Ragioni

SE SI PERDE LA CAPACITA’ DI INDIGNARSI - di Edgardo Bartoli - selezione a cura del Prof. Federico La Sala

venerdì 2 dicembre 2005.
 

di Edgardo Bartoli (“Azione”, Lugano, 17 agosto 2005 - dal sito: www.il dialogo.org/estero, 25.11.2005))

Ma che cosa è successo all’Italia? Una quindicina di anni fa pareva aver toccato il fondo, con Tangentopoli e le rivelazioni sui malaffari della prima Repubblica: ed è riuscita a precipitare ancora più in basso, in una condizione di paralisi morale nella quale si disintegra ogni forma di decenza, si spegne ogni forma d’indignazione o d’insofferenza, nessuno scandalo è più possibile perché non c’è più nulla che riesca a scandalizzare. Né le telefonate compiacenti del governatore della Banca nazionale al parente affarista, né la scalata di finanzieri con capitali di oscura provenienza alla principale testata giornalistica italiana, né il fondato sospetto che dietro di loro ci sia il presidente del Consiglio in persona (il quale nega, contro ogni evidenza: e non si sa se credergli, per correttezza, o riderci sopra, ricordando che Indro Montanelli descriveva Berlusconi come un bugiardo nato, uno che mente come respira). Del suo «conflitto d’interessi» si parla ormai, per quel poc o che se ne parla, come di un reperto archeologico da museo, e lo stesso Berlusconi se l’è addirittura scordato, ritenendo (non del tutto a torto) che il voto popolare a suo favore lo abbia assolto con formula piena. Da Palazzo Chigi, egli parla senza più alcuna remora dei suoi affari privati, un giorno da presidente del Consiglio, l’altro da padrone delle ferriere. Sorride meno, ma sorride sempre. Tutto va bene in Italia, anche se l’agenzia di rating internazionale Standard & Poor dà un giudizio pessimo sulla sua economia e uno pessimistico sulle prospettive di ripresa, notando che nessuna delle forze in campo, a destra come a sinistra, sembra avere idee chiare sul da farsi, e tanto meno la forza per farlo. A questa temperatura morale, vicina allo zero assoluto, si paralizza anche l’intelligenza, ossia la capacità di capire che cosa non va, e di provvedere, di fare qualcosa.

In America, cinque mesi dopo il caso Enron, era già stata approvata la legge (il Sorbanes-Oxley Act) intesa a impedire il ripetersi di casi simili, e poco dopoi responsabili di quella maxi-truffa facevano il loro ingresso in galera. In Italia, anni dopo il caso Cirio e il crack della Parmalat - che, nel giudizio della Banca dei regolamenti Internazionali, «ha messo in luce carenze ad ogni possibile livello: amministratori, revisori, banche, promotori finanziari, nonché i responsabili della vigilanza su ciascuna di queste attività» - non è stato fatto assolutamente nulla. Come se nulla fosse successo. In compenso, gli imbarazzanti avvenimenti alla Banca d’Italia hanno mostrato che le carenze più gravi riguardavano proprio l’attività di vigilanza sulle banche, affidata all’istituto centrale. Dal quale emana un imbarazzante odore di pasta e cavoli, da portineria, da tinello piccolo-borghese, dove la famigliola «parla come si mangia» e ci si rassicura l’uno con l’altro.

L’immagine dell’Italia è oggi quella di un Paese, per usare le parole di Ilvo Diamanti, «dove non ci sono più confini, distanze, distinzioni: fra i salotti e le Camere, fra le televisioni e le istituzioni, fra i ruoli istituzionali e le relazioni personali, fra controllati e controllori». Di un Paese di playboy faccendieri e di divetti della finanza facile, dove la cafoneria va sottobraccio alla mondanità, la mondanità alla politica; un Paese che non soltanto haperso ogni credibilità ed è finito in ultima fila sulla scena internazionale, ma che esibisce oltretutto lati vigorosamente comici. Senza rendersene conto. Dove, se non in Italia, si può vedere un premier svillaneggiare la moneta nazionale additandola come responsabile di tutte le difficoltà presenti, e ministri che paiono evasi da un repertorio di teatro dialettale proporre di abbandonarla, tornando alla lira (e perché non al ducato?).

Il guaio è che quando si perde la capacità d’indignarsi si perde fatalmente anche quella di meravigliarsi. Si perde la capacità non solo di giudicare, ma anche di vedere, di accorgersi di quello che succede. Ai suoi tempi, Tangentopoli provocò un brivido collettivo, si avvertì un sospiro nazionale di sollievo, amplificato dai giornali, alimentato da un certo «qualunquismo» antipolitico e da sommari istinti giustizieri, d’accordo, ma accompagnato anche da oneste speranze di cambiamento. Quel grande sospiro collettivo confluì nella mongolfiera di Berlusconi, facendola salire di colpo a grande altezza. Gli italiani l’hanno seguita a naso per aria senza accorgersi di niente. Adesso pare che il pallone stia perdendo quota. Se toccherà terra, non troverà un solo alito di vita civile per rifornirsi.


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