus", secondo il quale la polizia belga aveva anche rintracciato fin dallo scorso ottobre in Belgio la Renault Clio nera usata dagli assassini per fuggire dopo il massacro. La segnalazione era arrivata da un cittadino di Gand, che aveva notato l’auto sospetta e con le chiavi ancora inserite nel cruscotto. Secondo la ricostruzione delle forze di polizia, dopo l’agguato costata la vita a 6 persone tutte originarie della Locride e legate al clan Vottari-Pelle, i killer delle famiglie Nirta-Strangio avrebbero attraversato la frontiera belga, per poi rientrare molto probabilmente in Italia.
Il procuratore di Duisburg, Detlef Nowotsch ha confermato che nell’auto sono state rinvenute "numerose tracce", ma non ha voluto aggiungere particolari. Secondo alcune fonti, sul sedile accanto al posto di guida della Clio sarebbero state rinvenute tracce di Dna che non appartengono a Strangio e che devono dunque essere attribuite al suo complice. Le autorità ritengono che si tratti del cognato di Strangio, Giuseppe Nirta, ricercato con un mandato di cattura internazionale. Gli inquirenti si dicono anche convinti che le tracce di dna rinvenute nella Renault nera usata per la fuga appartengono proprio a Nirta, come quelle reperite nell’abitazione di Duesseldorf.
Gli inquirenti tedeschi hanno presentato una richiesta di rogatoria per poter confrontare il Dna ritrovato con quello dei familiari di Giuseppe Nirta. Che la faida di San Luca non fosse determinata solo da dissapori tra famiglie mafiose rivali è da tempo più di un semplice sospetto. Di recente tuttavia si va consolidando l’idea che la guerra di ’ndrangheta abbia come ragione fondamentale il controllo di interessi criminali in Germania. Primi tra tutti il riciclaggio e il traffico internazionale di droga.
A dimostrare che i clan dell’Aspromonte siano impegnati nel narcotraffico c’è anche l’operazione portata a compimento nei giorni scorsi dagli uomini della Questura di Reggio Calabria.
La Polizia ha arrestato a Montecatini Terme (Pistoia) due persone, accusate di essere affiliate ad una cosca della Locride, per traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Altri tre arresti, nell’ambito della stessa operazione, condotta dalla sezione antidroga della Squadra mobile di Reggio Calabria, sono stati fatti a Lima, in Perù.
L’operazione, fatta in collaborazione con la Polizia peruviana, ha consentito di bloccare l’importazione in Italia di 40 chilogrammi di cocaina. La droga, che è stata sequestrata, era in possesso dei tre corrieri stranieri bloccati nei pressi dell’aeroporto di Lima. Le due persone arrestate a Montecatini sarebbero affiliate alla cosca della ’ndrangheta Sergi-Marando-Trimboli di Platì, particolarmente attiva nel traffico internazionale di cocaina.
Secondo quanto appreso, la polizia, a Montecatini, ha sequestrato anche sette chilogrammi di cocaina e 40 mila euro in contanti. L’operazione, denominata "Zappa 3" è stata coordinata dalla distrettuale antimafia di Reggio Calabria e portata a termine dalle questure di Pistoia e Reggio Calabria.
Nel corso di una conferenza stampa, a cui hanno preso parte il questore Santi Giuffrè, il capo della mobile Renato Cortese e della narcotici Diego Trotta, è stato spiegato che una villetta di Montecatini Terme sarebbe stata utilizzata come deposito della cocaina. Le due persone arrestate a Pistoia sono Franco Biagini, sorvegliato speciale, e Franco Pellegrini, anch’egli con precedenti penali. Entrambi toscani. In Perù sono finiti in manette i corrieri Ondrej Kelemen, di nazionalità ceca, Sarda Dalloeshingh, olandese, e Jorge Daniel Acosta Reyes, uruguaiano.
* la Repubblica, 1 marzo 2008
’Ndrangheta, l’Antimafia: «È più viva che mai»
di Massimo Solani *
"Il contagio delle ‘ndrine da Limbadi e Rosarno all’Australia. Da San Luca a Duisburg. Molecole criminali che schizzano, si diffondono e si riproducono nel mondo. Una mafia liquida, che si infiltra dappertutto, riproducendo, in luoghi lontanissimi da quelli in cui è nata, il medesimo antico, elementare ed efficace modello organizzativo". E’ una fotografia viva e spietata la relazione della Commissione parlamentare Antimafia approvata martedì e trasmessa alle Camere: un affresco dettagliato di quello che è la ‘Ndrangheta, con la sua tradizione di riti arcaici e brutali abbinata alla modernità globalizzata delle holding economiche.
Un’azienda moderna e strutturata, capace di infiltrarsi in ogni aspetto della vita pubblica: dagli appalti alla sanità, dal traffico internazionale degli stupefacenti (le cosche calabresi siedono fianco a fianco coi grandi cartelli sudamericani e "muovono" tonnellate di roba in giro per l’Europa) al riciclaggio del denaro sporco dietro le facciate pulite di ristoranti e imprese edili. «Alla maniera di Al Qaida - si legge nella relazione - con un’analoga struttura tentacolare priva di una direzione strategica, ma caratterizzata da una sorta di intelligenza organica, di una vitalità che è quella delle neoplasie, e munita di una ragione sociale di enorme, temibile affidabilità». E per questo oggi la ‘ndrangheta è diventata «l’organizzazione più moderna, la più potente sul piano del traffico di cocaina, la più stabilmente radicata nelle regioni del centro e del nord Italia oltre che in numerosi paesi stranieri».
Un’organizzazione capace di fare affari con la politica e col mondo dell’imprenditoria. Di dettare leggi, condizionare elezioni e stabilire i prezzi degli appalti. Dai lavori per la realizzazione della "Salerno-Reggio Calabria" agli appalti delle Asl Calabresi. Perché è la Sanità il nuovo grande affare, insieme alla spartizione dei finanziamenti europei. «La sanità - è scritto nella relazione - è il buco nero della Calabria, il segno più evidente del degrado, la metafora dello scambio politico-mafioso e del disprezzo delle persone e del valore della vita». «La forza della ‘Ndrangheta - si legge nel documento della Commissione di palazzo San Macuto - è l’altra faccia della debolezza della politica. Ma le ragioni di questa non possono essere cercate fuori da sé. La debolezza è l’elemento centrale di un sistema clientelare di potere che per riprodurre consenso e voti non può essere messo in discussione, pena la crisi della sua presa sociale. È così che questo meccanismo produce anche la passivizzazione dei cittadini, pronti ad accettare corruzione e mediazione mafiosa in assenza di diritti esigibili, opportunità garantite dai concorsi pubblici agli appalti e trasparenza delle scelte politiche e della pubblica amministrazione».
Per questo ha sottolineato in una conferenza stampa il presidente della Commissione Antimafia Francesco Forgione, in una Calabria in cui le inchieste giudiziarie e i blitz della polizia hanno alzato il velo su quella zona grigia di commistione fra criminalità e poltica, «la questione morale riguarda tutti e tutti gli schieramenti politici. Se i partiti non hanno la forza di eliminare ogni zona d’ombra noi non ce la faremo - ha proseguito -. Per questo serve una opera di pulizia, a partire dalle candidature per le prossime elezioni». Un tema che la commissione aveva già sottolineato in passato approvando nei mesi scorsi un codice di autoregolamentazione, approvato da tutti i partiti, con l’impegno di non presentare chi sia rinviato a giudizio per tutti i reati di mafia, di racket e usura, di traffico di droga o di rifiuti e di riciclaggio. «Ma i partiti - ha concluso il presidente - riescono autonomamente a farla questa scelta, questa opera di moralizzazione e trasparenza?».
* l’Unità, Pubblicato il: 20.02.08, Modificato il: 20.02.08 alle ore 17.28
La relazione annuale: le ’ndrine si espandono con un’analoga struttura tentacolare
Accuse alla Confindustria calabrese dal presidente della Commissione parlamentare
L’Antimafia lancia l’allarme
"’Ndrangheta come Al Qaeda " *
ROMA - La ’ndrangheta cresce e si espande "alla maniera di al Qaeda, con un’analoga struttura tentacolare priva di una direzione strategica ma caratterizzata da una sorta di intelligenza organica, di una vitalità che è quella delle neoplasie, e munita di una ragione sociale di enorme, temibile affidabilità". E’ quanto si legge nella prima relazione annuale sulla ’ndrangheta approvata all’unanimità dalla Commissione parlamentare Antimafia.
La ’ndrangheta, è scritto nel testo approvato, "è oggi la più robusta e radicata organizzazione, diffusa nell’intera Calabria e ramificata in tutte le regioni del Centro-Nord, in Europa e in altri Paesi stranieri cruciali per le rotte del narcotraffico".
E ancora: "Il contagio delle ’ndrine va da Rosarno all’Australia, da San Luca a Duisburg (il riferimento è alla strage di Ferragosto 2006 in Germania). Molecole criminali che schizzano, si diffondono e si riproducono nel mondo. Una mafia liquida che si infila dappertutto, riproducendo, in luoghi lontanissimi da quelli in cui è nata, il medesimo antico, elementare ed efficace modello organizzativo. Alla maniera delle grandi catene di fast-food, offre in tutto il mondo, l’identico, riconoscibile, affidabile marchio e lo stesso prodotto criminale".
Il presidente della Commissione parlamentare Antimafia Francesco Forgiane, presentando alla stampa la relazione, ha lanciato pesanti accuse alla Confindustria della Calabria colpevole a parer suo di scarsa collaborazione sul versante della lotta all’estorsione e all’usura: "Da loro non abbiamo sentito una sola delle parole pronunciate da Confindustria Sicilia. In Calabria non abbiamo nessuna denuncia, e la cosa ancora più grave è che nessuno invita a denunciare. Luca Cordero di Montezemolo ha detto che sarebbero state espulse le imprese che non denunciano di pagare il pizzo, ma in Calabria questo non accade".
* la Repubblica, 20 febbraio 2008.