Sapere e Potere. Filosofia e Cupidità...

UN PLATONE ROSSO DI VERGOGNA: L’ACCADEMIA ITALIANA AL CAPOLINEA. Una vecchia e sofistica risposta di Umberto Galimberti a una lettera e a una domanda di Vincenzo Chiappetta - a cura di pfls

"Tengo questa rubrica (finché me la lasciano tenere e finché non avrò definitivamente annoiato chi mi legge)" (U. Galimberti).
domenica 4 maggio 2008.
 
[...] Lei afferma che le idee sono per certi aspetti simili all’amore. C’è forse in questo accostamento anche un’allusione al fatto che, quando gli uomini cercano di comunicare fra di loro, non cercano di capire qualcosa del mondo che li circonda, ma di capire se stessi? E perché allora non cambiare il nome di questa rubrica in "Lettere d’amore"? essendo amore, come lei afferma, non un rapporto fra me e te, ma fra me e me grazie a te, e te e te grazie a me - sembra uno scioglilingua, ma sono parole sue. Vorrei appropriarmi di un tormentone marzulliano, chiedendole con bonaria ironia di farsi una domanda e darsi una risposta: perché tiene questa rubrica? [...]

Perché tengo questa rubrica

Scrive Oscar Wilde: "Se hai trovato una risposta a tutte le tue domande, vuol dire che le domande che ti sei posto non erano giuste".

Risponde Umberto Galimberti *

Nell’introduzione a un suo libro sulle idee, lei scrive che il dialogo è un tentativo sempre reiterato ma sempre sconfitto e che i libri sono scritti e letti non perché ci sono idee da diffondere, ma perché ci sono idee capaci di farsi amare o detestare. Ma se la comunicazione è un tentativo che rimane sempre sconfitto, perché questa rubrica?

Se io, dopo avere tentato di spiegarle le mie idee su un fatto di cronaca, tentassi di capire le sue, alla fine avremmo entrambi assistito alla erosione e corrosione dei nostri pensieri, resi più disponibili a quel tentativo, che rimane comunque sempre sconfitto, che si chiama comunicazione?

Lei afferma che le idee sono per certi aspetti simili all’amore. C’è forse in questo accostamento anche un’allusione al fatto che, quando gli uomini cercano di comunicare fra di loro, non cercano di capire qualcosa del mondo che li circonda, ma di capire se stessi? E perché allora non cambiare il nome di questa rubrica in "Lettere d’amore"? essendo amore, come lei afferma, non un rapporto fra me e te, ma fra me e me grazie a te, e te e te grazie a me - sembra uno scioglilingua, ma sono parole sue. Vorrei appropriarmi di un tormentone marzulliano, chiedendole con bonaria ironia di farsi una domanda e darsi una risposta: perché tiene questa rubrica?

-  Vincenzo Chiappetta
-  chiappettavincenzo@libero.it

Tengo questa rubrica (finché me la lasciano tenere e finché non avrò definitivamente annoiato chi mi legge) per diffondere il più possibile un "metodo", quello di Socrate, che quando gli chiesero quale fosse lo scopo del suo insegnamento, rispose che non insegnava niente perché era ignorante, ma aiutava coloro che ritenevano di sapere qualcosa a fondare le loro opinioni con argomenti solidi, in modo che stessero in piedi da sole, e non per l’autorità di chi le enunciava, per la fede in credenze infondate, per l’impatto emotivo, per la suggestione degli affetti. Siccome riteneva di non essere in possesso di alcuna verità da trasmettere, paragonava il suo lavoro a quello di sua madre che aiutava le partorienti a generare. Allo stesso modo egli aiutava i suoi discepoli a partorire la verità che, segretamente, e spesso a loro insaputa, custodivano. Chiamò questo metodo filo-sofia che significa: "amore per il sapere", distinguendola dalla sofia dei sapienti che non "amano" il sapere perché ritengono di "possederlo".

Amore, infatti, non è possesso, ma ricerca, tensione e desiderio della cosa o della persona amata. Per questo, nel racconto che ci fa Socrate nel Simposio, Amore non è figlio di Afrodite, come voleva la mitologia greca, ma di Penia, che significa "penuria", "povertà". Essendo povero, Amore non "possiede" e perciò "cerca", allo stesso modo della filosofia che, non possedendo alcuna verità, ne va alla ricerca. Per questo Socrate dice: "Amore è filosofo, perché sta in mezzo tra il sapiente che non cerca la verità perché ritiene di possederla e l’ignorante che non la cerca perché non desidera sapere". A differenza della religione, infatti, la filosofia non è autoritaria. Non dice: "Io possiedo la verità e tu apprendila", perché è persuasa che la verità, anche se incompiuta, imperfetta e mescolata a tanti errori, dimori in ciascun uomo. E "maestro" non è chi trasmette la verità, ma chi aiuta gli uomini a trarla fuori dalla confusione delle loro opinioni, anche se in contrasto con le idee più diffuse e da tutti condivise.

Ma lei incalza e mi chiede a che serve il dialogo filosofico se lo considero un tentativo sconfitto. La risposta la fornisce lei stesso. Serve a corrodere i propri pregiudizi, a indebolire le posizioni troppo rigide, a educare al dubbio, ad allargare la propria visione del mondo, perché spesso i problemi sono enigmatici solo perché guardati da un punto di vista che non tiene conto degli altri possibili. I quali, una volta richiamati, potrebbero ridurre la drammaticità dell’interrogazione senza via d’uscita, che tale risulta perché il nostro sguardo si è fatto fisso e immobile, e la nostra capacità di ascoltare si è attutita ai limiti dell’assurdità.

Per questo alle domande che i lettori mi pongono rispondo in quella maniera un po’ anomala, che non è quella di risolvere il problema, ma di radicalizzarlo, andando il più possibile in fondo dove si annida il radicamento. Questo modo di procedere talvolta può apparire irritante, talvolta difficile, talvolta delusivo, ma è meglio deludere l’attesa di una risposta immediata che isterilire una domanda, impoverirla, non tenerla all’altezza di ciò che chiede. E questo in omaggio all’uso della ragione, la quale, anche se è, come vuole l’immagine di Kant, "un’isola piccolissima nell’oceano dell’irrazionale", è pur sempre la prerogativa specifica dell’umano, che non può arrestare il suo infinito domandare in quella palude dell’ovvio, così massicciamente distribuito dai media, affinché gli uomini non si interroghino troppo e, come pecore ben allineate, seguano senza inciampi i percorsi ben definiti che altri hanno approntato per loro.

In questo senso il dialogo filosofico che si sperimenta in questa rubrica non ha alcuna intenzione di trasmettere un "sapere", ma semplicemente di promuovere un "atteggiamento". L’atteggiamento di chi non smette di fare domande e di mettere in crisi tutte le risposte che sembrano definitive. Perché solo questo atteggiamento, che la filosofia per prima ha inaugurato, è la macchina capace di inventare un mondo possibile al di là del mondo reale.

*la Repubblica/D, 03.05.2008


Sul tema, nel sito, si cfr.:

In principio era la Parola di Amore ("charitas") o di Mammona ("caritas" = caro-prezzo)?! FURTO O DONO? LA CECITA’ DEL DESIDERIO, LA NEGAZIONE DELL’ALTRO, E "LA VITALITA’ DELLA NOSTRA ESISTENZA".La risposta "ambivalente" di Umberto Galimberti...


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