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Dialogo sulla moneta: asperità e trappole sul sentiero d’una conoscenza, l’enigma della banconota - di Antonio Bitonti

sabato 20 settembre 2008.
 

1: Sai che nel 1971 Nixon, presidente degli Stati Uniti, ha dichiarato la fine degli accordi di Bretton Woods?

2: No, non lo so. Di cosa si tratta?

1: Dal 1971 il dollaro non è più vincolato al principio della riserva d’oro.

2: Non capisco. Che significa?

1: Prima di quella data la banca centrale americana creava moneta corrispondente ad una certa quantità d’oro depositato come garanzia.

2: Oro? di chi, della banca stessa?

1: Sì, certo. Anche in italia era così, e ora tutto è cambiato. Ricordi che sulle lire di carta era scritto “pagabile a vista al portatore”?

2: Sì, me lo ricordo.

1: Il portatore della moneta, il possessore, poteva andare in banca d’italia e chiedere in cambio della moneta di carta la quantità d’oro equivalente.

2: Quindi, se ha capito bene, cinque mila lire erano pagate in oro.

1: Con centomila lire ottenevi cinque grammi d’oro, più o meno. Una cosa importante da capire è questa. Il metallo prezioso era di proprietà della banca centrale. Questa banca, anziché mettere in circolazione la propria ricchezza in oro, per lucrarci in termini di interessi, metteva in circolazione facendo girare di tasca in tasca dei pezzi di carta colorata.

2: Mezzo indubbiamente più comodo.

1: Esatto. Questo mezzo era convertibile, dava, in altre parole, diritto ad ottenere una quantità d’oro di valore equivalente all’importo scritto sul pezzo di carta stesso.

2: Ho capito. 20.000 lire, ad esempio, se un grammo d’oro valeva 20.000, erano pagate con 1 grammo d’oro.

1: Esatto.

2: Ma cosa significa quantità di moneta vincolata alle riserve d’oro?

: Ti faccio un conto rapido. Allora, se la banca d’italia aveva cento grammi d’oro, di sua proprietà, in deposito, a venti mila lire al grammo, poteva stampare moneta per fammi pensare... 100 x 20.000... 2.000.000.

2: La moltiplicazione mi pare corretta.

1: Ora, la scritta “pagabile a vista al portatore”, che autorizzava a chiedere la conversione della moneta in oro della banca presupponeva, ecco il punto, la proprietà della moneta in capo alla banca.

2: Non è chiaro.

1: Mi spiego subito. Quel pezzo di carta rappresentava una quantità d’oro di proprietà della banca centrale, depositata nella camera di sicurezza della banca stessa. Ci sei?

2: Se ho capito bene, aveva più o meno il valore d’un titolo di credito?

1: Più o meno. Era un titolo che rappresentava oro, la riserva aurea di proprietà della banca centrale.

2: Ok, questo è chiaro.

1: Ecco il punto. La moneta che passava di mano in mano, faceva passare virtualmente di mano in mano la proprietà della relativa quantità d’oro. Poiché l’oro era della banca, anche la moneta era della banca centrale.

2: Ma c’era gente che alla banca centrale chiedeva la conversione in oro della moneta?

1: Sì, certo.

2: Io non l’ho fatto mai.

1: Neanche io, ad essere onesto. Devo dirti, anzi, che credo che se prima del 1971 qualcuno del nostro livello sociale fosse entrato nella banca d’italia con un biglietto da 10 mila lire in mano e avesse detto al cassiere “Buon giorno, tenga, mi paghi queste dieci mila lire” il cassiere, non solo gli avrebbe dato un bel niente, ma avrebbe chiamato o l’ospedale o la sicurezza interna.

2: Che vuoi dire?

1: Sto cercando di dirti che la lira era convertibile, ma in teoria. Tutti i possessori in teoria avevano diritto alla quantità d’oro equivalente, ma in pratica veniva convertita solo a pochissime persone. Capisci, non è come andare in farmacia a comprare il dentifricio.

2: E adesso che il principio della riserva non c’è più?

1: Questo fatto complica non poco il discorso.

2: Ma non dovrebbe essere più semplice, sull’euro non c’è nemmeno scritto “pagabile a vista al portatore”?

1: Probabilmente il meccanismo è lo stesso di prima: la banca centrale stampa moneta, per prestarla, perché lei stampa moneta solo per prestarla, ed esige un interesse, poi le banche comuni, a loro volta, continuano a prestare la medesima moneta, a chi ne fa richiesta, chiedendo un interesse più alto.

2: Soltanto, dietro la moneta semplicemente non c’è più oro che ne garantisca il valore. Questo l’avevo capito. Non ho capito invece come fa la banca centrale a creare moneta con un pezzo di carta una volta che questo pezzo di carta non rappresenta più una data quantità d’oro.

1: Hai colto il senso. Bravo.

2: In altre parole: prima una moneta da x mila lire rappresentava x grammi d’oro: dunque il valore della moneta in origine nasceva dal fatto che la moneta dava diritto ad una certa quantità d’oro in pagamento. È corretta questa affermazione?

1: Giusto.

2: Adesso non c’è più oro dietro la carta stampata. Come fa un pezzo di carta, che in sé quanto può valere, pochissimo, ad avere il valore che c’è sopra scritto?

1: La spiegazione c’è ma è complessa e tenuta segreta.

2: Voglio essere chiaro. Se prendo un pezzo di carta, lo porto in tipografia, lo faccio tagliare a misura, colorare a dovere ecc., sopra ci faccio scrivere 100 EURO, alla fine pago il conto: 50 centesimi.

1: Più o meno, è questo quanto pagheresti.

2: Domani vieni tu, da me, e mi chiedi in prestito cento euro ed io ti presto quel pezzo di carta. Un anno dopo mi restituisci, con il 5% di interesse, 100 Euro: totale 105 euro meno 50 centesimi, 104 e cinquanta.

1: Quanto hai guadagnato?

2: C’è qualcosa che non quadra, non trovi?

1: Riflettiamo su ciò che hai detto. Un pezzo di carta, di qualità media, tinta di colori semplici, con figure geometriche comuni, spesso con il volto d’un famoso personaggio del passato, stampato da una tipografia costa facciamo 50 centesimi di euro.

2: Va bene. Più o meno il costo d’un biglietto da visita.

1: Ecco. Se invece sopra il biglietto da visita scrivi “Cento Euro” e sei la banca centrale lo presti e pretendi la restituzione non del valore reale (50 centesimi), ma del valore nominale (cento euro) più interessi. Capisci che questo significa un guadagno colossale!

2: Lo immagino. Ma a dire la verità mi pare una cazzata. Non credo che sia stato possibile abolire il principio della riserva aurea. Perché, scusami, ragioniamo: se non c’è oro dietro la moneta, un pezzo di carta resta un pezzo di carta, non può avere alcun valore, anche se lo stampa la banca centrale.

1: E invece non è così.

2: Allora sono deficiente. Pensa alla dieci euro. Solo perché c’è scritto “Euro 10” ha il valore di dieci euro?

1: No.

2: Anche sulle banconote del Monopoli c’è scritto euro dieci.

1: Sembra impossibile, ma dietro l’euro non c’è oro, come non c’è nel Monopoli.

2: Ma. Chissà che c’è allora dietro?

1: Un problema tecnico.

2: Dici?

1: Ne sono convinto.

2: A me, l’unica spiegazione che passa per la mente, è non credere all’abolizione del principio della riserva. Ma che Nixon e 1971 e simili stupidaggini.

1: Guarda che è scritto sui libri di storia.

2: Lascia stare. Ricordo bene che ancora venti anni fa era diffusa l’idea che se avessi guardato dentro una moneta da mille lire c’avrei visto un filo tutto d’oro esattamente di quel valore.

1: Ricordo anch’io.

2: A me è capitato di vederlo sbucare da una banconota logora e di toccarlo. Quindi niente denuncia degli accordi di Bretton Woods.

1: Ma scusa se fosse stato così, se la banconota conteneva una quantità d’oro del valore corrispondente al valore nominale perché allora era “Pagabile a vista al portatore”?

2: Hai ragione. Non ha senso, conoscendo i banchieri poi.

1: Mica erano così folli o generosi da darti diritto a 20 e chiederti in restituzione 10. La banca non fa beneficenza.

2: Se è per questo non fa nemmeno pronto soccorso.

1: Oh, allora non poteva esserci oro dentro la banconota, anche perché se così fosse stato la moneta avrebbe avuto - come dicono gli economisti - valore intrinseco non rappresentativo.

2: Sì, è vero. In quanto ho detto c’è una contraddizione.

1: Allora, tiriamo le fila. Non stiamo parlando di moneta con valore intrinseco, “moneta merce” dicono gli economisti, quale sarebbe un euro in argento o in oro. Stiamo parlando della “moneta a corso legale” o “moneta credito”. Va bene?

2: Corretto. Se non ricordo male la chiamano moneta fiat.

1: Proprio così. Si tratta quindi d’un pezzo di carta che accettiamo in pagamento per disposizione di legge.

2: Il valore a quel pezzo di carta glielo dà allora una legge dello Stato?

1: Neanche per sogno. Come fa lo Stato, a dare con una legge, ad un pezzo di carta ciò che un pezzo di carta non ha e non può avere ossia il valore nominale (“cento euro”, “dieci euro” ecc.)?

2: La banca centrale stampa moneta ma senza impegnarsi a corrispondere in pagamento il proprio oro e una legge impone a tutti quanti noi quella stessa moneta. Un sistema ingegnoso, non c’è che dire.

1: Ricordo di aver letto una volta, che, durante la seconda guerra mondiale, i reclusi nei campi di prigionia si scambiavano i pochi beni di cui disponevano (un pezzo di pane o di sapone ecc.) utilizzando come moneta le sigarette.

2: Una penna, una sigaretta, due penne, due sigarette, e così via, ma che c’entra questo?

1: Fammi dire. Anche i non fumatori accettavano sigarette, in pagamento, perché sapevano di poterle usare per acquistare altri beni. Accettavano perché sapevano che altri le avrebbero accettate.

2: Questa mi sembra una cazzata. Le sigarette-moneta!

1: Non è una cazzata è la verità.

2: Se uno le fumava, anziché conservarle, perdeva il capitale e poi, voglio dire, poteva perderle, potevano sfarinarsi, bagnarsi o bruciarsi.

1: Sì, d’accordo, ma la stessa cosa può succedere con la moneta di carta.

2: E allora?

1: Te ne dico un’altra.

2: Avanti.

1: Su un diffusissimo manuale d’economia politica, Principi di economia, di N. Gregory Mankiw, tradotto da Paolo Canton, nel capitolo 27 dedicato alla moneta, è riportato un articolo apparso sul The Wall Street Journal, il 29 marzo 1984.

2: Ebbene?

1: Sull’isola di Yap, in Micronesia, gli abitanti (10.000 persone) da quasi duemila anni - dice Art Pine, autore dell’articolo - utilizzano gradi ruote di pietra per pagare gli acquisti importanti: permessi di matrimonio, terre, canoe ecc.

2: Non potevano inventarsi una moneta più comoda?

1: Accanto a questa moneta di pietra, poco trasportabile in verità, gli abitanti di Yap usano, per i piccoli acquisti dollari USA, essendo il territorio sotto il controllo americano, o birra.

2: Ma che storia è questa: pietre-moneta e birra-moneta, silenzio siderale e schiuma cosmica.

1: John Chodad ha acquistato sull’isola una palazzina con una ruota di 70 centimetri di diametro. Secondo il costume locale, una pietra rotta perde il proprio valore. Le pietre più grandi (fino a tre metri di diametro), per evitare incidenti, sono lasciate dove si trovano. I passaggi di proprietà vengono registrati - dice Art Pine - “mentalmente...: un po’ come avviene nelle transazioni internazionali in oro, nelle quali i lingotti cambiano padrone senza mai spostarsi dai forzieri di Fort Knox”.

2: Mi sembra una cazzata, questa storia.

1: Ascoltami. Art Pine aggiunge: “L’uso di grosse ruote di pietra come moneta presenta dei grandi vantaggi: in primo luogo, i falsari hanno una vita molto dura; poi il furto diventa un’impresa quasi impossibile; infine... non ci si deve sorbire il noioso dibattito su come stabilizzare il sistema monetario. Con solo 6600 ruote di pietra sull’isola, l’offerta di moneta non può che essere stabile”.

2: Non capisco cosa hai voluto dire con queste fantasticherie.

1: No?

2: No. Mi stai prendendo per il culo?

1: Ti assicuro di ricordare di averlo letto su quel manuale di economia.

2: Se davvero fosse come dici tu, dovremmo affermare non solo che la carta stampata non contiene valore, né ce n’ha dietro, sotto forma di riserva d’oro, ma che il valore glielo dà chi l’accetta.

1: Può sembrare strano, ma è l’unica spiegazione razionale. Un pezzo di carta acquista valore in virtù del fatto che è universalmente accettata. “Universalmente” significa relativo al contesto di riferimento, come i reclusi nei campi di prigionia della seconda guerra mondiale.

2: Non funziona. Non funziona.

1: Perché no?. Segui. La banca stampa una pila di banconote da 50 euro. Numero pezzi 100.000. Totale costo produzione 1000 euro. Totale valore nominale 50 x 100.000 = 5.000.000. Questi pezzi di carta li distribuisce alle normali banche le quali ri-prestano le stesse monete a chi ne ha bisogno e costoro che fanno?

2: Che fanno?

1: Ecco il punto. Con i soldi che la banca ti ha prestato tu magari hai comprato casa: 200.000 euro. Per restituire alla banca, 200.000 più gli interessi, come fai?

2: Come faccio? Devo lavorare e guadagnare. Io faccio il cameriere, 60 euro al giorno.

1: Allora tu lavori, risparmi mese per mese, accumuli il gruzzolo e lo porti in banca. Giusto?

2: Giusto.

1: No! Non è giusto. Per te, i mille e cinquecento euro che guadagni sono il corrispettivo del lavoro che hai fatto. Tu, in altri termini, hai dovuto lavorare davvero per mille e cinquecento euro. La banca centrale no: la banca prende un pezzo di carta, compra i colori, paga un tipografo, l’affitto, la corrente, le tasse ecc, e se per stampare un quintale di pezzi da 50 euro, spende 1000 euro, cioè 1 centesimo per ogni pezzo di 50 euro, e pretende la differenza tra il valore reale e il valore nominale più gli interessi.

2: Non ho capito.

1: Allora. Facciamo un altro esempio. Lo stato non ha i soldi per pagare gli stipendi. Chiede alla banca centrale 5 miliardi di euro. La banca li stampa e glieli presta freschi freschi. Totale costo produzione, facciamo, 1.000.000 di euro.

2: Fermati, fin qui ci sono.

1: È tutto qui. Poiché il valore lo dà chi l’accetta, come la pietra-moneta, la banca, come qualsiasi tipografia, ha diritto ad 1 milione di Euro non a 5 miliardi più interessi.

2: Insomma, non è molto chiaro.

1: O si o no: è chiaro o no?

2: Tu dici: la banca spende tot, ma vuole indietro una quantità di danaro non per quanto è il valore del proprio lavoro, come fa chiunque, ma dello stesso valore nominale più interessi, giusto?

1: Esatto. E questa è una truffa. Colossale. Continentale. Mondiale.

2: Ancora non mi è chiaro un punto.

1: Il valore al pezzo di carta chiamato euro glielo conferiamo noi, non la banca centrale. Queste scarpe valgono 50 euro. Questo valore viene dal lavoro in esso incorporato. L’euro di carta quando esce dalla zecca vale quanto lavoro c’è voluto per fabbricarlo. Quando tu prendi danaro in prestito, lo accetti per i valore nominale che in realtà non ha e che devi creare tu con il tuo lavoro. Quando hai lavorato un anno e messo da parte 5.000 euro, questo danaro non è altro che il tuo lavoro accumulato oggettivizzato in un pezzo di carta.

2: Lavoro accumulato, uhm, oggettivo. Ma.

1: Grosso modo è così.

2: Ciò vuol dire che il valore dell’euro è nostro, di chi accetta la carta e lavora per ottenere carta, perché poi, a pensarci un po’, tutti i debiti e gli acquisti si fanno con carta moneta, e perciò la moneta non è della banca, che andrebbe pagata né più né meno come una tipografia.

1: Esattamente questo è il punto capitale.

2: Un momento. Fermiamoci un momento.

1: Che c’è.

2: Io divento matto. Se la moneta è nostra, come fa la banca prestarcela?

1: Bella domanda.

2: Come posso io prestarti una cosa che è già tua?

1: Questa si chiama truffa.

2: Non solo. Gli interessi non sono perciò che la minima parte del malloppo.

1: Guarda, su questo sito internet parlano proprio di questa cosa strampalata di cui stiamo discutendo.

2: Fammi leggere: “Il Simec, esperimento avviato nella cittadina di Guardiagrele (Ch), frutto della scoperta del Prof. Giacinto Auriti, geniale economista abruzzese, scomparso due anni fa (2006)”.

1: Diamo un’occhiata: “Teoria del valore indotto della moneta”. Ci sono delle foto.

2: Qui un intervista. La sentiamo?

1: Aspetta ce ne sono altre. Questo ha le palle, secondo me.

2: Anche secondo me. Hai capito. La moneta è nostra non della banca. Ci prestano, dietro interesse, una cosa che è gia nostra!

1: E per far questo devono prima espropriaci della moneta.

2: È logico. È evidente. Chiaro.

1: Pensa all’esempio fatto dal Prof. Auriti. Prima, quando c’era l’oro, chi trovava una pepita, se la portava a casa, non s’indebitava con la miniera. Oggi al posto della pepita c’è un pezzo di carta, al posto della miniera c’è la banca, e al posto d’un credito un debito.

2: Un bene nostro (la moneta) ci viene prima sottratta, ed è il 100% di furto, e poi addebitata tramite le operazioni di prestito, come se la moneta fosse di proprietà della banca, ed è l’altro 100% di truffa. Se a questo aggiungiamo interessi, più tasse e imposte si arriva ad un altro 60-70%. Insomma il danaro ci costa alla fonte oltre 250% (truffa, usura, furto, associazione a delinquere, falso in bilancio ecc. ecc.).

1: Hai capito tu?! La banca centrale non crea valore dal nulla, non come quel re che ogni cosa toccava diventava d’oro. Il valore lo creiamo noi, chi accetta la carta e lavora per valorizzarla. Che pensi?

2: Alla Fiat.

1: Ah, ho capito. Pensi a tutti i miliardi che deve alla banche, no?

2: Sì. Che schifo.

1: Che situazione assurda. Il bello è che le banche quando c’è aria di crisi dicono all’azienda: dacci tutti i soldi che t’abbiamo prestato non me ne frega niente o chiudi o fallisci. Piani d’intervento, ristrutturazione, licenziamenti feroci, poi interviene lo stato, mette del suo, cioè del nostro, ancora del nostro, degli operai stessi, e il tutto se lo pappa “il Grande Usuraio”.

2: Maledizione! Maledizione! Dove sono i comunisti?

1: Ma che comunisti.

2: E giustamente il Prof. Auriti se la piglia con i sindacalisti, che pretendono di difendere gli interessi degli operai, dei lavoratori, e li costringono a sottostare alla mungitura del grande usuraio.

1: Gli scioperi andrebbero fatti per non pagare i debiti alle banche, altro che.

2: E il debito pubblico? Non ci scordiamo questo maledetto macigno, perché come tutti sanno o dovrebbero sapere tutti questi soldi dobbiamo darli alle banche.

1: Altro che! 3.000 miliardi di Euro, 300 manovre finanziarie da 10 miliardi di euro.

2: Ma tu pensa solo agli interessi.

1: Mamma mia, che porcheria. Quanto sarà il tasso d’interesse?

2: Non ha importanza. Lascia stare.

1: Ma facciamo due conti, così per massacrarci un po’. Allora, se fosse il 4%, 3.000 diviso 25 fa 120, all’anno.

2: Vuoi dire 120 miliardi d’euro all’anno di interessi, ossia 8 finanziarie da 15 miliardi.

1: Esatto. E poi i politici vanno in TV come quelle facce stanche a dire che dobbiamo rimboccarci le maniche e lavorare. L’ultima trovata propagandistica di Berlusconi: rialzati italia.

2: Sì, rialzati italia “e spica na sazizza” diceva il cartellone pubblicitario d’un geniale macellaio cosentino. Ecco dove siamo arrivati.

1: Ha ragione ad incazzarsi il Prof. Auriti. I politici sanno perfettamente queste cose e non fanno nulla. I politici sono i camerieri dei banchieri. Destra e sinistra.

2: È logico. Ma come fanno i Veltroni, i Fassino, i D’Alema i Bersani e gli altri a mettersi contro le banche se proprio loro appoggiavano con mezzi non proprio ortodossi fusioni, incorporazioni, scalate di banche su assicurazioni e di assicurazioni su banche?

1: Ma. È sempre la solita solfa che bisogna ingoiare: la sinistra non è la destra, tizio non è caio meglio Prodi che Berlusconi e bla bla bla. I politici dovrebbero andare contro i propri interessi mettendosi contro le banche.

2: Politici? Qui tocchiamo le altissime sfere nelle quali cielo e terra si congiungono.

1: Lo sai che Kennedy aveva iniziato a battere una moneta del popolo americano, di proprietà di tutti i cittadini americano?

2: No, non lo sapevo. Però so la fine che fatto. Conosci quella legge della natura che si può esprimere dicendo: se rubi una mela sei un ladro, se rubi tutto il meleto sei un genio?

1: Sì, la conosco.

Antonio Bitonti


Sul tema, nel sito, si cfr.:

-  STORIA ECONOMICA. LA "MENTE" DELL’ "UOMO FINANZIARIO", UNA "BILANCIA" ANTROPOLOGICAMENTE ROTTA!!! -LA MONETA, LA MERCE, IL LAVORO.
-  Un’intervista a MASSIMO AMATO E LUCA FANTACCI

-  IL DOLLARO ("IN GOD WE TRUST") E LA CROCE ("DEUS CARITAS EST"): TUTTO A "CARO-PREZZO" ("CARITAS")!
-  EVADERE DALLE IDEE VECCHIE!!! CON MARX E KEYNES, OLTRE.


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