Il volume, curato da Massimo Campanini, sarà presentato oggi alle 18 nella Biblioteca Ambrosiana di Milano
Repubblica dell’imam. Raccolti gli scritti politici di al-Fârâbî, lo studioso arabo che ha traghettato il pensiero greco nella filosofia islamica
di Augusto Illuminati (il manifesto, 08.02.2008)
Con il titolo Scritti politici di al-Fârâbî, Massimo Campanini ha curato per la Utet (pp. 403), con una introduzione analitica e un denso apparato, la traduzione dei saggi fondamentali di quello che per il medioevo islamico ed ebraico fu «il secondo maestro», da sotto il cui mantello escono Avicenna, Averroé e Maimonide. (Il volume sarà presentato oggi a Milano, alle ore 18, presso la Biblioteca Ambrosiana (Piazza Pio XI, 2). Si tratta degli scritti più programmaticamente politici, anche se vi sono riepilogate vaste parti di metafisica e logica trattate in altre sedi: Il conseguimento della felicità, Gli aforismi dell’uomo di stato, Le idee degli abitanti della città virtuosa, Il libro dell’ordinamento politico, Il libro della religione - tutti in prima versione italiana, eccetto La città virtuosa, tradotta con qualche variante dallo stesso Campanini per la Rizzoli nel 1996.
Nato in Persia o nel Turkestan probabilmente nell’870 e morto nel 950 a Damasco, al-Fârâbî fu il traghettatore decisivo del pensiero greco in ambito islamico, riproponendo la concordanza fra il «divino» Platone e il più conosciuto Aristotele e sussumendovi anche il neo-platonismo (la cosiddetta Theologia Aristotelis, che in realtà è un centone delle Enneadi plotiniane).
L’omologazione era, oltre tutto, imposta dall’esigenza di non indebolire, evidenziando le divergenze, lo statuto della filosofia rispetto alla tradizione religiosa. Campanini insiste tuttavia soprattutto sulla collocazione islamica dell’autore e l’elaborazione originale, rifiutando di schiacciarlo sulla dimensione traduttiva e in sostanza dipendente dalla tradizione ellenica. Per questo, oltre a collocarlo biograficamente nella crisi del califfato sunnita e nell’ascesa politica dello sciismo e dell’ismâ’îlismo nel X secolo, CAmpanini tende a mettere in rilievo l’uso che al-Fârâbî fa di alcune figure e motivi fondamentali di quelle correnti: il profetismo, l’imâm come guida carismatica, la gerarchizzazione cosmologica e civile ben corrispondente alle dottrine neoplatoniche. Più in generale, il curatore del volume ritiene che i falâsifa musulmani furono prima musulmani che filosofi e utilizzarono la speculazione greca come uno strumento per comprendere e migliorare l’Islam.
Stiamo inoltre in una certa tensione polemica con quell’interpretazione che più ha reso (relativamente) popolare al-Fârâbî, cioè la lettura di Leo Strauss, ripresa poi dal suo editore e commentatore in inglese Muhsin Mahdi. Per Strauss abbiamo un caso tipico di reticenza (in lui e nel seguace Maimonide), di insegnamento esoterico per occultare e difendere il pensiero filosofico più profondo e quindi le ragioni ultime dell’umanità dall’ideologia religiosa che nel contempo è anche ordine sociale, la Legge degli Ebrei e dei musulmani, legge civile e culturale nel contempo, con cui il filosofo deve necessariamente confrontarsi, contestandola prudentemente dall’interno. Lo statuto di minorità della falsâfa (filosofia), rispetto al legalismo del fiqh e del talmud, l’esonera per fortuna dalla supervisione religiosa, così tipica del Cristianesimo. Per Campanini invece si dà una sostanziale armonia, in ambito islamico, fra scienza razionale e fede.
Vi sia o meno tale doppiezza intrinseca, vi è certamente un’evoluzione interna nell’opera di al-Fârâbî e anche una contraddittorietà fra testi: per esempio nella giovanile Epistola sull’intelletto il meccanismo emanativo comprende quello delle forme naturali sublunari contingenti da parte dell’«Intelligenza Agente», come avverrà per il dator formarum del suo seguace Avicenna, mentre nelle opere della piena maturità essa non produce forme ma soltanto perfeziona l’intelletto e l’immaginazione degli uomini, consentendo la formazione degli intelligibili e attraendo alla congiunzione i più sapienti. Nell’età estrema, nel perduto commento all’Etica Nicomachea, scoraggiato, abbandona la dottrina della congiunzione dell’intelletto umano con l’«Intelligenza Agente», definendola «una favola da vecchie». Petite phrase carica di conseguenze, la cui tonalità scettica (invero straordinariamente moderna) è testimoniata e aspramente rimproverata da Tufayl, Averroé e Avempace.
I passaggi più geniali delle opere politiche sono quelli in cui identifica il governatore-profeta, l’imâm, con il re-filosofo della Repubblica platonica, facendo intervenire l’Intelligenza Agente non solo, come era scontato, nei processi dell’astrazione, ma sulla facoltà inferiore dell’immaginazione. A metà fra sensi e ragione, essa si costruisce uno spazio imitativo degli uni e dell’altra, preziosissimo per innestare e regolare la pratica. Di regola fornisce similitudini, ma in alcuni casi è talmente potente da cortocircuitare la facoltà razionale, saltando la fase riflessiva, e rendendo possibile la conoscenza delle cose divine e dei particolari futuri. Non solo ciò permette di elaborare programmi politici di ampio respiro, ma chi ha una possente immaginazione può entrare in risonanza con l’immaginazione delle masse e guidarle - ciò che mai riuscirebbe alle argomentazione dimostrative del filosofo.
Modello implicito Maometto, è probabile, ma perché no?, anche il popolarissimo Alessandro Magno. Il profeta-legislatore (con il corollario delle doti militari) è decisivo per la fondazione non per la sopravvivenza della città virtuosa, che può accontentarsi di surrogati e collegi (pur sempre comprendenti un filosofo).
Abbiamo qui, con dieci secoli di anticipo, il noto meccanismo weberiano per cui il potere carismatico è quello che fonda religioni e imperi per poi raffreddarsi in gestione burocratica e periodicamente tornare a vivificare una società irrigidita (come gli imâm nascosti sciiti). La coesistenza (qui secolarizzata) di afflato gnostico-profetico e organizzazione gerarchica è del resto un buon punto di confluenza fra macchina neoplatonica e settarismo isma’îlita, che lascia indecisi i problemi interpretativi sopra accennati, tanto la lettura straussiana quanto il ruolo dell’influenza ellenica.
In rete, si cfr.:
AL-FARABI (Wikipedia).