di Roberto Galullo *
Il traffico sulla Salerno-Reggio Calabria non è fatto soltanto di automobili e Tir. Con i lavori di ammodernamento dell’autostrada A3 corrono anche i traffici delle cosche che si dividono scientificamente ogni chilometro in costruzione. Lo dicono le inchieste della magistratura, le indagini degli investigatori antimafia e lo dicono i sequestri di aziende e beni mobili che, proprio in questi giorni, si stanno susseguendo.
Sui 229 chilometri nei quali in questi anni sono stati aperti decine di cantieri, sono almeno dodici le cosche infiltrate e decine le famiglie della ’ndrangheta intervenute per spartirsi i fondi. Il sistema è sempre lo stesso: per ogni lotto dei lavori l’impresa che vince l’appalto paga il pizzo e se non paga viene estromessa.
Alla tangente del 3% sull’importo complessivo dei lavori - centinaia di milioni in questi anni - si somma poi un costo occulto per le aziende: l’affidamento di sub-appalti e forniture di cemento e bitume a ditte di riferimento delle cosche.
Ma non è solo l’autostrada a fare gola. Il magistrato antimafia Vincenzo Macrì lancia l’allarme anche sui lavori miliardari per il nuovo tratto della statale 106.
La ’ndrangheta è una scienza esatta e i cantieri stradali sono il laboratorio in cui sperimentare le formule. Non c’è tratto dell’autostrada Salerno-Reggio che non passi attraverso la spartizione scientifica delle cosche, che sottomettono le imprese chiamate a svolgere i lavori. Chi non ci sta viene escluso, come l’imprenditore Gaetano Saffioti, che ha il miglior misto cementato della Calabria, indispensabile per i lavori del fondo stradale (si veda il «Sole- 24 Ore» di ieri).
Nell’indagine Arca - chiusa il 2 luglio 2007 - la cosca Piromalli arrivò a tracciare, come un archi-tetto, una variante del raccordo autostradale per Gioia Tauro. «Una variante - dichiara il 4 dicembre 2007 il magistrato della Direzione nazionale antimafia Vincenzo Macrì - che poi venne realizzata perché si rivelò migliore di quella progettata dai tecnici dell’Anas.In qualche modo la cosca ha contribuito al miglioramento dei lavori ».
L’operazione Arca - che ha portato all’arresto di imprenditori, sindacalisti e criminali - ha coinvolto pezzi da novanta come le famiglie Mancuso, Pescee Piromalli e imprese del calibro di Condotte, Coop costruttori e Baldassini-Tognozzi, vittime del sistema. Il rituale sempre lo stesso con una variabile: la presenza del sindacalista che azzerava i conflitti. Quell’inchiesta lascerà ancora il segno: dopo la confisca di oltre 50 milioni in beni mobili e immobili ai gruppi Guarnaccia e Tassone, in queste ore giungono a maturazione i sequestri di altre aziende e beni per oltre cinque milioni.
Già nel 2002, con l’operazione Tamburo, la Dia e la magistratura dimostrarono che ogni lotto da Castrovillari a Rogliano era diviso tra le cosche, con una regia sublime, affidata a Vincenzo Dedato che era diventato portavoce unico delle ’ndrine nei confronti delle imprese. Una cosa mai vista e forse irripetibile. In quell’indagine - che portò ad arresti e successive collaborazioni di boss di rango della ’ndrangheta - furono invischiate imprese come la Asfalti sintex, l’Astaldi e l’Ati Vidoni che si erano aggiudicate lavori per 114 milioni. La tangente era pari al 3% dell’importo dei lavori e le imprese erano costrette ad affidare subappalti e forniture a ditte di riferimento delle cosche.
«La quota a carico delle società ora si chiama onere di sicurezza - spiega il colonnello Francesco Falbo, a capo della Dia di Reggio -e non più pizzo».I neologismi non cambiano la sostanza, fatta di accordi. Nella relazione fresca di stampa della Direzione nazionale antimafia per il 2007, ancora Macrì invita a guardare oltre i guard rail autostradali. «L’attenzione delle cosche - scrive il magistrato - potrebbe rivolgersi verso la realizzazione del nuovo tratto della statale 106 da Ardore a Marina di Gioiosa Jonica e della trasversale che porta da Bovalino a Bagnara. Altro possibile obbiettivo di infiltrazione delle cosche è l’area compresa tra i comuni di Delianuova, Sant’Eufemia d’Aspromonte, Oppido Mamertina e Bagnara, che sarà interessata dalla realizzazione della nuova arteria stradale Bovalino Bagnara, con un impegno di spesa di 835 milioni».
Milioni che piovono sulle cosche e che sono pronti per essere riciclati in mezzo mondo:dai traffici di cocaina a quelli di armi. «Il problema della ’ndrangheta - ha ripetuto spesso Nicola Gratteri della Dda di Reggio Calabria - non è spendere, ma come spendere. Abbiamo intercettazioni telefoniche in cui mafiosi ridono del fatto di aver fatto marcire banconote per milioni di euro perché avevano dimenticato dove le avevano seppellite ». Sulla Salerno-Reggio Calabria, insomma, gli ingorghi non sono solo quelli degli automobi-listi ma anche quelli tra cosche, politica e imprese. «Confindustria nazionale - spiega Roberto Pennisi,della Dda di Reggio - dovrebbe assumere importanti posizioni contro le grandi imprese che partono dal Nord con l’accordo già raggiunto con le cosche e che, nonostante il rischio di annullamento dei contratti, vanno avanti». Nessuno ha la bacchetta magica ma Roberto Di Palma, magistrato della Dda di Reggio, concorda con Pennisi sulle occasione perse. «Il pacchetto sicurezza - spiega Di Palma - nella parte in cui disciplina il comportamento che devono tenere le imprese quando vengono in contatto con le cosche è valido. Per il momento però resta nella lista dei desideri». La caduta del Governo non aiuta certo il cammino del pacchetto- sicurezza. A trarne benefici è la ’ndrangheta che è alla ricerca di nuovi assetti affaristici (o forse li ha già trovati) dopo l’omicidio ieri a Gioia Tauro del boss Rocco Molè, capofamiglia del braccio armato della cosca Piromalli.
L’AUTOSTRADA SALERNO-REGGIO CALABRIA
Le mani della ’ndrangheta sulla A3
Cinquantadue arresti
La Stampa, 8/6/2010
REGGIO CALABRIA Le cosche della ’ndrangheta di Palmi imponevano una tangente del 3% alle imprese appaltatrici e la fornitura del calcestruzzo. È quanto è emerso dall’inchiesta condotta dalla squadra mobile di Reggio Calabria e coordinata dalla Dda, che stamani ha portato all’arresto di 52 presunti affiliati alle cosche Gallico-Morgante-Sgro-Sciglitano e Bruzzise-Parrello. Grazie ad imprese collegate direttamente alle famiglie, la ’ndrangheta palmese era così riuscita a mettere le mani sugli appalti per i lavori sulla A3.
Un sistema che andava a discapito dell’economia sana, completamente tagliata fuori dalle imprese colluse che approfittavano del potere mafioso che era alle loro spalle per ottenere i lavori di subappalto. Il meccanismo era già venuto alla luce nel 2007 con l’inchiesta, condotta sempre dalla mobile reggina, contro le ’ndrine di Rosarno, Gioia Tauro e Limbadi (Vibo Valentia) ed è stato confermato con l’indagine di adesso.
I lavori in questione sono quelli del quinto macrolotto che interessano il tratto compreso tra Gioia Tauro e Scilla. L’arrivo dei lavori nella zona di Palmi e gli appetiti per gli affari che ciò comportava, tra l’altro, secondo quanto emerso dalle indagini, aveva portato a una ripresa dei focolai di violenza tra le cosche della zona, contrapposte, negli anni ’80 e ’90, in una sanguinosa faida che aveva provocato decine e decine di morti. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, dall’aggiunto Michele Prestipino e dal pm Giovanni Musarò. Le accuse vanno dall’associazione mafiosa agli omicidi, estorsioni e infiltrazioni negli appalti pubblici.
L’ITALIA IN MANO ALLA CRIMINALITA’
Salerno-Reggio Calabria La fuga delle imprese
Loiero: «I costruttori del Nord se ne vogliono andare, strozzati dal pizzo»
di FULVIO MILONE (La Stampa, 21/10/2008)
ROMA La torta è grande e gustosa: 1 miliardo di euro, l’importo dei lavori ancora in corso su una cinquantina di chilometri del tratto calabrese dell’A3, l’autostrada che non sarebbe azzardato definire una «fabbrica di San Pietro» anche se il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, ha dichiarato a luglio che sarà completata nel 2012. La ’ndrangheta ci conta, e questa non è una novità. Il guaio è che le richieste di estorsioni e le intimidazioni dei signori del racket sono diventate asfissianti al punto da far pensare alle imprese di gettare la spugna. «Molte ditte impegnate nei lavori sull’A3 e in altre grandi opere pubbliche hanno manifestato l’intenzione di andar via», conferma il governatore calabrese Agazio Loiero, che lancia ancora una volta l’allarme sulla criminalità durante un convegno organizzato da Confindustria su «Sviluppo e sicurezza nel Mezzogiorno».
«Se davvero le imprese se ne andassero perché sono soggiogate dalla ’ndrangheta sarebbe una beffa: questa regione ha infrastrutture da terzo mondo e non si riesce neanche a sistemarle. Non si può più andare avanti così», aggiunge Loiero che, mentre parla, fissa lo sguardo sul ministro dell’Interno Roberto Maroni, anche lui presente al convegno con la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e i segretari di Cgil, Cisl e Uil Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti. E annuncia, il governatore, che la Regione Calabria ha fatto un passo importante per la trasparenza negli appalti: la nomina di Salvatore Boemi, ex procuratore aggiunto antimafia a Reggio Calabria e magistrato simbolo della lotta alle ’ndrine, a Commissario della stazione unica appaltante, il primo organismo a livello regionale che dovrà gestire l’intero sistema degli affidamenti dei lavori e preservarlo dalle infiltrazioni mafiose.
Lontano dai microfoni, dopo il convegno, il presidente della Regione racconta di un suo colloquio con Pietro Ciucci, presidente dell’Anas: «Era molto preoccupato, diceva che la criminalità calabrese rende impossibile la vita alle imprese come Impregilo ed Astaldi che hanno i cantieri sull’A3, bersagliati da una novantina fra attentati e intimidazioni di vario tipo nell’ultimo anno. A questo punto mi chiedo se il governo, così attento ai problemi della sicurezza, si ponga anche quello della criminalità organizzata. Mi chiedo anche perché i lavori sull’autostrada non finiscono mai, se non anche per gli interessi e le pressioni delle cosche». A Loiero, che dà comunque atto alle forze di polizia di condurre con impegno la lotta alla ’ndrangheta e al ministro dell’Interno di mostrare attenzione al problema, Maroni risponde con un monito alle imprese: «Devono respingere i tentativi di infiltrazione messi in atto con l’usura, le estorsioni e le intimidazioni».
Insomma, «tocca agli imprenditori denunciare». E, soprattutto, «chi non denuncia il pizzo deve non solo essere espulso da Confindustria, ma anche escluso dagli appalti». Il numero uno di Confindustria, Emma Marcegaglia, è d’accordo: «Dobbiamo creare in Calabria una filiera della legalità. Imprese, sindacati e lo Stato ingaggino insieme una dura battaglia contro la criminalità». Ma, avverte Marcegaglia, «occorre anche consentire lo sviluppo della regione: quindi più infrastrutture, più ricerca, più credito. E basta con il fatto che lo Stato non paga le imprese». «La ’ndrangheta - spiega Maroni - si combatte con un attento lavoro di intelligence». E, naturalmente, con le risorse finanziarie: «In Calabria ce ne sono a sufficienza. Il Programma nazionale per la sicurezza ha una capacità di 1,2 miliardi di euro. Il problema è che al Sud, però, questi fondi non vengono spesi in modo razionale».
Ventotto gli episodi contestati
Estorsioni a imprenditori su appalti A3: 12 arresti
In manette esponenti delle cosche di Catanzaro: chiedevano fino a 50mila euro per i lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Ma le mani della ’ndrangheta erano finite su diverse opere pubbliche
Catanzaro, 5 giu. - (Adnkronos/Ign) - Operazione della polizia di Catanzaro contro il racket negli appalti pubblici. In tutto sono state arrestate 12 persone accusate di estorsione a imprenditori che si erano aggiudicati appalti pubblici. Si tratta di esponenti alle cosche Anello-Fruci e Cerra-Torcasio-Gualtieri, con il coinvolgimento di alcuni esponenti del clan Iannazzo di Lamezia Terme, dei Passafaro di Borgia e un esponente del clan degli zingari di Catanzaro.
Sono 28 gli episodi contestati agil arrestati, che hanno chiesto e ottenuto fino a 50mila euro per i lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria.
L’operazione, denominata ’Effetto Domino’, costituisce il seguito del blitz del 16 maggio scorso, in cui venne arrestato un uomo in flagranza (Pasquale Martillotta) e altre cinque furono sottoposte a fermo. Tra essi Rocco e Tommaso Anelli, ritenuti i capi della cosca di Catanzaro colpita anche oggi.
Le mani della ’ndrangheta erano finite su diverse opere pubbliche appaltate, dall’ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria ai parchi eolici di Serra Pelata, Piano di Corda, Polia e Cortale, alla tratta ferroviaria Settingiano-Catanzaro Lido. Tra le persone colpite dall’ordine di custodia cautelare, emessa su richiesta del procuratore capo Salvatore Murone e del sostituto della Direzione distrettuale antimafia Gerardo Dominijanni, c’è anche Antonio Passafaro, di Borgia, fratello di Rosario e Giulio Cesare Passafaro uccisi nel settembre dello scorso anno e ad aprile nella frazione di Roccelletta dove si teme una nuova faida. Anche il nome di quest’ultimo è entrato nell’inchiesta.
Sono stati gli stessi imprenditori a raccontare i dettagli delle estorsioni agli inquirenti, suffragati dalle dichiarazioni di un pentito che ha collaborato alle indagini. Gli inquirenti hanno sentito le versioni di sei titolari di aziende colpite. Dal 1999 gli esponenti delle cosche facevano pressione sulle vittime per ottenere soldi, materiale a titolo gratuito o imporre il noleggio di mezzi d’opera a prezzi molto superiori a quelli di mercato. In un’occasione, inoltre, un imprenditore è stato costretto a rinunciare ad un appalto per un’opera che ricadeva su un territorio controllato dalla ’ndrangheta.