RESISTERE IN CALABRIA MA SENZA EROISMI

CALLIPO Il caso dell’imprenditore che abbandona il campo
giovedì 15 giugno 2006.
 
Bisogna ascoltare con attenzione il grido di un uomo esasperato. Che si sente tradito dalla propria terra e ribadisce con amarezza lo scandalo della mafia che continua a controllare pezzi del territorio nazionale, della sua società, della politica e dell’economia. Va ascoltato attentamente il presidente di Confindustria calabrese Filippo Callipo,

CALLIPO Il caso dell’imprenditore che abbandona il campo

RESISTERE IN CALABRIA MA SENZA EROISMI

di Paolo Lambruschi (Avvenire, 14.06.2006)

Bisogna ascoltare con attenzione il grido di un uomo esasperato. Che si sente tradito dalla propria terra e ribadisce con amarezza lo scandalo della mafia che continua a controllare pezzi del territorio nazionale, della sua società, della politica e dell’economia. Va ascoltato attentamente il presidente di Confindustria calabrese Filippo Callipo, il quale ha annunciato ieri in un’intervista choc, che a fine mese, scaduto il mandato, non si ripresenterà per guidare l’associazione. Addirittura vorrebbe vendere l’azienda e abbandonare la regione dove la situazione pare immutabile. Chi è stato in quei territori bellissimi e lacerati, chi ha conosciuto i protagonisti della guerra contro la ’ndrangheta non può che essere solidale con chi urla la propria delusione ai colleghi, alle istituzioni, all’opinione pubblica per essere stato lasciato solo di fronte alla criminalità organizzata. Colpisce poi che lamenti di non aver mai potuto incontrare il superprefetto antimafia De Sena. Ma bisogna capire cosa cela quell’urlo. Non è infatti uno che si tira indietro, Pippo Callipo. Lo ricordiamo ad esempio tra i primi a dichiarare solidarietà al vescovo Bregantini quando i criminali sabotarono le sue cooperative vinicole. E l’anno scorso, dopo il delitto Fortugno, scrisse al presidente della Repubblica una lettera accorata in cui denunciava la grave situazione del territorio. Allora perché quest’uscita tanto inusuale? Certamente al suo sconforto non è estraneo l’ennesimo delitto avvenuto a Vibo Valentia, dove i killer delle ’ndrine hanno ucciso e poi dato fuoco a un anziano imprenditore agricolo colpevole di aver fatto i nomi dei suoi estorsori. Soprattutto è innegabile che Callipo rappresenti oggi un disagio diffuso non solo nel mondo imprenditoriale e che non poteva più essere contenuto. Perché la ’ndrangheta e soprattutto quella che, con elegante circonlocuzione, si chiama «mafia dei colletti bianchi» (intendendo la massoneria deviata che, celandosi dietro personaggi insospetta bili controlla il territorio calabrese, gestisce patrimoni insanguinati e ricicla i danari sporchi sui mercati finanziari) per prosperare continua indisturbata a soffocare lo sviluppo, a negare al cittadino i diritti elementari, a far calare dall’alto perfino un qualunque certificato del comune. È sempre ben radicata qui la cultura del clientelismo e di un malinteso «rispetto» sui quali la malavita basa il proprio potere. Un quadro insopportabile a cui riesce a contrapporsi solo la Chiesa calabrese, che resiste e ribatte promuovendo lavoro, sviluppo, cultura di solidarietà e legalità. Riuscendo a sostenere, ad esempio, il movimento dei ragazzi di Locri mentre perfino l’associazione degli imprenditori oggi sembra gettare la spugna. La ragione è che la comunità cristiana, forte del sostegno del progetto Policoro della Cei, ha avuto il coraggio di investire sul futuro là dove nessuno ci crede più. E può condurre la battaglia anche sul terreno delicato della coscienza. In questo momento la rete che Chiesa e società civile stanno costruendo è l’unica base su cui edificare un’alleanza per riportare la speranza in un pezzo d’Italia che a volte sembra davvero troppo lontano. Perché nessuno si senta solo.


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